Capitolo 39
All I ever wanted
All I ever needed
Is here in my arms
Words are very unnecessary
They can only do harm
Vows are spoken
To be broken
Feelings are intense
Words are trivial
Enjoy the Silence
[Depeche Mode]
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Nella mia vita ero sempre stata una persona fondamentalmente pigra, che amava dormire e detestava cordialmente il suono della sveglia. Quando l'aggeggio infernale suonava di solito lo spegnevo e mi giravo dall'altra parte, per poi ripetere la tortura alcuni minuti dopo; avevo sempre trovato impossibile scattare in piedi nell'esatto istante in cui partiva la sveglia, ed anzi anche solo riuscire ad aprire entrambi gli occhi per me era un'impresa titanica.
Tuttavia quella mattina le cose andarono diversamente: un paio di secondi dopo che la sveglia aveva iniziato a suonare mi ero già alzata a sedere sul letto, mentre il senso di profondo sconforto del giorno prima mi invadeva già più prepotente che mai.
Senza neppure stiracchiarmi o sbadigliare interruppi l'allarme, alzandomi in piedi e dirigendomi verso il bagno; quando mi guardai allo specchio quasi rabbrividii per la mia cera orrenda. Avevo gli occhi contornati da due occhiaie violacee, la pelle del viso pallida e tirata; con un sospiro mi lavai e feci una rapida colazione – per quello che il mio stomaco chiuso mi permetteva.
Raggiunsi il tribunale in una specie di stato di trance, riuscendo comunque ad arrivare in anticipo di circa mezz'ora; dopo aver superato dei controlli di sicurezza come quelli degli aeroporti raggiunsi un'ampia e lunga sala d'attesa su cui si affacciavano le porte delle aule, ciascuna affiancata da un numero affisso al legno che ricopriva le pareti. Mi guardai intorno un po' smarrita, cercando di capire dove andare, al che individuai una grande bacheca blu scuro sulla quale erano appesi dei fogli.
Quando mi avvicinai scoprii che si trattava degli elenchi di udienze previste in ciascuna aula ai vari orari della giornata; mi affrettai a scorrere rapidamente le liste di nomi, facendo saettare lo sguardo da un foglio all'altro, fino a quando i miei occhi non trovarono quello che cercavano.
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Styles, Harold Edward
Orario d'inizio: 10:00
Numero pratica: 15-CR-02403
Aula 4
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Sfiorai con le dita il suo nome, come se in quel modo avessi potuto raggiungere lui, e sentii già la gola stringersi in una dolorosa morsa. Quella situazione era ancora troppo surreale, non riuscivo a credere di stare per assistere al processo del ragazzo di cui ero innamorata. Era successo tutto troppo in fretta, e mi sembrava di trovarmi in un incubo da cui non riuscivo a svegliarmi.
Nel tentativo di dissipare quella cappa di malessere mi sedetti su una delle decine di sedie che riempivano la sala disposte in file ordinate, in modo da essere vicina alla porta dell'aula numero 4.
Passarono pochi minuti prima che cogliessi con la coda dell'occhio il guizzo giallo di un giubbotto catarifrangente ad alcuni metri da me; voltai la testa di scatto, ed il mio cuore sprofondò quando posai lo sguardo su un agente che camminava con la mano posata al braccio di Harry, Cowley alle sue spalle.
Mi alzai istintivamente in piedi, attirando l'attenzione di entrambi, al che gli occhi di Harry si spalancarono. Era un tale sollievo poterlo rivedere che desiderai quasi scoppiare a piangere, ma mi limitai a dirigermi verso di lui cercando di non inciampare nei miei stessi piedi.
«Ri...»
«Dio, ero così preoccupata» sputai a fatica, la gola che mi doleva ad ogni parola. «Sei uno stronzo, un vero stronzo»
Percorsi in un passo la distanza che ci separava e lo strinsi forte a me, senza neppure lasciargli il tempo di rispondere; lo sentii sorridere appena mentre con il braccio libero mi avvolgeva la schiena, lasciandomi un piccolo bacio tra i capelli. Anche attraverso la stoffa della maglia non potei fare a meno di notare che non portava anelli alle dita; pure i capelli erano più ordinati del solito, senza ciocche ribelli che ricadevano ovunque. Probabilmente Cowley era riuscito a costringerlo a rendersi almeno presentabile.
«Perdonami, Ri» mormorò con un sospiro, accarezzandomi piano un fianco con i polpastrelli. «Davvero, io non...»
