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Capitolo 29

You need to clear away
All the jetsam in your brain
And face the truth

Well love can make amends
While the darkness always ends
You're still alone
So drive home

Drive Home
[Steven Wilson]

~~~

Jessica se n'era andata la mattina dopo.

Ero scattata in piedi appena avevo sentito la porta della sua camera aprirsi e l'avevo raggiunta nel corridoio, quasi forzandola ad affrontarmi. Era rimasta ferma di fronte a me, le mani strette sulle maniglie delle valigie, ed aveva evitato il mio sguardo.

«Te ne vai davvero, Jess?»

Lei aveva spostato il peso del corpo da una gamba all'altra, chiaramente a disagio.

«Certo che me ne vado, Riley. Tu cosa faresti al mio posto?»

Mi ero stretta nelle spalle, senza sapere cosa rispondere.

«Mi dispiace davvero per quello che è successo» avevo mormorato invece, tormentando l'orlo della t-shirt del pigiama. «Per quello che vale... non ti ho detto nulla solo per il tuo bene»

Jessica aveva sospirato, passandosi una mano tra i capelli biondi.

«Farò del mio meglio per convincermene, ma non posso comunque restare» aveva replicato, allentando appena la presa sulle valigie. «Ho bisogno di superare tutto questo casino e di ricominciare da capo. Londra per me sarà sempre legata a Louis, ora come ora viverci mi sembra un incubo»

Avevo annuito, avvolgendomi le braccia intorno ai fianchi, quindi avevo tentato di abbozzare un mezzo sorriso.

«Spero sul serio che riuscirai presto a stare meglio, Jess. Se dovessi avere bisogno di qualcosa fammi un colpo di telefono, d'accordo?»

Lei aveva ricambiato incerta il mio sorriso, senza però riuscire a riversarvi anche tutto il dolore che ancora provava.

«Per quanto riguarda l'affitto di questo mese... ho pagato anche la mia parte, anche se siamo solo al 3 maggio» aveva risposto invece cambiando discorso, mentre puntava lo sguardo su un mobiletto in fondo al corridoio. «Ho pubblicato qualche annuncio in internet, così potrai trovare presto un'altra coinquilina per dividere la quota»

Mi si era stretto il cuore, ma mi ero imposta di mantenere un certo autocontrollo.

«Jess...»

Aveva scosso la testa, come a volermi impedire di ringraziarla, quindi era tornata a guardarmi negli occhi.

«Buona fortuna per tutto, Riley» mi aveva detto, ed in qualche modo avevo percepito che non c'erano allusioni o significati sottintesi in quella frase. Era spontanea e sincera.

«Anche a te, Jess» avevo mormorato, facendomi poi da parte quando tornò a stringere la presa sui manici delle valigie trascinandole con sé mentre si incamminava verso l'ingresso.

Non l'avevo seguita, ero semplicemente rimasta in piedi con le braccia allacciate intorno al corpo sentendomi invadere da un senso di amaro sconforto. Mi rendevo conto che con ogni probabilità quella sarebbe stata l'ultima volta che la vedevo, e nonostante non avessi mai avuto un rapporto particolarmente profondo con lei ne ero davvero dispiaciuta. Soprattutto sulla base di come era finita la nostra amicizia.

Ripensavo a tutto questo mentre guardavo il soffitto, sdraiata sul divano bianco dell'open space, quando sentii il familiare suono della vibrazione del mio telefono. Mi sollevai a sedere con un sospiro, allungando una mano verso il tavolino per afferrare il cellulare; Harry mi stava chiamando, e nonostante tutto questo bastò a farmi spuntare un sorriso sulle labbra.

«Pronto?»

«Ehi, Ri. Come stai?»

La sua voce era profonda ed ancora impastata dal sonno, il che significava che doveva essersi svegliato da poco.

«Jess se n'è andata» risposi a mezza voce, come a condensare tutto ciò che provavo in quella semplice frase. Harry fece una pausa di alcuni secondi prima di parlare di nuovo.

«Come, se n'è andata? Perché?»

Tornai a distendermi sul divano, tenendo il telefono all'orecchio mentre mi sfregavo gli occhi con l'altra mano.

«Harry, ha scoperto che il suo ragazzo era a capo di un'organizzazione criminale e che era stato ucciso in una sparatoria. Per giunta si è resa conto che io sapevo fin dall'inizio della sua identità... direi che queste sono motivazioni più che sufficienti»

Lui sospirò, probabilmente passandosi una mano tra i capelli.

«Mi dispiace, Ri. Tu stai bene?»

Alzai le spalle nonostante non potesse vedermi.

