▫ capıтoʟo 3 ▫
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Nel capitolo precedente:
«Vuoi sposarmi, Siyul?»
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NARRATORE.
L'intero mondo si fermò per infiniti minuti, rimase immobile, come congelato da una sottilissima lastra di ghiaccio.
Macchine e persone si bloccarono sul posto, le nuvole furono paralizzate e la risacca delle onde divenne un rigido blocco di pietra ricurvo.
Sembrava che il pianeta stesso con tutti i suoi abitanti, animati o meno, fosse col fiato sospeso e l'ansia a fior di pelle.
Da una parte vi era il sollievo per aver compiuto un'impresa tanto difficile, dall'altro la paura di un rifiuto.
Ogni essere era legato a una corda, controllato e sottomesso.
Questa corda finiva proprio tra le dita di Siyul.
Aveva lei la possibilità di stabilire il destino di miliardi di viventi.
Un suo no, avrebbe provocato la fine di quel pianeta, dilaniato dalla disperazione.
Un suo sì, avrebbe reso possibile l'impossibile, soddisfacendo i più antichi e reconditi desideri di quegli abitanti egoisti.
Per questo, in quel caos immobile, solo Siyul e Jimin avevano ancora la possibilità di muoversi, soffrire e aspettare, il battito alle stelle e tutti gli occhi ciechi puntati addosso.
Jimin tremava, inginocchiato e con lacrime lucide che gli solcavano il viso spossato.
Niente più trucco ad adornare quello sguardo felino, niente più misticità, niente più sicurezza.
Jimin si stava mettendo completamente a nudo, più di quanto non avesse già fatto durante le nottate di passione, più di quando le aveva pianto in grembo per tutti i motivi immaginabili o semplicemente perché aveva voglia di disperarsi.
Non aveva filtri, né barriere.
La sua essenza era davanti agli occhi increduli della nostra giovane, così sconvolta che pareva paralizzata assieme al gioiello infedele del globo, attendeva la sua stessa risposta, confidava che una forza divina le mettesse in riga le parole sulle labbra e le spingesse fuori tra i singulti e i tremolii.
Più i secondi passavano, più Jimin si sentiva afferrare dalla sabbia e spingere verso il basso, nella bocca di magma del pianeta per farsi disintegrare.
L'attesa lo logorava.
Perché?
Perché rimaneva in silenzio?
Si era immaginato la scena tante volte, altrettante l'aveva vista nei film.
Mai la ragazza tentennava nel pronunciare quel "Sì".
Siyul, però, era diversa.
Quando Jimin fece per rimangiarsi tutto, borbottare scuse su scuse e scappare via, il più lontano possibile lungo quel mondo che condivideva la sua agonia, Siyul cadde in avanti.
Le sue ginocchia cedettero molli, trasformandosi in gelatina priva di forma e consistenza.
Ora erano uno davanti l'altra.
Le lacrime luccicanti di Jimin salutavano quelle incredule di Siyul come vecchie amiche. Come i corpi dei loro padroni, anche quelle goccioline trasparenti erano le gemme di uno stesso gioiello, si accompagnavano sia durante la disperazione, sia durante la gioia.
Risplendevano pure, mostrando un unico e solo miscuglio di sensazioni potenti e distruttive, capace di dilaniare intere terre e spezzare in due frammenti i loro corpi, frantumando il legame insolubile che li lega tra loro.
Siyul singhiozzò un lamentio incomprensibile, poi gemette il suo nome e rimase a guardarlo.
Ormai i muscoli del ragazzo si erano stesi, era in ginocchio, esattamente come lei, le dita attorno all'anello e una crepa nel cuore.
«È- È- Era questo?» gemette lei, «Era per questo che t-ti comportavi c-così?»
Crack.
Seconda frattura in quel muscolo che ormai non gli apparteneva più da anni, gliel'aveva ceduto perché lo custodisse meglio di quanto potesse mai fare lui, era l'unica a poterlo disintegrare.
E lo stava facendo.
«Sì» sussurrò, tirando su col in naso e provando invano a fermare tutte quelle lacrime inesorabili che lo stavano rendendo un vile bambino, «Sono patetico, vero?»
Si piegò su sé stesso, gemendo sommessamente per quella spina che gli bruciava ogni tipo di protezione e gli svuotava l'animo pezzo per pezzo. Pian piano, diventava sempre più simile a un freddo robot.
