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53- 𝙃𝙚𝙡𝙡𝙤 𝙙𝙖𝙧𝙠𝙣𝙚𝙨𝙨 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢

Mi lascereste una stellina di supporto prima di iniziare?



Avevo sempre scacciato il pensiero di denunciare. Perché che fossi con Jordan, Martina o nella stanza con la Cameron, ripercorrere quel che era stato mi faceva dannatamente male. La sola idea di espormi davanti a un giudice in un'aula di tribunale mi terrorizzava. Sapere che lì, al banco degli imputati, avrei trovato Audrey a fissarmi con aria innocente mi faceva sentire in preda a una paralisi completa.

Ma forse fu proprio Chloe a darmi la spinta necessaria per prendere il coraggio e affrontare tutto. Perché le ferite sul corpo della persona che mi era più antipatica sulla faccia della terra, instillarono in me un senso di giustizia.

Nemmeno la mia peggior nemica meritava tutto questo.

Nessuno lo meritava.

Quel circolo di abusi fisici e psicologici andava interrotto.

«Sono con te.» accettai appena mi ripresi dallo shock iniziale. «Come vittima», rimarcai.

Mi diede il suo cellulare, già aperto su una nuova scheda della rubrica cui aggiunsi il mio numero di telefono. Poi, glielo passai. «Ti contatterò dopo il mondiale», mi disse rimettendolo in tasca, dopo essersi alzata in piedi. «Ora vado in ospedale. Se è un medico a documentare tutto vale di più in tribunale.»

Mi ritrovai incredula ad ammirare la forza di Chloe, sentendomi stupida. Perché io ero stata maltrattata per anni, senza mai fare niente per difendermi. A lei, era bastato che capitasse una sola volta. La prima e l'ultima.

«Vuoi che ti accompagno?» Non volevo passare ore in pronto soccorso da sola con lei, ma le parole uscirono di bocca senza controllo. Avrei spostato il mio volo, se mi avesse voluta al suo fianco.

«Non serve. Non è che adesso siamo Taylor Swift e Blake Lively.»

La accompagnai in una risata spontanea alla porta, senza aggiungere altro. Fu rassicurante avere conferma da parte sua che coalizzarci contro Audrey non faceva di noi la nuova coppia di amiche del cuore.

«Amelia...» si fermò sull'uscio, facendosi di nuovo incerta: «ho visto il video della vostra gara, stanotte. Avreste vinto anche se io non avessi sbagliato nello short. Complimenti.» Storse le labbra in una smorfia simile a un sorriso. «Ora hai tutto quello che ho sempre voluto io.» Mi diede definitivamente le spalle e rientrò nella sua camera, lasciandomi un retrogusto dolce amaro.

Aspettai a richiamare Jordan. Mi presi qualche minuto da sola, seduta sulla moquette della stanza con la schiena appoggiata ai piedi del letto, per metabolizzare quanto accaduto stringendo quel disco dorato tra le mani, come se potesse darmi coraggio.

Ce l'avrei fatta a testimoniare.

Per me e per tutti gli atleti che avevano subito, che se ne stavano in silenzio, e per tutti quelli che avrebbero affrontato gli abusi se Audrey non fosse stata fermata.

Daytona mostrava il miglior lato di sé, parlava a suon di risultati, ma era tutta una facciata che di lì a breve sarebbe caduta, rivelando il marcio che nascondeva.

Solo qualche ora dopo, in aereo, riuscii a parlare con Jordan. Martina era partita per Dubai, per raggiungere William e trascorrere qualche giorno di vacanza al termine dei suoi impegni lavorativi. Avevamo concordato cinque giorni di vacanza prima di iniziare la preparazione al mondiale.

Così approfittai di quelle ore sola con lui, e gli raccontai della chiacchierata con la sua ex partner e delle mie intenzioni future.

Lui mi ascoltò senza mai interrompermi, a tratti stupito per la mia scelta e per le parole di Chloe.

«È la miglior scelta che potessi prendere.» Avvolse un braccio attorno alla mia spalla, e ne approfittai per accoccolarmi al suo petto, immersa nel suo profumo. «Sarò con te a ogni udienza.»

Intrecciai la mano alla sua, e la strinsi forte, grata alla vita per avere al mio fianco una persona come lui.

«Ricordi cosa ti stavo dicendo prima che lo speaker ci proclamasse campioni d'America?» La sua voce si fece più suadente, attento a non farsi sentire dagli altri passeggeri.

«Mi avevi proposto una sfida» I momenti al Kiss&Cry, prima dei punteggi, erano ben impressi nella mia mente. Mi aveva anche dato della pessimista.

Prese a percorrere con il naso il mio profilo, e mi sollevai per permettergli di arrivare alla mia bocca. Potevo sentire il suo fiato caldo addosso a me, le labbra così vicine da percepire l'elettricità tra noi salire alle stelle. Ma, all'ultimo, si scansò sciogliendo la presa dalla mia mano.

