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Capitolo 19: Un nascondiglio per due

So per certo che tutto ciò che ho vissuto poco fa rimarrà impresso per il resto del mio tempo nel libro della mia memoria. 

Un libro che raramente ho consultato, le cui pagine sono colmate solamente da alcuni abbozzi, la maggior parte dei quali inutili. 
Bé, per lo meno fino a questo periodo. 

Mai prima di oggi mi sarei sognato di vivere un'esperienza tanto forte. 
Il tuffo, la mia discesa in picchiata, gli occhi che faticavano ad aprirsi per via della velocità con la quale fluttuavo nel vuoto, il terrore che andava gradualmente ad amalgamarsi con l'adrenalina: Una novità così inconsueta, l'adrenalina...

Non scorderò mai gli strilli ovattati della gente che esultava per me, con me.
Un suono così piacevole e travolgente al tempo stesso, intensificato gradualmente, per poi esplodere una volta raggiunta la superficie dell'acqua. 
I volti esaltati dei partecipanti che urlavano il mio nome, io che sollevavo entrambe le mani, e poi lei... Colei che saprei riconoscere anche in mezzo ad una marea di persone, quella che spicca come una rosa rossa in quel giardino ben curato, ma popolato solo da margherite, così immutabili tra loro.
Il suo sorriso a trentadue denti coperto dalle sue mani tremanti, gli occhi spalancati dalla frenesia, mentre saltellava con tutta l'energia che aveva in corpo, scrutando a destra e a manca, ancora incredula per l'azione tanto avventata da parte mia. 

Non riesco a farmi sparire questo dannato sorrisetto dalla faccia, mentre percorriamo la strada di ritorno per raggiungere la spiaggia. 
«Dio, Wayne... Non posso credere tu l'abbia fatto!», mi ripete Aubree per l'ennesima volta, facendomi sbuffare nuovamente in una risatina, per celare il lampante imbarazzo che vi si nasconde dietro. 
 «Nemmeno io», replico sinceramente, poiché effettivamente è così. Voglio dire, chi mai si aspetterebbe tuttò ciò da Wayne Connor?

Ovviamente, la gara non è stata vinta da me, bensì da un certo Kim Trainor, alto e ben piazzato, che ha piroettato senza alcuna obiezione fino all'impatto del lancio. 
Ma che mi importa? Mi sento vivo come mai prima, ed è questo ciò che conta.

Benjo mi tira una pacca sulla spalla, riscuotendomi dai miei pensieri: «Davvero coraggioso, amico.», si complimenta. 
 «Io sapevo ce l'avresti fatta», interviene poi Savannah, strusciandosi le unghie laccate di nero sulla spalla, con un'espressione saccente in grado di farci esplodere in un'omerica risata. 

 «Vi ringrazio, ragazzi», affermo tentando di nascondere con la mano il mio volto paonazzo.  «Ma se non fosse stato per qualcuno...», comincio, prima di prendermi una pausa per inspirare. «Col cavolo che l'avrei fatto!», confesso, riferendomi a zio Fitz. 

Benjo annuisce sorridente, prima di arrestarsi, per poi portare le mani ai lati della bocca. 
«Ehy tu!», grida, con lo sguardo rivolto al cielo.  «Immagino sarai fiero di lui, eh?»

Le parole non mi escono di bocca, ma percepisco qualche lacrima inumidirmi l'iride. 
Come potrei mai ringraziarvi, ragazzi?

Continuiamo a camminare, ricordando gli eventi più clou degli ultimi tempi, tra schiamazzi e risate soffocate. 
E' questo, proprio questo, che ho sempre desiderato... E, di certo, non potrei chiedere di meglio. 

***

Una volta giunti alla spiaggia, Benjo strabuzza gli occhi quando si accorge dell'ora che si è fatta. 
 «Cazzo», esclama. «Farò tardi al lavoro, sbrighiamoci!», ci avverte cominciando a dirigersi verso il furgone, seguito da Savannah ed Aubree.

Io, però, rimango fermo, strisciando i piedi nudi nella sabbia ormai bollente. 
  «Io rimango... Me la faccio a piedi.», li avviso. «Ci si vede, ragazzi.», li saluto. 

Benjo dà un'alzata di spalle e prosegue il suo cammino, Savannah mi saluta con un cenno di mano ma Aubree si blocca di scatto, voltandosi verso di me sorridente. 
  «Ti faccio compagnia», si offre facendomi sobbalzare. 

I raggi del sole, che sta cominciando a calare, fanno scintillare il piercing sul padiglione auricolare, e il suo volto sembra essersi arrossato leggermente: il pomeriggio sotto il sole deve averle procurato una lieve ustione. Povera lei. 

«Non ti preoccupare, non ce n'è bisogno», affermo dopo un respiro profondo, nel tentativo di non balbettare. 

 «Insisto», fa lei prendendomi per il polso e trascinarmi via, facendomi gelare il sangue per questo improvviso contatto, che tuttavia cessa dopo una dozzina di minuti, passati in silenzio. 

Il rumore delle onde che si infrangono sugli scogli rocciosi, il panorama di un tramonto talmente emozionante, la sabbia che scotta sotto i piedi e la ragazza più strana che io abbia mai conosciuto proprio di fronte a me. 
Il suo caschetto corvino che ondeggia sotto le folate di vento, il suo top bianco la cui scollatura posteriore lascia intravedere la pelle chiara della sua schiena. 