«Più o meno» replicai, mordendomi poi il labbro inferiore indecisa se dirgli la frase che mi rimbombava nella mente dal momento in cui avevo visto il suo nome sul display. «Mi manchi, Harry»

Non ero riuscita a tenermelo dentro, era semplicemente scivolato tra le mie labbra senza che potessi fare nulla per evitarlo. Tuttavia non ero pentita di averlo detto ad alta voce; era la verità, dopotutto, perché avrei dovuto nasconderla?

«Dio, anche tu. Stare da solo è veramente una merda, non credevo che l'avrei odiato così tanto»

Sorrisi a quelle parole, girandomi su un fianco e raggomitolandomi appena.

«A proposito» mi illuminai, ricordandomi solo allora della conversazione avuta la sera prima con James. «Il mio capo mi ha dato due giorni di ferie, il 16 ed il 17 di questo mese»

«Davvero?» chiese, un inaspettato entusiasmo nella sua voce. «Non pensavo riuscissi ad ottenere delle ferie così presto»

«Mi sono inventata un matrimonio imprevisto, è stato facile» ridacchiai, concedendomi il lusso di gongolare per la mia abilità di bugiarda seriale. «Non ne poteva più di sentirmi parlare, così si è arreso»

«Non mi sarei aspettato niente di meno da te, Ri»

«Ehi, questo non sembrava un complimento!» protestai, trattenendo una risata. «Mi fai sembrare una logorroica»

«Diciamo solo che preferisco quando usi la bocca in altri modi»

«Harry!»

Lo sentii ridacchiare all'altro capo della linea, ed era un suono così bello che non riuscii a non fare lo stesso nonostante la sua ultima frase mi avesse mandata praticamente in combustione. Avrei dato qualsiasi cosa per poterlo avere lì con me in quel momento.

«Che orari farai oggi?»

«Inizio alle undici» sospirai, lanciando un'occhiata all'orologio analogico della cucina. «Tra una mezz'oretta devo partire, è meglio che vada a lavarmi»

«D'accordo» rispose, la voce appena più malinconica. «Buon lavoro, Ri. Ci sentiamo»

Come al solito riattaccò prima che riuscissi a salutarlo; mi alzai dal divano lasciando il cellulare sul tavolino, dirigendomi verso la mia stanza per recuperare dei vestiti puliti, quindi entrai in bagno e mi infilai sotto la doccia nella speranza che il getto d'acqua calda riuscisse a distrarmi almeno un po' dalla solitudine che sentivo graffiarmi lo stomaco.

***

Da quando Jessica se n'era andata avevo cercato di passare meno tempo possibile in casa.

Mi offrivo volontaria per lavorare fino alla chiusura di Nando's la sera, uscivo più spesso insieme a Leah – solo lei, perché Liam non mi rivolgeva più la parola – e andavo a trovare Harry ogni volta che potevo. In quei giorni erano anche venute un paio di ragazze a vedere l'appartamento, ma nessuna di loro mi era sembrata particolarmente interessata.

I momenti che trascorrevo con Harry erano in assoluto i più felici. Era così immediato perdermi tra le sue braccia e dimenticarmi di tutto che quando tornavo alla mia realtà di Streatham mi sembrava di essermi svegliata da un lungo sogno.

Il ragazzo portava ancora su di sé evidenti tracce di dolore per la morte di Zayn, ma faceva del suo meglio per evitare che questo ostacolasse ciò che stavamo costruendo insieme, qualunque cosa fosse; non avevamo mai affrontato l'argomento, ma entrambi sentivamo di star procedendo in una direzione ben precisa e nessuno dei due aveva intenzione di deviare neppure di un passo.

Il giorno della nostra partenza arrivò in fretta; alle sette di mattina la Ford di Harry era già parcheggiata sotto il palazzo in cui abitavo, ed il suo proprietario era nel mio appartamento che mi osservava appoggiato allo stipite della porta della mia camera.

«Ri, dobbiamo passare un weekend scarso a Manchester. Perché stai riempiendo un'intera valigia?»

Non lo degnai di uno sguardo mentre sbuffavo, cercando di fare spazio per poter aggiungere un maglioncino bordeaux ed un cardigan ai vestiti che avevo già preparato.

«Non devo portarla a mano fin là, Harry» replicai, piegando un'altra volta una delle magliette per poi rimetterla in valigia. «Portarmi qualcosa in più non farà male a nessuno, e poi odio trovarmi impreparata»

Lui scosse la testa e si lasciò andare ad una risatina.

«Ho sempre pensato che questa fissazione delle ragazze per i bagagli inutili fosse solo uno stupido stereotipo, ma a quanto pare mi sbagliavo»

«Harry!» protestai, lanciandogli addosso un cuscino che lui ovviamente evitò senza problemi. «Sei proprio uno stronzo»

Sogghignò prima di avvicinarsi a me, aggirando il letto e piantandosi al mio fianco.

