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Capitolo 28: Rivelazioni scottanti

Le mie mani vagano sul suo corpo: prima le sfioro i boccoli dorati, poi scorgo i fianchi formosi ma ben delineati.

Non ci credo ancora, che tutto ciò stia succedendo proprio a me.

Quanto vorrei poter vedere i suoi occhi a mandorla in questo istante.

Un secondo. Occhi a mandorla?
Mi blocco di scatto e mi allontano da Cara, che mi scruta con un'espressione decisamente imbarazzata.
«Mi dispiace», fa lei mordendosi il labbro e scrutando il pavimento con gli occhietti chiari.
Non riesco nemmeno a risponderle. Tutto ciò che mi frulla nella testa, al momento, è di come sia possibile che io, in tutto ciò, mi sia immaginato le rosee labbra di Aubree e quegli interminabili occhi scuri.

Voglio dire... Un tempo avrei fatto i salti di gioia se una come Cara Trainor, cheerleader della squadra di baseball, mi fosse saltata addosso in una maniera tanto bramante.
Eppure, ora, tutto ciò che desidero è lei. Aubree. La ragazza che è arrivata come un uragano a spazzare via la corazza che avevo costruito in tutti questi anni.

«Devo... Devo fare pipì», mi faccio sfuggire, ancora paralizzato dall'imbarazzo.
Lei si limita ad annuire, mentre io mi catapulto fuori dalla stanza.

Ho pensato ad Aubree, solo ad Aubree... Ma come diavolo è possibile?

Ho la testa talmente tra le nuvole che solo dopo una manciata di minuti mi rendo conto di star vagando a zonzo per quest'interminabile corridoio.
Scruto a destra e a manca mentre aziono il mio scarsissimo senso dell'orientamento alla ricerca del bagno.
Apro tutte le porte che mi trovo di fronte, prestando attenzione a non provocare il minimo rumore: non vorrei di certo sembrare un ficcanaso. Sarebbe la ciliegina sulla torta per la giornata più sconcertante della mia intera esistenza.

Scopro un ripostiglio, un salotto, una seconda camera da letto, una piccola palestra, ma del bagno non ve ne è nemmeno l'ombra.
Manca una sola porta ad essere aperta. Non può che essere il bagno.
Per sicurezza, la apro con molta cautela, e con estremo stupore scopro che non si tratta affatto di un bagno, bensì di un'imponente libreria.
Le pareti sono ricoperte di scaffali colmi di libri di ogni colore e dimensione, e sono tentato di oltrepassare lo stipite della porta per dare una sbirciatina.
Tuttavia, dei rumori molesti sull'ala di destra della stanza, mi fanno sobbalzare.
Un ragazzo è seduto sul bordo di un tavolo da biliardo, le gambe leggermente divaricate che consentono ad una seconda figura di stargli vicino.

Stanno amoreggiando in una maniera talmente passionale da farmi venire i brividi.
Pare sia davvero la giornata più sconcertante della mia intera esistenza: ho colto in flagrante una coppia omosessuale flirtare nella libreria di casa Trainor.
Sto per lasciare loro la giusta intimità e levare le tende, quando qualcosa attira la mia attenzione.
La felpa del ragazzo. L'inconfondibile felpa bordeaux del ragazzo, ha lo stesso stemma della squadra di basket.

Ogni dubbio viene smentito quando uno dei due si sistema il vaporoso ciuffo biondo: è senza dubbio quell'idiota di Leroy.
Leroy che se la fa con un ragazzo? Questa è buona.

Ma che diavolo ci fa a casa di Cara?

Troppe domande, davvero troppe domande.

Tutto ciò che mi frulla nella testa però, è una sola parola: Vendetta.
Vendetta per tutto ciò che mi ha fatto passare. Per tutto ciò che ancora mi farebbe passare.

Una foto, una sola foto sconvolgerebbe la sua intera esistenza alla District. Una prova schiacciante per allontanarlo da tutte le ragazze pronte a gettarsi ai suoi piedi.
Per non parlare dei suoi compagni di squadra, omofobi come nessuno al mondo.

