Capitolo 11: Offuscato
Alzo gli occhi al cielo, roteando le pupille.
«Si può sapere che ci fai tu, qui?», ringhio rivolgendomi ad Aubree, guadagnandomi così un'occhiataccia da parte del suo amico Josè, che sfrega con insistenza dei bicchieri con un panno umido.
La ragazza butta giù il liquido trasparente in un solo sorso, mentre inarca le sopracciglia e aggrotta la fronte, probabilmente per via della sua gola in fiamme.
«Potrei farti la stessa domanda, sai?», replica dopo un attimo di ripresa.
Non ho idea di come controbattere, al che, nel tentativo di colmare i miei silenzi la imito, inghiottendo quella sostanza ardente con estrema riluttanza.
In un attimo, percepisco la medesima smorfia di Aubree colpirmi in pieno volto: la gola sembra sul punto di prendere fuoco, la lingua pare trafitta da un milione di aghetti microscopici, gli occhi prendono a riempirsi di lacrime.
A mia insaputa, nel frattempo Aubree ha richiamato silenziosamente l'attenzione di José, che si appresta a riempirci i bicchieri, ormai vuoti, della stessa essenza.
La mia mente, ancor più offuscata di prima, sembra intenzionata ad impormi di deglutire un'altra sorsata, mentre la mia gola grida pietà.
E' il cervello annebbiato ad avere la meglio, dal momento che tracanno anche questo shottino, sotto i sorrisi mordaci della signorinella qui a fianco a me.
Ancora una volta mi sorprendo ad osservarle quelle dannate fossette che le incavano le guance colorite, e non posso fare a meno di pensare a quanto si intonino con quegli occhietti a mandorla, neri come la pece.
In parte li trovo inquietanti, ma non posso negare il fatto che siano, al tempo stesso, letteralmente ipnotizzanti.
«Ehilà? C'è nessuno?», mi riporta lei alla realtà in maniera brusca, burlandosi di me.
Annuisco, distogliendo lo sguardo.
«Allora? Qual buon vento ti porta qui?», domanda insistendo. A quanto pare sembra non avere intenzione di cedere, e devo ammettere che la cosa inizia ad irritarmi.
«Davvero credi che io sia disposto ad inaugurare una conversazione?», bofonchio brontolando, stupendo anche me stesso per le parole che riescono ad uscire fluide dalla mia bocca.
Torno a posare il mio sguardo su di lei, che nel frattempo scuote la testa con forza, mantenendo, tuttavia, quel tenero sorrisino.
Osservo poi l'esile braccio chiaro, che da l'impressione di essere morbido quasi quanto un batuffolo di cotone.
Delle macchioline plumbee, simili a dei lividi, si intravedono sotto la sua t-shirt bianca, tempestandole la pelle.
«Che hai fatto, lì?», indico la zona interessata.
I suoi occhi si spalancano, mentre le gote avvampano.
Con una mano abbassa la manica della maglietta di scatto, nel tentativo di nascondere i segni, e dopo un attimo di smarrimento il suo volto si rilassa con un sorriso tirato, palesemente contraffatto.
«Davvero credi che io sia disposta ad inaugurare una conversazione?», ripete con aria saccente, facendosi beffe di me.
Alzo le mani in segno di resa: non ho di certo voce in capitolo.
***
Ciondoliamo per le strade della cittadina, divincolandoci a braccetto tra i passanti che ci scrutano con degli sguardi disgustati, probabilmente maledicendoci con i loro insipidi aforismi.
Immagino quelle vecchie megere del bar che criticavano tanto zio Fitz, che direbbero se dovessero vedermi in questo stato?
Probabilmente qualcosa del tipo ''Oh, che gioventù bruciata...''.
Aubree ride continuamente, e senza un apparente motivo.
«Ma che faccia hanno, tutti quanti?», urla attirando l'attenzione di chiunque, mentre esplode in una fragorosa risata trovandosi di fronte ad una vecchina dal volto rugoso che ci analizza con fare contrariato.
Alla fine abbiamo consumato qualcosa come altri cinque shottini di... Come si chiamava?
«Diamine, il Jack Daniel's comincia a farsi sentire», brontola lei affannata, massaggiandosi lo stomaco.
Jack Daniel's, ecco...
In effetti, mi accorgo solo ora del continuo gorgoglio proveniente dal mio apparato digerente.
Percepisco dell'aria risalire lungo il mio esofago, per poi sgusciare fuori dalle mie labbra.
Merda, ho ruttato. Ed era rumoroso, per giunta!
Aubree non riesce a trattenersi, e per l'ennesima volta esplode in un boato di risa, mentre tento di ostacolare l'arrivo di un ulteriore fuoriuscita di gas...
