Capitolo 15
Have I told you lately
all that you mean to me?
Have I told you that I love you?
Have I called to say I'm sorry
I made you feel this way?
Have I even told you
that I care?
From the Heart
[Devin Townsend Project]
~~~
Harry's POV
La guardai allontanarsi senza muovere un muscolo, maledicendomi ogni istante di più per la mia incapacità di farne una giusta. Non era così che volevo che andasse, eppure non riuscivo a fare un passo verso di lei. La voce non usciva, non potevo chiamare il suo nome e nemmeno insultarmi da solo, non potevo fare nulla.
Perché non c'era niente di vero che potessi dirle che non centuplicasse i pericoli intorno a lei. Non potevo dirle che ero morto dentro quando mi ero dovuto allontanare da lei dopo averla baciata, quando era scesa dalla macchina senza neppure guardarmi, quando appena pochi istanti prima avevo finto che per me quello che era successo non significasse nulla.
Ero morto dentro mille volte, ma non aveva importanza. Già mi odiavo per averle fatto rischiare la vita, mi sarei ucciso se per colpa mia avesse dovuto correre altri pericoli. Ritenermi un insensibile bastardo l'avrebbe protetta, per quanto possibile; era il modo più spregevole, certo, ma aprirmi a lei l'avrebbe solo legata a me ancora di più.
Serrai i denti, gettando lo sguardo oltre la ringhiera sopra il muretto di mattoni rossi che circondava il cortile. Scavalcai agilmente in un paio di secondi, atterrando sull'asfalto con le gambe piegate per ammortizzare il colpo, quindi mi diressi verso la macchina parcheggiata nell'oscurità, poco distante.
Aprii bruscamente la portiera e mi sedetti di peso sul sedile sfondato, non perdendo tempo prima di accendere il motore ed ingranare la marcia. L'auto partì con l'aiuto di un paio di bestemmie e di un violento pugno sul cruscotto, allontanandomi in fretta da Streatham; non correvo come un dannato solo per non rischiare di farmi fermare come un coglione dagli sbirri per eccesso di velocità.
Quando arrivai a casa entrai sbattendo la porta, ritrovandomi Zayn in cucina che mi guardava con la sua solita aria flemmatica.
«Deduco che non sia andata bene» commentò, appoggiandosi al mobile del lavabo ed incrociando le braccia al petto.
«Non rompermi il cazzo, non sono dell'umore» replicai duro, superandolo per salire i gradini a due a due. Lo sentii seguirmi, e frenai l'impulso di girarmi e prenderlo a botte.
«È meglio così, amico. Per te, ma soprattutto per Riley...»
Mi fermai nel corridoio, stringendo i pugni, quindi mi voltai furioso.
«...è quello che pensavo volessi sentirti dire, ma evidentemente mi sbagliavo» precisò Zayn, alzando le mani con fare innocente.
«I tuoi cazzo di giochetti puoi ficcarteli nel culo, Malik. Non starmi tra i coglioni o ti rompo le ossa»
Lui ridacchiò appena, facendomi incazzare ancora di più, quindi mi lanciò un'occhiata che mi trapassò.
«Non è colpa di nessuno, Harry» insistette, avvicinandosi di un paio di passi. «Non affossarti come fai sempre, smettila di ritenerti responsabile di ogni cazzo di cosa negativa intorno a te. Non è colpa tua, hai capito?»
«Finiscila, Cristo santo!» urlai, sentendo le tempie pulsare. «Se non fosse per me ora Ri starebbe vivendo tranquilla la sua vita, senza doversi guardare le spalle ogni volta che esce in strada e senza andare nel panico tutti i cazzo di giorni per paura che io possa crepare come meriterei!»
Zayn scosse la testa e fece per dire qualcosa, ma glielo impedii.
«Puoi dire quello che vuoi, ma le ho rovinato la vita» ringhiai, inchiodandolo con lo sguardo. «Vorrei poterle dare quello che cerca, ma sono soltanto un maledetto criminale che non può offrirle altro che modi efficaci per morire. Lei merita più di questo, ed è meglio che mi stia alla larga»
Lui mi fissò per diversi secondi, la linea della mascella tesa.
