Capitolo 23: Nero su bianco
Mentre Aubree è in doccia, mi ritrovo costretto a bussarle più volte e insistentemente, perché non sembra aver afferrato il concetto del ''Sii il più silenziosa possibile''.
Canta a squarciagola sotto il getto dell'acqua, e stona più volte mentre tenta di raggiungere con facilità le note più alte.
''While we're still young and fearless,
let go of the light, fall in-to the darkside''
Le parole escono ovattate dal bagno, ma al termine di ogni strofa si riducono a stridii disarmonici.
Con un sorriso abbozzato, mi affretto a bussare alla porta ancora una volta, intimandola di abbassare il tono di voce. Obbedisce, ma sento che sta borbottando tra sé e sé.
Mordendomi l'interno della guancia per non ridere, me ne torno in camera. La attenderò lì.
Poco dopo, sento il getto interrompersi, finalmente.
Quando, una decina di minuti più tardi, la porta del bagno si schiude, come intravedo dalla mia cameretta, la vedo avvicinarsi con solo un asciugamano avvolto attorno al busto.
Cerco di nascondere il mio disagio, rigirandomi nel letto, ma capisco di ottenere solo l'effetto contrario quando le mie pupille scrutano ovunque, fuorché nella sua direzione.
Sta per fare capolino in stanza, quando per poco non mi viene un infarto: scorgo Roxelle proprio dietro di lei, in una delle sue posture più aggressive. E' pronta all'attacco, con le orecchie alzate e la coda rizzata, gli aguzzi canini che sporgono, e la sua espressione più aggressiva.
Aubree, non si è ancora accorta della sua presenza, dal momento che canticchia ancora la stessa melodia di poco fa, ma stavolta con le labbra serrate.
Quando nota la mia espressione estremamente allarmata, corruga la fronte.
«Che ti prende? Metti paura», commenta sbuffando in una risatina, inconscia del fatto che, tra qualche istante, a metterle paura non sarò di certo io.
Le faccio cenno di procedere molto lentamente, continuando a fissare profondamente Roxelle negli occhietti neri, troppo concentrata a ringhiare sommessamente contro Aubree.
E' a quel punto che si volta, e succede il finimondo.
Aubree si spaventa, e per un attimo, solo per un attimo, sussulta.
Il tanto per far cominciare Roxelle ad abbaiare combattivamente.
Dopodiché, si appresta ad attaccare, e comincia a correre nella sua direzione. Aubree tira uno strillo, ma io sono più veloce: Riesco a chiudere la porta prima che il mio boxer possa oltrepassarla.
Udiamo un mugolio di sconfitta, e poi il suo zampettare che si allontana nel corridoio buio.
Tiro un sospiro di sollievo, ma spero che i miei non si siano alzati. Sarebbe la fine.
Per precauzione, chiudo nuovamente la porta a chiave.
Mi rivolgo ad Aubree, furioso. «Ti avevo detto di prestare attenzione a Roxelle», esclamo in un sibilo surreale.
«E chi diavolo è, Roxelle?», poi evidentemente collega, poiché prorompe con un: «Ooooh», sinceramente desolata.
Alzo gli occhi al cielo, e sprofondo nel mio letto, afferrando il telecomando e iniziando a fare zapping alla TV.
E' piuttosto taciturna, quando mi accorgo che si sta guardando attorno, con aria indagatrice.
«Ops», fa lei, e si morde il labbro, cercando di trattenersi dal ridere.
Già prevedo il peggio: «Che succede, ora?», sbotto, ancora agitato per la sua sbadataggine.
«Lo zaino. E' in bagno», inarca le sopracciglia, stringendosi nell'asciugamano. «Tutte le mie cose sono lì dentro...»
«Accidenti, Aubree!», la rimprovero mentre mi appresto ad alzarmi per aprire la porta, ma Aubree non sembra turbata, dal momento che non cessa di canticchiare la canzoncina, che comincia ad infastidirmi.
Una volta girata la chiave nella serratura, apro la porta, per richiuderla subito.
Mi ci appoggio con la schiena: Roxelle è ancora lì, pronta all'attacco.
«Bé...», comincio. «La via non è ancora accessibile.»
Faccio per avvicinarmi al mio armadio, dal quale estraggo un paio di vecchi boxer che usavo alle medie con la banda elastica, e una larga maglietta grigia che utilizzo quando papà vuole che lo auti con il giardinaggio.
Quando gliele porgo, l'idea che ho avuto mi sembra così malsana. Così peccaminosa.
Mi sento come se le stessi lanciando una di quelle proposte indecenti.
Lei, tuttavia, non sembra affatto scossa. Quale novità, eh?
«Bé... Voltati, no?», fa lei con aria impaziente, il che non fa altro che peggiorare le mie considerazioni da maniaco.
Annuisco, impacciato.
Ci provo in ogni come, a non pensare a lei, nuda dietro di me. A pochi passi da me.