«Ne riparliamo dopo» lo interruppi a denti stretti, mentre scioglievo l'abbraccio. «L'udienza comincia tra poco e dobbiamo entrare in aula, ma sappi che sono furiosa»
Lui annuì rassegnato e Cowley tossicchiò, portandomi a passarmi una mano tra i capelli nel tentativo di darmi un contegno. Senza aggiungere altro mi incamminai verso la porta dell'aula, seguita dall'agente che avevo notato rivolgermi un'occhiata perplessa; ero consapevole più che mai della presenza di Harry alle mie spalle, al punto che bruciavo dal desiderio di girarmi e dimenticare di tutte le persone che ci circondavano pur di baciarlo fino a sentirmi mancare il fiato.
Non è decisamente il momento, Riley. E poi ricorda: sei incazzata nera con lui.
Quando entrai nell'aula fui sorpresa dalle dimensioni piuttosto ridotte dell'ambiente; il pavimento era ricoperto di moquette blu notte e le pareti erano rivestite di legno chiaro, lo stesso che costituiva i vari banchi a cui avrebbero preso posto le varie figure legali.
Mi sedetti sulla sinistra, dietro ad un banco che mi avevano indicato essere quello riservato ai testimoni, mentre Harry venne condotto dall'agente in fondo alla sala; Cowley invece ci rivolse un breve saluto prima di dirigersi verso il tavolo di destra, posandovi la cartella che teneva in mano ed estraendovi dei fogli che iniziò ad esaminare una volta accomodato. Alla sua sinistra vi era già un bell'uomo dai capelli leggermente brizzolati, vestito con un completo gessato blu.
Di fronte a loro, dietro ad un ampio bancone che si trovava subito sotto a quello ancora vuoto del giudice, un individuo di bassa statura osservava l'aula con i suoi occhietti acquosi dietro ad un paio di piccoli occhiali da vista, l'espressione vagamente annoiata. Non avevo idea di chi potesse essere, e questo mi fece rimpiangere di non essermi mai preoccupata di chiedere a Cowley come funzionasse tutta la procedura.
D'un tratto fui strappata ai miei pensieri dalla voce cerimoniosa di quello che doveva essere l'usciere d'udienza, che indossava una sorta di lunga veste nera.
«In piedi, entrano i magistrati»
Tutti i presenti si alzarono meccanicamente in piedi mentre una porta sulla destra della sala si apriva e ne uscivano tre personaggi che si accomodarono al banco più alto; erano una donna e due uomini, nessuno di loro in toga e parrucca bianca.
Tre giudici?
Deglutii a vuoto, rendendomi conto che non avevo la più pallida idea di cosa stesse per succedere in quell'aula.
I tre magistrati salutarono formalmente l'avvocato e l'uomo alla sua sinistra, quindi l'usciere d'udienza invitò l'aula a sedersi. Subito dopo il personaggio seduto davanti ai tre giudici si sistemò gli occhialetti e parlò.
«Signori giudici, il primo caso posto alla vostra attenzione oggi è il numero 15-CR-02403, Harold Edward Styles» esordì con sussiego esagerato, avvicinando un foglio al viso per leggere meglio. «Potrei avere i nomi del procuratore e dell'avvocato difensore, di grazia?»
Al suo invito l'uomo dai capelli brizzolati si alzò elegantemente in piedi, chinando appena il capo in direzione dei magistrati.
«Jason Hext per la pubblica accusa, signori giudici» si presentò, tornando poi a sedersi mentre invece si alzava l'avvocato.
«Robert Cowley della Bradden Cowley Solicitors per la difesa, signori giudici» si annunciò a sua volta, lisciandosi la giacca in un gesto che avevo ormai imparato essergli abituale. Quando anche lui si fu accomodato, l'individuo con gli occhialetti prese di nuovo la parola.
È lui quello che chiamano cerimoniere? O forse... cancelliere?
«Vi ringrazio, signori» recitò con tono piatto, posando il foglio sulla superficie di legno di fronte a sé. «Signor Styles, potrebbe per favore avvicinarsi al banco degli imputati?»
Harry fremette, colto alla sprovvista, e si alzò meccanicamente in piedi dirigendosi verso la postazione sulla destra che l'usciere gli indicava, accennando poi un piccolo inchino impacciato con il capo in direzione dei magistrati.
«Signor Styles, potrebbe dichiarare il suo nome completo e la sua data di nascita?»
Lui si schiarì la gola, avvicinandosi poi al microfono affinché potessero sentirlo meglio.
«Mi chiamo Harold Edward Styles, e sono nato il giorno 1 febbraio 1990»
Il cancelliere annuì appena, sistemandosi ancora gli occhiali sul ponte del naso.