«Harry, non so cosa ti sia successo a Manchester per ridurti in questo stato ma devi lasciarlo andare. Non hai un briciolo di autostima, ogni tanto parli ancora di voler morire... Tu sei importante per tutti qui, cazzo! Sei la persona migliore che conosco, e Riley ha bisogno di te. Allontanarla non è il modo migliore per proteggerla, perché se è sola vuol dire che è anche indifesa»
Lo ascoltavo in silenzio, mentre sentivo la testa sul punto di esplodere. Zayn aveva ragione, lo sapevo bene; Tomlinson era sempre in agguato, ed aveva capito perfettamente che Ri era importante per me. Non sarei mai riuscito a fargli credere che le cose erano cambiate, lui avrebbe continuato ad usare lei per arrivare a me.
Perlomeno fino a quando non l'avessi ucciso.
«Vado a dormire» mormorai, dandogli le spalle ed entrando nella mia stanza per poi richiudere la porta. Solo diversi secondi più tardi sentii i suoi passi in direzione della sua camera.
Mi lasciai cadere di peso sul materasso, portando il polso destro alla fronte mentre inchiodavo gli occhi al soffitto nel buio più completo. Dovevo trovare il modo di tenere Ri al sicuro, e l'unica strada efficace sembrava quella di eliminare Tomlinson definitivamente.
Non sarebbe stato affatto facile; era ricco come un maledetto sultano, aveva decine e decine di uomini alle sue dirette dipendenze ed era praticamente inavvicinabile. Di solito delegava ogni incombenza a qualcuno dei suoi tirapiedi, tranne alcune – pochissime – di cui preferiva occuparsi da solo.
D'un tratto un lampo di consapevolezza mi attraversò il cervello, portandomi a sedermi di scatto sul letto.
Io ero una delle cose di cui Tomlinson voleva occuparsi da solo. Uccidermi era uno dei suoi desideri più grandi, non avrebbe permesso a nessuno dei suoi uomini di farlo al posto suo. Avrei potuto approfittarne, trovare l'occasione giusta, fargli credere di avermi in pugno...
Sarò io stesso l'esca che lo attirerà allo scoperto un'altra volta.
Serrai i denti, mentre un rinnovato odio mi scorreva con prepotenza nel sangue. Ricordavo fin troppo bene lo sguardo di Ri quando ero entrato nello stanzone di quell'officina abbandonata, il suo viso ferito e denso di terrore, così come la scintilla violenta e folle che pulsava negli occhi di Tomlinson.
Avevo provato quasi un senso di sollievo nel momento in cui i suoi calci ed i suoi pugni avevano iniziato ad abbattersi sul mio corpo già martoriato; quei vaghi barlumi di lucidità che mi erano rimasti mi avevano permesso di essere felice che Tomlinson se la stesse prendendo con me e non con lei. Le sue grida disperate mi erano entrate nelle orecchie come lame taglienti e non c'era stato un centimetro del mio corpo che non fosse in preda al dolore più insopportabile, ma lei era viva e stava bene. Nient'altro contava.
Ormai avevo deciso: non appena se ne fosse presentata l'occasione avrei fatto uscire Tomlinson allo scoperto e avrei fatto in modo di strappargli dai polmoni il suo ultimo respiro con le mie stesse mani.
A costo di finire all'inferno insieme a lui.
***
Riley's POV
Gli occhi castani di Jessica mi stavano più o meno trapassando da diversi secondi, imploranti e colmi di aspettativa. Tirai un sospiro, lasciandomi sfuggire una risatina silenziosa mentre chiudevo gli occhi e scuotevo la testa.
«Lo sai che non potrei dirti di no su una cosa del genere, Jess» commentai infine, stringendomi nelle spalle. «Certo che può venire»
Lei mi abbracciò stretta, senza riuscire a trattenere un gridolino entusiasta.
«Oh mio Dio, grazie!» quasi urlò nel mio orecchio, al che la spinsi via scherzosamente. «Temevo che nelle tue condizioni non avresti voluto gente in giro per casa»
Distolsi lo sguardo, mentre tentavo di scacciare l'immagine di Harry dalla mia mente, quindi tornai a guardare la mia coinquilina negli occhi.
«Non sono esattamente del migliore degli umori, è vero, ma vedrai che mi passerà» la rassicurai con un sorriso. «Non posso certo farmi scappare l'occasione di conoscere il tuo spasimante, no?»
