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Capitolo 12

Capitolo 12



«Bambi, cosa succede?»

La voce allarmata di Marshall la riportò bruscamente alla realtà, trasformando quella magnifica serata in un momento di turbolenza. Si chinò verso di lei, il volto solcato da un'espressione di apprensione.

Bambi stringeva forte i braccioli della sedia, il volto pallido come un cencio, il corpo irrigidito peggio di una statua. Sentiva i brividi correre lungo la schiena. La bocca era secca, il cuore batteva forte e gli occhi spalancati sembravano trattenere lacrime che riflettevano il dolore, ancora non completamente ricordato. Le mani tremavano mentre cercava di prendere un respiro profondo.

«Vuoi un po' d'acqua?» le chiese Marshall, preoccupato; lei scosse la testa, cercando di sorridere ma senza riuscirci del tutto.

«No, grazie. Penso che tornerò a casa» rispose, alzandosi con difficoltà; le gambe parvero divenire di gomma.

«Sei sicura? Aspetta che ti passi, qualunque cosa tu abbia.»

«Sto bene, Marshall. Sono solo stanca.»

Ma dentro di sé sapeva che c'era qualcosa di più, un'ombra che non riusciva a scacciare. Lasciò dei contanti sul tavolo, ringraziò i ragazzi per la serata e indossò la mascherina. Sentì gli occhi di tutti puntati addosso mentre si allontanava, ma si sforzò di ignorarli.

Camminò rapidamente fino alla macchina, il rumore dei suoi passi rimbalzavano contro l'asfalto deserto del parcheggio. Una volta arrivata, si chiuse dentro, prese una grande boccata d'aria e cercò di calmarsi, di placare i battiti del cuore, di smetterla di tremare.

Respirò profondamente, chiuse gli occhi e si aggrappò al volante come se fosse un'ancora. Il silenzio dell'auto facilitò il rilassamento. Lentamente, la tensione iniziò a diminuire. Il buio intorno era totale. Nero. Poi il nero divenne rosso. Rosso come il sangue. Ma quello che le sembrava di vedere era davvero sangue?

Le immagini nella sua mente divennero nitide. Il sangue apparteneva a un ragazzo dal volto indistinto, disteso per terra in mezzo al caos, i suoi occhi spalancati dal terrore. Si teneva il braccio laddove ora la ferita era nascosta sotto un tatuaggio a forma di piuma bianca, che sembrava brillare sinistramente alla luce delle sirene che echeggiavano in lontananza.

Toc Toc.

Bambi sobbalzò. Qualcuno aveva bussato al finestrino della sua auto. Il cuore ricominciò a martellare nel petto mentre la serratura si apriva. Marshall si accomodò al suo fianco, visibilmente preoccupato. La luce fioca del lampione proiettava ombre sui suoi lineamenti tesi. Le prese delicatamente la mano tra le sue, schioccandoci un bacio di conforto.

«Che ti succede?» la pregò con lo sguardo. «Ti prego, parlamene.»

«Io... Io non lo so» sospirò lei, il respiro spezzato dall'ansia. «È tutto così confuso...»

Marshall non seppe cosa dire, e lei non sapeva cosa fare. Il silenzio tra loro era carico di tensione e incomprensioni.

«La cicatrice» disse improvvisamente Bambi, guardando il segno sul braccio del ragazzo, «come te la sei procurata?»

«Un incidente» Marshall abbassò lo sguardo, il dolore nei suoi occhi era evidente.

«C'entro io?»

«Cosa c'entri tu?»

«Ho dei frammenti... vedo qualcosa... Ho visto un taglio come il tuo.»

«Sei stanca, Bambi. Dovresti rallentare un po'.»

«Perché invece non mi racconti la verità?»

«Non posso.»

«Oh, andiamo. Sì che puoi!»

Marshall pianse in silenzio. Una lacrima scivolò dai suoi occhi, leggera, silenziosa, dolorosa. Bambi lo vide deglutire, ma dalla bocca non gli uscì altro.

«Voglio tornare a casa» disse adirata, il volto contratto dalla delusione. «Scendi, per favore!»

«Bambi, io...» cercò di dire lui, ma lei lo interruppe bruscamente.

«Buonanotte, Marshall!»