Un paio di mani amiche, però, lo strinsero forte.
Jimin venne avvolto dalle braccia sottili della sua ragazza, mentre le piangeva sulla spalla come un bambino incapace di negare le carezze della madre.
Ma stritolava solo una rosa e quelle schegge di veleno gli stavano distruggendo l'esistenza, diminuendone la durata di interi anni.
Si aspettò di sentire nuovamente i rumori di Busan, i clacson che lo risvegliavano e le sole onde del mare a confortarlo con umide carezze, perché solo loro potevano illuderlo di non star piangendo.
Aspettò che il vento freddo lo risvegliasse da quell'incubo, perché Siyul si era staccata dal suo corpo e lui non poteva che ammirarla per l'ultima volta in vita sua.
Però, niente di ciò accadde.
Il mondo crudele non ricominciò a muoversi nemmeno per un istante, non segnò la fine di quel limbo di suspense, perché non si era ancora concluso.
Siyul gli prese il viso tra le mani, osservò con pietà il degrado che lo sfregiava, un misto di sudore freddo, lacrime e rughe di agonia.
Ai suoi occhi, lei parve bellissima, invece.
Una dea senza età né tempo.
Se ne innamorò ancora, di nuovo.
Per quella che sarà stata la millesima volta, perché tutti i loro momenti gli ritornarono alla memoria uno dopo l'altro, senza una fine precisa.
Provò a sorriderle nonostante la spossatezza, nonostante le energie lo stessero abbandonando: non riusciva ad avercela con lei, nemmeno quando lo stava uccidendo.
Siyul lo guardava intensamente, poi, senza pensarci due volte, lo baciò.
Fu un bacio di avvertimento che durò solo pochi secondi. Perché poi gli cinse il collo e lo strinse con impeto, «Ho pensato di tutto e di più, Chim. Ho avuto paura quanto te ne sei andato, oggi» singhiozzò, «Ma una proposta di matrimonio non me la sarei mai aspettata».
Lasciò che le loro fronti collidessero dolcemente, lo baciò ancora, si godette quelle labbra zuccherate quasi per paura di averle ferite troppo per divorarle ancora.
Posò una mano sopra quella del ragazzo, che era serrata attorno alla scatolina dell'anello e gli sorrise tra le lacrime, che ormai l'inconscio di Jimin aveva decifrato, seppur inconsapevolmente, come barlumi di gioia sconfinati.
Le sorrise.
«Aspettami sull'altare, piccolo mio›.
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Inutile rimarcare quanto i festeggiamenti in perfetto stile Kwon avessero inciso sulle due successive settimane, né Siyul né Jimin erano riusciti a osservarlo il cibo dopo quella cena.
Parlando del nostro futuro sposo, se la vide molto brutta quando rincontrò Nonna Yun, perché Siyul aveva parlato parecchio animatamente della situazione incerta in cui vagavano come coppia e il terrore si era acceso nelle loro menti.
Nonna Yun lo accolse come un poliziotto non appena venne spinto dentro la pasticceria, lo rimbeccò come solo una nonna sapeva fare e, quando provò a scappare, ricevette in omaggio un paio di bastonate sul sedere.
Umiliato e sconfitto, Jimin si rifugiò in grembo a Siyul, che lo sorvegliò per cinque minuti, poi preferì curiosare in cucina, piuttosto che proteggere il suo futuro marito.
«La prossima volta, lo pagherò con la tua carta l'anello!» le urlò dietro, ricevendo solo un dito medio in cambio.
Accadeva ben poche volte che le famiglie Park e Kwon si riunissero sotto uno stesso tetto: l'ultima fu a casa di Jimin per Natale, andò tutto bene, finché non venne servito il dolce e Nonna Yun si fece sfuggire un commento non troppo grazioso sulla durezza dell'impasto: «Ecco con cosa hanno costruito il Colosseo: mi sembrava troppo strano che fosse ancora in piedi».
Per fortuna, la famiglia Park pagava una domestica per cucinare, dunque l'osservazione fece arrossire questa povera donna e la situazione finì senza querele da parte della madre di Jimin.
Da quel giorno in poi, Nonna Yun sorbì le raccomandazioni di suo figlio ogni volta che l'avvocatessa si palesava a massimo un chilometro di distanza.
