Capitolo 31
Stay there
'Cause I'll be coming over
And while our blood's still young
It's so young, it runs
And won't stop 'til it's over
Won't stop to surrender
Sweet Disposition
[The Temper Trap]
~~~
Harry's POV
Nella mia camera era come se il tempo si fosse fermato alla mia adolescenza.
Sopra il mio letto erano appesi i soliti gagliardetti rosso fuoco del Manchester United – anche se il calcio non mi aveva mai fatto impazzire, fingevo di tifare Manchester United come strategia di sopravvivenza di base per non essere considerato un outsider dai miei compagni di scuola. La libreria era ingombra dei soliti libri di scuola e dei soliti fumetti Marvel, sulla scrivania c'erano addirittura ancora i quaderni che avevo lasciato lì prima di scappare.
Il colore delle pareti, un azzurrino tenue che avevo sempre detestato, era rimasto il medesimo. Appesa alla porta c'era la mia uniforme scolastica completa di quella ridicola cravatta a righe nere ed oro che non c'era verso di far arrivare sotto l'ombelico.
In tutti quegli anni, io ero l'unico cambiamento che la mia camera aveva visto.
Alcuni colpi dietro la porta mi riscossero dal mio limbo di pensieri, e mi passai una mano tra i capelli con un sospiro prima di parlare.
«Avanti»
La maniglia si abbassò, rivelando la figura di Ri che mi guardava con cauta apprensione. Ad un mio cenno si decise ad entrare, richiudendosi la porta alle spalle prima di avvicinarsi di qualche passo.
«Vieni qui» mormorai, battendo con la mano sul materasso accanto a me, al che lei si sedette portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
«Tutto bene?» mi chiese, appoggiando una mano sulla mia coscia ed accarezzandola piano. «Tua madre è preoccupata per te... e anch'io»
Distolsi lo sguardo dal suo viso, premendo le labbra tra loro.
«Non volevo andarmene in quel modo» chiarii, stringendomi nelle spalle. «È solo che... non so, semplicemente non ce l'ho fatta»
Ri annuì con aria comprensiva, un leggero sorriso sul bel viso che tanto adoravo guardare.
«Anne mi ha detto che preferisce non farti più nemmeno una domanda, purché tu torni giù e stia insieme a lei» affermò, mentre le sue dita tracciavano ghirigori astratti sulla mia gamba. «Ti va di tornare di là con me? Aiutiamo tua mamma a preparare il pranzo»
Socchiusi gli occhi, piegando la testa di lato mentre la squadravo di sottecchi.
«Perché tanta fretta?» mormorai, al che Ri corrugò appena la fronte.
«Che stai d...»
La attirai a me e la baciai senza nemmeno aspettare che finisse la domanda; sentii Ri sorridere mentre ricambiava il bacio, allacciando le mani dietro alla mia nuca per tenermi stretto a lei. Il sangue iniziò a scorrermi nelle vene al triplo della velocità e sentii ogni fibra del mio corpo risvegliarsi, portandomi a stringere i suoi fianchi e ad assaporare la sensazione delle sue labbra sulle mie.
Sentirla sciogliersi ad ogni mio tocco mi faceva impazzire, mi perdevo in ogni suo respiro fin quasi a dimenticarmi il mio stesso nome. Le sue dita si infilarono tra i miei capelli ed io repressi un mugolio gutturale, servendomi della presa salda alla base della sua schiena per farla distendere sul letto mentre continuavo a ricoprire di baci la sua bocca, la linea della sua mascella, la gola scoperta, le clavicole.
«Harry» mormorò lei, la voce affannata. «Smettila, c'è tua madre al piano di sotto»
«Lo so» replicai con un ghigno, mordendole la pelle del collo appena sotto al lobo dell'orecchio. Ri prese un sospiro secco tra i denti, serrando d'istinto la presa sui miei capelli, ma non sembrò voler demordere.
