Capitolo 5: Una lettera inaspettata
Consiglio l'ascolto del seguente brano, nel corso della lettura.
«I'll be good, I'll be good
And I'll love the world, like I've never could.»
Benjo, seguendo le mie indicazioni, mi riaccompagna a casa. Accosta proprio al principio del mio vialetto in ciottoli, prima che io possa, con un balzo, scendere dal vettore.
Nel frattempo Aubree ne approfitta per scrutare il mio giardino, caratterizzato da un'erba ben curata, di un verde acceso al punto giusto.
Dopodiché passa in rassegna ogni minimo particolare che costituisce la mia villa: i gradini al termine del vialetto, i mattoni irregolari che tempestano la facciata principale, le ampie finestre che ne lasciano intravedere l'interno, il comignolo e persino lo zerbino, ai piedi della porta bianca.
Saluto tutti e tre con un imbarazzante cenno della mano.
«Ci si vede!», urla Benjo prima di mettere in moto il furgone, mentre le ragazze, una seduta sul sedile del passeggero e l'altra sul retro, agitano le mani per ricambiare il mio saluto.
Resto imbambolato per qualche minuto, osservando sfrecciare via quel catorcio, che tuttavia non mi dispiace affatto, nonostante l'odore muffoso che ne deriva.
Sfilo dalla tasca posteriore dei miei bermuda il cellulare. 17:30, leggo dallo schermo.
Caspita, mamma non si risparmierà di certo nemmeno oggi, con i suoi rimproveri...
Mi muovo con passo felpato, superando la soglia di casa mia.
«Wayne Connor...» il minaccioso tono di mamma arriva all'istante alle mie orecchie, accogliendomi in modo brusco, come suo solito.
«Mi dispiace, mamma, farò più attenzione...», la ammonisco in una cantilena, alzando gli occhi al cielo.
Per tutta risposta, Ingrid, mia madre, corruga la fronte con disapprovazione. «Non usare quel tono con me, sai?», mi rimprovera. «Dove diavolo sei stato, finora?»
Percepisco una focosa scintilla cominciare a divampare nel mio petto, al che comprendo di stare per esplodere... «Lasciami stare, mamma», la interrompo cercando di ottenere il tono più calmo possibile, dirigendomi su per le scale.
Mi concedo di osservarla un'ultima volta, scorgendo con la coda dell'occhio la sua espressione arrabbiata, ma in parte anche quella avvilita, che tenta in ogni come di reprimere.
Una volta raggiunta la mia camera, chiudo lentamente la porta, sospirando svariate volte nel tentativo di ricompormi e placare, poco a poco, tutto il nervosismo accumulato nel giro di pochi minuti.
Pare che, in questo dannato mondo, non vi sia un singolo luogo in cui io possa sentirmi a mio agio, senza pensieri, oppressioni...
A scuola mi schiacciano, mentre la mia famiglia mi assilla persino per le cose più futili: ogni cosa che faccio, qualsiasi mossa che tento di compiere, pare azzardata, errata. Non ne azzecco una, insomma. E' terribile...
Mi lancio sul letto, nel quale sprofondo. Osservo il lenzuolo, decorato con degli stupidi delfini che mi fissano sorridenti, mentre qualche subacqueo sparso qua e là sul tessuto scatta loro delle fotografie: ricordo che, quando avevo all'incirca sette anni, ero inseparabile da questo futile pezzetto di stoffa... Mamma, ancora oggi, non si decide a cambiarlo, a comprarne uno più adatto alla mia età.
Il materasso ad acqua mi culla in dei lenti movimenti ritmici, che in un paio di minuti sono in grado di farmi rilassare, giusto un po'. Decido così di chiudere gli occhi, immedesimandomi a galleggiare su una zattera pericolante, costruita dalle mie stesse mani, nel bel mezzo dell'oceano.
Un attimo dopo, tuttavia, mi costringo a riprendermi, al ricordo della busta nella mia tasca.
La prelevo, dunque, percependo l'ansia tornare ad impadronirsi del mio corpo.
La carta è ancora più stropicciata di quanto già non fosse, e, lentamente, sfilo il suo contenuto.