«Uno stronzo che ti piace» mormorò, piegandosi verso di me e lasciando un bacio sulla mia tempia.

Uno stronzo di cui mi sono innamorata.

Girai il viso verso di lui e gli sorrisi facendogli una linguaccia che lui non tardò a ricambiare, mentre continuavo a sistemare la valigia. Ci volle ancora quasi mezz'ora prima che mi fossi assicurata di aver preso tutto, tra gli sbuffi e le lamentele di Harry che scalpitava per partire.

«Mi sembrava che all'inizio non fossi così entusiasta di tornare a Manchester» lo provocai, congelandomi subito dopo con il dubbio che quella mia frase potesse averlo fatto rabbuiare. Tuttavia Harry si limitò ad alzare le spalle con noncuranza.

«Pensavo solo che avrei potuto dormire un'oretta in più se avessi saputo che dovevi ancora prepararti i bagagli» replicò candidamente, le mani in tasca.

Annuii stringendomi nelle spalle a mo' di scuse, mentre allungavo la maniglia della valigia e la trascinavo verso l'ingresso dell'appartamento. Harry mi seguiva in silenzio, e persino i suoi passi sembravano non fare rumore.

«In realtà... non ho quasi chiuso occhio, stanotte» ammise inaspettatamente qualche secondo dopo, a bassa voce. Mi voltai di scatto verso di lui, osservando apprensiva il suo viso in cerca di qualsiasi traccia di turbamento.

«Harry...»

Scosse la testa, cercando di abbozzare un sorriso mentre si passava una mano tra i capelli.

«Non preoccuparti, Ri, è tutto a posto» mi rassicurò, le iridi verdi che sembravano quasi velate di esitazione. «Solo... non le vedo da così tanto tempo. È ancora assurdo per me pensare che tra poche ore sarò di nuovo a Manchester»

Mi avvicinai a lui, allungando una mano per posarla sulla sua guancia che accarezzai piano.

«So che non è facile per te» mormorai, vedendo il suo sguardo immediatamente evitare il mio. «Però Anne e Gemma saranno così felici di rivederti, Harry. Credimi, stai facendo la miglior cosa possibile»

Lui prese un profondo sospiro prima di annuire, ed io sorrisi incoraggiante. Gli lasciai un bacio sulle labbra, quindi con un cenno del capo lo invitai a seguirmi fuori dall'appartamento in modo che potessi chiudere la porta.

Quando Harry mise in moto l'auto e sentii i sedili tremare per il rombo del motore una scarica di adrenalina mi attraversò tutto il corpo; ero così emozionata al pensiero dell'incontro tra Harry e la sua famiglia che quasi faticavo a restare ferma, ma feci del mio meglio per contenere l'entusiasmo.

Il ragazzo era piuttosto silenzioso, guidava usando la sinistra mentre con la destra si tormentava il mento e le labbra. Potevo chiaramente percepire la sua inquietudine, che sembrava aumentare ad ogni miglio che ci avvicinava a Manchester; lo vedevo dalla sua presa stretta sul volante, dalla sua mascella tesa, dalle narici allargate che liberavano più sospiri di quanti potessi contare. Era nervoso, di sicuro il conflitto interiore tra un passato denso di sofferenza che ancora lo tormentava ed il suo desiderio di rivedere la madre e la sorella non lo metteva in una posizione semplice.

Io stessa tremavo al pensiero di quando Harry ed il proprio patrigno si sarebbero rivisti; la mia più grande paura era che Harry perdesse il controllo di sé e facesse qualcosa di cui si sarebbe potuto pentire amaramente in futuro. Era un tipo impulsivo, aveva passato diversi anni nella malavita dove la violenza era considerata al pari di una seconda lingua, e questo di certo non l'avrebbe aiutato a mantenere il sangue freddo di fronte alla persona che l'aveva violentato per quasi tre anni.

Rabbrividii per l'ennesima volta nell'immaginare un'atrocità del genere, scacciandola subito dalla mia mente, e lanciai un'occhiata di sottecchi ad Harry. La sua espressione rigida non era cambiata da quando eravamo partiti, aveva detto in tutto forse una decina di parole e teneva gli occhi fissi sulla strada.

«Harry?»

Quando lo chiamai sembrò quasi riscuotersi da una sorta di limbo, perché mi guardò con aria a dir poco disorientata. Premetti le labbra tra loro, incerta su come dissipare quella cappa tetra che ci pesava addosso nell'abitacolo.

«A cosa pensi?»