«Piattola!»
Jimin fu richiamato proprio dalla vecchietta, che si fece fulminare dalla madre di Siyul, e prese parola poco dopo. «I tuoi genitori preferiscono una tavola sui toni dell'azzurro o del verde?» gli chiese.
Jimin cercò di trattenersi dalle risate. Ormai era considerato parte della famiglia, ma il terrore di una cattiva impressione verso i suoi genitori non scemava. «Li mischi, nel dubbio» consigliò, «Di solito a casa non sembra esistere niente oltre il nero e il bianco».
«Non abbiamo un servizio del genere?» domandò la signora Kwon a Nonna Yun.
«Potremmo usare gli asciugamani del bagno, mio figlio dovrebbe averne uno a scacchi» propose questa convinta, poi voltò la testa verso Jimin, «Apprezzeranno le macchinine di Cars? Perché sono cucite sopra».
Jimin annuì felice.
Quando la signora Kwon dovette placcare Nonna Yun, che ormai si stava dirigendo a recuperare l'asciugamano perduto, e sfidò con ardore il bastone da passeggio borchiato, Jimin avvertì un paio di braccia cingergli il busto.
Il corpo di Siyul aderì con un abbracciò caldo contro la sua schiena e non poté non godersi quel tepore di braci stanche.
«Ci pensi? Tra non molto saremo proprio come loro» gli sussurrò all'orecchio Siyul.
Si era alzata sulle punte e stava usando la sua spalla come appiglio per il mento.
Jimin strinse forte le mani affusolate della fidanzata, e futura moglie, «Forse saremmo peggio» constatò, «Per adesso miro, a invecchiare come tua nonna: bastone borchiato, firmato da Joe Duplantier dei Gojira, con una protezione di fili elastici rosa e gialli intrecciati sul manico e un portachiavi di Cat Mario zombie»
Siyul rise calorosamente e gli diede un bacio d'affetto sul collo, Jimin arricciò il naso e si voltò nella sua direzione, stringendola meglio contro il suo petto, dondolando impercettibilmente da destra a sinistra. «Però, appena penso che tra poco sarai Park Siyul, mi viene quasi da piangere per la felicità» rivelò timidamente, «Ero sicuro che ti saresti scocciata di avermi tra i piedi».
Lei lo guardò con quello sguardò da volpe che amava tanto, «E sprecare tutti i successi di questi anni?» domandò retorica, «Hai quasi imparato a fare un soffritto senza bruciare tutto e sai mettere il lievito nelle torte» strusciò il suo naso contro quello del fidanzato per un istante, «Anche se non rinuncerò al cognome di famiglia, a costo di averne due» ammonì.
Jimin mise il broncio, «Almeno fai vedere la futura fede nuziale e l'anello quando ti presenti» propose, «Oppure ti scriverò in fronte con un indelebile: il fidanzato, aka-futuro-marito, morde».
Con un va bene Siyul si prodigò per baciarlo, l'ultimo bacio prima di iniziare ad abbuffarsi.
Le settimane terminarono come uno schiocco di dita una dopo l'altra, senza fine, finché i calendari non divennero sempre più esigui e smunti e l'anno nuovo non iniziava ad incombere. Con esso, anche la fatidica data di matrimonio: 11 dicembre, dieci giorni prima del compleanno di Siyul.
Avevano scelto quel giorno dopo una serie di lunghissime conversazioni e piani, ma principalmente era per allungare la luna di miele e portarla ad almeno tre settimane e mezzo di pace.
Ciò che uscì dalle loro decisioni si poteva riassumere in: cantanti metal che ballano vestiti da fate fluorescenti.
I due avevano visto un film prima di avviare qualsiasi discussione ed era apparsa la scena di un party in discoteca pieno di vestiti con colori fluorescenti, che si illuminavano.
«Chim, facciamo un matrimonio sotto le stelle?» domandò dunque Siyul.
Jimin accolse ben volentieri la richiesta: «Voglio lo smoking verde e la cravatta rosso lava, il prete vestito da esorcista fosforescente e i fottutissimi Bring Me The Horizon ad accompagnarti all'altare» si fomentò.
Siyul lo seguì a ruota, «Gli invitati a fare un cosplay di un personaggio e il minimo di almeno tre colori stravaganti ad abito».
