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Capitolo 30

Written on these walls are the colours
That I can't change
I leave my heart open
But it stays right here in its cage

Story of my Life
[One Direction]

~~~

Harry's POV

Quando ero scappato di casa, dieci anni prima, avevo portato con me una fotografia.

Raffigurava me, Gemma e mia madre davanti all'albero di Natale, il nostro primo Natale a Manchester. Io e mia sorella eravamo in pigiama, inginocchiati per terra e con i pollici di entrambe le mani alzati, sui nostri volti sorrisi enormi per merito dei numerosi pacchetti regalo intorno a noi; nostra madre ci avvolgeva le spalle con le braccia e sorrideva all'obiettivo, la testa leggermente piegata di lato.

Nel corso degli anni avevo riguardato così tante volte quella foto che ormai i bordi erano rovinati e la carta presentava una marcata piega a croce al centro poiché la tenevo sempre piegata in quattro nel portafogli. Era l'unico legame che mi ero concesso di mantenere con il mio passato – e, nonostante si trattasse solo di un pezzo di carta fotografica impregnato di inchiostro, durante la mia vita a Londra guardare quell'immagine mi aveva dato molto più conforto di quanto avrei voluto ammettere.

Ecco perché quando da dietro la porta vidi comparire mia madre in carne ed ossa mi sentii come se una palla di cannone mi avesse trapassato da parte a parte, lasciando un buco doloroso al centro del petto.

In un primo momento mi guardò con l'aria confusa di chi non è ancora sicuro di star subendo qualche scherzo della propria mente, ma le bastò appena un secondo per realizzare che ero io, che ero davvero davanti a lei. La vidi sbiancare pericolosamente e portarsi una mano alla bocca, mentre delle grosse lacrime iniziavano a formarsi nei suoi occhi.

«Harry...» mormorò quasi senza voce, allungando una mano verso il mio viso. «Dio, Harry, sei davvero tu?...»

Annuii appena, lasciando che la sua mano sfiorasse la mia guancia mentre dentro di me ogni singola fibra del mio corpo esplodeva e si ricomponeva mille volte al secondo.

«Sono io... mamma»

Quando pronunciai quelle parole lei non fu più in grado di trattenere il pianto, che si liberò come un fiume in piena mentre mi abbracciava. Rimasi immobile, ancora sopraffatto da quella sensazione così familiare eppure così estranea, nel tentativo di non soccombere a quel tumulto di emozioni che sembravano schiacciarmi.

Quando recuperai un barlume di lucidità la strinsi a mia volta, sentendola singhiozzare contro il mio petto, e d'un tratto fu come se fossi di nuovo lo stesso Harry di dieci anni prima. Non badai al fatto che ero diventato parecchio più alto di lei, ai suoi capelli appena ingrigiti, al fatto che le rughe d'espressione intorno agli occhi ed alla bocca fossero diventate più marcate; in quell'abbraccio avevo ritrovato un decennio intero, e non avrei potuto chiedere di più.

Dopo un tempo che mi parve infinito lei si allontanò quel tanto che bastava per potermi guardare di nuovo in viso.

«Sei così cresciuto, bambino mio» sussurrò, gli occhi ancora velati di lacrime. «Credevo che non ti avrei mai più rivisto»

Distolsi lo sguardo con un nodo pulsante che mi stringeva la gola, non sentendomi ancora in grado di affrontare quell'argomento, quindi mi feci da parte per presentare la ragazza alle mie spalle.

«Ti ricordi di Riley Fisher?» chiesi, facendo del mio meglio per rinvigorire la mia voce tremante. Lei annuì, asciugandosi gli occhi, quindi mosse alcuni passi verso Ri e le poggiò le mani sulle spalle.

«Come potrei dimenticarla» rispose sorridendo nonostante le guance ancora bagnate di pianto. «Eri minuscola quando ti ho vista l'ultima volta, ma sei sempre più bella»

Riley la ringraziò con un sorriso, quindi mia madre ci invitò ad entrare in casa. Tutti i miei sensi si allertarono, cercando di captare la presenza di Parker, ma a quanto pareva al momento c'eravamo solo noi.