«Harry, dico sul serio» ripeté, con un tono esasperato che però non riusciva a nascondere una punta di divertimento. «Dobbiamo tornare giù, Anne ci sta aspettando»
Sbuffai, posandole un ultimo bacio sulle labbra prima di tirarmi su e passarmi una mano tra i capelli. Lei mi lanciò un'occhiata obliqua, lasciandosi sfuggire un sorriso mentre si sistemava la maglia. Era così assurdamente bella, con le guance appena arrossate e gli occhi che le brillavano, che avrei voluto inchiodarla di nuovo al letto e baciarla fino a quando entrambi non avremmo avuto più ossigeno nei polmoni.
Stavo meglio, stavo decisamente meglio e questo era solo grazie a lei.
«Harry, aspetta» mi fermò, improvvisamente più esitante, quando feci per avviarmi verso la porta. «Prima che tu torni giù, c'è... c'è una cosa che devi sapere»
Mi voltai a guardarla corrugando la fronte, e lei si morse il labbro inferiore. Aveva l'apprensione dipinta in volto, ed avevo la netta sensazione che qualunque cosa avesse dovuto dirmi non mi sarebbe piaciuta per niente.
«Che succede, Ri?»
Premette le labbra tra loro, quindi prese un sospiro prima di parlare.
«Il tuo patrigno non c'é più» mormorò, intrecciando le dita delle mani. «Ha avuto un incidente tre anni fa. Me l'ha detto Anne prima che venissi su da te»
Spalancai gli occhi, mentre le sue parole mi rimbombavano nel cervello fino a diventare un frastuono confuso ed assordante.
«Quel figlio di puttana» ringhiai, tutti i muscoli contratti dalla rabbia. «Quel figlio di puttana è crepato senza avere quello che si meritava per avermi reso la vita un cazzo di inferno?»
Riley deglutì a vuoto, muovendo un passo nella mia direzione, ma mi allontanai come se ne fossi stato scottato mentre mi portavo entrambe le mani alla testa.
«È un fottuto scherzo» sibilai, sentendomi quasi esplodere il cervello. «Dovevo mandarlo all'inferno io, lo stronzo! Vaffanculo, è un fottuto scherzo!»
Le tempie mi pulsavano incontrollabilmente, avevo il respiro accelerato e per scaricare la tensione iniziai a camminare per la stanza come se fossi impazzito.
«Harry...» sentii Ri mormorare, al che serrai le palpebre come nel tentativo di mantenere almeno un barlume di lucidità.
«Avrebbe dovuto marcire in una cazzo di prigione lurida per il resto della sua schifosa vita» sputai a fatica, la gola stretta in una dolorosa morsa di frustrazione. «E invece ha preso una dannata scorciatoia... quel maledetto bastardo»
Mi diressi verso la finestra ed appoggiai entrambe le mani al davanzale, lasciando cadere la testa in avanti; il mio cuore martellava così forte contro le costole che temevo sarebbe stato in grado di romperne qualcuna.
D'un tratto le braccia di Riley mi avvolsero il torso, stringendolo appena.
«Mi dispiace, Harry» sussurrò, appoggiando la fronte contro la mia schiena. «Anch'io non ci potevo credere quando Anne me l'ha detto. Però ti prego... non farti buttare giù da questa cosa. Ormai non puoi più farci nulla, quindi non lasciare che ti condizioni così tanto»
Liberai una breve risatina amara, puntando lo sguardo verso un albero fuori dalla finestra.
«Quel fottuto stronzo è la ragione per cui ho passato un decennio lontano dalla mia famiglia» replicai, sentendo Ri irrigidirsi contro di me. «Non posso semplicemente lasciarmi alle spalle tutto quanto e fare finta di niente»
«Non ho detto questo» sospirò, il tono in qualche modo quasi rassegnato. «Però devi pensare che al piano di sotto c'è tua madre, che non vedi da dieci interi anni; vuoi davvero sprecare quest'occasione e scegliere di seppellirti nella tua stessa rabbia?»
Aveva maledettamente ragione, non potevo negarlo, e questo mi lacerava dentro. Ogni minuto che passavo chiuso nella mia stanza equivaleva ad uno schiaffo in faccia per tutto il tempo che avevo trascorso a Londra desiderando di poter semplicemente rivedere la mia famiglia senza averne il coraggio; dovevo smettere di aggrapparmi al passato e vivere il presente che ero riuscito ad ottenere anche grazie alla ragazza che mi stava abbracciando in quel momento.
