Capitolo 37
Emptiness is filling me
To the point of agony
Growing darkness taking down
I was me but now he's gone
No one but me can save myself,
but its too late
Now I can't think,
think why I should even try
Fade to Black
[Metallica]
~~~
Circa un anno dopo che ero stata assunta da Nando's una coppia di clienti si era rifiutata di pagare per la propria cena, ovviamente già consumata, perché secondo loro il cibo era andato a male.
La discussione tra i clienti ed il mio collega alla cassa si era trasformata in una mezza lite, al punto che eravamo stati costretti a chiamare la polizia per allontanare lo sconosciuto dal cassiere che era stato colpito in faccia da un pugno; quella era stata l'unica volta che avevo visto degli agenti arrivare al locale.
È per questo motivo che, quando un poliziotto in divisa all'esterno del fast food chiese di me, non potei evitare di raggiungerlo carica di sorpresa e confusione.
«La signorina Riley Fisher?» mi domandò quando mi vide arrivare. Annuii sistemandomi il berretto nero, le labbra strette dalla tensione che sentivo iniziare a salire nel mio corpo.
«Sono io, signore» confermai, passandomi i palmi delle mani sul grembiule. «Come mai mi cercava?»
«Sono l'agente Randall, della polizia metropolitana di Brixton» si presentò, mostrandomi brevemente il distintivo. «Avrei bisogno di una sua deposizione come testimone per un'indagine in corso»
«Che indagine?» chiesi nervosamente, il cuore che aveva iniziato a battere al doppio della velocità. Avevo un orrendo presentimento, e per quanto sperassi di sbagliarmi qualcosa mi diceva che non era così.
«Abbiamo in custodia un ragazzo che dichiara di averla aggredita» spiegò, al che mi sentii mancare. «Si è consegnato alla polizia di sua spontanea volontà chiedendo di essere condannato per una serie di crimini che avrebbe commesso, ed abbiamo bisogno della sua testimonianza per verificare la versione dei fatti che ci è stata presentata da lui»
Una morsa dolorosa mi strinse la gola all'istante, mentre gli occhi iniziavano a bruciarmi per le lacrime che mi sforzavo di trattenere.
«Harry... lui sta bene? È ancora alla stazione di polizia?» domandai, la voce carica di apprensione. L'agente sollevò un sopracciglio, chiaramente sorpreso.
«Lei conosce il suo aggressore?»
Chiusi gli occhi, portandomi una mano alla fronte come a tentare di restare presente a me stessa.
«È una lunga storia» riuscii solo a mormorare flebilmente. Mi sentivo come se il mio corpo fosse stato svuotato da ogni traccia di energia, e quasi non riuscivo a reggermi in piedi.
L'ha fatto davvero... Harry è andato dalla polizia. L'inferno è iniziato.
«Vorrebbe venire a raccontarcela in centrale?» mi invitò l'agente Randall, piegando appena la testa di lato.
«Non credo di poter lasciare il lavoro, sono di turno e...» gesticolai confusamente, indicando la porta del locale alle mie spalle. «Posso passare più tardi? Arriverò appena riesco a liberarmi»
Lui si strinse nelle spalle con fare condiscendente.
«Il sospetto rimarrà in custodia, nel frattempo» chiarì, addolcendo lo sguardo. «Lei si prenda tutto il tempo di cui ha bisogno. Sappiamo che testimoniare per un'aggressione subìta può essere difficile ed angoscioso, ma faremo il possibile per metterla a suo agio»
Fui sul punto di sbottare che non era affatto quello il punto, ma mi morsi la lingua e mi trattenni. Probabilmente avrei solo rischiato di complicare la situazione, ed in quel momento l'unica cosa che aveva importanza era Harry.
«Crede che potrò vederlo?» chiesi, senza riuscire del tutto a mascherare la mia impazienza nervosa. «Potrò parlare con lui?»
«Temo che questo non sia possibile, signorina Fisher» rispose, un po' imbarazzato. «A meno che non sia lui a richiedere di vederla, una volta completata la procedura verrà tenuto in custodia fino al momento dell'udienza»
Alla parola "udienza" sentii una fitta di nausea colpirmi lo stomaco, ma feci del mio meglio per dissipare l'angoscia.
«Capisco» mormorai con un filo di voce, sfregandomi un braccio con la mano. «Devo tornare al lavoro, signore. Grazie di avermi avvisata, arriverò il prima possibile»
Lui si schermì con un breve cenno del capo, indietreggiando di un passo.
