54- 𝙏𝙝𝙚 𝙗𝙚𝙜𝙞𝙣𝙣𝙞𝙣𝙜 𝙤𝙛 𝙩𝙝𝙚 𝙚𝙣𝙙 -𝘌𝘭𝘭𝘪𝘴𝘰𝘯
Quando ho iniziato questa storia, come prima cosa ho inserito le tematiche che avrei trattato, in modo da lasciarvi libere di scegliere se iniziare o meno Resilient. Spero possiate capire che c'è stato un dettaglio che, per quanto importante, sono stata costretta a omettere per evitare spoiler: il suicidio.
A seguire troverete l'ultima lettera e gli ultimi pensieri di una persona molto malata. Non tutte le persone che soffrono o che hanno sofferto di patologie simili scelgono l'atto estremo, ma alcuni sì, ed è giusto che abbiano la loro voce.
Se il capitolo dovesse essere troppo, potete tranquillamente non leggerlo. Vi chiedo però, di scorrere fino allo spazio autrice, e di leggerlo. Chi mi segue dall'inizio sa che ci sarebbe stato un capitolo con una dedica speciale...è questo.
A̶m̶e̶l̶i̶a̶,̶
̶m̶i̶ ̶d̶i̶s̶p̶i̶a̶c̶e̶ ̶d̶i̶r̶t̶i̶ ̶c̶h̶e̶
A̶m̶e̶l̶i̶a̶,̶
̶t̶u̶ ̶t̶i̶ ̶c̶h̶i̶e̶d̶i̶ ̶m̶a̶i̶ ̶p̶e̶r̶c̶h̶é̶ ̶s̶i̶a̶m̶o̶ ̶s̶t̶a̶t̶i̶ ̶m̶e̶s̶s̶i̶ ̶a̶l̶ ̶m̶o̶n̶d̶o̶ ̶c̶o̶n̶t̶r̶o̶ ̶l̶a̶ ̶n̶o̶s̶t̶r̶a̶ ̶v̶o̶l̶o̶n̶t̶à̶?̶ ̶I̶o̶ ̶n̶o̶n̶ ̶h̶o̶ ̶m̶a̶i̶ ̶c̶h̶i̶e̶s̶t̶o̶ ̶d̶i̶ ̶v̶i̶v̶e̶r̶e̶,̶ ̶a̶l̶l̶o̶r̶a̶ ̶p̶e̶r̶c̶h̶é̶ ̶v̶i̶v̶o̶?̶ ̶P̶e̶r̶c̶h̶é̶
̶A̶m̶e̶l̶i̶a̶,̶
̶V̶o̶r̶r̶e̶i̶ ̶s̶o̶l̶o̶ ̶d̶i̶r̶t̶i̶ ̶c̶h̶e̶ ̶t̶i̶ ̶v̶o̶g̶l̶i̶o̶ ̶b̶e̶n̶e̶,̶ ̶s̶p̶i̶e̶g̶a̶r̶t̶i̶ ̶i̶l̶ ̶p̶e̶r̶c̶h̶é̶ d̶i̶ ̶q̶u̶e̶s̶t̶o̶ ̶m̶a̶ ̶h̶o̶ ̶p̶a̶u̶r̶a̶ ̶d̶i̶ ̶n̶o̶n̶ ̶e̶s̶s̶e̶r̶e̶ ̶c̶a̶p̶i̶t̶a̶.̶
A҉m҉e҉l҉i҉a҉
A̵̭͙̬̺̞͇̍̄̄ͅm̴̤͓͎͒̓è̴͇̺͓̬̲͑̂́̉̓͊͋͝͝l̷̪̆̈̈́̒ĭ̷̳̫͋̓̿͌͋̅̕͠͝å̸̛̲̤̬͇̲̭̉͗̀́̅͝
A͓̽m͓̽e͓̽l͓̽i͓̽a͓̽
Strappo l'ennesimo foglio. Il cestino è ormai pieno.