«Va bene» mormorai con un profondo sospiro, stringendo i pugni sul davanzale. «Va bene, torniamo giù»
Riley sciolse la presa intorno al mio corpo, e quando mi girai verso di lei vidi un morbido sorriso sulle sue labbra che ricambiai con più facilità di quanta avrei immaginato possibile dato il mio stato d'animo.
Quando tornammo al piano di sotto provai una strana stretta al cuore nel vedere mia madre affaccendata ai fornelli; era un'immagine che mi riportava indietro nel tempo, alla mia infanzia, all'essenza stessa di casa.
«Siete tornati!» esclamò non appena ci vide entrare in cucina, mentre sbirciava nel forno per controllare la cottura di quella che sembrava una torta salata. «Harry, tesoro, ti dispiacerebbe apparecchiare il tavolo insieme a Riley?»
Sembrava davvero intenzionata a mettere da parte i discorsi scomodi di poco prima, almeno per la durata del pranzo, così feci del mio meglio per scrollarmi di dosso i residui di rabbia confusa che continuavano ad bruciarmi nello stomaco ed aprii il cassetto dove sapevo avrei trovato la tovaglia.
Un'attività semplice e quotidiana come quella di preparare la tavola per il pranzo mi sembrò una delle più belle che avessi mai provato nell'ultimo decennio; sentivo il profumo della torta salata che cuoceva nel forno, Riley e mia madre ridevano insieme mentre si passavano piatti e posate, e d'improvviso mi sentii felice come non lo ero da quando ero poco più di un bambino.
Alcuni minuti più tardi il campanello di casa suonò, ed io aggrottai le sopracciglia. Chi poteva venire a trovare mia madre all'ora di pranzo?
«Tesoro, potresti andare a vedere chi è? Io devo tenere d'occhio la torta nel forno» esclamò mia madre lanciandomi un'occhiata implorante, al che annuii e mi avviai all'ingresso.
Quando aprii la porta mi ritrovai davanti una ragazza poco più bassa di me, lo sguardo rivolto verso lo schermo del cellulare che teneva in mano. Quasi subito lei alzò il viso, spalancando gli occhi con la stessa aria sgomenta che sicuramente dovevo avere anch'io in quel momento.
«Oh, cazzo» mormorò, portandosi la mano libera alla fronte. «Harry?!»
«Gemma» risposi a mezza voce, sbalordito quanto lei. Mia sorella si lasciò andare ad una risatina incredula, scuotendo appena la testa prima di attirarmi in un abbraccio che quasi mi soffocò.
«Non ci posso credere» mormorò mentre tirava su con il naso, probabilmente cercando di trattenere le lacrime. «Dove cazzo eri finito, brutto stronzo?»
Mi sfuggì un sorriso nel constatare che anche lei non si era dimenticata di me, che era felice di rivedermi. Una delle mie paure più profonde, durante quegli anni a Londra, era stata quella che la mia famiglia si fosse semplicemente rassegnata alla mia scomparsa e che mi avesse rimosso da ogni ricordo; invece sia mia madre che Gemma mi avevano riconosciuto, mi avevano abbracciato, mi avevano accolto come fossi lo scapestrato figliol prodigo.
«Vedo che hai già scoperto la sorpresa che avevo per te, cara. Che te ne pare?»
Sciogliemmo l'abbraccio per trovare nostra madre all'ingresso che ci rivolgeva un sorriso luminoso. Gemma allargò le braccia stringendosi nelle spalle, come a tentare di esprimere tutta l'incredulità che aveva ancora addosso.
«Mi sembra di avere le allucinazioni» replicò con una risata, rivolgendomi un altro sguardo come a volersi assicurare che fossi davvero lì accanto a lei mentre chiudeva la porta e tornavamo verso la cucina.
Quando Gemma vide Riley rimase interdetta per alcuni istanti, girandosi a guardare prima me e poi nostra madre come in una silenzioso interrogativo su chi fosse.