«Signori giudici, il signor Styles si è presentato alla stazione di polizia di Brixton intorno alle 10 di ieri mattina e ha confessato di aver commesso una serie di crimini negli ultimi sette anni adducendone le prove» sentenziò il cancelliere, tornando a leggere i fogli davanti a sé. «Vi sono state consegnate la copia del report sulle indagini del CPS e di quello della polizia, ivi compresa la testimonianza scritta della signorina Riley Fisher»
«Sì, signor cancelliere, ne abbiamo preso visione» replicò il magistrato seduto al centro, radunando di fronte a sé alcune cartelline che dovevano contenere proprio quei documenti. «Proceda pure con la lettura dei capi d'accusa»
«Certamente, signori giudici» assentì il cancelliere, il tono quasi reverenziale. «Signor Styles, all'accusa di spaccio di stupefacenti di classe A e B come si dichiara?»
«Colpevole» affermò Harry, la mascella tesa. Dovetti reprimere un brivido nel sentire quella parola.
«All'accusa di detenzione illegale di arma da fuoco in aree pubbliche come si dichiara?»
«Colpevole» rispose, con voce più fioca di prima.
«All'accusa di aggressioni a scopo di rapina come si dichiara?»
«Colpevole» quasi mormorò, abbassando il capo ed allontanandosi dal microfono. Trattenevo il respiro mentre facevo saettare lo sguardo tra Harry ed il cancelliere, in preda ad un'improvvisa ansia bruciante. I tre giudici si avvicinarono, iniziando a discutere sottovoce tra loro, e dopo un paio di minuti quello di prima tornò a parlare.
«Signor Styles, riteniamo che questo tribunale non abbia i poteri sufficienti per poter applicare una condanna adeguata ai crimini da lei commessi» sentenziò, intrecciando le dita delle mani sul banco davanti a sé. «Pertanto, secondo la sezione 51 del'Atto sul Crimine e sul Disordine del 1998 il suo caso sarà affidato alla Corte d'Assise di Blackfriars; il mandato di comparizione verrà presto consegnato al suo avvocato. Nel frattempo lei sarà tenuto in custodia»
Harry deglutì a vuoto prima di annuire. Cowley ci aveva visto giusto: la sentenza sarebbe stata formulata più avanti, anche se non si sapeva ancora quando. La reazione intimorita di Anne quando gliel'avevo accennato mi aveva caricata ancora di più di preoccupazione, perché avevo realizzato che un organo giudiziario con più poteri significava anche condanne più pesanti.
Quanto tempo dovrò restare senza di lui?
Mi morsi il labbro inferiore, stringendo a me la borsa. L'aria in quella stanza mi sembrava improvvisamente rarefatta e soffocante, e desideravo solo poter uscire di lì con Harry il prima possibile.
«Signori giudici, vorrei fare appello per richiedere il rilascio su cauzione del mio cliente fino alla data della prossima udienza» esordì Cowley, che non avevo neppure notato essersi alzato in piedi. «Mi permetto di porre alla vostra attenzione l'impegno che il mio cliente si è assunto nel costituirsi alla polizia di sua spontanea volontà come garanzia del fatto che non mancherà di presentarsi all'udienza prevista in Corte d'Assise. Chiedo inoltre che venga tenuta in considerazione la situazione di reddito precaria del mio cliente nel calcolo della somma prevista per la cauzione»
«L'accusa ha qualche obiezione in merito?» domandò il magistrato, rivolto all'uomo in abito gessato che si alzò prontamente in piedi.
«Sì, signor giudice» rispose, al che il respiro che stavo prendendo mi rimase bloccato in gola. «Vorrei sottolineare che il signor Styles, pur non essendo mai stato effettivamente arrestato, ha trascorso gli ultimi sette anni commettendo aggressioni e perpetrando spaccio di stupefacenti. Non essendosi trattato di un caso isolato, ritengo ragionevole il sospetto che l'imputato possa commettere altri crimini se venisse rilasciato; chiedo pertanto che la cauzione venga negata, nell'interesse del benessere e dell'ordine pubblico»
Il mio cuore prese a martellare freneticamente contro il mio petto di fronte alla prospettiva che ad Harry potesse essere impedito di tornare in libertà fino al giorno dell'udienza. Dentro di me pregavo che quell'intervento venisse ignorato, o che Cowley potesse operare qualche miracolo per convincere i giudici a non lasciarsi condizionare dal passato criminale di Harry.