«Grazie a lei per la sua disponibilità» replicò con un sorriso cortese. «Arrivederci, signorina Fisher»
L'agente Randall mi rivolse un rapido saluto prima di girarsi ed incamminarsi spedito lungo la A23. Ero così sconvolta che del suo giubbotto catarifrangente riuscivo solo a distinguere una sfocata macchia giallo fluorescente; sentivo i polmoni completamente secchi e la testa che pulsava ossessivamente.
Non riuscivo a credere che Harry fosse andato alla polizia senza dirmi nulla, e soprattutto così presto. Perché non aspettare? Perché non godersi un po' di pace insieme quando finalmente eravamo riusciti a trovare un equilibrio, una stabilità?
Avrebbe potuto almeno parlarmene, prima di prendere l'iniziativa. Sarebbe stato un duro colpo, ma se non altro sarebbe stato più semplice da processare. Sicuramente più semplice che esserne informata da un agente di polizia.
«Riley, dove sei finita? Hai tre tavoli da servire, e il cibo si raffredda!»
L'irritante voce di James mi strappò dal mio limbo nero come l'inchiostro, e feci del mio meglio per ricompormi e rientrare nel locale.
«Che voleva quell'agente? Hai combinato qualcosa?» indagò sospettoso, gli occhi ridotti a due fessure.
«No, James» risposi debolmente, senza nemmeno guardarlo mentre mi dirigevo apatica verso la cucina. «Mi ha solo chiesto di deporre come testimone per un'aggressione a cui ho assistito»
«Un'aggressione?» ripeté lui, più curioso che realmente preoccupato. «Che aggressione?»
«Non ho voglia di parlarne ora» tagliai corto, sistemandomi il grembiule. «Non posso uscire prima, oggi? Devo andare alla stazione di polizia»
«Spero che tu stia scherzando» replicò allibito, gli occhi spalancati. «Hai appena avuto un intero weekend di ferie e ora vorresti finire prima? Dove credi di essere, Riley? Se non hai voglia di lavorare dai le dimissioni e tanti saluti!»
Ingoiai il boccone amaro senza fiatare, massaggiandomi una tempia nel tentativo di calmarmi. Mai come in quel momento avrei voluto tirargli un pugno dritto in faccia, ma non ero di certo nella posizione di potermi mettere nei casini.
«Hai ragione, mi dispiace» mormorai meccanicamente, voltandogli le spalle ed entrando in cucina per prendere i piatti da servire.
Quel giorno sembrò quasi che a James non andasse bene nulla di quello che facevo, ancora più del solito; sarei dovuta essere più gentile con quel cliente e più paziente con quell'altro, più rapida nel servizio e più efficiente nella pulizia della sala. Era come se trovasse di proposito dei difetti nel mio lavoro solo per vendicarsi della mia richiesta di staccare prima del previsto per andare alla polizia.
Accolsi con sollievo la fine del mio turno intorno alle 16, ma quel sollievo durò appena un istante; fu presto sostituito dall'angoscia che avevo cercato di chiudere fuori per alcune ore dopo che l'agente se n'era andato, e che ora tornava a mordermi il petto facendomi mancare il respiro.
Quando arrivai alla stazione di polizia di Brixton vi entrai con il cuore in gola, cercando con lo sguardo tracce della presenza di Harry. Ero terrorizzata dalla possibilità di non rivederlo più; in quel momento la lucidità che mi rimaneva era ben poca, e mi ci aggrappavo con le unghie più forte che potevo.
Mi avvicinai incerta al bancone nella saletta all'ingresso, la borsa stretta tra le mani, e venni accolta dallo sguardo cordiale del poliziotto che vi sedeva dietro.
«Posso fare qualcosa per lei, signorina?» domandò cortesemente, posando sulla scrivania i fascicoli che stava esaminando.
«Sono Riley Fisher... l'agente Randall mi ha chiesto di testimoniare per il caso di Harry Styles» spiegai, ricacciando indietro il panico. Gli occhi del poliziotto si illuminarono quando annuì.
«Le chiamo subito un collega per iniziare la procedura» affermò con un sorriso, prendendo in mano la cornetta del telefono. «Non ci vorrà molto tempo»
Distolsi lo sguardo mentre lo sentivo parlottare brevemente con qualcuno all'altro capo della linea, ed in men che non si dica da un corridoio arrivò un altro agente in divisa.
«Salve, signorina Fisher» mi salutò con un cenno del capo. «Sono l'agente Cotton, sarò io a condurre l'interrogatorio»
Risposi flebilmente al saluto, quindi lo seguii fino ad una piccola stanza completamente spoglia se non per un tavolo e due sedie. Il poliziotto si sedette e mi invitò ad accomodarmi a mia volta; non riuscivo a stare ferma, e lui dovette accorgersene perché mi rivolse un'occhiata comprensiva.
