Capitolo 34
Tired of lying in the sunshine
Staying home to watch the rain
And you are young and life is long
And there is time to kill today
And then one day you find
Ten years have got behind you
No one told you when to run
You missed the starting gun
Hanging on in quiet desperation
is the English way
The time is gone
The song is over
Thought I'd (have) something more to say
Time
[Pink Floyd]
~~~
Harry's POV
«Puoi dire quello che ti pare, ma non avresti dovuto farlo»
«Oh, smettila, sappiamo entrambi che se non ci avessi pensato io tu non l'avresti mai fatto»
«Non è questo il punto» esclamai esasperato, passandomi una mano tra i capelli. «Non puoi trovare un avvocato e prendere un appuntamento per me senza dirmi nulla»
«Fred mi ha dato il nome di uno dei migliori avvocati difensori che conosce, e per di più questo Cowley lavora a Londra! Come potevo farmi scappare un'occasione del genere?»
Emisi un sospiro carico di frustrazione, mentre passeggiavo nervosamente avanti e indietro di fronte all'enorme vetrata d'ingresso dello studio legale.
«Dio, quanto cazzo ti sei dissanguata per ingaggiare... come si chiama? Crawley?»
«Cowley, tesoro, Robert Cowley. E ti prego, non usare questo linguaggio con me. Sono pur sempre tua madre»
Trattenni un'altra imprecazione, lanciando un'occhiata obliqua alle lettere in acciaio, affisse direttamente al vetro, che componevano il nome dello studio legale.
BRADDEN COWLEY
SOLICITORS
Non potevo negare che avessi solo finto di non sapere il cognome dell'avvocato, in effetti era solo una stupida e capricciosa manfrina di protesta per il fatto che mia madre mi avesse giocato quello scherzetto a mia insaputa.
Lo studio si trovava a Mayfair, uno dei quartieri più lussuosi di Londra, ed anche solo l'ingresso dava l'impressione di vendere cara anche l'aria che vi si respirava. Per di più sembrava che questo Cowley fosse un pezzo grosso nel suo campo, e non osavo immaginare quanto costasse anche solo quell'appuntamento.
Per non parlare di tutto il resto delle spese legali.
«Non avresti dovuto farlo» borbottai per l'ennesima volta, come un disco rotto. Mia madre ridacchiò, probabilmente rassegnata di fronte alla mia cocciutaggine, e non potei evitare di immaginarla scuotere la testa.
«Smettila di farti tutti questi problemi» mi rimproverò con dolcezza. «So che ci andrai, quindi fai un bel respiro e non preoccuparti di nulla. L'avvocato Cowley è lì per aiutarti»
Mi morsi il labbro inferiore, lo stomaco in subbuglio per l'agitazione che mi stava attanagliando. Mancavano una decina di minuti all'orario fissato per l'appuntamento, e mi sentivo vulnerabile come non mi era mai successo. Ero sul punto di confessare ad una figura legale tutta la merda che avevo commesso in quegli anni, ed anche se sapevo dell'esistenza del segreto professionale avevo addosso un'angoscia spaventosa.
Era solo un consulto privato, nessun obbligo e nessun rischio, ma ero maledettamente nervoso.
«Va bene» sospirai infine, sfregandomi gli occhi con la mano libera. «Va bene, facciamo questa cosa»
La sentii sorridere all'altro capo della linea, e la consapevolezza di avere mia madre ad incoraggiarmi contribuì a dissipare se non altro almeno parte dell'ansia che mi chiudeva lo stomaco.
«Andrà tutto bene, tesoro» mi rassicurò con la sua solita calda pazienza. «Chiamami quando esci, d'accordo?»
«Lo farò» mormorai, abbassando lo sguardo verso la punta delle mie scarpe. «A dopo, mamma»
Chiusi la chiamata ed infilai il telefono nella tasca posteriore dei jeans neri, tornando ad alzare gli occhi verso la vetrata di fronte a me. Mi passai una mano tra i capelli, combattendo freneticamente contro l'esitazione dell'ultimo minuto, finché non mi scrollai ogni dubbio di dosso ed afferrai la lunga maniglia d'acciaio verticale della porta di vetro, tirandola verso di me ed oltrepassando la soglia.
Mi ritrovai in un ambiente più tranquillo di quanto mi aspettassi. L'arredamento era minimale, dalle linee rigide e pulite, chiaramente di design; alla mia sinistra vi era una piccola zona d'attesa con due bassi divanetti di pelle nera, altrettanti tavolini a forma di cilindro lievemente obliquo ed alcune semplici piante ornamentali – finte, con ogni probabilità – agli angoli della stanza.
