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Capitolo 16

Capitolo 16



Fu annunciata la seconda pausa.

Bambi ne approfittò per dissetarsi, dirigendosi nel camerino dove Marshall si stava sistemando quelli che chiamava capelli. Per farlo, le aveva rubato il borsello, servendosi dei suoi prodotti. Trovò persino una pinzetta per le sopracciglia, con cui si cimentò per la prima volta, nonostante non ne avesse particolarmente bisogno.

Entrando nel camerino, si chiuse dietro la porta per consentire al condizionatore di rinfrescare la stanza. L'aria fresca era un sollievo rispetto al calore soffocante del set. Si avvicinò a Marshall, che era tutto concentrato sul suo riflesso nello specchio, e constatò che, quando era da solo, faceva solo guai: aveva messo troppo olio nei capelli, che ora sembravano più lucidi di una superficie bagnata.

«Guarda che disastro hai combinato anche questa volta» disse Bambi, ridendo mentre lo osservava.

«Stavo solo cercando di sistemarmi i capelli» rispose Marshall con una smorfia divertita. «Forse ho esagerato un po' con l'olio.»

«Un po'?» ribatté lei, sollevando un sopracciglio. «Sembri uscito da una pubblicità di olio per motori.»

Ridendo, Bambi prese l'asciugacapelli e cominciò a rimediare al disastro. L'aria calda cercava di assorbire l'eccesso di prodotto, mentre Marshall la osservava con un sorriso grato.

«Mi dai una mano anche con questa?» le sorrise, indicando la pinzetta per le sopracciglia.

«Non ne hai bisogno» lo guardò lei. «Le tue sopracciglia sono perfette.»

«Dici? Credo ci sia qualche pelo di troppo.»

«Sotto la tua ascella sicuramente.»

«Non screditare la mia foresta!»

Il loro scambio di battute era leggero e giocoso. Bambi si sentiva a suo agio, come se fosse a casa, e Marshall sembrava divertirsi a farsi prendere in giro.

Alla fine, Bambi cedette al suo sguardo da cerbiatto. Marshall la spinse a sedersi sulle proprie gambe, in modo da essere alla stessa altezza. Fece qualche stupida battuta per farla ridere, ma se non voleva avere le sopracciglia irregolari, lei gli consigliò di stare fermo.

Era a un palmo dal suo naso, dalla bocca al gusto di bubble tea. Si costrinse con tutte le forze a non guardarlo negli occhi, che la seguivano passo per passo, senza lasciarla andare. Il respiro le invadeva il viso, inebriando la pelle come fosse un nuovo siero per chiudere i pori. La pinzetta che stava armeggiando tirava piano tra i peli delle sopracciglia, fermandosi qualche volta per consentire allo sguardo di riprendersi dal lieve dolore.

In sottofondo, avvolto dai loro respiri incrociati, il cuore di Marshall batteva forte, con un tu-tum pesante, agitato. Le sue braccia intensificarono la stretta e l'aria dai polmoni venne a mancare nell'esatto istante in cui le labbra si toccarono.

Il contatto fu lieve, quasi un tocco di piuma, ma la sensazione di calore si diffuse immediatamente attraverso entrambi. La pinzetta le cadde dalle mani.

Fu un bacio rubato nel tempo, che le risvegliò qualcosa come per magia: venne risucchiata da un vortice nero e freddo. Tutto girava, sino alla nausea. Il velo che oscurava i suoi ricordi protetti cadde, colorando quello che per lei era stato solo un sogno.

Il tempo tornò indietro, i rumori sovrastarono i battiti del cuore. Vide chi urlava, cosa era successo. Riconobbe la voce, mise a fuoco il volto del ragazzo che piangeva disperato, la sua cicatrice sanguinante. Ricordò quello che, tra le lacrime, le stava dicendo. Le immagini si sovrapposero, il dolore e la confusione la travolsero come un'onda impetuosa.

Fu assalita dagli spasmi. Cominciò a tremare, a boccheggiare. Si separò da Marshall spingendolo via, come se avesse preso la scossa. Gli occhi erano fuori dalle orbite, le scoppiava la testa, sentiva le sirene in lontananza e la gente che urlava.

Tutto il suo mondo era crollato a pezzi.

