Capitolo 8
Capitolo 8
Era l'ennesima notte che Bambi trascorreva insonne. Pensava che fosse a causa del troppo stress accumulato negli ultimi giorni, ma sapeva che il vero problema era il flusso di ricordi dimenticati che tentavano di risalire in superficie. Aveva provato a scacciarli con della musica rilassante, a distrarsi con le chiacchiere spensierate di Marshall, a perdersi nei video su YouTube, ma nulla funzionava.
Succedeva sempre così: chiudeva gli occhi, controllava il respiro, si concentrava sul battito del cuore. Tu-Tum. Il corpo si rilassava, la mente si disconnetteva lentamente dalla realtà, poi il buio. Quel buio dove le orecchie fischiano e i suoni esterni sembrano ovattati. In quel momento avvertiva una strana pace dei sensi. Tutto era dormiente. Ma improvvisamente sentiva uno schianto, delle urla strazianti, un frammento di lei che strisciava, ferita e dolente, sull'asfalto ruvido per raggiungere qualcuno.
Urla devastanti.
Lacrime calde che scorrevano senza controllo.
Bambi si tirava su, scossa dal corpo trepidante. La fronte imperlata di sudore aveva una vena visibile alle tempie che pulsava, e la bocca arida perdeva ogni volta l'uso della salivazione, rendendo tutto secco, dal sapore amaro. Provò a bere dell'acqua, avvertendo il liquido freddo scivolare giù per la gola, ma il sollievo fu momentaneo. Tentò di riprendere sonno, ma si arrese e uscì di casa alle cinque del mattino per dirigersi sul set, pur sapendo che in programma non c'erano riprese da fare a quell'ora.
Quando arrivò, la parte anteriore del set era completamente deserta. Il fruscio del vento tra i rami e il canto degli uccelli erano gli unici suoni che rompevano il silenzio. L'orologio segnava le cinque e venti. Decise che poteva attendere l'apertura di un bar in zona per fare colazione, nel frattempo ingannando l'attesa giocando a qualcosa sul cellulare. Lasciò l'auto nel garage utilizzando il telecomando che le era stato dato, sentendo il ronzio del portone automatico mentre si chiudeva alle sue spalle, e risalì la scala a chiocciola per sedersi fuori dagli Studios, restando protetta in quell'area.
Al suo arrivo scoprì di non essere completamente sola: Marshall sedeva sul muretto, di spalle alla vetrata dell'ufficio principale. Indossava un pantalone di tuta nera e una t-shirt a maniche corte bianca. Il suo profumo era forte, si sentiva a distanza, diffuso nell'aria fresca del mattino. Le luci dell'alba iniziavano appena a rischiarare l'orizzonte, tingendo il cielo di sfumature arancioni e rosa.
Marshall sollevò lo sguardo e le sorrise, un sorriso stanco ma sincero.
«Qualcuno si è lavato nell'acqua di colonia stamattina» lo prese in giro lei.
«Ho finito il bagnoschiuma» rise lui.
«Devi smetterla di usarlo per i capelli, rischi di diventare calvo. Poi con cosa ti lavi, col detergente intimo?»
«Mi piace correre rischi. E sì, potrei provarlo.»
«Cosa ho appena sentito.»
Bambi gli sedette accanto, perdendosi nei suoi occhi assonnati.
«Cosa ci fai qui a quest'ora?» gli chiese.
«Potrei chiederti lo stesso.»
«Un'altra notte insonne. Mi sono avviata prima. E tu?»
«Ho sentito che dovevo essere qui. Sai, le sensazioni.»
«Allora capiti a fagiolo, così ho qualcuno con cui parlare.»
«Cosa ti ha tenuta sveglia, questa volta?»
«Dei ricordi. Forse frammenti... è tutto così confuso.»
Bambi abbassò lo sguardo. Rimase in silenzio, tormentandosi le unghie. Poi tornò a sorridere, si sfregò le mani sulle ginocchia e parve caricarsi di energia nuova.
«Sai a che ora apre il bar all'angolo?» disse. «Non ho fatto colazione.»
«Apre tardi, intorno alle sette.»
«Uffa, che cattiveria!»
Marshall rise.
«Ti spiace se mi allontano un attimo?» le chiese.
«Tesoro, non ti tengo al guinzaglio. Unica cosa: sta' attento, là fuori non è tanto sicuro a quest'ora.»
«Sarò prudente, non temere.»
«So che lo sarai.»
«Torno subito.»
«Qua mi trovi.»
Marshall si allontanò a passo svelto, forse dovuto al fatto che aveva le gambe lunghe. I movimenti erano fluidi e decisi, e ogni passo sembrava misurato.