Sono certo che, se potessi sfiorarla anche solo per un secondo, scoprirei la pelle più morbida della faccia della Terra. 

  «Davvero una figata, questa storia di tuo zio.», afferma dandomi le spalle, nonostante io possa percepire le fossette ben visibili sulle sue gote rosse.
Annuisco. «Già. Proprio una figata!», ripeto. 

Lei si volta, continuando a camminare all'indietro, e mi scontro con i suoi occhi a mandorla, così neri da far paura. 
Ancora mi domando come sia possibile non riuscire a distinguere la pupilla dall'iride: sono streganti, ipnotici. 

  «Credi continuerà?», domanda portandosi un dito sulle labbra carnose, donandomi un'espressione infantile ma altrettanto adorabile, in grado di farmi fremere. 

Alzo le spalle. «Non ne ho idea... Lo spero, però»,confesso. 
D'altronde è come se si trattasse di un modo per mantenere i contatti con mio zio, anche a seguito della sua morte. E io non sono di certo disposto a lasciarlo andare. 

Lei annuisce, quando una goccia mi colpisce in piena fronte. 
Solo ora mi rendo conto che il cielo, sopra di noi, si è oscurato, nonostante dall'orizzonte il sole sia ancor ben visibile. 
Pioggia. 
Ho sempre amato la pioggia. 
E' esattamente come me: fredda, umida, glaciale. Ecco perché mi sono sempre trovato a mio agio, con lei. E' sempre stata mia amica, poiché io la apprezzo quando gli altri la discriminano. 

In un attimo, le goccioline si moltiplicano, per poi triplicarsi e ancora quadruplicarsi. 
La sabbia comincia ad inumidirsi, e così anche noi stessi. 
  «Accidenti», esclama lei in maniera divertita, prima di prendermi nuovamente per il polso. 
Stavolta, però, sorrido, e non mi lascio trascinare... No, corro con lei. 

  «Conosco un posto dove ripararci fino a che non si sarà calmata!», urla, nel tentativo di osteggiare l'assordante rumore dello scrollo. 
Annuisco, cercando di starle dietro, dirigendoci come fulmini all'interno della pineta. 
Corriamo come pazzi, ridiamo come pazzi. I suoi capelli cominciano ad aderire alla fronte, i vestiti sono impregnati d'acqua fredda, eppure non posso fare a meno di percepire questa strana sensazione di calore accrescermi nel petto.

 «Eccoci arrivati», esclama lei col fiatone, fermandosi in mezzo ad una piazza dal terreno umido, in mezzo alla pineta. 
  «Dove diavolo dovremmo ripararci, qui?», domando ridendo all'impazzata, cercando di riprendere fiato dalla corsa poggiandomi sulle mie stesse ginocchia. 
Lei fa un cenno con la testa verso l'alto, e una volta seguito il suo sguardo, scopro una casetta in legno costruita proprio sull'imponente ramo di un'ingente quercia. 

 «Non ci credo», esclamo alzando gli occhi al cielo, suscitando in lei l'ennesima risata. 
  «Forza, brontolone!», mi schernisce lei con una gomitata, prima di dirigersi verso le scale legnose che condurranno al suo interno. 

Non nego che la curiosità in me comincia a divampare notevolmente, così la seguo subito. 
Non siate maliziosi, non lo faccio per osservarle il sedere, che in questo momento ondeggia proprio sopra di me. Almeno credo...

Una volta raggiunta la fatidica casetta, che scopro essere spoglia, ad eccezione di una copertina sui toni del beige e qualche libro sparso qua e là sul pavimento, ci accovacciamo su di esso, scrutando fuori dalla finestra la tempesta che sta sconvolgendo Santa Barbara con la sua potenza. 

«Benvenuto nel mio umile posticino segreto», mi accoglie lei spalancando le braccia, prima di strizzarsi i vestiti completamente fradici. 
«Davvero notevole», commento, allungandomi per cercare di acchiappare uno dei libri che giacciono al suolo. 
Per poco non le rido in faccia. «Snoopie? Ma sei seria?», la prendo in giro sfogliando le pagine del fumetto, prima che lei se ne accorga e me lo strappi di mano. 
 «Oh, smettila!», aggrotta la fronte con fare infuriato. «E' divertente!», esclama con estrema convinzione. 
Io strabuzzo gli occhi e inarco un sopracciglio. «Sì, ti credo sulla parola...», proseguo nel mio scherno prima che lei cominci a colpirmi più volte con l'oggetto preso in causa, facendo gocciolare i capelli bagnati ovunque.

  «E va bene, va bene! E' fantastico!», dichiaro, infine, con una nota di sarcasmo, pur di cessare questo martirio. 
Lei si placa soddisfatta e, incrociando le braccia, comincia a perlustrare l'area al di fuori del suo nascondiglio. 

 «Ho sempre amato la pioggia.», confessa sorridente.  «E' fredda e madida, sì, eppure trovo che sia una delle cose più giocose e briose sulla faccia della Terra.»

La osservo con fare stupito... Le mie labbra schiuse e gli occhi increduli. 
Ma è reale?

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Eccomi qui, con un nuovo capitolo... Vi è piaciuto?
Spero non sia risultato troppo lungo.

Domanda: E voi? Avete un posto in cui potervi nascondere? Stare soli a pensare? Fatemi sapere ;)

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