Estraggo il telefono dalla tasca dei pantaloni beige, cercando di risultare il più silenzioso possibile e sistemandomi in una posizione che mi consenta di non essere scoperto.
Punto la fotocamera nella loro direzione e faccio lo zoom sperando che la qualità non peggiori eccessivamente. 

Cerco di mantenere il polso il più saldo possibile, e alla fine scatto. 

Un lampo di luce li folgora in pieno, e in un battito di ciglia mi ritrovo completamente paonazzo, con i due ragazzi che si voltano nella mia direzione. Gli sguardi altrettanto allarmati. 

Scattante come una pantera, Leroy dà uno spintone al ragazzo incognito, che crolla come un sacco di patate sul tappeto verde prato del tavolo da biliardo. 
Dopodiché, si avvicina a passo lesto alla mia figura, ancora sgomento dietro la porticina in mogano. 

Come ho potuto essere tanto idiota da dimenticare di togliere il flash? 

Si avventa con ferocia sul mio corpicino, così esile rispetto al suo, mi trascina all'interno della stanza e mi scaraventa contro la parete.
Nel frattempo, il suo amichetto si riabbottona la camicia con fare nervoso. 

  «Non è come credi, Connor.», balbetta, e devo ammettere che quel luccichio timoroso che balena nei suoi occhi mi fornisce una certa carica. Sono io, stavolta, ad avere la situazione in pugno. 

Siccome non rispondo, questo comincia ad innervosirsi. «Se lo dici a qualcuno, io... io...», continua imperterrito, ma quando inarco un sopracciglio rimane decisamente allibito. 

 «Tu?», lo incito, mentre deglutisco scorgendo la smorfia di rabbia comparirgli sul volto. 

Il ragazzo misterioso, nel frattempo, si ricompone. «Bé, Leroy... Grazie degli appunti. Ci si vede in giro, eh?», si congeda incespicando e sorridendo a vuoto, poiché il capitano della squadra di basket non sembra intenzionato a mollare la presa dal mio collo.

Serro forzatamente un occhio, quando capisco che Leroy sta per scoccarmi uno dei suoi pugni in pieno stomaco, ma un lampo di genio varca la mia mente: gli punto il telefono contro, mostrando sullo schermo la foto tanto perturbante. 

 «Un solo click e questa fa il giro della scuola», rimbecco puntiglioso, ma devo ammettere che non appena mi accorgo che la sua fronte si corruga ancor di più e i suoi luridi artigli si stringono sul colletto per poi sollevarmi a mezz'aria, comincio a temere per la mia incolumità. 

«Ne va della tua reputazione», sibilo a denti stretti, consapevole che questa sarà la mossa fatale per lui, la goccia che farà traboccare il vaso. 

Bingo! Per lui la sua firma da uomo virile è essenziale, alla District e come da copione, allenta la presa. 

  «Al diavolo, Connor», ringhia un'ultima volta, prima di farmi cenno di lasciarlo solo. 

Mi sistemo il colletto della polo soddisfatto, e per la prima volta mi defilo indenne a seguito di un nostro incontro. 

Le redini passano a me, ora... Carissimo Leroy. 

***

Per poco non dimenticavo cosa fosse successo prima di tutto questo trambusto: in camera c'è Cara Trainor che mi aspetta... 

Varco la soglia, leggermente meno in imbarazzo di prima, volenteroso di capirne di più. 

Quando mi scorge, un sorrisino tirato balena sul suo volto. «Oh, ce l'hai fatta, finalmente...»
Annuisco. «Sì, ho faticato un poco per trovare il bagno...»
Ridacchia. «Ai piani inferiori, tontolone!»

Oh, ecco. Svelato il misterioso disfatto. 

Mi mordicchio un unghia, ma sono troppo curioso. «Ho visto Leroy Johnson, nel corridoio», dichiaro omettendo il fatto che in realtà ho curiosato fin troppo nei meandri di questo castello. 
«Oh sì, sai... Mia madre e suo padre...», fa una breve pausa. «Bé, siamo fratellastri!»



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