Capitolo 25
Capitolo 25
«Marshall?» la voce di Bambi era debole, spezzata, ma era un suono che Marshall aveva atteso con ansia.
Si alzò rapidamente dalla sedia all'angolo della stanza, dove era rimasto seduto per ore, osservando con preoccupazione il monitor che segnava i segni vitali di sua moglie.
«Sono qui, amore mio», disse.
Gli occhi si riempirono di lacrime quando la vide finalmente sveglia. Si gettò accanto al letto, prendendo la mano di sua moglie tra le sue e accarezzandole delicatamente i capelli. Le schioccò un bacio umido e tremante sulla fronte calda, sentendo la disperazione e il sollievo mescolarsi in un nodo alla gola.
Bambi lo guardò, cercando di trovare le parole per descrivere il dolore che provava.
Era un dolore sordo e devastante, che le schiacciava il petto e le frantumava il cuore in mille pezzi. Sentiva il peso della colpa e dell'impotenza, un senso di fallimento che la soffocava. Non riuscì a dire a Marshall quanto si sentisse rotta, lacerata, una pessima madre e una pessima moglie.
«M-Mi dispiace...» biascicò, la voce spezzata dai singhiozzi. «Perdonami.»
«Shh shh», la abbracciò, cercando di calmare le sue lacrime. «Andrà tutto bene... deve andare tutto bene.»
«Perdonami, Marshall...»
«Non dirlo. Non dirlo, Bambi!»
Bambi scosse la testa, le lacrime che scendevano silenziosamente sul suo viso pallido.
«I-Io non lo sento più.»
Le parole erano un sussurro disperato, una confessione che le straziava l'anima.
«No, ti prego...»
Marshall si aggrappò a quelle parole, cercando di negare la realtà che si stava delineando davanti a lui.
«Perdonami. Sono pessima... Non sento più nostro figlio.»
Il dolore nella voce era insopportabile, una ferita aperta che non poteva essere guarita.
«Non fa niente. Davvero. Ne faremo un altro.»
«Io volevo darti questo... VOLEVO DARTI QUESTO!»
Il suo grido era disperato, un urlo silenzioso contro l'ingiustizia del mondo.
Marshall la strinse più forte, cercando di trasmetterle tutto il suo amore e la sua comprensione.
«Ti prego, basta... Basta, Bambi... Basta.»
«Non c'è più... Lui non c'è più... Non l'ho saputo proteggere.»
«Shh shh... smettila. Ti prego, smettila... Basta... Smettila... Smettila!»
La voce di Marshall si spezzò, le lacrime scendevano copiose. La stanza parve restringersi attorno a loro, un luogo freddo e asettico che non poteva contenere tutto il dolore che stavano provando.
L'eco delle loro parole riempiva lo spazio circostante. La luce fredda delle lampade dell'ospedale sembrava distante, quasi irreale, mentre il mondo si riduceva a quel momento di sofferenza.
Rimasero lì, abbracciati, cercando conforto l'uno nell'altro, mentre affrontavano la dura realtà della perdita.
Marshall la strinse forte tra le sue braccia, accogliendo i suoi singhiozzi disperati. Sentiva il peso del suo dolore, una sofferenza insostenibile, eppure cercò di farsi carico di quel fardello, desiderando poterlo portare sulle proprie spalle pur di alleviarla anche solo di un grammo.
Fu come cadere da un'altalena, sprofondare in una giostra infernale dove ogni urlo ci sembra un lamento. Eppure, in quel caos assordante, la sua presenza era l'ancora a cui Bambi si aggrappava, l'unica certezza che la terra sotto i loro piedi non fosse completamente crollata.
L'atmosfera fu interrotta dall'ingresso di un'infermiera, il cui volto gentile ma risoluto lasciava intendere che era necessario un controllo medico. Con dolcezza, fece cenno a Marshall di uscire dalla stanza.
Bambi, in un moto di panico, strinse più forte il braccio di suo marito, incapace di lasciarlo andare.