Jessica ricambiò il sorriso, rendendolo molto più luminoso e sincero del mio.
«Sei davvero un'amica, Riles» cinguettò, battendo le mani. «Prometto che farò del mio meglio per risollevarti il morale, e vedrai che entro stasera sarai più allegra di me»
Mio malgrado ridacchiai, contagiata almeno in parte dal suo buonumore. Quando poco prima aveva chiesto la mia disponibilità per invitare a cena il ragazzo con cui stava uscendo ero stata un po' titubante, all'inizio, ma di fronte al suo entusiasmo non me l'ero sentita di scoraggiarla.
Certo, dentro di me ero emotivamente a pezzi per quello che era successo con Harry il giorno prima, ma mi rendevo conto che non aveva senso farsi trascinare in un vortice di negatività. In fin dei conti lo sapevo che per lui non ero molto più che una fonte di grattacapi; illudersi non aveva senso, mi avrebbe solo fatta stare male e avrebbe messo in difficoltà entrambi.
Mi mancava già, nonostante l'avessi visto la notte precedente. Avevo trascorso l'intera mattina a resistere all'impulso di chiamarlo per pregarlo di smettere di ferirci a vicenda, di dimenticare quello che era successo e di tornare a prenderci cura l'uno dell'altra nel nostro modo silenzioso ed attento.
Il pensiero di perdere Harry per la seconda volta era così doloroso che l'avevo cancellato nell'esatto istante in cui si era affacciato alla mia mente; mi ero ripromessa di ingoiare la delusione bruciante e di ricominciare da capo, anche se non sarebbe stato semplice. L'unica cosa di cui ero certa era che lasciarlo andare sarebbe stato mille volte più difficile.
«Riley, mi aiuti a cucinare sì o no?»
Mi riscossi nel sentire la voce squillante di Jess invadere il piccolo corridoio. Non mi ero nemmeno accorta che se n'era andata in cucina mentre io ero persa nei miei pensieri.
«Arrivo» risposi a mezza voce, passandomi una mano tra i capelli e decidendomi finalmente a raggiungerla, trovandola davanti al frigorifero aperto con un'espressione piuttosto tragica dipinta sul viso.
«Non so che cavolo preparare per cena» si lamentò, voltandosi verso di me come alla ricerca di aiuto. «Vorrei fare bella figura con lui, lo sai che ci tengo, ma non ho la più pallida idea di cosa potrebbe piacergli! E se fosse vegetariano? Se odiasse la verdura? Se fosse allergico ai latticini?»
«Ehi, frena» ribattei mettendo le mani avanti, con un sorriso. «Non iniziare ad andare nel panico, ok? Ora pensiamo ad una cena efficace e variegata, che non lo lasci a stomaco vuoto se qualcosa non dovesse piacergli»
«Sei la mia salvezza, Riles» commentò teatralmente, aggrappandosi al mio braccio. «Credi che ce la faremo a fare tutto in due ore? Lui arriverà alle sette e mezza»
Riflettei per qualche istante, quindi scrollai le spalle.
«Direi che ce le faremo bastare» decretai infine con decisione. «Coraggio, riapri il frigorifero e tieni Google a portata di mano. Ne avremo bisogno»
Ridemmo entrambe, al che Jessica in un impeto di ispirazione collegò il suo iPod alla docking station munita di altoparlanti ed alcune note che ben conoscevo iniziarono presto ad echeggiare tra le pareti dell'open-space. Lanciai uno sguardo di approvazione alla mia coinquilina mentre tornava verso di me.
«Non ricordavo ascoltassi Skin, Jess» commentai soddisfatta, tornando ad esaminare il contenuto del frigorifero. «Ottima scelta, adoro questa canzone»
Sometimes what you say
Confuses what you mean
A mouth of strangled words
Come spinning out your mouth
Nothing's like the dream
Forget the words I say
Just let them hit the ground...
La voce secca e calda di Skin accarezzava ogni parola, mentre nota dopo nota il ricordo di Harry rivestiva la musica senza che io potessi fare nulla per impedirlo.
You can run away
While I protect the way I am
There's comfort in the pain
Ripping through my heart
That kicks you when you're land...