«Non si agiti, signorina Fisher» mi rassicurò, l'espressione distesa. «Testimoniare spesso può risultare problematico, ma posso assicurarle che verrà fatto il possibile per agevolarla e per aiutarla nella deposizione»
Annuii, abbassando lo sguardo sulle dita delle mani che avevo intrecciato in grembo; apprezzavo il suo tentativo di rassicurarmi, ma non poteva certo sapere tutti i retroscena della storia.
«Lo so» mormorai, tornando a guardare l'agente negli occhi. «Grazie»
«Ci mancherebbe» si schermì, scuotendo la testa. «Dunque, se se la sente possiamo cominciare; nel caso in cui si volesse fermare, me lo faccia sapere in qualunque momento»
Non me la sentirò mai, ma è qualcosa che non posso evitare.
«Sono pronta» risposi invece, racimolando tutto il coraggio che avevo.
«Ottimo. Le farò alcune domande, al termine delle quali le chiederò di fornirmi una dichiarazione scritta che illustri la sua versione dei fatti relativamente all'aggressione che ha subìto, d'accordo?»
«D'accordo» acconsentii, rilassandomi contro la sedia per quanto possibile. L'agente Cotton si sporse leggermente verso di me, inchiodandomi con il suo sguardo inquisitore anche se gentile.
«Allora, signorina Fisher... può raccontarmi dell'aggressione? Dove si trovava, e quando è successo?»
Serrai le labbra, mentre il ricordo ancora vivido di quella serata mi invadeva la mente.
«Non ricordo il giorno esatto, ma è stato poco più di due mesi fa» rammentai, meravigliandomi dentro di me che fosse passato così poco tempo da allora. «Stavo tornando a casa da sola dopo una serata passata in un locale a Brixton con dei colleghi di lavoro, e percorrendo una via abbastanza isolata l'ho... l'ho incontrato»
«Come si è svolta l'aggressione?»
Deglutii a vuoto, un lieve brivido freddo che mi percorreva la schiena.
«Mi ha bloccata da dietro, coprendomi la bocca con una mano, e mi ha detto di dargli la borsa» sussurrai, sentendo alcune lacrime risalire fino agli occhi. «All'inizio sono riuscita a liberarmi e scappare, ma mi ha raggiunta di nuovo; mentre facevo per dargli quello che avevo mi sono girata e l'ho visto in faccia»
Il viso dell'agente Cotton sembrava preoccupato dal mio turbamento, anche se il mio stato d'animo era dovuto al timore che potesse succedere qualcosa di brutto ad Harry e non al ricordo dell'aggressione.
«Signorina Fisher, l'agente Randall mi ha comunicato che lei sembrerebbe conoscere il suo aggressore. È corretto?»
Esitai per alcuni istanti prima di rispondere, combattuta tra la paura di peggiorare la situazione di Harry e la possibilità di sfruttare il nostro legame per convincere la polizia della sua buona indole.
Tuttavia non sapevo cosa lui avesse raccontato alla polizia, per cui rischiare di metterlo nei guai mentendo sarebbe stato un azzardo. Inoltre avevo già messo una pulce nell'orecchio a Randall, perciò ormai non potevo più tirarmi indietro.
«Lo conosco più o meno da quando sono nata, in realtà» ammisi, stringendomi nelle spalle. «Eravamo amici d'infanzia»
L'agente sollevò le sopracciglia, incredulo.
«È stata aggredita da un suo amico d'infanzia?»
«Non... non è proprio così» balbettai, il cuore che batteva forte per l'ansia di fare qualche passo falso. «Ad un certo punto quando eravamo ancora bambini si è trasferito, e non l'ho più rivisto fino al momento dell'aggressione»
«Capisco... e nonostante il comprensibile panico è riuscita a riconoscerlo?»
Cercai di ignorare il sottilissimo velo di sospetto che ombreggiava la sua domanda.
«Il suo viso è rimasto praticamente identico a come lo ricordavo» risposi, schiarendomi la voce per nasconderne il tremito. «Nella casa dove ho vissuto fino ad un paio d'anni fa, a Holmes Chapel, ci sono ancora diverse fotografie in cui io e Harry siamo ritratti insieme. Non è stato difficile riconoscerlo»
Cotton annuì, come a concedermi la veridicità della mia risposta, quindi proseguì.
«Come si è conclusa la vicenda? Anche Harry l'ha riconosciuta?»
«Solo dopo avergli detto il mio nome» mormorai, giocherellando con la cinghia della borsa. «Al contrario di lui sono molto diversa rispetto a quando ero piccola»
«Il suo atteggiamento è cambiato dopo che l'ha riconosciuta?»
