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Capitolo 17: Lucy 27

  «Forza Wayne, scendi di lì e raggiungi il vecchio zio Nesto», insiste lui con un marcato accento portoricano, a cui solo ora faccio caso. 
Il proprietario della barca in cui mi sono intrufolato, nel frattempo, fa un cenno rassegnato in direzione del molo, probabilmente intimandomi di levare le tende. E così faccio. 

I ragazzi, impalati come statuette di sale, non distolgono lo sguardo da me nemmeno per un secondo. 
Si staranno sicuramente domandando che diavolo stia succedendo qui. 

Il signor Nesto ci accoglie all'interno della famosa Lucy 27, ancora sotto gli occhi attenti e infastiditi del ragazzo del ''battello della porta accanto''. 
Aubree, Savannah e Benjo si guardano pensierosi mentre io raggiungo l'anonimo signore dalla pelle piuttosto abbronzata: le due ragazze si aiutano a calarsi all'interno, nel tentativo di non perdere l'equilibrio, mentre Benjo, con un balzo scattante, ci riesce senza alcun tipo di problema. 

  «Venite, mis amigos», ci invita Nesto, mentre si dirige verso una minuscola cabina. 
Una volta al suo interno, ci esorta a prendere posto attorno ad un tavolino in legno a cerchio, e leggermente turbati, decidiamo di obbedire. 

Ne approfitto per scrutare attorno a me: le pareti bianche donano una sorta di sensazione claustrofobica allo spazio già talmente ristretto, tuttavia le piccole cornici in legno ritraenti svariati paesaggi marini consentono di rendere l'atmosfera subito più accogliente. 

I ragazzi continuano a non capire, e mi sollecitano con lo sguardo a domandare a questo strano signore dal marcato accento spagnolo per quale assurdo motivo siamo capitati qui. 
Nesto, nel frattempo, prende posto stappandosi una birra, mentre si gratta con estrema non-chalance il pancione ben rotondo. 

Dopodiché ci scruta uno ad uno, soffermandosi per un tempo che mi pare infinito sul fanciullesco visino di Aubree. Che diamine gli prende?

Comincio a domandarmi se non si tratti di un vecchio pervertito, e dal momento in cui sembra non avere intenzione di levarle quei suoi luridi occhi di dosso, decido di infondermi coraggio. 
Deglutisco, prima di smorzare questo inspiegabile silenzio. 
  «Per quale motivo mi... Mi trovo qui?», domando con una nota di incertezza. 
Nesto schiude la bocca in un sorriso, dal quale intravedo un dente dorato celato tra gli altri, in contrasto con la raggrinzita pelle abbronzata. 
  «Bé...», comincia. «Eccoti qui, eh?»

Le sue parole mi suonano incomprensibili, e comincio ad essere stufo di tutto questo dannato mistero. Eccomi dove? Per quale motivo mi conosce? E che diavolo c'entra questo in tutta la storia?
Aggrotto la fronte, seguito da tutti gli altri che mi imitano.
  «Non credo di star capendo...», ammetto, diventando paonazzo all'instante. 
Nesto esplode in una fragorosa risata, lasciandomi ancora più interdetto. Savannah, invece, è l'unica che sembra divertita da tutta questa situazione inverosimile. 
  «Come immaginavo... E sì che mi aveva avvisato della lentezza del tuo comprendonio!», mi prende in giro.
Ho i nervi a fior di pelle, tuttavia cerco di infondermi coraggio e continuare nella mia ardua impresa indagatrice. 
«Di chi sta parlando?», domando con la voce strozzata dalla rabbia. 

Nesto si fa serio in un batter d'occhio, abbandona la birra sul tavolino e passa in rassegna i nostri volti ancora una volta. 
Dopo un lungo sospiro, si allunga sulla sua seggiola nel tentativo di acchiappare una delle innumerevoli fotografie appese alla parete. 

«Se volete seguirmi...», fa lui prima di alzarsi e stiracchiarsi, mentre tiene salda tra le sue mani il misterioso quadretto.
Usciamo dalla stessa porta dal quale abbiamo fatto il nostro ingresso, per poi intrufolarci all'interno di una seconda cabina dalle dimensioni analoghe alla precedente. 

Ha per caso intenzione di farci fare il giro dell'oca? Perchè non va dritto al punto?
 «Questo è pazzo...», mi sussurra Benjo in un orecchio. Tuttavia tento di ignorarlo: sono già abbastanza agitato per conto mio. 
La cabina comprende un letto striminzito, un piccolo cassettone all'angolo, sulla quale è posato uno scatolone in cartone, e una piccola seggiola in vimini, proprio accanto ad esso. 
Nesto si rivolge a noi, allargando un braccio prima di posarselo sul fianco
  «Eccoci qui, amigos», mi dice porgendomi la fotografia che teneva stretta fino a poco tempo prima... Ritrae due uomini su uno scoglio, che si cingono le spalle a vicenda mentre contemplano un tramonto sul mare. L'acqua luccicante per via dei raggi solari, la schiuma che si infrange contro le imponenti rocce. 