Mi scostò divertito per sganciare la cintura di sicurezza che gli impediva i movimenti. Poi, si allungò su di me più del necessario e le vene sulla mano si irrigidirono quando premette il pulsante rosso sulla fibbia che mi bloccava il ventre. Lasciò che la cintura si riavvolgesse su se stessa.

Si morse il labbro quando, con la scusa della cinghia, la sua mano scese a premere sulla mia intimità.

Appoggiai il busto a ridosso del finestrino cercando di indirizzare i fianchi verso di lui, che si sistemò sul sedile facendo in modo che nessuno vedesse nient'altro che le sue spalle squadrate.

Sarebbe bastato che una hostess passasse per i controlli di routine, per coglierlo in flagrante. E quel rischio, anziché impaurirmi o spingermi a mandarlo via, non fece altro che accendermi le membra di desiderio. Potevo sentirlo mentre, guardinga, mi accertavo che nessuno si accorgesse di noi e lasciai che la voglia di lui mi travolgesse in pieno. Giocò con il mio centro attraverso il tessuto leggero della tuta, e chiusi gli occhi di rimando.

Poi, all'improvviso, non lo sentii più addosso a me.

Sembrava aspettasse solo quello, per lasciarmi così.

Il solito stronzo.

«Ti aspetto nel bagno di testa.»

Lo fulminai con lo sguardo quando si alzò dal sedile con aria di sfida, e si aggrappò alla cappelliera sopra le nostre teste lasciando che la felpa si alzasse quel minimo per scoprire il fascio di muscoli che puntava dritto al rigonfiamento che prendeva a ergersi sul cavallo della tuta.

Lo fece apposta, a farsi notare da me in quel modo per poi filare verso il bagno in tutta tranquillità.

Presi un po' di tempo guardando scorrere dall'oblò le nuvole sotto di noi, giusto qualche minuto per non insospettire i passeggeri. Non mi soffermai nemmeno sul mio riflesso, certa che ci avrei trovato il volto paonazzo.

Quando percorsi il corridoio fino alla porta socchiusa del bagno saettai le pupille a destra e a manca, ben attenta che nessuno stesse guardando. O peggio, che nessuno stesse venendo nella mia direzione. Ma se le hostess erano occupate a chiacchierare dall'altro lato dell'aereo, i passeggeri erano troppo impegnati a guardare un film o a sonnecchiare per accorgersi di me che entravo in un bagno già occupato da Jordan.

Lo trovai lì ad aspettarmi, appoggiato al lavello, con i muscoli che guizzavano dalle braccia conserte e un'erezione che tendeva del tutto i pantaloni della tuta.

«Ciao, mia campionessa.» Era impossibile resistere a quell'espressione. Ai miei occhi era sempre il più bello sulla faccia della terra, ma quando l'eccitazione nell'aria era palpabile diventava, se possibile, ancora meglio.

Il suo sguardo si affilava, e quelle due perle ambrate brillavano sotto quei ciuffi spettinati ad arte. E le labbra, quelle labbra così delineate, sembravano fatte solo per pronunciare il mio nome mentre percorrevano il mio corpo, centimetro dopo centimetro.

Mi attirò in quel piccolo bagno chiudendo la porta, e ci si appoggiò con le spalle una volta girato il nottolino. Lasciai che il mio corpo aderisse completamente al suo, e lo strinsi a me impugnando il cotone della felpa. Sapevo che stavamo per farlo e che non avremmo avuto nemmeno il tempo di spogliarci. Avremmo dovuto essere veloci.

«Non eri tu quello contrario ai cliché, Davis?» Lui fu estremamente rapido e preciso nell'invertire i nostri corpi, e in men che non si dica fui io a ritrovarmi con le spalle alla porta. Jordan infilò una mano sotto la mia felpa, e risalì con un tocco voluttuoso lungo l'addome già cosparso di brividi.

Non appena l'altra sciolse il laccio dei miei pantaloni, si inginocchiò ai miei piedi abbassando ogni indumento fino alle caviglie. Mi lasciai guardare dal basso, e le sue labbra iniziarono una lenta risalita sulla mia coscia, fino a fermarsi di fronte alla mia intimità.

«Ci sono cliché che vale la pena vivere.» Disse prima che la sua lingua affondasse tra le mie pieghe a verificare che fossi pronta per lui.

Piegai la testa all'indietro e strinsi subito tra le mani i capelli di Jordan. Non mi sarei mai abituata all'effetto che aveva su di me. «Sesso ad alta quota?» Sospirai in un gemito.

Mugugnò in risposta, quando una volta rialzato mi fece voltare. La mia guancia in fiamme trovò refrigerio sulla parete, e Jordan mi strinse a sé solo per baciare il lato del collo esposto. Lo scricchiolio dell'involucro del preservativo riempì quel piccolo bagno, senza sovrastare il frullo dei motori dell'aereo.

Potei sentire la sua durezza svettarmi tra le natiche, e quando tesi le gambe e inarcai la schiena per facilitargli l'accesso fu lui stesso a lubrificarsi con i miei umori.