Tuttavia presto nella mia mente non vi fu più spazio per quei pensieri, perché fui subito distratto dall'ambiente che mi circondava, e non potei fare a meno di notare quanto tutto fosse esattamente come lo ricordavo. Persino il profumo che avvolgeva la casa era lo stesso: quello dei fiori secchi che mia mamma aveva sempre amato mettere in piccole ciotoline di vetro agli angoli delle stanze.

Sedemmo sull'ampio divano a penisola rivestito di pelle bianca, io e Ri da un lato e mia madre dall'altro, ed all'istante serrai le palpebre mentre reprimevo con tutte le mie forze il brivido che tentò di scuotermi quando ricordai le innumerevoli volte in cui proprio su quel divano Parker aveva...

«Harry»

La voce di Ri mi riportò alla realtà, e quando riaprii gli occhi trovai il suo sguardo fisso sul mio viso. Da come mi guardava e dal tono fermo anche se morbido sapevo che aveva subito capito a cosa stavo pensando, e per l'ennesima volta le fui grato di essere lì con me; senza di lei non avrei mai avuto il coraggio di tornare a Manchester, di questo ormai ero certo.

Mi piegai in avanti, incrociando le braccia sulle cosce, e quando tornai a guardare mia madre trovai scritte nei suoi occhi le migliaia di domande che avrebbe voluto farmi e che non sapeva nemmeno da dove iniziare a tirare fuori. Si tormentava il braccialetto di perle al polso destro come faceva sempre quando era nervosa, ed anche questo piccolo dettaglio contribuì a riversarmi addosso una mole schiacciante di ricordi.

«So che probabilmente non è un argomento di cui vorresti parlare così presto, Harry, ma ho bisogno di sapere» mormorò diversi secondi dopo, stringendo le dita sulle ginocchia. «Perché sei scappato, bambino mio? Dove sei stato tutto questo tempo?»

Sentii la mano di Riley posarsi delicata alla base della mia schiena ed i suoi polpastrelli accarezzarmi piano, come a volermi incoraggiare a rispondere. Presi un sospiro profondo mentre nascondevo il viso tra le mani, sfregandomi le guance con i palmi, quindi tornai ad appoggiarmi allo schienale del divano.

«Sono... sono stato a Londra» risposi a fatica, evitando la prima domanda. «Ho incontrato Ri solo due mesi fa»

Il suo sguardo tremò per un istante e saettò subito verso la ragazza accanto a me; potei leggervi un'ombra di risentimento per non aver sentito nulla da parte sua in tutto quel tempo.

«Non è colpa sua se non ti ha avvisata» mi affrettai a precisare, mosso da un impulso protettivo nei confronti di Ri. «Sono stato io ad impedirglielo»

Gli occhi di mia madre tornarono nei miei, increduli e feriti.

«Perché...?» domandò soltanto, in un flebile sussurro. Sentii il mio petto lacerarsi per i sensi di colpa, più graffianti che mai. Il peso insostenibile di quella domanda mi si riversò addosso implacabile tutto in una volta, e ne fui inevitabilmente sopraffatto.

Mi passai nervosamente una mano tra i capelli, senza sapere dove posare lo sguardo, e quando mi sentii quasi mancare l'aria mi alzai di scatto e corsi su per le scale verso quella che dieci anni prima era la mia stanza, chiudendomici dentro.

***

Riley's POV

Se avessi detto che non mi sarei aspettata quella fuga improvvisa e disperata da parte di Harry avrei mentito.

Persino io sentivo la pressione che Anne, per quanto involontariamente, gli stava caricando addosso; per lui era stato già insopportabilmente difficile tornare tra quelle mura, e quell'ultimo "perché?" della madre era stato la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Non era ancora pronto a tirare fuori anni di orrendi segreti, quando ancora doveva metabolizzare il fatto di essere di nuovo a Manchester.

Anne mi guardò sgomenta, in una muta richiesta di spiegazioni. Premetti le labbra tra loro, incerta su cosa dire; non era compito mio raccontarle tutto, ma volevo alleviare almeno in minima parte i dubbi che sicuramente la stavano attanagliando.

