40- 𝙑𝙤𝙞𝙘𝙚𝙨 𝙤𝙛 𝙘𝙝𝙖𝙣𝙜𝙚 -𝘈𝘮𝘦𝘭𝘪𝘢
Lasciate una stellina,
voi ch'entrate ⭐
«L'avresti mai detto che la vita fuori dal Fairwinds fosse così frenetica?» Ellison sistemò il biglietto del bus nel taschino della borsa, prima di sedersi affannata di fianco a me. Io mi stavo quasi abituando alla corsa del lunedì dopo lezione per prendere puntuale l'autobus e andare in clinica per le visite con Greg e la Cameron, ma era la prima volta che Elly mi accompagnava. Era un'occasione speciale per me e voleva esserci a tutti i costi.
«Sembrano troppo distanti i tempi in cui stavamo tutto il giorno a far nulla sul divano.» Ed era vero. Le lezioni, lo studio e i nostri allenamenti ci portavano via così tanto tempo che spesso ci ritrovavamo a filare a letto stanche subito dopo cena. Il bus ripartì, e noi scartammo il panino che ci eravamo preparate per pranzo.
«Conosciuto qualcuno di nuovo in queste prime settimane di lezione?» chiese non appena riprese fiato.
«Sì! Non ti ho nemmeno detto, indovina chi ho trovato fuori dall'aula il primo giorno?»
«Theo James? Jacob Elordi? Harry Styles gira il nuovo video qui?»
Lei mi guardò con gli occhi spalancati dal desiderio, speranzosa che in un piccolo college della Florida arrivassero persone di quel calibro, ma si meritò un'occhiata di sbieco.
«Ehi, non funziona il side eye con me. Spara.»
«Conosci Xavier, il capitano della squadra di football?»
«Xavier la corriera?»
«La corriera?»
«Sì. Ho sentito che lo chiamano così perché dicono che ci saltano su tutte.»
Quasi mi andò di traverso il boccone quando scoppiai a ridere per la spiegazione di Elly. Le raccontai tutto: dalla prima volta che lo vidi in palestra, a quando mi aveva aspettata dopo la prima lezione e poi i più recenti sviluppi che lo vedevano appostarsi fuori dall'aula, subito dopo storia contemporanea, per accompagnarmi a pedagogia.
Aveva smesso definitivamente di chiedermi di uscire con lui con fare pedante. Scoprii che era quasi divertente quando non usava il suo accento ispanico per rimorchiare. Anche se il solo camminare accanto a lui per i corridoi del college mi faceva guadagnare una sfilza infinita di sguardi invidiosi da parte di troppe ragazze.
Era carino, con il suo sorriso sempre stampato in volto, ma di certo non rappresentava il mio tipo ideale.
«E Jordan di tutto questo cosa dice?»
«Non gli ho detto niente. Non abbiamo definito la nostra situazione, non saprei nemmeno come intavolare il discorso. Non mi ha mai chiesto se ho fatto nuovi incontri.»
«Ci sono situazioni che sono già chiare senza il bisogno di metterci la firma.»
Certo. Dire a Jordan che l'atleta, che per gelosia lo aveva spinto a cambiare gli orari delle squadre in palestra, era lo stesso ragazzo che trovavo ogni lunedì dopo la prima lezione della giornata sarebbe stata di certo una passeggiata. Come no!
E, soprattutto, avevo il terrore di apparire come quella che voleva accasarsi prima dell'ora.
Stavo divinamente nel tempo che trascorrevo insieme a Jordan e il non-rapporto con Xavier potevo riuscire a gestirlo benissimo. Non c'era niente tra noi, io ero riuscita a farglielo capire e lui aveva dimostrato di averlo accettato.
Nessun problema per Jordan, quindi.
Tutto nella norma.
«Tu invece?» cambiai discorso. «Steven?»
«Sta ancora aspettando la risposta da una squadra americana, ma non vuole dire niente perché è più scaramantico di te. Secondo lui la scelta definitiva arriverà dopo la partita di questa domenica. Spero non lo mandino troppo distante da qui.» Interruppe la sua parlantina solo per il breve momento in cui scendemmo gli scalini del bus. «A proposito, venite? E' a Tampa.» domandò quando le porte si richiusero alle nostre spalle e proseguimmo lungo il marciapiede che costeggiava la clinica.
«Certo! Domenica mattina ci alleniamo, ma nel pomeriggio siamo liberi.»
Appena entrammo al Fairwinds, fummo accolte dal profumo di pot-pourrì cui non ero più assuefatta e dal dottor Greg in persona, che stretto nel suo camice ci riservò la più sentita delle accoglienze accanto a una sfilza infinita di valigie. Non ci diedi peso, probabilmente quel giorno c'era stato un nuovo ingresso. O due, data la quantità. C'era stato più di qualche arrivo in clinica nell'ultimo periodo.