«La glassa della torta si deve illuminare e la voglio a forma di Chopper» pretese poi lui.
Siyul fece una smorfia, «Ma povero Chopper, non voglio affettarlo, al massimo con le sembianze di Sakura, almeno le diamo un'utilità» propose, «Ah, siamo d'accordo sul costume da All Might femmina per Nonna Yun, vero?» il suo tono non ammetteva repliche, ma Jimin non avrebbe messo bocca mai nella vita.
«D'accordissimo, piccola mia».
Peccato poi che la madre di Jimin avesse distrutto ogni piccolo piano per quel matrimonio in grande stile e, armandosi di forza di volontà – e mestoli – aveva trascinato i due futuri sposi in un negozio di abiti, ovviamente in giornate differenti, al fine che scegliessero il preferito tra i tanti.
Alla fine la celebrazione fu più che normale, pure le stelle filanti arcobaleno dalle forme falliche furono abolite, con enorme dispiacere sia da Jimin sia da Siyul, che furono infiocchettati alla perfezione per il giorno più importante della loro vita.
Jimin quasi non si riconosceva davanti allo specchio, vestiva uno smoking nero, completamente nero, che gli era stato cucito addosso dal talento delle sarte. Gli pettinarono i capelli in modo tale che avesse la fronte scoperta e, a seguito di un'intensa sessione di trucco, sembrava pronto a farsi immortalare su ogni schermo del mondo.
Sua madre quasi non lo riconosceva da quanto sembrava cresciuto quel giorno. Il suo piccolo bambino che vestiva l'oscurità, con un decorato fiore di Lycoris a sbucare dal taschino e il portamento da dio greco.
Credette che sull'altare si sarebbe fatto prendere dall'ansia, ma, invece, non tentennò nemmeno un istante o, se lo fece, fu capace di nascondere ogni terrore.
Quando la marcia nuziale risuonò, con sommo dispiacere dello sposo, perché non aveva ottenuto Shadow Moses, ogni invitato rimase col fiato sospeso, mentre Siyul varcava la soglia da regina quale era, in cerca solo del suo re.
In quella chiesa non esisteva più nessuno che non fossero loro.
Si legarono attraverso uno sguardo, chi sapeva usare una diversa chiave di lettura, avrà certamente notato la lunga e spessa catena che congiungeva i loro cuori in uno solo.
Forse l'Akai Ito sarebbe stato finalmente fedele alla sua leggenda.
L'entusiasmo fu palpabile quando Siyul, a breve Park (Kwon) Siyul, sfoggiò tutto il suo enorme egocentrismo in una sfilata senza precedenti: alcuni sciacalli ardevano d'invidia, mangiandosi le mani pur di ottenere un briciolo della perfezione che vantava lei.
La nostra sposa aveva mantenuto i rapporti con alcune vecchie compagne di classe che odiava, solamente per invitarle a quel matrimonio e godere davanti al loro fegato che si corrodeva.
C'era pure l'ex fidanzata di Jimin, Min Naeun, che rimpiangeva di averlo tradito.
Tali realtà, permisero a Siyul di danzare nel suo abito di pura luce e merletti: l'ampia gonna fluiva assieme ai suoi passi senza peso, facendo luccicare le decorazioni floreali sul corsetto e sulla scollatura a V, che in una chiesa dovrebbe esser bandita; aggiunse gli sguardi smaniosi dei maschi ai motivi per cui il suo ego si animava ogni secondo.
Pian piano che attraversava la navata, le sue cuginette più piccole, che non sapeva bene con quale parentela fossero collegate a lei, spargevano petali candidi sul suo cammino.
Il legame di sguardi con Jimin non si era dissolto nemmeno per un secondo, anzi, la consapevolezza di essere i più invidiati e splendidi sposi di sempre saldò alla perfezione anche i punti più fragili di quella catena.
Le loro famiglie non potevano che essere fiere di possedere due figli di tale calibro, Nonna Yun stava già premeditando lo sfoggio degli sposi perfetti con la sua setta del cucito, in un circolo vizioso di vanto senza fine.
Così, quando arrivò il momento clou della cerimonia, Jimin e Siyul iniziarono finalmente ad ascoltare quel vecchio parroco che non smetteva di sbavare dietro la scollatura di lei, al punto da beccarsi le occhiate d'astio di Jimin ogni mezzo minuto.