Lui riportò lo sguardo davanti a sé, prendendo un altro sospiro mentre rifletteva su come rispondere.

«Sto cercando di realizzare che sto tornando a Manchester dopo aver giurato a me stesso che non ci avrei più messo piede» disse infine, rilassandosi appena contro lo schienale. «Non ho idea di come potrei reagire se mi trovassi davanti quel figlio di puttana»

«Non farai nulla» affermai, stringendo i pugni sulle cosce. «Sarò lì insieme a te, Harry. Non sarai solo, hai capito?»

Harry rimase in silenzio, e non potei fare altro che restare a guardare i suoi avambracci scoperti che si flettevano e si estendevano durante la guida. Tutto il resto del suo corpo era perfettamente immobile, come se si fosse trasformato in una statua di sale.

Con cautela allungai la mano destra e la poggiai sulla sua gamba, accarezzandola piano nel tentativo di dargli almeno un po' di conforto. Lui emise l'ennesimo sospiro, scuotendo appena la testa, quindi la sua grande mano si posò sopra la mia coprendola completamente.

Proseguimmo il viaggio così, senza più parlare, fino a quando non entrammo a Manchester; allora vidi Harry diventare sempre più inquieto, mentre si guardava attorno come se fosse entrato nella gabbia del leone, al che sentii il bisogno di spezzare quel silenzio teso e carico di angoscia.

«Dove stiamo andando, esattamente?»

«A Prestwich» rispose lui, la voce piatta. «È un quartiere nella zona nord di Manchester»

Annuii, mordendomi l'interno di una guancia. Mentre ci avvicinavamo a destinazione notai il paesaggio fuori dal finestrino farsi sempre più verde; Prestwich era ricca di viali alberati e di case con siepi intorno al giardino, sembrava quasi un elegante paese di campagna più che il quartiere di una metropoli.

D'un tratto Harry rallentò fino a fermarsi davanti ad una fila di villette a schiera a due piani in mattoni rosso scuro; strinse il volante così forte che le sue nocche sbiancarono, e quando lo guardai in viso notai il suo sguardo inchiodato alla seconda di quelle villette.

«Siamo arrivati»

Deglutii a vuoto, tentando di dominare l'ondata di agitazione che improvvisamente aveva investito anche me; rivolsi un'occhiata preoccupata ad Harry, che era impallidito mentre serrava i denti, e decisi di farmi coraggio anche e soprattutto per lui.

«Ehi... andrà tutto bene» mormorai, sporgendomi verso di lui per posargli un bacio sulla guancia. «Sono qui con te»

Harry premette le labbra tra loro, chiudendo gli occhi come a tentare di recuperare qualche frammento di sicurezza. Avvolsi un braccio attorno ai suoi fianchi e lo strinsi a me, sentendolo rilassarsi almeno un po' nel mio abbraccio, quindi mi allontanai appena per tornare a guardarlo in viso.

«Andiamo?»

Lui esitò un istante prima di fare un cenno affermativo con la testa, al che ci slacciammo le cinture di sicurezza ed aprimmo le portiere per scendere dalla macchina. Potevo vedere il petto e le spalle di Harry alzarsi ed abbassarsi velocemente, le sue mani tremare appena, i suoi passi posarsi incerti uno dopo l'altro sul terreno ricoperto di ghiaino bianco.

Lo seguivo senza mai staccare gli occhi dalla sua schiena come nel tentativo di infondergli forza ad ogni metro che lo avvicinava di nuovo a quella casa, che era stata teatro dei suoi peggiori incubi diversi anni prima.

Quando arrivò di fronte alla porta nera, incastonata in una lucida cornice bianca come le finestre, il ragazzo serrò con forza i pugni lungo i fianchi. I tatuaggi incisi sulla pelle del suo braccio sinistro tremarono dalla tensione per diversi lunghi secondi e, proprio quando credetti che avrebbe voltato le spalle e sarebbe scappato, Harry alzò una mano e suonò il campanello.

Una volta. Due volte. Tre volte.

Il cuore mi batteva all'impazzata contro le costole e sentivo le tempie pulsare dall'agitazione mentre aspettavo; era come se il mondo fermato intorno a noi, mentre ogni istante si dilatava insopportabilmente ed il tempo sembrava non passare mai.

D'un tratto sentimmo dei passi avvicinarsi, il rumore di un chiavistello che veniva rimosso, quello di una maniglia che cigolava mentre veniva abbassata. Per un momento pensai di non riuscire a sopravvivere all'angoscia che mi annodava lo stomaco, ma poi finalmente la porta si aprì rivelando di fronte a noi una figura che squadrò Harry per un paio di secondi prima di sbiancare e portarsi una mano alla bocca.

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