Ha senso perdere tempo a fare disegnini attorno a un nome, scrivere e cancellare?
Continuo a picchiettare la penna sul foglio bianco, incantata dal movimento cadenzato del pon pon sul tappo della penna.
Penso, mentre la diretta streaming finalmente mostra le premiazioni e vedo mio fratello felice accanto alla mia migliore amica sul podio. Hanno la medaglia d'oro al collo, e quella di Amelia non si vede nemmeno per quanto forte la stringe tra le dita.
Devo trovare le parole perfette da scrivere per lei.
Che poi non dovrebbe nemmeno interessarmi, tanto quando la leggerà la mia testa sarà ormai in pace.
Ci riprovo.
Amelia,
ho pensato a infiniti modi su come iniziare questa lettera. Non ne ho trovato uno giusto, non so nemmeno se esista, così ho deciso che scriverò d'impulso.
Hai presente quando leggiamo le notizie online e i giornalisti scrivono che è morto qualcuno, magari in un incidente o dopo una malattia? Ho sempre in mente il modo in cui strabuzzi gli occhi e poi corrucci le sopracciglia. "Povero, chissà quanto ha sofferto", commenti sempre.
Non te l'ho mai detto, ma io, invece, ho sempre pensato a chi resta. A chi soffrirà l'assenza e a chi passa le notti insonni a chiedersi il perché.
E per questo sono qui con la penna in mano. Considero la possibilità di scriverti un'immensa fortuna.
Jordan sarà così arrabbiato da strappare qualsiasi cosa io scriva, perciò promettimi che non gli darai mai in mano questa lettera. Non finché non l'avrà accettato, almeno.
La verità è che sono stanca. Stanca di non poter essere io a decidere della mia vita, stanca di essere schiava di una testa che mi porta a volare tra le stelle per poi annegarmi in mare aperto mentre tutto il mondo se ne sta in una barca beandosi del cielo stellato e degli abissi cristallini.
Ci ho provato anche io a salire su quella barca, sai?
Quella della resilienza.
Ti ho visto salirci. Ti ho vista al comando. Per quanto ci abbia provato, io non ce l'ho mai fatta, perché ogni volta che mi sono convinta di potercela fare, ogni volta che riesco a sedermi in un posto comodo, la mia barca si rovescia e io annego.
E mentre affondo inesorabile, vedo i miei genitori e Jordan che mi tendono le mani provando in ogni modo a riportarmi in superficie. E io allungo le dita per salvarmi, cerco di afferrarli con ogni mia forza, credimi.
Ti prego, Amelia, credimi.
Ma è come se tra me e loro ci fosse una barriera insuperabile, ed è lei a decidere a che livello devo stare. Decide lei se posso stare a galla, volare o annegare. Lei, una malattia che non ho scelto e che soprattutto non voglio.
Ho toccato il fondo così tante volte da non riuscire più a risalire.
Perché la prima volta, ci credi. Ti impegni a stare meglio.
Succede, non capiterà più, ti dici. Ci speri con ogni tua singola cellula.
La seconda volta? Ce la farò. Di nuovo.
La terza? Posso farcela. Solo qualche mese di fatica e starò bene.
La quarta? Ti prometti che è l'ultima. Ma la speranza non c'è più.
La quinta? Basta. Mi fermo qui.
Sono quella che ha finto di farcela, ma non ce l'ha mai fatta.
Avevo già deciso tutto un anno fa, quando il mio corpo cedeva giorno dopo giorno. Al Fairwinds non si liberavano posti e io peggioravo sempre più.
Ho visto i miei genitori invecchiare prima del tempo a causa mia.
Mi pregavano di mangiare qualcosa con le lacrime agli occhi. Sapevo la fine che avrei fatto a digiunare, e mi andava benissimo così. Davvero, alla fine il mio desiderio era quello: sparire. Non era più nemmeno una questione di numeri sulla bilancia, era solo che non volevo esistere. Tutto qui.
