Capitolo 14: Incomprensioni
Incamminarmi da solo, sperduto nel bel mezzo dell'ignoto buio pesto non è stata una buona idea. Tuttavia, la sensazione di nullità mi ha invaso a tal punto da non lasciarmi alcuna scelta: me la sono svignata.
Non ho la più pallida idea di dove mi trovi, e i miei piedi cominciano ad indolenzirsi, quando finalmente un cartello a me familiare compare di fronte ai miei occhi stanchi: ''Cinnabar Street''. Due viali più in là e avrò raggiunto la mia umile dimora.
Una volta arrivato, sto per imboccare l'ingresso al mio cortile, quando un singhiozzante lamento giunge alle mie orecchie. Chi diavolo può essere, alle tre e mezza di notte?
Scruto a destra e a sinistra, cercando di sfruttare al meglio il mio sviluppato senso dell'udito.
E' Maisie Cook, seduta sul bordo del marciapiede cementato di fronte alla mia villetta.
Alzo gli occhi al cielo proprio quando, automaticamente, mi sto avvicinando alla sua figura... Dannata emotività!
E' rannicchiata su se stessa, mentre si copre il volto con le esili manine. Indossa ancora quel teatrale abito in tulle chiaro, che si gonfia attorno alla sua minuta figura.
«Che... che ti prende?», azzardo balbettando, presagendo una sua reazione poco cordiale.
Alza il volto, finalmente... Il trucco sugli occhi di poche ore prima le cola giù fino al mento, le labbra corrugate in una smorfia infausta, le mani inumidite dalla quantità ingente di lacrime emesse...
Si strofina gli occhi insistentemente, peggiorando solamente la situazione.
«S-Se ne sono andati tutti...», riesce a farsi uscire tra un singhiozzo e l'altro.
Dato il suo sforzo, e dato il senso di colpa che in questo preciso istante sembra inghiottirmi, decido di appostarmi proprio di fianco a lei, osservando compiaciuto il suo volto scuotersi leggermente dallo stupore, prima di aggrottarsi.
«Anche tu, tra l'altro...», mi fa presente sferrandomi un'occhiata in grado di farmi gelare il sangue. Deglutisco.
«Avevo... Avevo un impegno!», mento, nel tentativo di giustificarmi, ma dopo un attimo di auto-convincimento rivelo il tutto, sotto la spinta del suo sguardo minaccioso.
«E va bene, mi dispiace, okay?», non riesco a guardarla negli occhi, tuttavia lei non si smuove più di tanto. «Non è colpa tua, davvero... E' che Trevon...», inizio, nel tentativo di rassicurarla.
«Lo so, la festa di Trevon... E so anche che non è colpa mia!», si infonde la carica da sola. «Avanti, la mia festa è stata favolosa!», si esalta, cambiando umore nel giro di mezzo secondo.
Avevo completamente rimosso questo suo mutevole temperamento. Le sue sottili labbra si aprono in un mezzo sorriso, dopodiché mi guarda. «Sono gli altri che sono degli idioti!», ghigna strizzandomi l'occhio, mentre io cerco di ricambiare con un sorrisino tirato.
In un certo senso ammiro la sua sicurezza: Maisie è sempre stata una ragazza criticata da chiunque per la sua infantilità in certi campi, per le sue passioni stravaganti, per il suo aspetto particolare. Eppure, se n'è sempre infischiata bellamente!
I suoi occhi umidi luccicano leggermente sotto la luce proveniente dall'alto lampione proprio sopra di noi... Sbatte le palpebre un paio di volte, mentre nell'aria si fa strada un silenzio più che assordante.
La distanza tra noi diminuisce secondo dopo secondo, dal momento che si sta avvicinando, socchiudendo gli occhi e divaricando leggermente le labbra. Ma che...?
Scatto in piedi. «Si è fatto tardi», fingo di controllare l'orologio da polso che scopro non indossare, per poi oltrepassare la carreggiata deserta e sgattaiolare dietro la porta del mio rifugio.
Il respiro affannoso. Cosa diavolo è appena successo?
***
Sono giorni che non rivolgo la parola ad Aubree, Savannah e Benjo.
Più precisamente... Quattro giorni, cinque ore e trentadue minuti.