«Mi dispiace non avervi mai chiamate, negli ultimi due mesi» mormorai, sentendo la gola chiudersi in una morsa. «So che questo non cambia nulla, ma avrei voluto farlo fin dal primo momento che l'ho rivisto»

Lei soffocò un singhiozzo, coprendosi gli occhi con le mani, quindi tornò a guardarmi nonostante le lacrime che le imperlavano di nuovo le ciglia.

«Ti prego, Riley» sussurrò a fatica, prendendomi una mano tra le sue. «Ti prego, dimmi cos'è successo. Dimmi perché non ti ha permesso di avvisarmi che l'avevi ritrovato»

Sentii le mie iridi inumidirsi, ma tentai di ricacciare indietro il pianto.

«È complicato, Anne» risposi soltanto, ricordando quando quasi due mesi prima Harry mi aveva detto le stesse parole e quanto mi avessero fatta infuriare. «Sono sicura che ti dirà tutto, ha... ha solo bisogno di elaborare il fatto di essere tornato, ecco»

Anne prese un sospiro tremante, asciugandosi le palpebre con il dorso di una mano mentre l'altra rimase stretta alla mia.

«Credo di doverti ringraziare» esordì dopo un paio di minuti di silenzio in cui sembrava essersi persa tra i propri pensieri. «Sono certa che sia merito tuo se ora lui è qui, perciò... grazie, Riley. Dal più profondo del mio cuore, ti ringrazio»

Il suo sguardo trasudava un'intensa gratitudine che mi commosse, e d'istinto la abbracciai. Lei ricambiò la stretta con il calore materno che la distingueva, quindi tornò a guardarmi negli occhi.

«Sono felice che Harry sia tornato» affermai con sincerità, intrecciando le dita delle mani. «Solo... cerca di essere paziente con lui. Per Harry non sarà facile rispondere alle tue domande, ma sono sicura che un po' per volta ti racconterà tutto»

Anne premette le labbra tra loro, tornando a giocherellare con il proprio braccialetto di perle mentre cercava di processare le implicazioni delle mie parole.

«Ci sono molte cose che non so, vero?» domandò a mezza voce, ma senza tracce di accusa né nei miei confronti né in quelli di Harry. C'era solo rimpianto, per gli anni passati lontana da suo figlio e per l'impossibilità di mettere da parte tutto quanto.

Annuii con un sospiro, abbassando la testa.

«Lo immaginavo» mormorò, lasciandosi andare all'indietro contro lo schienale. «Il suo sguardo è così diverso da dieci anni fa. Eppure... anche prima che scappasse lo vedevo inquieto, schivo, e non c'era verso di riuscire a farmi dire cosa non andasse»

Mi irrigidii, e lei dovette essersene accorta perché emise una breve risata silenziosa.

«Qualcosa mi dice che sai anche il perché di questo» commentò, sfregandosi un braccio con la mano. «Se non altro ha permesso almeno ad una persona di abbattere le sue difese, in questi anni; sono felice che si tratti di te»

Sentivo le lacrime spingere per uscire, ma non volevo cedere. Le parole di Anne erano così dense di amaro e confuso dolore che il loro peso era diventato quasi insopportabile.

«Si aprirà anche con te, Anne, dagliene il tempo» quasi la pregai, la disperazione che venava la mia voce. «Credimi se ti dico che per lui in questo momento anche solo essere qui è più difficile di quanto tu possa immaginare»

I suoi occhi trasudarono preoccupazione ed apprensione quando mi sentì pronunciare quelle frasi, ma sapevo di non poterle dire più di così. Non era compito mio, e non ne avevo nemmeno il diritto.

Tuttavia il discorso prese una direzione completamente diversa quando Anne parlò.

«Avervi entrambi qui mi riporta alla mente così tanti ricordi» disse con un piccolo sorriso nostalgico. «È come essere tornati a sedici anni fa, a quando giocavate sempre insieme, anche se ora siamo a Manchester»

Provai una stretta al cuore quando ripensai alla mia infanzia insieme ad Harry.

«Tu come stai, Riley? Abiti ancora a Holmes Chapel?» domandò poi, tornando ad allacciare lo sguardo al mio. Il taglio dei suoi occhi e delle sopracciglia era così simile a quello di Harry che per un istante credetti quasi di star guardando il ragazzo invece che lei.