Bambi lo seguì con lo sguardo, notando quanto fosse bello e sodo quel suo didietro sculettante. Una risata le sfuggì involontariamente, sentendosi imbarazzata per i suoi stessi pensieri. Si guardò attorno per assicurarsi che nessuno l'avesse sentita, ma il set era ancora deserto.
Dieci minuti dopo, proprio quando iniziava a chiedersi dove fosse andato, lo vide tornare.
Marshall avanzava con un sorriso compiaciuto. Tra le mani aveva due cornetti al pistacchio avvolti in carta oleata e due frappuccini al cioccolato, con la panna montata che si arricciava sulla superficie.
Bambi si sentì emozionata e un po' sorpresa.
«Avevi detto che era chiuso» gli diede un buffetto.
«Ho mentito» sorrise lui con nonchalance. «Spero che la crema al pistacchio ti piaccia. Io la adoro!»
«È la mia preferita.»
Bambi e Marshall fecero colazione lì, su quel muretto, accarezzati dal vento e dal sorgere del sole.
Il cielo si stava rischiarando e l'aria fresca del mattino li avvolgeva come una carezza. A un certo punto sembrarono due foche che giocavano con la pallina sul muso, con la differenza che il loro gioco era il cornetto super farcito che sbrodolava da tutte le parti, riempiendo le dita di crema al pistacchio.
Fu un momento stupendo, divertente. Le risate risuonavano nel silenzio, scacciando la notte insonne e rallegrando quella splendida giornata che stava nascendo con il risveglio del mondo intorno a loro. Gli uccelli cantavano allegri nei loro nidi nascosti tra gli alberi e il traffico iniziava a farsi sentire in lontananza, segnali del giorno che prendeva vita.
Approfittando di quel momento di serenità, Bambi tirò fuori dallo zaino lo spartito musicale che aveva suonato due sere addietro.
«Guarda, volevo mostrarti questo» disse, ma la mano le giocò un brutto scherzo: cominciò a tremare.
Marshall la prese tra le sue. Un dolce bacio fu schioccato sulla pelle, mentre con le dita disegnava morbide carezze delicate.
«Stai tranquilla» le sorrise.
Bambi ci provò. Provò davvero a stare tranquilla, ma il suo cuore non ne voleva sapere, batteva furiosamente nel petto. Sentiva la turbolenza allo stomaco e la mancanza di respiro a causa della bocca spalancata, pronta ad accogliere qualche mosca.
Marshall non la lasciò andare. Il suo tocco delicato era spontaneo, rassicurante, come un abbraccio che sapeva di calore e sicurezza.
Nonostante ciò, lei continuava a tremare, come se ogni contatto con lui la portasse ad affrontare un turbinio di emozioni indecifrabili. Sentiva la vulnerabilità fluire attraverso le vene, un misto di paura e desiderio. Per cosa poi?
Marshall la guardò con occhi pieni di comprensione, senza dire una parola, rispettando il silenzio che era scaturito tra loro. I suoi occhi erano come un porto sicuro: promettevano calma in mezzo alla tempesta.
«Sei sicuro che non ci siamo già visti?» gli chiese; lui le sorrise.
«Al firma copie.»
«Da altre parti?»
«No.»
La sua voce aveva tremato...
«Stai mentendo.»
«Non lo farei mai.»
«Invece lo stai facendo.»
Marshall abbassò lo sguardo. Le lasciò andare la mano e si schiarì la voce senza dire nient'altro.
«Ehi, mattinieri!» arrivò il signor Andrews. «Cosa ci fate qui a quest'ora?»
«Ci siamo anticipati per provare qualche battuta» sorrise Marshall; Bambi fece un cenno d'assenso.
«E com'è andata?»
«Una schifezza.»
«Ma che bravi, questi ragazzi!»
Il signor Andrews sparì nel suo ufficio. Bambi ne approfittò per avviarsi verso il camerino, seguita da un senso di vuoto allo stomaco, dal retrogusto amaro e sgradevole.
«Bambi», la fermò Marshall. «Sono stato uno stronzo, perdonami.»
«Avrai le tue ragioni per mentirmi. Di certo non mi devi alcuna spiegazione né io devo obbligarti a parlare. Per cui, scuse accettate se anche tu accetti le mie.»
«Se finiamo presto, potremmo provare lo spartito. Ho anch'io una tastiera, sempre che tu voglia venire a casa mia.»
«Niente promesse.»
«Correrò i miei rischi.»
Bambi gli sorrise, anche se in cuor suo aveva già accettato.
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