«È Riley Fisher, tesoro» intervenne lei, con il suo caldo sorriso. «È arrivata insieme ad Harry»
Lo sguardo di Gemma si illuminò mentre andava verso Ri ed abbracciava anche lei.
«La piccola Riles!» esclamò felice, stringendola forte. «È passata una vita, come stai?»
«Io tutto bene, e tu? Anne mi ha detto che che ti sei sposata, congratulazioni!» rispose entusiasta Riley, al che mi irrigidii appena mentre Gemma annuiva con un ampio sorriso.
Si è sposata?
Mia madre dovette notare quel mio improvviso turbamento, perché si avvicinò a me posandomi una mano sul braccio.
«Poco fa raccontavo a Riley che tua sorella si è sposata da un anno e mezzo e si è trasferita a Westfield» spiegò con dolcezza, alzando lo sguardo verso il mio viso. «Suo marito si chiama Connor, ed è davvero un ragazzo in gamba! Quando glielo farai conoscere, Gem?»
«Io e Ri torneremo a Londra entro domani sera» anticipai mia sorella, che stava per rispondere. «Non possiamo fermarci più a lungo di così, mi dispiace»
L'espressione di mia madre e quella di Gemma si fece interdetta, ed io sentii la tensione iniziare ad avvolgermi lo stomaco.
«Oh... capisco» mormorò la prima, chiaramente in imbarazzo. Era evidente il suo tentativo di non farmi altre domande che avrebbero potuto mettermi a disagio, ma d'altra parte probabilmente non aveva previsto che sarei rimasto così poco a Manchester. Sapevo che avrei dovuto spiegarle tutto, e avrei dovuto farlo il prima possibile.
Gemma stava per dire qualcosa, ma fu interrotta dal trillo del timer del forno.
«La torta salata è pronta!» annunciò mia madre, visibilmente sollevata dall'interruzione, ed afferrò le presine mentre Riley si affrettava ad aprire il forno. Mia sorella premette le labbra tra loro e scosse appena la testa tra sé e sé, allontanando una sedia dal tavolo per poi sedervisi di peso.
Il pranzo trascorse tranquillo; non fu sollevata nessuna domanda scomoda, e d'altra parte non mi era sfuggita la breve conversazione fatta di sguardi tra Gemma e mia madre. Con ogni probabilità era stato raggiunto un silenzioso accordo secondo cui qualunque discussione importante sarebbe stata rimandata a dopo mangiato.
Una volta terminato il pranzo sentii il bisogno di riordinare la confusione che dilagava nel mio cervello, quindi mi scusai e mi diressi in salotto dove mi lasciai sprofondare nel divano; avevo la sensazione che la mia testa avrebbe finito per esplodere se non fossi riuscito a mettere a tacere quella mole insostenibile di pensieri opprimenti.
Ero completamente diviso in due tra la consapevolezza di dover rivelare il mio passato e con la paura della reazione di mia madre e di Gemma; non volevo rovinare la serenità che si era faticosamente creata dopo lo shock della mia comparsa, ma avevo poco tempo e con ogni probabilità non avrei rimesso piede a Manchester per chissà quanti mesi... o anni.
«Tutto bene?» sentii Riley chiedermi un paio di minuti dopo, mentre si sedeva accanto a me sul divano bianco.
Soppesai quella domanda con cura, come se fosse la più complicata che mi fosse mai stata rivolta e richiedesse una particolare attenzione nel valutare cosa rispondere.
«Non lo so» confessai infine con sincerità, giocherellando con uno degli anelli che indossavo. «Sono felice di essere qui con mamma e mia sorella, ma so che tra poco dovrò dare delle spiegazioni che non credo di essere pronto a dare e che temo loro non siano pronte a sentire»
Lei annuì con aria comprensiva, portando una mano sul mio ginocchio ed accarezzandolo piano.
«Non sarà facile per nessuno, Harry» mormorò, gli occhi fissi su un punto indefinito del pavimento. «Però non puoi rimandare ancora. Loro devono sapere cos'hai passato e a cosa dovrai andare incontro»
Emisi un sospiro profondo, sfregandomi il viso con le mani.