«Vuoi tu accogliere Siyul come tua sposa nel Signore promettendo di esserle fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarla e onorarla tutti i giorni della tua vita finché morte non vi separi?»
Il prete disse finalmente la formula più importante e Jimin, che già con gli occhia aveva già ripetuto quel fatidico "si" infinite volte, adesso poteva finalmente lasciarlo scorrere sulla sua lingua per mettere il primo punto sul loro futuro.
«Sì, lo voglio» sorrise dunque, il petto più leggero e finalmente la gioia a lambirgli le labbra.
Il prete, allora, si rivolse a Siyul: «Vuoi tu accogliere Jimin come tuo sposo nel Signore promettendo di essergli fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarlo e onorarlo tutti i giorni della tua vita finché morte non vi separi?»
Questa volta Jimin non provò ansia attendendo la risposta e principalmente non successe perché la sua compagna di allucinogeni iniziò a mimare una frase, senza farsi vedere da nessun altro che non fosse lui.
"se tu lo vuoi, tu lo sarai, una di noi: WINX."
Dovette mordersi l'interno guancia per non scoppiare a ridere malamente e non smettere più.
Siyul, nettamente più brava di lui a celare il divertimento, si limitò a sogghignare perfida.
Poi aggiunse finalmente la voce alle sue parole e, per un momento, Jimin era certo continuasse a cantare la sigla del cartone, ma per fortuna evitò.
Lasciò che la sequenza di lettere più importante della sua vita si animasse sulla sua lingua: «Sì, lo voglio».
Il bacio che seguì fu qualcosa di intenso e liberatorio.
Jimin non si peritò a nascondere le risate sulle sue labbra e si fece cullare dalla sicurezza di aver messo il suo ultimo sigillo a quella parte complicata della loro relazione.
Era finito tutto bene.
E finalmente i due potevano definirsi marito e moglie.
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Cos'accadde dopo è un'accozzaglia più o meno chiara di eventi e pazzie durante il viaggio di nozze.
Tre settimane in giro per l'Europa. Prima tappa: tour enogastronomico a Bordeaux, meta consigliata da un rinomato sommelier con cui Jimin aveva rapporti stretti.
Siyul si vedeva già a soccorrere l'amato marito quanto questi, distrutto dalle bevute, avesse ben deciso di vomitare nel primo fosso disponibile, per grazia divina pregò tutti i Santi a sua disposizione al fine di evitare un Jimin appiccicoso e ubriaco. Non ci crederete, ma iniziava a provarci pure con gli zerbini e Siyul doveva prenderlo per la collottola e riportarlo a calci in macchina.
Però Dio vuole che quel seduttore di tappetini sapesse reggere l'alcol meglio di qualsiasi russo armato di vodka.
Il soggiorno in Francia, perciò, fu ricordato per l'allegria di Jimin e la spropositata quantità di soldi spesi in bottiglie pregiate, solamente perché quella peste non sapeva come altro sperperarli.
Successivamente fecero rotta a Granada, in Spagna.
Laggiù si abbuffarono di paella e sherry.
Nessuno dei due rammenterà giorni più quieti di quelli, quando visitavano musei o città mano nella mano, scherzando e ridendo allegri, brindando alla loro unione e abbracciando la notte come un'alleata fedele.
Le luci che si disperdevano dall'Alhambra erano mistiche e speranzose, si riflettevano nei loro occhi come fari, unendosi al luccichio delle loro pupille color carbone.
Per tre settimane staccarono da tutto e da tutti, si rifiutarono di rispondere al telefono a chiunque non facesse parte della cerchia di parenti più intima, a cui non mancavano di inondare di foto stupide, come un Jimin saltellante per una via dell'Albacin, quartiere arabo di Granada, o una Siyul che falliva miseramente nel fare una verticale in un parco appartato e seminascosto, quasi rompendosi l'osso del collo.
Rimpiansero a lungo quelle giornate perché, una volta tornati in Corea, iniziarono a vedere tutto più grigio e piatto, come se Busan si fosse offesa per le mancate attenzioni dei due coniugi.
Il lavoro li assediò, schiacciandoli sotto una mole di stress e grattacapi, quasi per scacciare via ogni entusiasmo della meravigliosa luna di miele.