Non prestai attenzione al paio di persone sedute sui divanetti, che ingannavano l'attesa osservando pigramente lo schermo del cellulare oppure leggendo una rivista, e mi diressi verso l'ampio bancone color bianco latte alla mia destra dietro cui sedeva una giovane donna che aveva tutto l'aspetto di una segretaria. Appena iniziai ad avvicinarmi lei spostò lo sguardo dal pc che aveva accanto per posarlo su di me, e mi rivolse un piccolo sorriso di cortesia.
«Salve, come posso aiutarla?»
«Ho un appuntamento» riuscii a pronunciare dopo un primo momento in cui avevo come perso la voce. «Un appuntamento con l'avvocato Cowley»
La segretaria annuì, digitando brevemente qualcosa sulla tastiera del computer.
«Il suo nome?»
Deglutii a vuoto, improvvisamente smarrito. Da quanto tempo non rivelavo il mio nome a qualcuno che non facesse parte dell'ambiente della malavita? Sentivo il cuore martellarmi fino in gola, le mani sudate ed un fastidioso ronzio nelle orecchie, ma feci del mio meglio per ignorare quell'immotivata ma istintiva sensazione di pericolo.
«Styles... Harry Styles» mormorai infine, la mascella così rigida che iniziava quasi a farmi male.
Passarono diversi secondi in cui la segretaria esaminò lo schermo del pc per trovare conferma delle mie parole, quindi i suoi occhi tornarono sul mio viso.
«Tutto a posto, signor Styles; l'ufficio dell'avvocato Cowley è al quarto piano»
Annuii, un po' imbarazzato nel sentirmi chiamare signor Styles, quindi ringraziai con un cenno del capo e mi avviai verso gli ascensori in fondo alla sala. Una volta arrivato al quarto piano mi ritrovai all'imbocco di un corridoio su cui si affacciavano due porte, ciascuna delle quali aveva affissa una targhetta; su una di queste vi era la scritta "Avv. Simon Bradden" e sull'altra "Avv. Robert Cowley".
Presi un respiro profondo e bussai alla porta di Cowley, sentendo subito una voce invitarmi ad entrare, quindi abbassai la maniglia e mossi qualche passo nell'ufficio.
L'avvocato mi guardava da dietro una grande scrivania di legno scuro ad angolo; i suoi occhi erano chiari, estremamente vispi ed attenti, come se cercassero di indovinare ogni mio singolo pensiero. Indossava una camicia bianca con cravatta sotto la giacca aperta, era di corporatura robusta ed i capelli castani si facevano più radi in cima alla testa.
«Tu devi essere Harry» esordì con voce amichevole, alzandosi in piedi per stringermi la mano. «Siediti pure dove preferisci»
Presi posto su una delle due poltroncine di pelle di fronte a lui, iniziando subito a tormentarmi le dita delle mani per esorcizzare il nervosismo. L'avvocato mi indirizzò un sorrisetto mentre si sedeva a sua volta.
«Allora, Harry» proseguì, piegandosi appena verso di me. «Di cosa volevi parlarmi?»
Mi trattenni dal rispondergli che se fosse dipeso da me non avrei voluto parlargli proprio di nulla, ed invece tossicchiai per schiarirmi la gola.
«Diciamo che non vado fiero del modo in cui ho passato gli ultimi anni» risposi un po' impacciato, passandomi una mano tra i capelli. «Ho deciso di costituirmi alla polizia, e volevo chiederle qualche consiglio»
Cowley sollevò un sopracciglio, iniziando ad appuntarsi qualcosa su un quaderno dalla copertina rigida.
«Suppongo tu sappia già che non hai nessun obbligo di costituirti» specificò, accarezzandosi il mento glabro. «La legge non lo prevede, e a meno che le forze dell'ordine non abbiano già qualche sospetto nei tuoi confronti andare di tua spontanea volontà alla polizia equivale ad una mossa suicida»
Mi strinsi nelle spalle, intrecciando le dita in grembo.
«Sì, lo so» risposi con semplicità, rilassando le spalle. «Voglio solo pagare per quello che ho fatto, il resto non ha importanza»
«D'accordo» assentì infine, l'espressione accondiscendente anche se dubbiosa. «È una situazione parecchio insolita, davvero, tuttavia se ne sei completamente convinto non posso impedirtelo»
Si lasciò andare all'indietro sullo schienale della sua poltrona girevole e giocherellò con la penna che teneva in mano.
«Ho bisogno che tu mi dica che tipo di crimini hai commesso» affermò con aria grave, anche se non ostile. «Non tralasciare nulla, devo capire nel modo più accurato come muovermi per preparare la tua difesa»
Emisi un piccolo sospiro mentre ripercorrevo con la mente le vicende degli ultimi sette anni, sentendomi quasi schiacciare dal peso di tutto quello che avevo fatto.
«Perlopiù spaccio... fumo, coca, ecstasy, LSD, cristalli, keta... cose del genere. È la roba che va di più» mormorai, distogliendo lo sguardo ed infilando le mani nelle tasche della felpa. Cowley scriveva imperterrito sul suo quaderno finché parlavo.