«Abbiamo poco tempo e tu...» Affondò in me in un colpo solo e poi mi ancorai saldamente alla sua nuca voltandomi a strozzare il respiro nell'incavo del collo. «Dovrai essere brava a non farti sentire.» A quelle parole potei sentire le sue corde vocali vibrarmi sulle labbra.

«E tu, invece, dovrai essere bravo a farmi venire.»

Sapevo quanto gli piacesse quando ero io a chiederglielo. L'avevo imparato in quei mesi in cui mi ero lasciata completamente andare con lui, riducendo in poltiglia qualsiasi inibizione. Amavo quando preso dalla lussuria faceva del mio piacere la missione della sua vita, come se nient'altro al mondo fosse importante.

Si mosse in me con stoccate rapide e poderose, stringendo il clitoride tra le dita per stuzzicarlo. Mi riempiva il corpo mentre l'anima strabordava d'amore per lui, e l'orgasmo che mi travolse a trentacinque mila piedi da terra fu dirompente.

Represse qualsiasi gemito rubandomi un bacio dopo l'altro, fino a che si riversò nel preservativo. Abbandonò la fronte sulla mia spalla, e ci lasciammo cullare dalla sensazione di pace euforica che ci pervase.

«Ti amo, Jordan.»

«E io amo essere quello delle tue prime volte.»

Se avessi saputo che quello sarebbe stato il nostro ultimo momento di felicità, io a terra non ci sarei più tornata.

Sarei rimasta in quell'aereo a volare infinite volte intorno al mondo, pur di non di non rivivere l'attimo che spinse le nostre vite in un salto nel vuoto lasciandoci schiantare in un baratro di oscurità.

Perché quella notte, rientrata al dormitorio stringendo la medaglia per cui io ed Elly avevamo festeggiato in videochiamata solo poche ore prima, trovai ad accogliermi il peluche che le avevamo regalato alle dimissioni. Era lì, in bella vista, poggiato sopra il tavolo, e tra le zampe teneva una busta a me indirizzata:

Per la mia migliore amica.

Sorrisi, come una stupida, appena lo vidi.

«Elly, ovunque tu sia, salta fuori!»

Ero convinta che sbucasse alle mie spalle per festeggiare la vittoria, magari già agghindata e pronta per uscire. Sarebbe stato tipico di lei. D'altronde l'aveva già fatto quando mi ero trasferita nel dormitorio.

Ma non ottenni nessuna risposta, e la mia frase rimbombò nella sala.

«Elly!»

Andai a controllare in camera, trovando il solito casino. Le lenzuola raggomitolate alla rinfusa, il cuscino sgualcito, i vestiti ammassati in disordine sulla sedia e le ante dell'armadio lasciate aperte. Era tutto come al solito.

«Elly, non sei divertente.»

Controllai fuori dalla porta, per vedere se si fosse nascosta di nuovo nella camera di qualche studente per poi spaventarmi alle spalle. Ma in piena notte il corridoio era deserto, le porte erano tutte chiuse e non vi era alcun rumore se non il suono di qualche televisore dimenticato a volume troppo alto.

Rientrai, tenendo sempre la busta stretta tra le dita, e andai verso il bagno, convinta che si fosse nascosta lì, preparandomi al suo assalto di gioia.

Feci scattare il pomello della porta del piccolo bagno, trovandolo buio.

«Elly?»

Quando accesi la luce, mi ritrovai di fronte allo spettacolo più brutto di tutta la mia vita.

Non poteva essere vero.

Non volevo crederci.

Impossibile.

Fu come essere catapultati nell'incubo peggiore di sempre, uno di quelli da cui non vedi l'ora di svegliarti ma per quanto tu ci provi, non ce la fai.

Iniziai a gridare. Mi faceva male la gola, da quanto forte credetti di urlare.

Ma non riuscii a sentire nemmeno la mia voce.

Il cuore prese a martellarmi così forte nel petto da non reggermi più in piedi, e caddi a terra, in ginocchio. Sconvolta.

Lasciai che il panico mi strozzasse, come se volesse lasciarmi soffocare con quell'olezzo ferroso che implodeva nel nostro bagno.

Sentii il sangue gelarsi nelle vene, e gli occhi offuscarsi di lacrime, come se non volessero vedere i suoi, spalancati ma pieni di vuoto e morte.

La mia migliore amica era riversa a terra, inerme, in un lago di sangue che mi bagnò le ginocchia.

Il suo indice ancora impigliato nella guardia dell grilletto di una pistola.

«Elly.»

Ciao 💔

Se il finale di questo capitolo è stato un fulmine a ciel sereno, sono riuscita nell'intento.

Sappiate solo che è tutto motivato.

Il prossimo capitolo sarà dal pov di Elly, e avrà un importante spazio autrice.

Meglio che vi aspetti su instagram (amelieqbooks), vero?

il box domande/ngl è già attivo!

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