Capitolo 26: Incomprensioni
Il gioco prosegue senza troppi intoppi: ulteriori pomiciate per la ragazza dai capelli rossicci e l'omuncolo di piombo, qualche rivelazione scottante su Tris relativa alle sue temerarie esperienze intime e un'imitazione del coleottero tenebrionide per Cara.
Mentre quest'ultima prosegue nella riproduzione dell'insetto, facendo esplodere in boati di risa tutti i presenti, Tris prende a girare ancora una volta la bottiglia, ormai quasi interamente coperta di sabbia inumidita.
«Ops», prorompe lei inarcando un sopracciglio. «Pare proprio sia il tuo turno, Connor.»
Il collo di bottiglia, in effetti, punta proprio nella mia direzione.
L'ansia che avevo da poco definitivamente sconfitto mi pervade nuovamente, quando mi rendo conto che stavolta non mi è concesso rinchiudermi nel guscio della ''verità''.
Cerco, nonostante ciò, di apparire sicuro di fronte agli occhi di coloro che in questo momento sembrano essere in grado di analizzarmi persino le viscere.
«Obbligo», mi faccio sfuggire, senza rendermene nemmeno conto.
Proprio quando realizzo ciò che ho dichiarato, i volti dei partecipanti si illuminano, facendo comparire un sorriso lievemente inquietante.
Cara, al contrario, mi conforta con una flebile pacca sulla spalla.
«Coraggioso, il tipetto!», esorta Tris massaggiandosi il mento, dopodiché un bagliore le attraversa le iridi scure.
Fa un cenno a un ragazzetto di fianco a lei, nascosto sotto il cappuccio della sua felpa scura.
Non appena quest'ultimo realizza le sue intenzioni, le strizza l'occhio e le porge una strana sigaretta, piuttosto allungata ma al tempo stesso più spessa di quelle classiche.
Deglutisco il grumo di saliva impalato sulla mia lingua, perché non ho affatto una bella sensazione.
Potrebbe semplicemente trattarsi di una sigaretta fatta in casa, no?
Il problema è solo mio, che sono decisamente malizioso, o sbaglio?
Il misterioso sigaro passa di mano in mano, fino a raggiungermi.
Lo afferro per il filtro, già leggermente intriso di catrame, osservando la strana paglietta all'interno della cartina ardere pian piano.
«Forza, su!», mi sprona Tris con aria spazientita, mentre Cara acquista un'espressione leggermente ansiosa.
Avanti, Wayne... Non fare il vigliacco!
Solo un tiro... Che vuoi che sia?
Nell'aria si diffonde un certo suspense, mentre avvicino la sigaretta alle mie labbra.
La racchiudo tra esse e inspiro piano piano, mentre gli altri danno vita ad un coro di esortazione talmente chiassoso da riuscire ad attirare l'attenzione di buona parte della folla al centro della pista.
La gola arde mentre butto giù il fumo intrappolato nel mio cavo orale, ma deciso di fare il gradasso ed osare un po' di più.
Zio Fitz ha detto di godermela a pieno, no?
Faccio un altro paio di tiri, quando percepisco il battito del cuore accelerare notevolmente.
Tuttavia, la sensazione non è affatto spiacevole: in un attimo la tensione accumulata si allevia, i muscoli si rilassano a vista d'occhio, le palpebre cedono e non riesco a fare a meno di sogghignare, accompagnato da tutti gli altri nuovi amici.
Qualcuno proprio dietro di me, però, mi strattona, alleviando così lo stato di rilassamento in cui ero caduto dopo così tanto tempo, finalmente.
La figura alle mie spalle pretende che io mi alzi, dato che non cessa di tirarmi su per la manica della maglia.
Alla fine decido di accontentarla, sollevandomi, per poi voltarmi.
E' Aubree.
Per quale assurdo motivo ha quell'aria incavolata?
Le labbra serrate, la fronte corrugata e le sopracciglia inarcate. E' fuori di se.
«Che diavolo ti prende?», grida facendomi venire una fitta alla testa, mentre fa cenno alla canna che tengo ancora tra le dita.
Mi volto per consegnarla a Tris, quando mi accorgo che tutti quanti ci fissano allibiti.
Probabilmente staremo rovinando il gioco, o forse gli staremo regalando qualcosa su cui confabulare per tutta la prossima settimana.
«Assolutamente nulla», faccio spallucce, per poi ridurre gli occhi a due fessure. «Seguo solo i consigli di zio Fitz!», sussurro divertito.
Ho come l'impressione che stia per esplodere, date le sue guance completamente paonazze.
«Non credo che tuo zio intendesse...», tenta di urlare di nuovo ignorando le occhiatacce indiscrete proprio di fronte a lei, ma cerco di zittirla posandole l'indice sulle labbra, che scopro essere così morbide.