Sono dovuta arrivare in fin di vita al pronto soccorso e lasciare ai medici la responsabilità di una vita che già in quel momento non volevo.
"Ti abbiamo preso per i capelli" mi hanno detto quando mi sono svegliata in terapia intensiva. "Di nuovo" hanno voluto specificare. Flebo, sondino, tutto il necessario perché potessi tornare al Fairwinds per l'ennesimo percorso di recupero. A nemmeno un anno dalle ultime dimissioni.
Di nuovo, ma avevo già deciso che non ci sarebbe stata un'altra volta.
Il mondo è crudele, sai?
Ti incanta con splendidi paesaggi, estati e inverni, vita, persone, famiglia. Ma sono solo distrazioni, perché la mia realtà è un inganno, una trappola mortale.
Parlano del Fairwinds come la casa delle farfalle, ed è vero, perché in tutti i miei ricoveri ho sempre visto delle splendide farfalle volare verso la vita con la loro lettera di dimissioni in mano. Tu stessa, sei tra queste.
Io, invece, sono solo l'insulso verme, quello che dal suo bozzolo non è mai uscito. Al suo posto, uno spettro inetto che ha preso quella lettera indossando il suo sorriso più falso.
Non uno troppo smagliante, o avrebbero pensato che fossi in una nuova fase maniacale.
Non quello vero, o tutti avrebbero capito che la lettera di dimissioni io non me la meritavo.
Vi vedo intorno a me, Amelia. Vi vedo tutti. Ma sento solo tanta solitudine e freddo, tanto freddo. Mi sono abbuffata di euforia, sono stata a digiuno di emozioni.
E mi sento in colpa nel sentirmi così sola quando vedo il modo in cui mi volete bene.
Dicono che noi pazienti che soffrono di disturbi alimentari, quando la malattia è all'apice, siamo grandi manipolatrici. E io, sono stata la migliore delle bugiarde.
Sono consapevole di aver mostrato negli ultimi mesi la mia versione frizzante, quella che ha sempre la battuta pronta, quella super allegra che sembra non farsi scalfire da niente. Lo so, perché mi è costata una fatica immensa.
Ho sorriso, tanto.
Ho parlato, ancora di più.
Ho provato a lasciarmi andare con Steven, per avere un po' della normalità che le ragazze di diciotto anni possono avere. E anche se in lui ho trovato uno dei tanti stronzi esistenti al mondo, sono contenta di aver provato qualcosa di normale. Alla fine, la delusione d'amore è stata un niente in confronto al resto.
Mi spiace averti lasciato pensare che fossi triste per lui. Sono stata in silenzio, la notte in cui mi sei stata accanto, solo perché avevo paura che i miei piani sarebbero saltati un'altra volta. Sapevo che quello sarebbe stato il nostro ultimo abbraccio.
Vi ho fatto credere di riuscire finalmente a stare a galla, quando in realtà stavo affogando più che mai.
Vi ho fatto addirittura credere di avere l'influenza. Incredibili i miracoli che si possono fare con due palline di cotone a tapparti le narici, vero?
Avevo già deciso tutto. Fingere è stato quel che mi è sempre riuscito meglio. Ultimo ricovero, ultima crisi, una sola condanna.
E anche i condannati hanno diritto a un desiderio, no?
Ho voluto lottare per l'ultima volta e danzare di nuovo su un palcoscenico. Mi sono dovuta accontentare di quello vicino casa, perché la mia malattia mi ha impedito di arrivare a uno dei palcoscenici importanti a cui ambivo.
È bello, sai? interpretare la vita di altri sulle punte, quando il corpo è così contratto da far male e gli spettatori vedono solo la perfezione. Ho potuto fingere che fosse quella la mia vera vita. Non la merda che mi aspetta quando tolgo le scarpette.
È difficile, Amelia, non sai quanto. Perché avrei davvero voluto farlo dopo lo spettacolo, non appena siete partiti. Il mio piano era questo.