«Sono qui fuori», le sussurrò lui, asciugandosi gli occhi. «Torno tra poco.»
Con un ultimo bacio sulla fronte, Marshall uscì dalla stanza, lasciando Bambi sotto le cure del personale medico. Mentre la porta si chiudeva, si ritrovò nel corridoio e i suoi occhi incrociarono quelli dei familiari riuniti.
C'erano i genitori di sua moglie, visibilmente preoccupati, e gli amici più stretti, tutti lì per sostenerli. Anche la sua mamma era accorsa, il che lo fece sentire meno solo in quel momento di angoscia.
Il corridoio, illuminato dalle luci al neon dell'ospedale, era permeato da un silenzio carico di attesa e speranza. Rimasero tutti col fiato sospeso, scambiandosi sguardi d'incoraggiamento e abbracci, cercando conforto l'uno nell'altro. Speravano in qualche risposta positiva, un segno che tutto sarebbe andato bene, che Bambi avrebbe superato quella prova difficile.
L'infermiera fu dolce e comprensiva. Durante la visita, parlò con tono rassicurante, ma lei non riusciva a distrarsi. La sua mente era ossessionata dal pensiero di non sentire più il bambino che portava in grembo. Non avvertiva più quei movimenti che prima erano così evidenti. Aveva solo un gran mal di pancia, un brutto presagio a scatenare i brividi lungo la schiena.
Dopo alcuni istanti di trepidante attesa, l'infermiera fece un sospiro di sollievo e disse: «Sembra tutto a posto.»
Un suono familiare riempì la stanza.
Tu-Tum. Tu-Tum.
Era il battito di un cuoricino, piccolo ma forte, che si univa al ritmo cardiaco accelerato di sua madre.
Bambi sollevò lo sguardo, gli occhi velati di lacrime, sperando di vedere qualcosa sul monitor.
«La prego, mi faccia guardare», supplicò con voce tremante.
L'infermiera girò il monitor verso di lei. Sullo schermo apparve l'immagine di un piccolo bambino rannicchiato. Era immobile, come se fosse spaventato, ma era vivo. E la sorpresa più grande, il miracolo che Bambi non si sarebbe mai aspettata, fu scoprire che non era da solo.
«Ma allora...?» disse, incapace di finire la frase per l'emozione.
«Sono due gemelli», sorrise l'infermiera. «Vuole sapere il sesso?»
«Sì, la prego.»
«Sono un maschietto e una femminuccia.»
«Stanno bene, vero?»
«Più che bene», confermò l'infermiera, «ma faremo dei controlli approfonditi: oggi ha rischiato grosso.»
L'infermiera mise via il monitor e passò della carta a Bambi per pulirsi la pancia. Poi si voltò verso la porta, pronta a uscire.
«Lui può entrare?» chiese Bambi, guardando suo marito attraverso il vetro: Marshall stava facendo avanti e indietro nel corridoio, torturandosi le unghie per l'ansia.
Con un cenno, l'infermiera lo invitò ad entrare.
Marshall si precipitò nella stanza, quasi inciampando nella fretta di raggiungere sua moglie. Si buttò tra le sue braccia e, con voce tremante, chiese: «E il bambino? Come sta?»
«Sono gemelli, Marshall.»
Lui la guardò con occhi sgranati, sorpreso ma visibilmente sollevato.
«Eh sì, uno era poco», sorrise, rilassandosi. «E cosa sono? Due maschi?»
«Ti piacerebbe!» rise sua moglie. «Già sopportare te è tanto, figurati se fossero due maschi.»
«Allora cosa? Due femmine?»
«Ma te le immagini a giocare insieme, per poi prendersi per i capelli?» rispose lei, ridendo. «No no, meglio un maschio e una femmina.»
Marshall, commosso, si avvicinò alla pancia di sua moglie e le schioccò due baci, uno per ciascun bambino. Poi risalì verso il volto e, guardandola negli occhi, disse con voce ferma e dolce: «Dovete restare con me per sempre.»
Bambi sorrise e, scherzando, rispose: «Che condanna, mamma mia.»
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