«Grazie, signor Hext, terremo conto della sua obiezione» replicò pacato il giudice, al che il procuratore lo ringraziò con un breve cenno del capo prima di tornare a sedersi. «Ora mi consulterò con i miei colleghi per decidere il da farsi»
Mentre i tre magistrati parlottavano sottovoce tra loro facevo del mio meglio per ignorare il pulsare persistente delle mie tempie. Posai gli occhi su Harry, che era teso come una corda di violino sebbene il suo viso fosse una maschera di pietra; potevo vederlo solo di profilo, ma ormai lo conoscevo abbastanza da poter capire quanto fosse nervoso.
I giudici discussero per diversi interminabili minuti, che mi parvero un'agonia insopportabile. Nella mia testa non facevo altro che ripetermi ossessivamente che sarebbe andato tutto bene, e che presto sarebbe tutto finito; tuttavia non riuscivo neppure a credere a me stessa.
«Dunque, signor Styles» prese di nuovo la parola il magistrato al centro, facendomi quasi sobbalzare dalla sorpresa. «La richiesta del rilascio su cauzione è stata accolta, ma vi sono alcune condizioni»
Non sapevo se liberare un sospiro di sollievo o se tremare dall'agitazione.
«La somma da versare è di 5000£, e verrà interamente restituita nel caso l'imputato si presenti all'udienza; in caso contrario l'importo sarà trattenuto e verrà emesso un mandato d'arresto nei confronti dell'imputato, inoltre si terrà conto della mancata comparizione per la formulazione della sentenza nell'udienza successiva»
Non succederà, lo so; Harry si presenterà di sicuro al processo.
«L'imputato dovrà indossare una cavigliera elettronica dotata di geolocalizzatore» proseguì il giudice, il viso impassibile. «Dovrà inoltre risiedere ad un indirizzo fisso che segnalerà compilando un modulo al termine di questa udienza. Così è deciso, la seduta è sciolta»
Mi alzai in piedi come un automa, senza ben sapere cosa fare. Harry si guardò intorno per qualche secondo prima di scendere dal banco degli imputati, dirigendosi verso Cowley che l'aveva chiamato a sé con un cenno; parlarono sottovoce tra loro, lanciandomi anche qualche occhiata di tanto in tanto, quindi l'avvocato annuì e raccolse i fogli nella sua cartella per poi camminare verso di me sistemandosi la cravatta con la mano libera.
«Cosa succederà ora?» non potei fare a meno di domandare con urgenza, senza neppure tentare di nascondere la preoccupazione nella mia voce.
«Ci sono delle carte da compilare per Harry, la cauzione da pagare... un po' di burocrazia» spiegò Cowley, guardando il ragazzo di sottecchi prima di tornare a posare gli occhi su di me. «Non si preoccupi, signorina Fisher. Il suo amico potrà uscire presto da qui»
Premetti le labbra tra loro, un po' interdetta dalla voluta allusione dell'avvocato. Doveva aver intuito che io e Harry non eravamo esattamente semplici amici, ma dopotutto che differenza faceva?
«Cercherò di fare tutto il più in fretta possibile, Ri» rimarcò lui, accennando un piccolo sorriso. «Vedrai, tra poco torneremo a casa»
Serrai la presa sui manici della borsa, cercando di ricacciare indietro il magone nervoso che mi attanagliava la gola, quindi annuii per non creare polemiche. Che bisogno c'era di rassicurarmi in quel modo, come se fossi una bambina? Sapevamo entrambi fin troppo bene che quella era solo una soluzione temporanea, che nel giro di pochissime settimane sarebbe tutto finito.
Forse volevo illudermi ancora un po', forse volevo mettere a tacere le vocine impietose nella mia testa che mi urlavano di troncare fin da subito quel legame che mi avrebbe solo uccisa di dolore, ma dentro di me sapevo che non ne sarei mai stata capace.
Perciò annuii, annuii e ricambiai il sorriso che Harry mi stava rivolgendo, ignorando ancora una volta i morsi dell'inquietudine e lasciandomi ingannare dalle false speranze che io stessa mi ero creata per paura di cedere e restarne irrimediabilmente schiacciata.
***
«Sei sicuro che nessuno ti verrà a cercare qui?»
Harry fece un cenno affermativo alla mia domanda apprensiva, l'espressione serena.
«Nessuno dei ragazzi conosce il tuo indirizzo, a parte Laz» specificò, passandosi una mano sulla nuca tra i capelli. «Da quel che mi ha detto lui sono tutti convinti che io sia scappato da qualche parte nel South West. Ha inventato di aver individuato stamattina la mia posizione intorno a Bristol e poi di aver perso le mie tracce»
«Questo non vuol dire che qualcuno di loro non vorrà provare ad ottenere informazioni da me» insistetti, muovendo un passo verso di lui. «Laz non potrà tenere nascosto agli altri il mio indirizzo per sempre»
Harry sospirò, appoggiandosi alla scrivania della mia camera e prendendosi il ponte del naso tra il pollice e l'indice.