Posso quasi percepire la brezza marina riempirmi le narici. 

  «E' senza dubbio una bella foto», ammetto, cercando di abbozzare un sorriso.  «Ma questo che cosa c'entra con me?»
Nesto alza gli occhi al cielo, come se si trovasse di fronte alla creatura più ottusa sulla faccia della Terra. Dopodiché si avvicina a me: indica uno dei ragazzi, quello dalla corporatura più robusta e dalle spalle più larghe. «Vedi... Questo sono io.», confessa, mentre i tre, proprio dietro di me, si spintonano per riuscire a dare un'occhiata.
In effetti, il cappello da pescatore che indossa è lo stesso che porta ora.
  «E questo...», indica l'apparente amico nella foto. «Questo è tuo zio, il caro e buon vecchio Fitz.», il tono carico di amarezza. 

Mi si serra la gola, gli occhi cominciano a bruciare, le dita a tremare. 
Percepisco Aubree, Savannah e Benjo immobilizzarsi alle mie spalle. 
Una timida mano, poi, si posa sulla mia spalla, come per confortarmi: dalla sua pallidezza non posso far altro che attribuirla ad Aubree. La stringo a me, facendomi forza. 

«Mi spiace per la tua perdita», esordisce Nesto, osservandomi annuire. «Era un grand'uomo...», continua.  «E' qui che stava, quando passava a trovarmi... Sai, dopo il trasferimento da San Juan a seguito della morte di Lucy, mia moglie, lui mi è sempre stato accanto.», si siede sulla seggiolina, affranto dalla marea di strazianti ricordi che gli invadono la mente. 

Una lacrima mi riga la guancia, ma mi affretto ad asciugarla. 
Nesto, fortunatamente, sembra aver smesso di fare il beffeggiatore, e lo ringrazio per questo. 
  «E' stata lei a spingermi a venire qui, in California. A viaggiare...''E' la tua passione'', mi diceva sempre. ''Vivila per me''.» sorride con lo sguardo perso. «E tuo zio, bé... E' stato il mio compagno di avventure. Mi raccontava sempre del suo adorato nipotino Wayne...»

Tira su con il naso, prima di avvicinarsi alla porta. 
  «Prenditi pure tutto il tempo che ti serve...», concede lui prima di lasciarci soli. 

Mi lascio andare sulla sedia in vimini... Ora so quello che devo fare. 
«E' stato lui a portarmi qui...», penso ad alta voce, scattando in piedi e spalancando gli occhi. 
I tre sgranano gli occhi. 
 «Che?», domanda Savannah più confusa che mai. 
Io scuoto la testa. «Mio zio... Mio zio! Come diavolo ho fatto a non pensarci prima?», mi schiaffeggio la fronte, mentre comincio a scrutare ovunque nella stanza: frugo nello scatolone sopra il cassettone ma ci trovo solo bottiglie consumate o qualche straccio, tra i cassetti ma sono tutti vuoti. «Deve esserci un biglietto, da qualche parte.»

Ignoro gli sguardi spaesati dei tre, quando mi accorgo del fatto che Aubree sta tentando di aiutarmi: tasta tra le coperte del letto, osserva sotto lo stipite della porta, solleva in parte il cassettone, ma del bigliettino nessuna traccia...

Savannah sembra spazientirsi: «Si può sapere cosa sta succedendo?», domanda osservando prima me, poi Benjo, che fa spallucce. 

Mi lascio sprofondare sul materasso usurato, arrendendomi. 
  «Niente, credo proprio di stare impazzendo... Ho sbagliato tutto.», ammetto, sentendomi ancor più stupido di quanto io già non sia. 
Aubree mi raggiunge, affiancandomi sul letto. «Noi ti ascolteremo...», mi incoraggia mentre  comincia a dondolare le gambe avanti e indietro. 

Annuisco, più affranto che mai. 
  «Vedi...», comincio, quando un tonfo sordo proviene da sotto il letto. 
Il mio sguardo e quello di Aubree si incrociano, mentre un barlume di speranza si fa strada in me. 
  «Il mio piede ha toccato qualcosa!», esclama lei sbarrando gli occhi, in preda alla trepidazione. 

Ancora una volta, ci spintoniamo per riuscire a raggiungere per primi il prossimo mistero che si celerà sotto il letto. 
Scopro trattarsi di qualcosa di decisamente pesante, una volta trascinatolo fuori: è uno scrigno, uno scrigno in bronzo tutto polveroso. 

L'ansia si impossessa di me in un batter d'occhio, quando giro la manovella e lo apro: conchiglie, conchiglie ovunque. Di ogni forma, colore e dimensione.
Frugo con impazienza al suo interno, ed eccolo lì... 

''WC'', le mie iniziali in rosso, spiccano in un lampo su quel foglio malandato. 






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