«Quella roba non ti fa bene, sai?», tenta di togliermi il dito invano, ma dal momento che insisto, lo azzanna con un suo canino.
«Ahia, e che cavolo!», strillo come una femminuccia, suscitando le risate di Tris e Cara.
In quel momento, non ci vedo più.
Aubree sta tenendo un monologo sull'importanza della consapevolezza, di quanto la cannabis possa essere dannosa per il nostro organismo, e accenna qualcosa anche alla thc. Una cosa del genere, per lo meno...
Nonostante ciò, sono ancora furioso per la figuraccia che mi ha procurato, e la ignoro bellamente.
«Davvero ti senti in dovere di farmi una predica? Proprio tu?», esclamo senza rendermene conto, mordendomi la lingua.
Le risate dietro di noi cessano di colpo, e l'aria saccente di Aubree svanisce in un baleno.
Tento di riparare al danno appena causato: «Avanti, non intendevo...», tento di giustificarmi con un'aria sinceramente mortificata.
Tuttavia, la ragazza si allontana continuando a scrutarmi negli occhi, con quell'aria disgustata che sembra trafiggermi in pieno petto.
«Cazzo, mi dispiace!», grido cercando di sovrastare la musica a tutto volume.
Come da copione, non mi calcola minimamente. Piuttosto viene accolta da Savannah, che le stringe le spalle in segno di conforto, mentre Benjo mi osserva inorridito, scuotendo la testa.
Con la coda tra le gambe, mi rimetto a sedere come se nulla fosse successo.
La testa gira, la rabbia scompare, e la sensazione di nullità che conosco fin troppo bene si impossessa di me.
E' Tris a rompere il ghiaccio: «Bé?», allarga le braccia. «Che hai detto di male? Lo sanno tutti che è una tossica.»
La fulmino con lo sguardo, mentre Cara fa lo stesso.
Alzo in piedi di scatto e sferro un calcio a vuoto, mentre i chicchi di sabbia si sparpagliano nell'aria, finendo negli occhi dei malcapitati.
«Ma che diavolo fai?», borbotta qualcuno, ma non lo degno di uno sguardo e, spedito, me ne vado. Non ho una meta precisa, ma ovunque sarà meglio di questa gabbia di stronzi.
Sento qualcuno seguirmi a passo lesto, e prego il Signore che si tratti di Aubree.
Forse ha capito che a parlare in quel momento era la thc - o qualsiasi cosa essa sia - e non io. Forse è disposta a perdonarmi!
«Wayne, aspetta!», fa una voce delicata. Una voce così differente, da quella inconfondibile di Aubree.
Aumento il passo, ma la voce non cessa, e continua a pregarmi di darle ascolto, di fermarmi.
Ho raggiunto il parcheggio, quando la mano calda di Cara mi afferra per il polso, costringendomi a incontrare i suoi occhi chiari.
«Mi dispiace, sanno essere dei veri stronzi alle volte», prorompe lei con il fiatone.
Il senso di colpa, tuttavia, mi pervade, quando mi rendo conto che ad essere stronzo, in realtà, sono proprio io.
Scuoto la testa impercettibilmente.
Lei serra le labbra. «Ti porto a casa, va bene?», domanda lei con un tono smisuratamente dolce.
Annuisco. Non posso che accettare, dato che le fitte alla testa prendono a moltiplicarsi.
Mi stravacco sul sedile del suo lucente suv, e socchiudo gli occhi nel tentativo di darmi pace.
Inutile dire che tutti questi tentativi, alla fine, risultano vani.
Per lo meno, Cara sembra leggermi nel pensiero, perché non tenta in alcun modo di dare vita ad una conversazione. Non riuscirei a reggerla, in questo momento.
Si limita ad abbassare il volume della radio quando nota le mie smorfie di dolore, o quando mi premo con insistenza la fronte.
Una volta giunti nel mio vialetto, accosta al lato di casa mia e spegne il motore.
Il suo sorriso smagliante risalta sotto il fascio di luce del lampione proprio sopra di noi.
«Mi spiace davvero...», afferma sinceramente.
«Non ti preoccupare.», mi faccio sfuggire.
Cara, infine, solleva un dito, prima di cominciare a rovistare tra le cianfrusaglie sui sedili posteriori.
Acchiappa un bigliettino e successivamente una penna, utilizza il volante come base d'appoggio e ci scrive sopra qualcosa. La sua folta coda bionda ondeggia ad ogni movimento.
«Questo è il mio indirizzo... Avrei bisogno di lezioni private di biologia», mi comunica lei lasciandomi spiazzato. «Ovviamente ti pagherei. Pensaci!»
«C-certo!», balbetto mentre scendo dal veicolo, per poi osservare il suo sorriso contagioso sparire nel buio della notte.
Mi volto verso la mia imponente casa e strizzo gli occhi in direzione della mia stanza per metterla a fuoco.
La luce è accesa. Aubree...
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