«E io che speravo di non veder più questa doppietta.» Allungò le braccia a indicarci in un sospiro ironicamente seccato, ma poi le direzionò ad abbracciare Ellison bisbigliando qualcosa a voce talmente bassa che, nonostante fosse a pochi centimetri da me, non riuscii a distinguere mezza parola. Ci avrei scommesso i miei pattini che stava chiedendo indietro il quadro che era appeso alla parete della nostra cucina, accanto al cartello stradale.
«Neanche morta, doc. Lo teniamo in cucina, così è come averla con noi a ogni pasto.» Tentò una sviolinata assurda che ebbe l'effetto desiderato.
«Tenetevelo allora. Vi fotocopio anche il disegno che ho in ufficio. Così vi rendete conto che sono anche onniveggente.»
Salii le scale seguita da Elly che ancora rideva e andammo in quella che, nata come aula studio, era diventato a tutti gli effetti un atelier.
Lisa e Karmen si tenevano a braccetto e ci accolsero con un sorriso che trapelava pure emozioni.
Era bello vedere la mia seconda compagna di stanza con il volto magro, non più spaventosamente scarno, e soprattutto più serena. Non aveva nemmeno più la piantana della flebo che usava portarsi appresso per più ore al giorno per l'alimentazione parenterale. Iniziava a stare meglio.
Le ragazze si divisero, rivelando quel che nascondevano alle loro spalle.
Indossato in un manichino a mezzo busto, il mio body per il long program scintillava nonostante la scarsa illuminazione della stanza.
Avevano dato il massimo. Potevo vederlo davanti ai miei occhi il frutto del duro lavoro di squadra. Quell'abito era il più difficile dei quattro realizzati in un mese di studio dei tessuti in un settore del tutto nuovo per entrambe.
Il vestito era bellissimo, dall'anima rock e con il logo dei Guns dipinto a mano sulla schiena che rasentava la perfezione.
«Volevamo lo vedessi prima di piegarlo in una busta. Come ti sembra?»
Lo avevo già provato più volte, ma non l'avevo mai visto finito.
Ero davvero incantata. I brillantini, applicati con precisione estrema, arricchivano ogni dettaglio del costume di gara: quelli rossi mettevano in risalto i profili dei petali delle rose, quelli verdi delineavano il loro gambo, mentre quelli color canna di fucile modellavano le pistole e la scritta del logo originale. In vita, a staccare il pantalone in ecopelle bielastica dal corpetto nello stesso tessuto intarsiato con lo chiffon, spiccava una cintura designata da file di swarowski neri.
«E' perfetto.»
«Quelli di Jordan e il tuo per lo short sono già qui. E' sicuro che non vuole nemmeno uno strass, per richiamare il tuo vestito?»
«Sicurissimo.» Avevo provato a parlargliene, ma non aveva voluto saperne. Preferiva mantenere il suo tratto distintivo, nonostante fossero passati anni dal suo trauma superato a metà.
Mentre Karmen prese a sganciare i bottoncini sulla spalla del manichino e piegarlo con cura maniacale, vidi Lisa recuperare la sua borsa per estrarne una busta bianca e voltarsi verso di noi con le iridi illuminate dall'emozione.
«Io oggi sono stata dimessa, ragazze.» Disse sventolando quella lettera con orgoglio.
«E non ci hai detto niente? Potevamo festeggiare!» Ellison era scioccata, e io stessa caddi dalle nuvole quando capii che le valigie in entrata erano quelle di Lisa. Sapevo che mancava poco alle sue dimissioni, ma non mi aspettavo il suo totale silenzio in merito.
«Sorpresa! Non ho voluto chiamare nessuno, mi conoscete ormai. Sapevo che sareste venute oggi, così ho pensato che potete accompagnarmi voi all'uscita.»
Lisa si era dimostrata ancora una volta quella persona che per le amiche c'era sempre, ma non chiedeva mai nulla per sé. Ci aveva sempre dedicato tanto del suo tempo, ascoltava e dava consigli a ognuna di noi mentre disegnava i suoi bozzetti in un quadernone ormai logoro. Si era messa a disposizione per disegnare e realizzare i body che tenevo nel copriabito tra le mani, ma non aveva accettato alcun aiuto al momento di valutare possibili appartamenti in quel di Los Angeles aspettando l'esito dell'esame.
Non aveva nemmeno mai voluto parlare del fatto che, quando alla consegna dei telefoni tutti ricevevano chiamate dai genitori, il suo restava silenzioso. Le arrivavano parecchi messaggi dagli amici, ma i suoi genitori le telefonavano forse una volta a settimana. Se n'era fatta una ragione, diceva.
E,nella sua maturità, si era legata a due ragazze di dieci anni più piccole come me ed Elly, chiedendo solo un po' di compagnia che in poche settimane si era trasformata in amicizia.
«Dove andrai?»
«A Sarasota, da amici. Il prossimo fine settimana parto per Los Angeles.»
«Sei stata ammessa alla scuola di moda?»