Il ragazzo esitò per un attimo, poi aprì la portiera e scese dall'auto. La chiusura di sicurezza risuonò come un colpo di martello nel cuore della notte.

Bambi rimase sola, con le sue domande e i suoi dubbi.

Marshall serrò i pugni in tasca e camminò nel buio, prendendo a calci una lattina che aveva trovato sul suo cammino. Il rumore metallico rimbalzava nell'aria notturna, accompagnando i suoi pensieri cupi.

Bambi lottò per dormire, tormentata dai demoni che la perseguitavano senza restituirle i ricordi tanto desiderati. Fu avvolta dall'oscurità, inghiottita dalla rabbia e sopraffatta dalla frustrazione, che le procurarono solo ulteriore dolore e irritazione. Si rigirava nel letto, sentendo il cuscino bagnarsi delle sue lacrime silenziose.

Trovò un po' di pace all'alba, quando i primi raggi del sole si insinuarono timidamente attraverso le tende. Si svegliò tardi e temette che Marshall l'avesse aspettata invano per la solita colazione insieme. O forse no, considerando come l'aveva trattato la sera prima, permettendo alla sua rabbia di riversarsi su di lui.

Per farsi perdonare, si presentò nel camerino con un bicchiere gigante di bubble tea.

Marshall, stanco e segnato da una notte insonne, si presentava con occhi velati da cerchi scuri. I soliti lineamenti energici erano afflosciati, la mascella serrata denotava la tensione che lo opprimeva. I capelli leggermente arruffati e lo sguardo smarrito suggerivano una mente tormentata. Si voltò a guardarla, i loro sguardi si incontrarono e per un momento il silenzio parve riempirsi di parole non dette.

Bambi abbassò lo sguardo, tendendogli il bicchiere. Marshall lo accettò, le loro dita che si sfiorarono per un attimo. Bevve un lungo sorso, ma il gesto sembrava più un'azione automatica che un vero piacere.

«Scusami per ieri sera», disse Bambi, la voce carica di sincerità. «Spero tu possa perdonarmi.»

«Non sono arrabbiato, ma dispiaciuto per come si è conclusa la serata.»

«Allora, se non sei arrabbiato, mi riprendo il bubble tea, che tanto i dispiaceri fanno parte della vita.»

Bambi fece il gesto per afferrare il bicchiere.

«Sono arrabbiatissimo!» esclamò Marshall, stringendo il bubble tea al petto con un'espressione esageratamente protettiva.

Bambi sorrise, poi cominciò a giocare con i suoi capelli, attorcigliandoli dolcemente tra le dita. Marshall ne approfittò per tirare fuori dalla borsa termica la colazione ancora calda.

«Non ti ho vista arrivare, così l'ho conservata», le sorrise attraverso lo specchio.

«Avevo del sonno arretrato», disse lei, avvicinandosi per abbracciarlo da dietro.

Sentì la tensione sciogliersi nel calore del contatto. Rimasero in quella posa per diversi minuti: lui seduto, lei dietro la sua schiena con le braccia gettate intorno al collo. Era un momento di pace ritrovata, un attimo sospeso nel tempo.

La mano di Marshall si mosse per accarezzarle la pelle del braccio, mentre il cuore gli cominciò a battere come un forsennato.

«Scusalo», le disse imbarazzato, «ogni tanto fa il matto.»

«Sai cosa dice il Cappellaio Matto ad Alice?»

«Illuminami.»

«Tutti i migliori sono matti.»

Un sorriso simile all'arcobaleno dopo la pioggia si diffuse sui loro volti.

Marshall girò la testa per guardarla negli occhi, quei meravigliosi zaffiri che scintillavano più del cuore dell'Oceano del Titanic. Sentì il battito accelerare, impazzito come quello di un ragazzetto innamorato. E trascinato dal momento, fece per baciarla, ma lei si spostò con un gesto rapido. Ricevette un colpo affettuoso dietro la testa e la osservò prendere la sua parte di colazione dal tavolo con la grazia di un felino, uscendo dal camerino senza voltarsi indietro né salutarlo.

Rimase lì, sospeso per un momento, poi si prese la testa tra le mani senza riuscire a trattenere la ridarella che lo assalì, consapevole che quell'incontro imprevisto aveva acceso una scintilla di gioia in quella giornata che gli era sembrata iniziare col piede sbagliato.

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