Provo a concentrarmi sul muro bianco di fronte a me, ma, nemmeno lui può aiutarmi.
Il cartongesso bianco si trasforma nell'immagine della sua schiena, così indelebile nella mia mente.
Così liscia, candida quanto la porcellana. Le costole che sporgono leggermente, per poi seguire la colonna vertebrale, su cui è impressa la piccola freccia d'inchiostro.
Una parte di lei... Un'indelebile parte di lei.
Nero su bianco.
Incredibile quanto quell'immagine si sia marchiata nella mia mente.
Si è stanziata lì, e sta lottando con le unghie e con i denti per non uscirne.
Non credo ne uscirà gran presto, comunque.
Un tonfo mi distrae dai miei pensieri: è sprofondata nel letto. Nel mio letto.
«Eravamo d'accordo che oggi sarebbe toccato a me!», le ricordo, con l'amaro in bocca per la soffiata appena ricevuta.
Fa una smorfia. «Suvvia, Wayne Connor...», utilizza il nome intero per provocarmi. «Fammi rimanere, solo per un po'».
Alzo gli occhi al cielo, ma è lei ad avere la meglio... Come se fosse necessario renderlo esplicito, no?
Faccio per accovacciarmi sul pavimento, dove le coperte sono ancora lì, a ricordare la mia poca fermezza nel farmi rispettare.
«Che stai facendo?», domanda, come se fosse la domanda più ovvia al mondo. «Vieni qui», dà una pacca flebile contro la parte libera del materasso, che ondeggia sotto di lei.
Sussulto. E' seria?
Dal momento che pare impassibile, a quando pare lo è.
Non le tolgo gli occhi di dosso, mentre mi avvicino al letto nel tentativo di apparire sicuro, così da poter verificare ogni qualsivoglia traccia di ironia nelle sue parole.
Tuttavia, non ve ne sono.
Prendo posto di fianco a lei, e per poco non mi domando se si tratti di un sogno.
No, è reale, perché mi sta toccando. Mi sveglierei, se qualcuno in sogno mi toccasse, giusto?
E' qui, tangibile, inspiegabilmente accovacciata al mio petto. Che sembra essersi tramutato in un tronco di quercia, da quanto sono rigido.
E' così carina, con indosso dei vestiti di tre volte la sua taglia. Vestiti miei, per giunta.
Inspiro affannosamente, ma spero non ci faccia troppo caso. Sento il profumo dello shampoo alla camomilla di mia madre. Ma, mi spiace mamma Ingrid, ad Aubree dona molto di più.
«Ti va di vedere un film?», propone con aria assonnata, ed io annuisco.
Con le mani tremanti, afferro il telecomando e passo in rassegna tutti i film che mi sono preso la briga di scaricare oggi, dato che ero a conoscenza del fatto che avrei avuto ospiti, questa sera.
Mi tocca la mano per fermarmi, quando adocchia qualcosa che le interessa.
«Spirit, cavallo selvaggio», decide, senza consultarmi nemmeno, ma decido di non obiettare...
Forse perché non voglio innescare un dibattito che rischierebbe di aumentare la distanza tra noi.
Mi stupisco di aver pensato ad una cosa tanto... Non da Wayne Connor.
«Da Snoopie a Spirit?», rido. «Caspita, facciamo passi da gigante!», la sbeffeggio.
Mi tira un colpetto sulla guancia, ma sono contento che non tiri fuori la questione ''Mickey Mouse''.
***
Inutile dire che a metà film, Aubree è già nel mondo dei sogni ed io sono costretto a concluderlo in solitudine. Odio non portare a termine ciò che comincio... Deve essere una mia assurda fissazione.
Bé, non che Aubree sia stata di grande compagnia: si è limitata a stiracchiarsi di continuo, a sbadigliare sonoramente e a rigirarsi su se stessa.
Siamo al punto in cui Spirit e Pioggia si rincontrano, e se vanno via, piantando in asso Piccolo Fiume, su una di quelle lande selvagge.
Ricordo che da piccolo versavo cascate di lacrime ogni volta che mi concentravo su questo film: Odiavo pensare a Piccolo Fiume come un indiano d'America solo e abbandonato.
Poi, però, arrivava la scena in cui Spirit e Pioggia raggiungevano la mandria di cavalli, tra cui la madre del puledro protagonista. E quando cominciavano a correre, liberi e selvaggi come la natura dovrebbe essere, capivo che ne valeva la pena.
Sorrido quando un pensiero varca la mia mente: Spirit somiglia ad Aubree.
La osservo, con quegli occhietti a mandorla chiusi delicatamente, le ciglia folte.
Aubree è uno spirito libero, giusto? Esattamente come Spirit, che ha tramandato la sua audace natura a Pioggia, nonostante inizialmente fosse piuttosto restia.
Mi permetto di far vagare ancora, giusto un po', la mia mente... Chissà se, un giorno o l'altro, potrò essere anche io come Pioggia. Chissà...
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