«Solo spaccio?»
«Ecco... anche aggressioni, borseggi, rapine» risposi più imbarazzato che mai, stringendo i pugni nelle tasche. Mi tornò alla mente la sera in cui avevo aggredito Ri ed ebbi un brivido quando mi resi conto che se allora non mi avesse riconosciuto le cose sarebbero andate in modo completamente diverso.
Che cazzo stavo facendo della mia vita?
«Rapine a danni di esercizi commerciali o persone?»
«Persone» specificai, riscossomi dai miei pensieri. «Non abbiamo mai rapinato negozi, e nemmeno case»
Cowley aggrottò le sopracciglia, piegando appena la testa di lato.
«Hai detto... "abbiamo"?»
Serrai gli occhi, insultandomi mentalmente da solo per essermi lasciato scappare quel dettaglio. Mi ero ripromesso di tenere i ragazzi fuori dalla mia decisione, ma Cowley era un tipo sveglio e non si faceva sfuggire nulla.
«Mi sono sbagliato» bofonchiai, sfregando i palmi contro le cosce sperando che smettessero di sudare. L'avvocato sospirò e scosse appena la testa, posando la penna sulla superficie della scrivania.
«Così non va, Harry» sentenziò, squadrandomi con velata disapprovazione. «Devi essere completamente sincero con me, altrimenti non riuscirò ad aiutarti nel migliore dei modi»
Mi chiusi in un silenzio ostinato, lo sguardo inchiodato sulle foglie degli alberi fuori dall'ampia vetrata alle sue spalle.
«Ho bisogno di sapere se fai parte di qualche organizzazione criminale» continuò abbassando la voce, al che ebbi un fremito. «Ti prometto che resterà tra me e te, ma devo sapere tutto»
Dilatai nervosamente le narici mentre inspiravo, le labbra serrate come a volermi imporre di non rivelare neppure una virgola sui ragazzi di Brixton.
Zayn...
«Non uscirà una singola parola da queste mura, Harry» insistette Cowley, sporgendosi verso di me. «Ma se vuoi davvero ripulirti la coscienza devi andare fino in fondo»
Digrignai i denti fino a farli stridere, infuriato dalla snervante verità di quella frase e tantopiù dal fatto che era un avvocato a pronunciarla. Inoltre le immagini di Zayn che avevano iniziato a vorticarmi in testa non aiutavano a farmi mantenere un contegno impassibile.
«Faccio questo lavoro da ventisei anni, ed in tutto questo tempo qualche cosa l'ho imparata» proseguì, tentando di agganciare il mio sguardo. «Le organizzazioni criminali riescono a stare in piedi solo grazie ai fortissimi legami tra i loro membri; se nelle mafie questi legami sono fatti di terrore verso i capi, nelle gang spesso sono profondi almeno quanto quelli che tengono unite le famiglie»
Era impossibile non vivere le parole che Cowley stava pronunciando come pugnalate brucianti dritte nelle viscere, e dovetti sforzarmi con tutto me stesso per non mettermi ad urlare.
«Non credo che tu sia qui per tentare di sfuggire alla morsa di un boss da cui ti senti in pericolo» affermò, tamburellando i polpastrelli sul legno liscio della scrivania. «Credo piuttosto che tu abbia preso la decisione di costituirti a prescindere dai tuoi compagni, e non vuoi che le conseguenze della tua scelta ricadano su di loro. Mi sbaglio?»
Quello stronzo capiva tutto al volo, il che era dannatamente frustrante. Era come se fosse nella mia testa, in grado di cogliere ogni frammento dei miei pensieri per poi rigettarmeli addosso in tutta la loro disarmante e scomoda ovvietà.
«Tu non sai un cazzo» sputai, mandando a puttane qualsiasi facciata formale che mi ero inizialmente imposto di mantenere. «Non puoi sapere un cazzo da quel lato della scrivania, non mi conosci e qualunque stronzata ti abbiano raccontato durante i tuoi fottuti anni di lavoro non cambierà le cose»
Cowley sostenne il mio sguardo furioso senza battere ciglio, ed anzi si rilassò contro lo schienale.
«Tu sei qui proprio per permettermi di capirci di più» sentenziò, intrecciando le dita delle mani. «Vorresti farti aiutare, ma hai paura anche se non ce n'è alcun motivo»
«Stronzate!» sbottai, fuori di me per l'esasperazione. «Non ho paura, tutto questo è fottutamente inutile e basta»
Mi alzai di scatto dalla sedia e mi avviai verso la porta, la rabbia che mi infuriava nelle vene, ma la frase che pronunciò Cowley in quel momento mi raggelò all'istante.