Siyul ricevette visite inaspettate all'Akai Ito da parte di persone di cui nemmeno ricordava l'esistenza, la riempivano di complimenti e congratulazioni per il matrimonio, coccolandola di finte effusioni, probabilmente finalizzate a ricevere uno sconto.
«Perché questo scontrino è due volte più caro del solito?» controllò sua madre un giorno, più o meno un mese e mezzo dopo il loro ritorno in Corea, «Seimila won per un caffè non li avevo ancora visti» la rimproverò.
Siyul rispose con un soffio scocciato, «È venuta una tipa – non so chi sia, non chiedermelo. Insomma, solite cose: "oddio, Siyeon ti sei sposata! Non ci avrei mai scommesso un soldo" eccetera».
Sua madre rimase interdetta un istante: «Siyeon?»
«Già».
«Dove li vuoi spendere questi tremila won in più?» domandò improvvisamente interessata la donna, riprendendo a lucidare le tazze del servizio.
Siyul rise soave, «Pensavo di donarli all'associazione "Proteggiamo le spose novelle" e sperare mi tolgano da quest'uragano di umani fastidiosi, o metterli da parte e comprarmi una mazza chiodata».
«Volevi dire bastone da passeggio, spero».
La ragazza annuì convintissima, «Sì, sì, proprio quello», con l'aria da "tanto sono la stessa cosa", concetto modello che insegnava Nonna Yun da anni.
Per sua fortuna, il periodo di "placchiamo di complimenti e cazzate varie le povere anime indifese" si concluse in tempi ancora accettabili: sei mesi dopo la cerimonia, più o meno. Ovvero il necessario perché i due smettessero di osservare costantemente i voli più interessanti per fuggire dalla Corea altri giorni e lanciare i loro telefoni dallo scarico dell'aereo.
Il periodo tornò dunque a farsi mite e pacato, Jimin e Siyul si godevano la loro perfetta vita da coppia sposata, con i battibecchi abituali e i dispetti che erano soliti farsi e le loro amorevoli serate d'amore intenso.
Quei due anni di intervallo prima del "grande giorno" furono ristoratori, senza problemi né improvvise ricadute da parte di qualche stramba situazione inaspettata.
Un vero e proprio paradiso.
Mancavano circa sei mesi al ventiquattresimo compleanno di Siyul, che in quell'afosa sera di gugno era stravaccata sul divano di casa, sfinita da un'intera giornata a infornare e sfornare cibo nella sauna che era la cucina della pasticceria.
Si rigirava in continuazione, prima era stesa su un fianco, poi sull'altro, ancora dopo di schiena, poi di nuovo sul fianco.
Non riusciva a trovare la posizione che più l'appagasse.
«Chim» si lagnò lamentosa, «Perché devi fare tanto esercizio per queste cosce?» bubbolò, abbracciando la sottile vita del marito e seppellendo la fronte nel suo ventre nudo.
Jimin ridacchiò giulivo, coccolando la ragazza con una mano tra i capelli, non lo infastidiva l'essere usato come cuscino personale, fin quando non disturbava la visione della partita di basket.
Stese meglio le gambe sul tavolino davanti al divano e strizzò una guancia della compagna, «Perché tu ami tutto ciò» e si additò con fervore, soffermandosi principalmente là dove i suoi muscoli apparivano più marcati.
«Hai appena indicato tutto te stesso» gli fece notare lei, con un finto disdegno.
Jimin, però, ampliò il suo sorriso sicuro, «Lo so» confermò, «Perché tu stravedi per ogni piccolo millimetro del mio corpo».
«Meno male che hai pochi millimetri» mugolò con un sussurro che, per fortuna, lui non sentì, «Però un chilo in più non lo schiferei, ti renderebbe un cuscino migliore» affermò, «Da domani vedrò di metterti all'ingrasso».
«Oppure da domani porti un cuscino tutto tuo, invece di sfruttarmi».
Siyul scosse la testa, facendo contrarre gli addominali del ragazzo per il solletico della punta del suo naso contro la pelle, per ripicca vi scoccò pure un piccolo bacio, «Vai bene tu, vai bene tu».
La ragazza, sentendolo concentrato nella partita, non lo disturbò più.
Cercò, invece, di godersi il profumo di lavanda della sua colonia e il calore della pelle, apprezzando le grazie del suo torace con veloci toccatine qua e là, soprattutto nei momenti in cui si fomentava più del dovuto per l'esito della giocata, che non approvava minimamente.