«T-Tu...» farfugliò tra le lacrime, incapace di controllare il flusso di emozioni che la travolgeva.

«Mi dispiace» le disse Marshall, agitato. «Non so cosa mi sia preso... Perdonami.»

«I-Io... t-tu...» balbettò Bambi, cercando di raccogliere i pezzi della sua sanità mentale.

«Ti prego, non ti arrabbiare. Sono stato uno sciocco, scusami» continuò lui, il volto segnato dal rimorso.

«No... non importa. Non fa niente. Va tutto bene...» gli rispose cercando di mascherare il caos dentro di sé.

Le parole le uscivano frammentate perché stava cercando di convincere più se stessa che lui. Ma fallì miseramente.

«Bambi?» chiese Marshall, la voce rotta dall'ansia. Osservò la paura e il dolore nei suoi occhi, ma non capiva cosa stesse succedendo.

«Devo andare. Non mi sento bene.»

Bambi fece un passo indietro. Il corpo tremava visibilmente, le mani che cercavano di trovare appiglio in qualcosa di stabile.

Marshall cercò di avvicinarsi, ma lei lo fermò con uno sguardo disperato.

«Per favore, fammi capire se posso fare qualcosa...»

Bambi scosse la testa, i capelli che volavano selvaggiamente attorno al suo volto pallido.

«Ho solo bisogno di... di aria.»

Le parole uscirono spezzate, quasi soffocate. Senza aggiungere altro, si voltò e uscì rapidamente dalla stanza, il cuore martellante e la mente annebbiata dai ricordi riemersi.

Fuori dal camerino, il viale sembra lungo e opprimente. Ogni passo rimbombava nelle sue orecchie, amplificando il tumulto interiore. Cercò di respirare profondamente, ma l'aria continuava a mancarle. Realizzò quanto il passato potesse essere ingombrante riaffiorando senza preavviso, stravolgendo ogni certezza. E Marshall, inconsapevolmente, aveva aperto una porta che non era riuscita ad aprire da sola per tutto quel tempo, per tutti quegli anni.

Incontrò il signor Andrews lungo il viale, ma non ebbe la forza di rispondere alle sue domande.

«Mi dispiace, signor Andrews», disse sbrigativa, «non posso restare.»

«Cosa succede, Bambi?» chiese lui, preoccupato dal suo aspetto sconvolto.

«Voglio andare a casa!» rispose lei, con un tono disperato.

Corse via. Corse in macchina. Corse per la strada. Sembrava come quell'ubriacone alla guida che aveva causato l'incidente. Le tremavano le gambe e i piedi. La vista era offuscata. Ricevette suonate di clacson e rimbrotti seguiti da parolacce, ma finalmente raggiunse il suo appartamento, dove si chiuse a chiave all'interno e poggiò la schiena contro la porta.

La mente continuò a rivangare il passato: le urla, il sangue, le sirene, lui. Lui. Marshall.

Le gambe cedettero. Bambi scivolò lentamente a terra. Pianse a singhiozzo, la testa continuava a scoppiare, come se due mani possenti la stessero stritolando. Lei stessa lo stava facendo. Il vuoto davanti agli occhi. Il nero tinto di rosso. Il suo urlo, potente e angosciante, squarciò l'aria rimbombando tra le mura di casa.

Ogni ricordo riaffiorò con una chiarezza spaventosa. Ricordava il giorno dell'incidente come se fosse appena accaduto: il rumore stridente delle gomme sull'asfalto, il crac dell'impatto, e poi il silenzio rotto dalle urla. Il viso di Marshall, coperto di sangue e lacrime, era inciso nella sua memoria peggio di una ferita che non si sarebbe mai rimarginata.

Mentre scivolava distesa sul pavimento, il corpo tremava violentemente. Ogni fibra del suo essere era in preda al panico e al dolore. Cercò di controllare il respiro, ma il tentativo fu vano. Sentiva il bisogno di scappare, di nascondersi da quel passato che ora non smetteva di perseguitarla.

Si rannicchiò, abbracciando le ginocchia e nascondendo il viso sotto i capelli che le scivolarono davanti. Ogni singhiozzo era un grido silenzioso di aiuto, una supplica per un po' di sollievo dal quel dolore insopportabile. La sua mente era un caos, un turbinio di immagini e sensazioni che la stavano soffocando.

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