Ma ho voluto andarmene con il ricordo di mio fratello e dell'amore della sua vita sul podio, felici. Sapevo che avreste vinto.
Ho voluto aspettare anche il vostro lieto fine. Io, sul palco dell'Eckerd Hall, ho avuto il mio.
Meritate quel mondiale, Amelia.
Non so dove andrò quando il mio cuore non batterà più, ma so che sarò con voi.
Sarò nella musichetta che metterai a Jordan ogni volta che spiega qualcosa, perché ti costringo a continuare questa abitudine al mio posto.
Sarò con te ogni volta che vedrai una farfalla. E non per l'idea di libertà, ma per ricordarti che è esistito qualcuno che è riuscito a fregare uno come il dottor Greg.
Sarò in quel soffio che vi ho visto fare nei vostri vestiti prima di entrare in gara.
Sarò con voi ogni volta che farete una pazzia.
E fatele, che la vita altrimenti è una palla colossale.
Sarò con voi, in ogni vostro traguardo.
Ma non voglio toccare il fondo un'altra volta, e so che ci sto arrivando. Mi conosco ormai.
La morte fa meno male dell'ennesima crisi depressiva. Mi fa meno paura.
Che poi, non è tanto toccare il fondo, il brutto. È il sentirsi cadere, e non riuscire a fare niente per impedirlo. Non riuscire ad attutire l'impatto. Il provare con ogni forza ad aggrapparsi a qualsiasi cosa, ma essere completamente paralizzati.
E per una volta, voglio riuscire ad essere io a dire basta.
So che Jordan avrà te. Sei diventata abbastanza forte da poter reggere la situazione che si presenterà nei prossimi giorni. Ti confesso che non è la prima volta che provo a fare quel che sto per fare. Alle volte, ho resistito solo per lui. Quando ci sono andata vicino, si è spaventato e io l'ho consolato. Gli avevo promesso che avrei chiesto aiuto ai primi segnali, ma questa volta non l'ho fatto. Ho mentito soprattutto a lui. Anzi, anche alla Cameron.
Alla fine di tutto, su una cosa sono stata sincera: sei stata davvero la mia ultima accoglienza al Fairwinds. Quel che non sapevo è che in te avrei trovato un'amica vera.
Dimentica i piccoli passi che ci hanno insegnato, Amelia. Affronta la vita a lunghe falcate, prenditi tutto quello che c'è da prendere.
Sogna in grande, perché quelle come te sanno quello che vogliono e non si fanno abbattere da niente.
E splendi, sempre. Perché solo così potrò riconoscerti per urlare "Guardatela! Quella è la mia migliore amica! Lei ce l'ha fatta!"
Ti voglio bene.
Tua per sempre,
Ellison
Non voglio nemmeno rileggerla per non strapparla di nuovo. La ripiego e la infilo nella busta, poi spengo il PC e lo porto in camera. La diretta streaming è finita, e nella mia testa ho solo l'immagine di Jordan e Amelia che sorridono.
So che sono felici.
So che saranno felici.
Hanno l'uno il supporto dell'altra, e ho sempre saputo che sarebbero finiti insieme.
Ritorno nella nostra piccola sala con il peluche in mano. Non so perché ho questa strana idea, ho accolto Amelia con lui e voglio salutarla così, con questo pupazzo sopra il tavolo.
È macabro?
Pazienza.
Sistemo la busta in modo che sia ben visibile e che non cada.
Mi accerto solo di questo, poi vado finalmente in bagno.
Guardo la pistola che ho comprato, grata all'America: non mi ha permesso di comprare una bottiglia di vodka per ingurgitare tutti i farmaci che ho tenuto da parte in questi mesi, ma una pistola con silenziatore sì.
Senza nessun problema, senza nemmeno fare domande.
Mi siedo poggiando la schiena al box doccia e mi godo la sensazione del contrasto tra il metallo freddo e la tempia calda.
Non mi trema la mano. Pensavo che arrivata a questo punto il cuore prendesse a battermi come un forsennato, ma è tutto tranquillo. Forse sono così stanca da non rendermene conto.