Annuì commossa e ci stringemmo tutte in un abbraccio. Lisa aveva realizzato il suo sogno, quello da sempre snobbato dai suoi genitori e conquistato solo con le sue forze e il suo talento. Stavamo tutte meglio. Due di noi, addirittura, ora potevano vantare di aver ricevuto la lettera di dimissioni.
Sentimmo un picchiettio sordo alla porta della stanza e mi voltai trovando la Cameron appoggiata allo stipite, avvolta in uno dei suoi tailleur eleganti nei toni dell'azzurro pastello, con una luce nello sguardo che, in lei, non avevo mai visto prima. Non fui in grado di decifrarla.
«Vieni con me, Amelia?»
La seguii cauta nel suo studio, accomodandomi sulla sedia di fronte alla scrivania in cui avevo passato ore interminabili e che mi aveva visto piangere, ridere, prendere consapevolezza e farmi forza.
Iniziò a ticchettare alla tastiera del pc quelli che avevo imparato fossero i verbali delle nostre sedute e, prima di spostare la sua poltrona davanti a me, prese un respiro profondo sistemandosi la montatura a farfalla degli occhiali, che le stava divinamente.
«Allora», si schiarì la voce agganciando un bottone alla giacca, «oggi vorrei fare un po' il punto della situazione con te. Sei entrata al Fairwinds il ventotto settembre, quasi quattro mesi fa. Hai iniziato con il dottor Greg inserendo i carboidrati a cena, completando tutte le porzioni previste dal piano alimentare. Poi, hai affrontato i cibi fobici, di cui uno da sola, di tua spontanea volontà e senza il nostro aiuto. Corretto?»
Jordan. C'era stato lui con me di fronte a quella pizza che avevo evitato per troppo tempo.
Annuii, forse iniziando a capire la via che le parole della Cameron volevano imboccare. Iniziai a emozionarmi, cercando di contenermi il più possibile per non restarci troppo male se le mie aspettative si fossero rivelate disattese. E lei riprese a parlare, con la sua voce magica e per la prima volta tremante, cliccando il meccanismo a scatto della penna sulla copertina di un'agenda intonsa con fare nervoso.
«Bene. Con me, invece, abbiamo lavorato su qualche tecnica per aiutarti nei momenti di difficoltà, abbiamo capito quanto fosse disfunzionale l'ambiente sportivo in cui sei cresciuta e, soprattutto, quello che mi rende più orgogliosa del tuo percorso qui dentro: hai fatto delle scelte per te stessa, per la tua vita, seguendo quelle che erano le tue inclinazioni e i tuoi desideri. Mi riferisco alla decisione del trasferimento e alla scelta del tuo percorso di studi. Hai imparato a vivere per te, ad avere una voce in ogni capitolo della tua vita.» Fu assurdo rendersi conto di aver fatto tutti quei cambiamenti con il suo aiuto. Prese una piccola pausa, nella quale verificò che niente le fosse sfuggito, prima di riprendere: «Come va con la mamma?»
«Dopo il Natale a casa Davis, meglio. E' sempre rigida, ma aspetta che sia io a parlare di pattinaggio e non mi fa pressioni. E per il college... chiede di cosa parlano le lezioni, come mi trovo ad essere autonoma al cento per cento... cose di questo tipo. Forse è un po' distaccata, ma tranquilla.»
Non bramavo un rapporto in pieno stile Gilmore Girls, probabilmente non sarei mai riuscita a confidarmi del tutto con lei, ma ero fiera dei progressi che avevamo fatto negli ultimi mesi.
«La rigidità può essere un tratto caratteriale, non credi? Il bene si può dimostrare comunque, in diversi modi. Nel tuo caso, direi che il supporto dimostrato alle tue scelte ne è stata la prova. Sei ancora convinta di essere una figlia che vale solo quando porti a casa coppe e medaglie?»
«No, non più.» Sorrisi un po' amareggiata al pensiero che non ne avrei portate altre a casa. Non in quel periodo, almeno.
«In virtù di tutti i progressi fatti, e soprattutto della riuscita di questo mese in cui hai frequentato il Fairwinds solo per appoggio, ti ho chiamato qui per dirti che l'equipe medica stamattina si è riunita e, se te la senti, l'idea è quella di procedere alle dimissioni ufficiali.»
Ha detto dimissioni, vero?
Spalancai gli occhi perché le sue parole mi lasciarono del tutto incredula. Sapevo di essere alla fine del mio percorso, ma per quanto avessi cercato di prepararmi a quella notizia, quando arrivò davvero rimasi a bocca aperta.
Sembrava un sogno, ma non di quelli dai tratti fiabeschi che ti lasciano malinconica al risveglio: questa, era la vita vera.
Buon lunedì 💜
chi mi segue su ig, sa che qualche giorno fa con il countdown di questo capitolo, ho parlato di una possibile sorpresa...ed è questa:
OGGI DOPPIO AGGIORNAMENTO!
Alle 13.00 pubblicherò un nuovo capitolo.
spero che oggi vogliate dedicare ancora un po' del vostro tempo alla parte che spiegherà il titolo della storia...a tra poco!
Amélie 💜
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