«Lo so, lo so» replicai, scuotendo appena la testa. «Devo... devo solo trovare il modo di parlarne senza farle scappare a gambe levate, ecco»
Riley assunse un'aria pensierosa per alcuni secondi, poi tornò a guardarmi negli occhi.
«E se ne parlassi prima da solo con Anne? Potrei tenere occupata Gemma per un po', nel frattempo»
Mi morsi l'interno di una guancia, riflettendo sulla sua proposta, quindi mi strinsi nelle spalle.
«Sì, sarebbe più semplice» ammisi, passandomi distrattamente una mano tra i capelli. «Però dovrei poi comunque parlarne con mia sorella»
«Certo, ma almeno tua mamma lo saprebbe già e questo potrebbe rendere tutto più facile» rilanciò con fervore, facendomi annuire mio malgrado. «Un passo alla volta, Harry»
Le rivolsi un sorriso pieno di gratitudine che Ri non tardò a ricambiare, quindi feci per sporgermi verso di lei in modo da poterla baciare ma mi raddrizzai subito quando sentii la porta della cucina aprirsi.
«Ragazzi, siete sicuri di aver mangiato abbastanza?» chiese premurosamente mia madre, mentre Gemma dietro di lei si asciugava le mani su uno strofinaccio. «Non ho granché in frigo, ma qualcosa ci si può sempre inventare»
Sia io che Riley scuotemmo la testa per rassicurarla.
«Non preoccuparti, Anne. Era davvero tutto squisito» commentò lei sorridendo, e la sua espressione in quel momento era così adorabile che per un paio di istanti rimasi incantato ad osservarla.
Non avevo idea di quando fosse cominciata quell'attrazione magnetica nei suoi confronti, questo bisogno urgente di averla accanto, di sfiorarla con le dita o anche solo con lo sguardo. Ri mi era entrata sotto la pelle, era in ogni molecola di ossigeno che respiravo e in ogni battito delle mie palpebre; continuavo mio malgrado ad essere convinto che la sua vita sarebbe stata cento volte migliore se le nostre strade non si fossero mai incrociate, ma dentro di me sapevo fin troppo bene che la mia era migliorata di mille volte dopo averla ritrovata.
A parte la morte di Zayn.
Bloccai immediatamente quel pensiero intrusivo, che era in grado di pugnalarmi dolorosamente il petto ogni volta che faceva capolino nella mia mente. Non credevo che sarei mai riuscito a superare la scomparsa di Zayn, ma avrei almeno dovuto provare ad accettare che non avrei avuto altro che i ricordi a cui aggrapparmi quando avessi sentito bisogno di lui.
Ed era maledettamente difficile.
«Gemma, devi ancora raccontarmi di Connor!» esordì improvvisamente Riley con voce allegra, alzandosi dal divano e prendendo sottobraccio mia sorella. «Vieni, ci facciamo un the così potrai dirmi tutto di come l'hai conosciuto»
Lei annuì con un sorriso, probabilmente ignara del fatto che si trattasse – almeno in buona parte – di un diversivo per permettermi di restare solo con mia madre; le due si diressero in cucina e Riley richiuse la porta dietro di sé, ma non prima di avermi lanciato un'occhiata insieme di conforto e di apprensione.
Premetti le labbra tra loro, mentre mi si riversava di nuovo addosso tutta l'agitazione che ero riuscito ad arginare almeno temporaneamente. Gli occhi di mia madre si posarono sul mio viso, indugiandovi per diversi secondi come nel tentativo di capire cosa mi turbasse, e quando battei appena la mano accanto a me sulla pelle bianca del divano ebbero come un fremito.
Si sedette quasi con cautela, congiungendo le mani in grembo, al che presi un sospiro profondo ed inchiodai il mio sguardo al suo. Potevo leggervi tensione, paura, inquietudine, ma anche un inesauribile affetto; fu quello che mi diede la spinta finale.
«Ho bisogno di parlarti, mamma»
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