No, cazzo... questo non è gas!
Serro le labbra in un pugno, prima di sfrecciare in un campo a me indefinito, per poi rimettere qualsiasi traccia di alcol in un burrone.
Aubree mi raggiunge colpendomi la schiena con delle pacche rassicuranti, ma le sue risate non cessano affatto.
***
La campanella che indica la fine dell'ora trilla, mentre i partecipanti del corso di Problem-Solving si riversano al di fuori dell'angusta porta.
Alla fine, ieri è stata davvero una giornata terribile: fitte acute alla testa, nausea e rigetti a non finire, i miei genitori che mi tempestavano di domande...
Per non parlare di quell'occulto biglietto! Probabilmente rischio una morte imminente, con Abel e Leroy nei paraggi.
Qualcuno mi saluta, proprio dietro di me, tuttavia non necessito nemmeno di voltarmi per identificarla.
«Ciao Aubree», ricambio il buongiorno titubante, colto improvvisamente da un'ondata di imbarazzo dovuto agli eventi del giorno precedente.
Nel frattempo, Savannah e Benjo ci raggiungono.
Mi dirigo al mio armadietto, nel tentativo di seminarli, ma questi sembrano essere calamitati dalla mia figura, tanto che me li ritrovo alle mie spalle intenti a parlottare su un'ipotetica cotta di Savannah nei confronti della biondina dall'altra parte del corridoio.
Fingo di non sentirli, recuperando i miei libri depositati.
«Shht, sta zitto! Sta zitto!», sussurra minacciosa la ragazza dai capelli crespi tappando la bocca a Benjo, che cerca di richiamare l'attenzione della donzella dai sauri capelli ondulati.
Aubree, nel frattempo, osserva il teatrino con la sua classica occhiata assorta, ma al tempo stesso divertita.
Un'acuta vocina interrompe l'esilarante messinscena dei due sconquassati: Maisie Cook, la mia vicina di casa, nonché ragazzina assillante che mi sta appresso sin dai tempi dell'asilo.
Ricordo ancora quando, da piccoli, mi ha costretto a sedermi sulla sua seggiolina in vimini per poi acconciarmi i capelli con dei lacci multicolore.
E come dimenticare le sue narici perennemente penzolanti del denso moccolo, dovuto ad una qualche strana allergia, evidentemente incurabile.
«Ehy, Wayne...», balbetta nella mia direzione mentre le si illuminano gli occhi, sistemandosi gli spessi occhiali rettangolari sul naso umido, che scatena in me una valanga di ricordi impossibili da sopprimere.
Alzo la mano fingendo un sorriso rassenerato, mentre Maisie saluta il resto del gruppo, per poi porgerci dei bigliettini colorati.
La scruto con aria interrogativa. «E questi cosa sarebbero?», domando gentilmente.
«Sto organizzando una festa per il mio diciottesimo compleanno! Inviterò tutta la scuola!», il suo tono super esaltato mi addolcisce.
I ragazzi annuiscono all'unisono, muti come pesci, osservandola sgattaiolare via a consegnare i restanti biglietti.
«Maisie Cook, eh?», Aubree mi scruta alzando più volte le sopracciglia, mentre il tono le si gonfia di una malizia insensata.
La fisso con aria interrogativa.
«Sono quattro interi anni che non la smette di parlarmi di un certo ''Wayne Connor'', il tanto adorato vicino, lo sai?»
Ma cosa...? Non credevo mi vedesse in quel modo! Voglio dire, da bambini mi obbligava a fare tutto ciò che le pareva, dal partecipare al servizio di thè con i suoi peluche al fare il bagnetto al suo povero gatto Kitty... Niente di più!
''Martedì 29 Marzo, ore 21:00'', leggo, mentre uno stridio giunge alle mie orecchie: Aubree, Savannah e Benjo hanno stracciato il loro invito.
«Aspettate... Cosa fate?», domando in preda al panico, consapevole del fatto che non potrò di certo rifiutare, dal momento che sono a conoscenza dell'ipersensibilità che la caratterizza.
«Scherzi?», fa Savannah. «Trevon Payne, della squadra di basket, ha organizzato un festone per sabato!», esordisce seguita dagli altri, che confermano.
«Non lasciarti sfuggire l'occasione di conquistarla, mi raccomando!», mi strizza l'occhio Aubree, mentre Benjo mi sferra una delle sue possenti pacche sulla spalla, prima di divincolarsi tra la folla del corridoio assieme alle altre.
''E adesso?'' penso tra me e me, maledicendo uno ad uno quegli scellerati.
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