«L'altro giorno ho scoperto che Skin è di Brixton» commentò Jess, frugando nella dispensa. «Tu lo sapevi, Riles?»
«No, non ne avevo idea» mormorai, lo sguardo perso nel vuoto. Le parole della canzone mi vorticavano nelle orecchie e nel cervello, sempre più significative.
Stand down on your demons
'Cause no one wins this war
You've sharpened your weapon
For another useless cause
There'll be no survivors...
«Abbiamo dei cosciotti di pollo, possiamo farli al forno con le patate» ipotizzò la mia coinquilina, prendendo il mio posto davanti al frigorifero. «Si potrebbe fare anche qualche contorno di verdure, no?»
Annuii debolmente, ma non l'avevo davvero ascoltata. Ero troppo concentrata sul brano che riempiva la stanza, potente e primordiale; il testo sembrava ricalcare alla perfezione quello che avrei voluto gridare ad Harry la notte precedente, le parole che mi pesavano sul cuore anche in quell'esatto momento.
La musica aveva sempre avuto questo bizzarro potere su di me, il potere di evocare prepotentemente emozioni represse per poi farle esplodere senza pietà dentro di me.
What have you done to me?
And what have I done to you?...
«Visto che abbiamo deciso, io vado a scegliere cosa mettermi stasera» esclamò Jess, già allontanandosi verso la sua stanza. «Pensa a qualche contorno di verdure, per favore!»
Sospirai massaggiandomi la fronte, mentre mi appoggiavo al piano di lavoro della cucina. Fui quasi grata del fatto che la canzone fosse finita ed un'altra che non conoscevo, molto più punk, avesse preso il suo posto; non mi aspettavo che mi avrebbe colpita così in profondità, era da diverso tempo che non la ascoltavo e non avrei mai immaginato che l'avrei riscoperta in quel modo.
Riuscii in ogni caso a distrarmi con i preparativi per la cena; avevo giustamente intuito che Jess sarebbe stata fin troppo impegnata a curare il proprio look in ogni dettaglio, e che quindi cucinare sarebbe toccato a me. Non che mi dispiacesse – mi ritenevo discretamente abile in cucina – inoltre era un ottimo modo per tenere la mente occupata, il che era esattamente quello di cui avevo bisogno in quel momento.
Feci appena in tempo a farmi una rapida doccia e a vestirmi mentre la carne cuoceva, quando dalla mia camera sentii il campanello suonare.
«Dio, è arrivato! Vado io, Riles» gridò Jessica, affrettandosi verso la porta d'ingresso. Ero ormai pronta anch'io, quindi uscii dalla stanza dopo aver lanciato un'ultima occhiata allo specchio per assicurarmi di essere in ordine.
Il ragazzo doveva già essere entrato, lo sentivo parlottare con la mia coinquilina all'ingresso e sorrisi tra me, immaginando quanto Jess fosse elettrizzata. Non appena svoltai l'angolo e li ebbi entrambi davanti a me, tuttavia, sentii una sensazione di spiacevole gelo invadermi le ossa ed il sorriso sparì dal mio volto.
Jessica di avvicinò a me con entusiasmo, poggiandomi una mano sulla spalla.
«Riley, lui è Louis. Louis, ti presento la mia coinquilina Riley»
Due occhi del colore del ghiaccio si puntarono su di me, facendomi risalire un brivido lungo la schiena.
«Piacere, Riley. Ho sentito molto parlare di te»
Desiderai urlare e scappare, ma le mie gambe erano dure come il marmo e non riuscivo a controllare il terrore che si era impossessato di me. Tomlinson era nel mio appartamento, elegantissimo nel suo completo probabilmente di sartoria, con quel sorriso sinistro sul viso e lo stesso sguardo agghiacciante che ricordavo alla perfezione anche dopo due settimane. Quello sguardo che mi aveva perseguitata più di una volta nei miei incubi, dalla sera del mio rapimento.
Jessica ci voltò le spalle per guidarlo verso la cucina, ignara di tutto, e lui si portò l'indice alle labbra per intimarmi il silenzio senza alterare la propria espressione perfida. Sapevo cosa significava quel gesto.
"Non rivelare nulla alla tua amica... o lei morirà."
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