Ad essere sinceri non vi è una ragione ben precisa: Siamo troppo diversi, no? Basta guardarci, non combaciamo affatto! Loro sono così... Così strani, e io? Io sono scrupoloso in tutto.
Loro hanno tentato più volte un approccio, in questo periodo: Aubree in particolar modo, ma io sono sempre riuscito a svignarmela, cavandomela con un sorriso forzato.
E ora eccomi qui, costretto a dover passare un'ora abbondante del mio prezioso tempo con una delle persone che tento di evitare a tutti i costi.
Mi dimeno su una delle sedie dell'Aula di Consulenza, nel tentativo di trovare la posizione più comoda così da non dovermi muovere troppo durante la lezione.
La sedia di fianco a me è vuota. Solitamente è la postazione di Aubree, e a quanto pare sembra essere definitiva, dal momento che nessuno dei presenti muove un muscolo per occuparla.
Non è ancora arrivata, a quanto pare...
Julienne, la tutor, tuttavia decide di cominciare l'orbita di domande relative alla settimana appena trascorsa.
C'è chi racconta della sua situazione complicata a casa, chi invece si sfoga per un'amicizia finita in maniera brusca, chi versa qualche lacrima per il defunto Labrador che amava tanto.
«Wayne...», mi richiama Julienne. «E' successo qualcosa che valga la pena di raccontare, questa settimana?»
Bé, sto evitando in ogni come l'unico gruppo di ragazzi che si sia degnato di considerarmi loro amico e sono evaso da una festa solo per aver assistito al bacio tra un pompato e una ragazza che conosco appena... Niente di che...
Per tutta risposta, scuoto la testa, come mio solito.
La porta si apre, e alla velocità della luce qualcuno si piomba all'interno dell'aula: Aubree.
I capelli leggermente umidi e il respiro affannato, probabilmente dovuti alla corsa affannosa dei minuti precedenti, gli occhi socchiusi dalla stanchezza.
«Scusate il ritardo!», esclama a gran voce tenendo saldo il bracciolo dello zaino, per poi sedersi senza scrupoli di fianco a me.
«Giusto in tempo, Aubree. Hai qualcosa da condividere?», domanda Julienne con il solito tono delicato.
La ragazza dai vispi occhi a mandorla, ovviamente, non si lascia sfuggire l'occasione, e si sistema come suo solito al centro della stanza.
«Questa settimana è stata... diversa», comincia massaggiandosi il mento in movimenti circolari. «Sono leggermente spiazzata... Ho conosciuto una persona, no?», prosegue poi, mentre il mio cuore, inspiegabilmente, prende a battere con un ritmo più veloce.
Julienne annuisce, sgranando gli occhi nel tentativo di riuscire a concentrarsi a pieno.
«Ecco... Era simpatico, gentile, forse leggermente ingenuo...», continua... «Ma era a posto!», esclama in seguito allargando le braccia con fare rassegnato.
Come può Brown della squadra di football essere considerato ingenuo? Non me ne capacito, ma continuo ad ascoltare.
«Bé, tutto d'un tratto non si è fatto più vivo... Ed io non trovo una singola motivazione!», prorompe infine, scoccandomi un'occhiata accigliata.
Ma che le prende? Contempla di fronte a tutti gli stupidi dilemmi con la sua nuova fiamma e si rivolge a me con quello sguardo? Mah, le donne, valle a capire...
Julienne, nel frattempo, dà il via ad uno dei suoi interminabili monologhi che hanno l'obiettivo di tranquillizzarci, tra cui quelli relativi al fatto che quanto avvenuto sia del tutto consueto, dal momento che la fase dell'adolescenza è tipica di tutti quei via vai di nuovi amori, nuove conoscenze e nuove amicizie.
«Vedrai che tornerà da te con la coda tra le gambe!», scocca infine ad Aubree un occhiolino, che soddisfatta torna alla sua posizione iniziale, più silenziosa che mai...
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Eccoci con un altro capitolo!Che ne dite?
Cosa pensate riguardo al discorso della nostra Aubree?
E di Wayne, invece?
FATEMI SAPERE CON UN COMMENTO.
Alla prossima :*
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