Non ho paura, so che sarà così immediato da non sentire alcun male.
Ho solo bisogno di sparire.
Ho dato tutto quello che potevo.
È la scelta giusta.
Mi rialzo solo per spegnere la luce e chiudere la porta, perché non voglio che questo bagno così impersonale sia l'ultima cosa che vedono i miei occhi.
Buio, voglio buio, voglio spegnere tutto.
Inspiro.
Poi, finalmente, premo il grilletto.
"Sembrava stesse bene, era felice. Non si sarebbe mai suicidato."
Quante volte avete sentito questa frase? Eppure, quando si parla di disturbi mentali, qualsiasi regola scientifica cade.
Perché se ti rompi un piede, non cammini. Lo vedi, il male. La cura è pressoché immediata: lastre, immobilizzazione dell'arto, riposo.
Ma quando è una malattia mentale a colpire? Chi di voi è in grado di vederla?
Sono così tante e così diverse che se ne potrebbe discutere per ore. Ma mi soffermerei su una frase in particolare:
"Una malattia che non ho scelto e che soprattutto non voglio."
Perché diciamocelo chiaro, chi vuole una malattia del genere?
E' subdola, stronza, ti impedisce di vivere. Tantissime ti portano a pensare all'atto estremo.
C'è chi riesce a chiedere aiuto subito, e con tanta terapia e forza di volontà ne esce. Magari anche con l'aiuto di qualche farmaco, perché non smetterò mai di dire che se prescritti da persone competenti aiutano a trovare lo stato mentale necessario alla psicoterapia.
C'è chi ci prova, cade e si rialza migliaia di volte, ma alla fine, incespicante, impara a conviverci.
E infine c'è chi non ce la fa. Non sono persone da incolpare, nemmeno da giudicare. Sono persone che sono state amate. In ognuno di loro c'è stata vita, ognuno di loro ha avuto sogni e speranze soffocati dalla malattia. E l'hanno nascosto, in ogni modo possibile, con una fatica immane.
Per questo non smetterò mai di dirvi di chiedere aiuto. Anche quando sembra impossibile, anche quando le speranze sembrano essere svanite e vediamo tutto nero.
"Non riuscirei a parlarne con nessuno"
"Ma cosa vuoi che dica a uno sconosciuto"
"Cosa vuole farmi stare meglio, che nemmeno mi conosce"
Questo è quello che pensavo quando sono stata portata a sorpresa negli ambulatori di un centro per disturbi alimentari.
Anche il solo presentarsi in uno studio e stare seduti in silenzio è già qualcosa. Ve l'assicuro. Ma è proprio lì, in quella stanza in cui la maggior parte di noi all'inizio non vuole andare, che la vita riprende colore.
Ammetto di aver avuto difficoltà a scrivere questa lettera, e che non volevo nemmeno pubblicarla, ma riscriverla dall'inizio.
Perché lo so che con le frasi più innocue del mio diario ci ho fatto qualche video, ma alcune, più forti, ho scelto di nasconderle nella lettera di Elly. Quelle pagine non sono mai state lette da nessuno, e per questo ringrazio la possibilità di avere uno pseudonimo e che ci siano così poche persone a sapere chi io sia.
Nei disturbi alimentari, nelle malattie mentali in generale, si da spesso credito (meritato) a chi ce l'ha fatta.
Ma c'è sempre il rovescio della medaglia, ed è giusto parlare di entrambi, perché è vero quel che dicono: se non curati, uccidono.
Dedico il personaggio di Ellison a tutte le persone che hanno nascosto fino in ultimo la loro sofferenza.
Ma, soprattutto, dedico il personaggio di Ellison all'allegria prorompente di Valentina B.,
e alla bontà infinita di Silvia Z., la mia compagna di stanza quando l'Amelia dei primi capitoli...ero io.
La vostra piccoletta alla fine i pattini li ha rimessi davvero 💜
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