«Tua madre non sarebbe felice di sapere che stai scappando di nuovo, Harry»
Restai immobile, con la mano ancora appoggiata alla maniglia, incapace di muovere un muscolo. I miei occhi spalancati saettavano ossessivamente qua e là ed il battito frenetico del mio cuore mi rimbombava nel cervello insieme alle parole di Cowley.
Stai scappando di nuovo. Come fai sempre... come sei tanto bravo a fare da sedici anni a questa parte.
Iniziai a tremare appena, avevo voglia di piangere e di distruggere la porta a calci e pugni, stringevo la presa sulla maniglia fino a far diventare livide le nocche.
«Torna a sederti, Harry. Sono qui per aiutarti»
Abbassai la testa, che stava cominciando a girare come una trottola, e serrai le palpebre nel tentativo di restare presente a me stesso. La mia mente era invasa da immagini di Riley e di Zayn che mi guardavano accusatori, feriti, delusi.
Devo smetterla di scappare, una volta per tutte.
Espirai bruscamente, lasciando andare la maniglia, e senza alzare lo sguardo ritornai alla poltroncina di pelle dove mi abbandonai di peso, nascondendomi il viso tra le mani.
Rimanemmo entrambi in silenzio per diversi minuti, lui aspettando con pazienza ed io cercando di rimettere insieme i cocci della mia forza di volontà; affrontare il futuro era doloroso, ma affrontare il passato lo era ancora di più ed in quel momento mi sentivo terribilmente solo.
«Faccio parte di una gang, è vero» mormorai infine, la voce fioca e leggermente camuffata dai palmi delle mani. «Non voglio metterli nei casini, mi hanno accolto come un fratello quando avrei solo voluto farla finita»
Non sentivo più la penna scribacchiare sul quaderno, segno che mi stava ascoltando e basta. Era in qualche modo rassicurante, quindi mi feci coraggio e proseguii.
«Uno di loro è morto qualche settimana fa per salvarmi la vita» rivelai a denti stretti, sentendo gli occhi bruciare per lo sforzo di reprimere le lacrime. «Era il mio migliore amico... è per questo che ho deciso di costituirmi»
Cowley sospirò, e quando tornai a guardarlo incrociando le braccia la sua espressione era seria.
«Posso capire perché non vuoi parlare alla polizia di questo aspetto del tuo retroscena criminale» disse cauto, probabilmente temendo di innescare qualche altra reazione rabbiosa in me. «Però... prendilo almeno in considerazione. Potrebbe migliorare notevolmente la tua posizione in tribunale»
«Non esiste» ringhiai, sentendo i muscoli delle braccia flettersi mentre stringevo i pugni. «Non mi approfitterò di loro, sarebbe da vigliacchi»
«Ascoltami, Harry» insistette con urgenza, passandosi una mano tra i capelli radi. «Quando il giudice deve stabilire una sentenza, nel valutare l'entità della pena da assegnare prende in considerazione una serie di fattori che possono essere aggravanti o mitiganti. Se l'imputato aveva un ruolo subordinato all'interno di un'associazione criminale questo è considerato un fattore mitigante che può alleggerire la condanna»
«Non m'importa» sibilai, ma Cowley mi ignorò e continuò a parlare.
«Se poi collabori con le forze dell'ordine, aiutando a far arrestare altri criminali, puoi vederti ridurre la pena carceraria anche di diversi mesi!»
«Ho detto che non m'importa, cazzo!» sbottai, prendendomi la testa tra le mani. «Preferisco marcire in prigione piuttosto che vendere agli sbirri le persone che sono state la mia famiglia negli ultimi sette anni!»
L'avvocato si morse il labbro inferiore, probabilmente resosi conto che ormai ero fermo nella mia decisione. Tuttavia, invece che arrendersi fece ancora un ultimo, estremo tentativo di farmi cambiare idea.
«Davvero non ti interessa la possibilità di uscire prima dal carcere?» mi domandò, intrecciando di nuovo le dita delle mani sulla scrivania. «Non hai nulla che vuoi fare nella tua vita? Una persona che ti aspetta...?»
Sentii lo stomaco accartocciarsi a quell'ennesimo colpo basso, il petto che si lacerava al pensiero di Riley; rividi il silenzioso dolore che invadeva il suo sguardo ogni volta che affrontavamo l'argomento, a dispetto del sorriso incoraggiante che mi rivolgeva. Non mi aveva mai fatto pesare la mia scelta, anche se ne avrebbe avuto tutto il diritto, ed io non avevo mosso un singolo passo nella sua direzione.
Con me il "due pesi e due misure" non ha mai funzionato.
«Lei mi aspetterà» mormorai a fatica, disgustato dal mio stesso egoismo. Cowley prese un sospiro rassegnato, scuotendo appena la testa.
Avevo preso la mia decisione, ma sarei riuscito a sopportarne le conseguenze?
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