«Laz saprà depistarli» replicò cocciutamente, quasi come se volesse convincersene da solo. «Mal che vada dirà agli altri che, visto che sa dove abiti, potrebbe essere lui stesso a venire a chiederti spiegazioni. In questo modo saresti al sicuro e nessuno mi scoprirebbe»
Mi morsi il labbro inferiore, non del tutto rassicurata dalle parole di Harry; lui dovette rendersene conto, perché emise un altro sospiro e si avvicinò a me.
«Andrà tutto bene, Ri» mormorò, spostando una ciocca di capelli del mio viso per poi sistemarla dietro al mio orecchio. «È stata una buona idea scegliere casa tua come mio indirizzo di residenza, e vedrai che tutto filerà liscio»
Dovetti impegnarmi per trattenermi dallo sbottare che no, non sarebbe andato tutto bene; non poteva andare tutto bene, quando saremmo stati separati per chissà quanto tempo, dovendoci accontentare – nell'ipotesi migliore – di parlare separati da un vetro nella sala visite di un carcere.
«Sì, lo so» replicai invece, evitando di guardarlo negli occhi. «Andrà tutto bene»
Sentivo il suo sguardo bruciarmi sulle guance, ma non riuscivo a sollevare il mio verso di lui. Avevo il terrore di leggervi un addio prematuro, una rassegnazione già radicata, e sentivo che non avrei potuto sopportarlo.
Harry prese il mio viso tra le mani, sfiorandomi gli zigomi con i pollici, quindi si avvicinò a me posando un morbido bacio sulle mie labbra. Era da quando me n'ero andata da casa sua che non lo baciavo, e nonostante non fossero nemmeno passati due giorni interi a me sembrava un'eternità.
In quel momento tutta la tensione, la paura, la rabbia e l'angoscia che mi attanagliavano lo stomaco da due giorni si dissolsero nel nulla, lasciando campo libero alla voglia che avevo di stringerlo a me e di annegare nel suo profumo, nel suo sapore, nel suo tocco sempre attento per quanto impaziente.
Eravamo di nuovo solo noi due, nella nostra bolla ovattata e calda di sentimenti inespressi, a riscoprirci ancora una volta; le sue labbra cercavano le mie con una foga quasi disperata, le sue mani mi tenevano ancorata a sé come a volersi fondere con il mio corpo.
Quando mi stringeva così sentivo di appartenergli davvero, al di là di ogni dubbio e di qualunque cosa potesse succedere in futuro, e sentivo che lui apparteneva a me. Diventavamo una persona sola, ci perdevamo l'uno nell'altra fino a non ricordarci nemmeno più dove iniziassi io e dove finisse lui.
Le sue dita esploravano la mia pelle scoperta, portandosi dietro i vestiti che finivano inevitabilmente dimenticati sul pavimento; i suoi polpastrelli saggiavano ogni incavatura ed ogni curva che incontravano nel loro percorso.
«Dio, Ri...» sussurrò Harry, sfiorandomi la gola con le labbra. «Sei così bella»
Rabbrividii a quel contatto ed alle sue parole, afferrando la sua nuca ed attirandolo a me in modo da poter sentire meglio la sua bocca sul mio collo nudo. Eravamo distesi nel mio letto, ormai quasi completamente nudi, ma la bramosia impaziente sembrava averci abbandonati; ci limitavamo a sentirci, ad accarezzarci, a sfiorarci, ad intrecciare i nostri corpi, come se volessimo impararli a memoria in ogni più misero dettaglio.
Le sensazioni che si liberavano in me erano un tumulto confuso di amore bruciante, rimpianto, piacere e dolore prematuro; sapevo che ormai non sarei più stata in grado di vivere serenamente quei momenti, non a lungo perlomeno. L'amarezza tornava in fretta a riempirmi il petto fino alla bocca dello stomaco, quasi bloccandomi il respiro, al che tornavo a riappropriarmi delle labbra di Harry come se fossero un narcotico in grado di addormentare ogni preoccupazione e tramortire l'inquietudine.
Non sapevo cosa stesse pensando lui, e forse non volevo nemmeno saperlo. Mi bastava averlo lì con me, sentirlo respirare sulla mia pelle accaldata, sentirgli mormorare il mio nome di tanto in tanto; raccontavo a me stessa che per il momento mi bastava così, e nascondevo in un sospiro tutte le mie domande e tutti i miei timori.
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