«Io sto bene» risposi con semplicità, stringendomi nelle spalle. «Vivo a Londra da un paio d'anni, lavoro da Nando's»

Lei annuì, un caldo sorriso che si dispiegava sulle sue labbra nonostante fino a poco prima stesse piangendo, quindi si appoggiò di nuovo allo schienale con lo sguardo perso nel vuoto.

«E così mio figlio era a Londra» mormorò, massaggiandosi la fronte con una mano. «Londra... ci sono perfino stata, quattro anni fa, con Gemma e Parker. Non riesco a credere di essere stata così vicina a lui senza saperlo»

Repressi un brivido nel sentire il nome del patrigno di Harry, e subito cercai di cambiare argomento.

«A proposito, Gemma come sta?» chiesi, congiungendo le mani in grembo. «Vive ancora qui?»

Anne scosse la testa, gli angoli delle labbra che si inclinavano di nuovo verso l'alto.

«Lei si è sposata un anno e mezzo fa» spiegò con evidente orgoglio, al che spalancai gli occhi sorpresa. «Si è trasferita a Westfield con suo marito Connor. È una bella zona, molto tranquilla, e se non altro non è lontana»

Colsi una punta di amarezza in quest'ultima precisazione, ma decisi di non farvi caso.

«Che meraviglia!» esclamai, genuinamente entusiasta. «Mi piacerebbe rivederla, prima o poi»

Anne si illuminò, alzandosi dal divano per raggiungere un mobiletto all'ingresso su cui aveva appoggiato il cellulare.

«Adesso la chiamo e le dico di venire a pranzo qui» propose, ammiccando nella mia direzione. «Connor dovrebbe essere al lavoro, quindi sono sicura che accetterà. Quando vedrà Harry impazzirà, ne sono sicura!»

Sul mio viso si aprì un sorriso enorme ed annuii vigorosamente, incoraggiandola ad avviare la chiamata. Anne si portò il telefono all'orecchio, aspettando alcuni istanti mentre la linea squillava libera, e quando Gemma rispose mi fece l'occhiolino.

«Ciao, tesoro! Come stai?»

Sorrise nel sentire la risposta della figlia, quindi spostò il cellulare da una mano all'altra mentre tornava a sedersi sul divano.

«Senti, ti va di fare un salto da me a pranzo?» domandò, accavallando le gambe. «È da più di due settimane che non passi a trovarmi, e poi ho una sorpresa per te»

Soffocai una risatina coprendomi la bocca con una mano, ed Anne portò l'indice destro davanti alle labbra senza smettere di sorridere.

«Perfetto, allora ti aspetto. A dopo, Gem» la salutò, chiudendo la chiamata con aria trionfante.

«Quindi? Gemma arriverà per pranzo?» chiesi, impaziente ed entusiasta. Lei annuì, gli occhi che le brillavano per la gioia di rivedere presto entrambi i suoi figli insieme.

«Ha detto che arriverà tra una mezz'oretta» precisò, lanciando un'occhiata all'orologio. «È meglio che inizi a preparare qualcosa, visto che ormai è mezzogiorno e mezzo passato»

«Ti serve una mano?» domandai premurosamente, al che Anne scosse la testa con un sorriso.

«Non ce n'è bisogno, Riles, ma grazie lo stesso» rispose, stringendomi affettuosamente il braccio con la mano libera dal telefono. «Piuttosto... vai a vedere come sta Harry. Non voglio mettergli addosso alcuna pressione; se per colpa delle mie domande si sente costretto a chiudersi in camera allora preferisco non sapere nulla, ma ho bisogno di avere mio figlio qui con me»

«Certo, vado subito da lui» la rassicurai, ricevendo in cambio un muto ringraziamento attraverso i suoi occhi.

Prima ancora di alzarmi dal divano, tuttavia, una domanda scomoda ma necessaria mi salì alle labbra senza che riuscissi a trattenerla.

«Parker, lui... tornerà a casa per pranzo?»

Anne si irrigidì, tornando lentamente a guardarmi in viso. La sua espressione era sgomenta e turbata.

«Riley...» sussurrò, stringendo la presa sul cellulare. «Parker è morto in un incidente d'auto tre anni fa»

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