Qualcosa di a me indefinito, tuttavia, fa capitombolo sul pavimento a scacchi neri e bianchi e, tastandolo, tento di riacchiapparla.
Una volta riuscito nella mia missione, la identifico all'istante: è un tappino della Guinness, la marca di birra preferita dello zio Fitz. Ricordo che la portava sempre con sé... Ogni passo che compiva, questo microscopico tappino era con lui.
«E' un portafortuna!», mi ricordava ogni qualvolta gli domandassi di cosa si trattasse, nonostante io non ne comprendessi pienamente l'importanza.
Mi scopro a tenerlo stretto nel mio pugno, percependo, in un certo senso, la forza del mio adorato zio diffondersi in me, saettare nelle mie vene, percorrermi le arterie.
Non posso fare a meno di abbozzare un sorrisino, colpito da una raffica di candidi ricordi, mentre stringo tra le dita quel pezzo di carta talmente forte da percepire i miei polpastrelli formicolare.
Cerco di infondermi coraggio, dando il via alla lettura delle preziose parole che qualcuno ha preso la briga di scrivermi:
''Ehilà, mio nipotino sconquassato... Come vanno le cose, laggiù?
Quando leggerai queste parole non sarò più lì con te, ma spero, in un certo senso, che il ricordino che ritroverai nella busta possa diventare per te importante quanto lo è stato per me. Consegnerò questa lettera a qualcuno di cui mi fido ciecamente, probabilmente ad una ragazzina che frequenta la tua stessa scuola, di modo che possa raggiungerti con estrema facilità. Comunque, ci sono un paio di cose delle quali dovresti essere al corrente, ometto... Sono a conoscenza del fatto che d'ora in poi, per te, le cose non saranno così semplici... Non ho intenzione di negarlo. Inoltre, so della tua opinione nei confronti dei tuoi genitori: potranno sembrarti dei pesi, il cui unico obiettivo è quello di ostacolarti ogni singola giornata.
Non hai idea di quante volte abbia sentito tua madre parlarmi di te, di spiegarmi quanto realmente tenga al suo unico figlio. Non hanno che te, Wayne... Sei la cosa più importante per loro, figliolo... Esattamente come lo sei stato per me. Dunque, devi capire che se, in passato, hanno tentato in qualche modo di allontanarti da uno come me, l'hanno fatto esclusivamente per il tuo bene, per timore che saresti finito sulla brutta strada... Plausibile, non trovi? Quale genitore aspirerebbe al male del proprio figlio?
Tuttavia, non sarei tuo zio Fitz se non ti facessi qualche mia tipica raccomandazione, o sbaglio? Ciò che voglio che tu capisca a pieno è che hai bisogno di goderti al massimo delle tue forze ogni singolo attimo che questa stramaledetta vita è in grado di offrirti. Vola via in un lampo, sai? Guarda me... Ho i giorni contati, eppure non rimpiango un singolo attimo, dal momento che ho fatto tutto ciò che potessi fare nel corso dei miei quarantatrè anni. Dunque, nipotino mio, lascia che ti dica una cosa... Ridi, scherza, gioca, balla, urla, ama... Ma al tempo stesso parla con chiunque, piangi, sfogati quando ne senti il bisogno... Lasciati andare e non sprecare un singolo secondo della tua vita, sfruttalo al pieno delle tue forze. VIVI. Ti auguro di non conoscere mai il vero significato della parola rimorso, mio caro.
Godiamoci questa vita, ricordi?
Zio Fitz''
Una serie di lacrime che pare infinita mi sgorga lungo le guance rigate. Tento in ogni modo di farle cessare, fino a quando non ricordo delle perfette parole che mio zio mi ha donato... Sfogati, piangi, lasciati andare. Ed è ciò che faccio... Mi abbandono a me stesso, sprofondando in un pianto liberatorio, colmo di singhiozzi strazianti, di urla di rabbia. Stringo saldo il foglio di carta che è stato in grado, con delle semplici parole, di scuotermi dalla trance in cui sono caduto per tutto questo tempo, sferrando pugni velenosi contro il materasso.
Grazie, zio Fitz.
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