«Oh, sì» mi affrettai a confermare, grata di poter parlare in favore di Harry. «Mi ha restituito tutto quello che gli avevo dato e mi ha permesso di aiutarlo a ripulirsi il sangue che gli usciva dal naso. Gli avevo tirato un pugno, poco prima, mentre tentavo di scappare; credo di avergli anche fatto piuttosto male»
Il poliziotto si accarezzò il mento, con aria pensierosa.
«Vi siete rivisti durante questo periodo di tempo?»
«Sì... diverse volte» confessai, spostando gli occhi altrove. Sentivo il suo sguardo inquisitore puntato addosso.
«Lei si fida di lui?»
«Certo che mi fido di lui!» esclamai, improvvisamente accalorata, tornando a guardarlo in viso. «È una brava persona, è buono, e si è davvero pentito di quello che ha fatto. Non sarebbe venuto qui, altrimenti»
L'agente incrociò le braccia, lasciandosi andare all'indietro contro lo schienale della sedia mentre mi esaminava con attenzione.
«Sapeva della sua intenzione di costituirsi, signorina Fisher?»
Quella domanda mi prese in contropiede, e lì per lì inizialmente non seppi cosa dire.
«Sì, lo sapevo» sospirai infine, passandomi una mano tra i capelli. «Ne parlava da giorni, ma non credevo sarebbe venuto così presto»
«Quello che mi sorprende è che lei abbia riallacciato i rapporti con un ragazzo che non vedeva da diversi anni e che l'ha poi aggredita» osservò Cotton, il tono dubbioso. «È stata minacciata da lui? Costretta a rivedervi?»
Scossi con forza la testa, esasperata per non riuscire a fare in modo che mi credesse.
«No, niente del genere» sentenziai, appoggiando le mani sul tavolo. «Anzi, sono stata io ad insistere perché non sparisse di nuovo. Ero preoccupata per lui... e lo sono anche adesso»
Gli occhi attenti di Cotton mi scrutavano come se avessero voluto leggermi dentro, e dal canto mio non riuscivo a capire se mi credesse oppure no.
«In che rapporti è con Harry, al momento?»
Era una domanda piuttosto delicata, e non ero sicura che ci fosse una risposta completamente priva di rischi. Non potevo certo fingere che mi fosse indifferente – d'altra parte avevo appena detto di essere preoccupata per lui, e poco prima avevo mostrato di conoscere le sue intenzioni di andare alla polizia – ma non potevo nemmeno rivelare a cuor leggero il nostro rapporto.
«Ci siamo riavvicinati, da allora» tentai di restare sul vago, mostrandomi comunque disinvolta per quanto possibile. «Tengo molto a lui, agente. So che ha fatto molte cose sbagliate nella sua vita, ma sta davvero cercando di rimediare ai suoi errori»
«Non ho dubbi a riguardo, signorina Fisher» mi concesse, il tono condiscendente. «L'ho interrogato personalmente proprio stamattina»
Spalancai gli occhi a quella rivelazione inaspettata, sentendomi rimescolare il sangue nelle vene.
«Davvero?» mormorai, al che lui annuì. «La prego, agente, mi permetta di vederlo»
«Mi dispiace, signorina Fisher, ma non mi è possibile» rispose con aria grave. «Le aree di detenzione delle stazioni di polizia non funzionano come quelle delle carceri; mancano i sistemi di sicurezza adeguati, la sorveglianza... siamo autorizzati a concedere visite da parte di conoscenti solo in casi eccezionali, nel caso in cui la persona in custodia sia minorenne, e solo ad adulti idonei»
Deglutii a vuoto, cercando di sciogliere la tensione che mi irrigidiva le spalle mentre l'agente Cotton mi porgeva alcuni fogli.
«Ho bisogno che mi compili queste carte con i suoi dati personali, e nel terzo foglio troverà lo spazio per descrivere l'aggressione» spiegò, la voce più morbida, indicando le varie sezioni pagina per pagina. «Scriva tutto ciò che ricorda, ogni dettaglio è importante. Quando avrà finito lo rileggeremo insieme, d'accordo?»
«Va bene» acconsentii in un sussurro, prendendo la biro che mi porgeva. Lui mi guardò con aria comprensiva mentre portavo gli occhi sui fogli di fronte a me; ogni lettera stampata sembrava quasi urlarmi in faccia la responsabilità che avevo in quel momento.
Quando posai la penna sopra la prima riga dovetti prendere un profondo respiro per farmi coraggio, quindi con il cuore a pezzi ed i pochi brandelli di energia che mi rimanevano iniziai a scrivere.
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