Sonnecchiò a intervalli regolari, risvegliandosi ogni tanto per qualche movimento brusco del suo amato cuscino.
Jimin, quando si accorse che Siyul dormiva beata, si sforzò per moderare la voce negli insulti e, quando la partita finalmente finì con una vittoria della sua squadra favorita, con l'animo più leggero e soddisfatto, ammirò il volto dormiente della ragazza qualche minuto, sentendosi così tanto fortunato ad averla tutta per sé.
La vide sorridere nel sonno, soprattutto grazie alle carezze che le donò.
Quando avvertì anche lui la stanchezza, la prese in braccio con delicatezza e la portò fino alla loro camera. La posò delicatamente sul materasso e la coprì col lenzuolo, poi andò a sistemarsi.
Osservò pensoso l'armadio, chiedendosi se valeva la pena di vestire una maglietta, poi inveì contro il caldo e decise beatamente di togliersi i pantaloni bianchi della tuta e dormire in boxer, tanto anche Siyul non vestiva altro che una sua maglietta troppo grande e un paio di slip.
Si stese a letto e, nemmeno il tempo di spengere il lume, che era stato malamente placcato dalla sua dolce metà, che aveva steso la testa sul suo petto.
«Sei sveglia?» le chiese con un sussurro dolce.
La quasi-addormentata mimò un circa con la mano, «Non sei molto silenzioso quando ti cambi».
«Mi sono tolto i pantaloni» ribatté indignato.
Siyul annuì, sfiorandogli poi gli addominali con le dita, «Questa robetta urlava di essere ammirata».
La testa di Jimin ricadde di peso sul guanciale, dopo che l'aveva alzata come riflesso al contatto della ragazza, e la strinse più forte al suo corpo con un braccio.
Lo sbadiglio della ragazza gli freddò il piccante commento che già incombeva sulla sua lingua, così le diede un bacio sulla fronte e si prodigò per spengere la lampada.
Non si addormentò subito, rimase un po' a pensare e godersi il buio, di tanto in tanto osservando le luci che trapelavano dalla finestra e ammirando qualche frammento di Busan, oppure fissava stanco il soffitto e si godeva l'oscurità che avvolgeva ogni cosa.
Immaginava che Siyul fosse già nel mondo dei sogni, eppure il pollice della sua mano da qualche minuto continuava ad accarezzargli il petto, segno che fosse ovunque, tranne che nel regno di Morfeo.
«Non riesci a dormire?» mormorò pianissimo, cosicché se i suoi pensieri fossero stati solo paranoie, non l'avrebbe disturbata.
Ma Siyul scosse la testa.
Allora Jimin iniziò a coccolarla con dolci carezze, mentre l'incitava a spiegargli il motivo.
Lei tentennò, rifiutò l'invito e gli disse di non preoccuparsi.
Eppure Jimin insistette.
«Non farti strane idee, però, né congetture varie o-o piani di fuga, okay?» premise, Jimin le garantì tutto con un cenno d'assenso, poi, inaspettatamente, Siyul gli diede un bacio.
Pensava fosse un semplice contatto, invece divenne lentamente più caldo e umido.
Gli mordicchiò le labbra, prima di leccarle per scusarsi, poi si staccò, lasciandolo in balia di un gemito strozzato.
«Era per sicurezza, ecco» motivò, poi fece dei respiri più profondi. «Ieri ho parlato con Eunju, la ragazza della spesa, la ricordi?»
Ancora stordito, Jimin rammentò vagamente una donna con cui sua moglie era in buoni rapporti, anche se si trovavano praticamente solo a far commissioni per pure casualità. Forse era venuta anche al loro matrimonio, ma non gli era mai stata troppo a genio.
«L'amica del supermercato, in ogni caso. Non la vedevo da un po' e ho scoperto che fosse incinta» raccontò, «È di sei mesi, stava provando ad avere un figlio col suo compagno e ci sono riusciti».
Jimin mugolò qualcosa, per niente interessato, «Buon per loro».
«Sì, certo, certamente» affermò distratta lei, «Però, mi ha fatto pensare a- ecco» le parole le sfumarono lentamente, dissolvendosi in piccole nuvolette traditrici.
Lui aveva già capito dove volesse andare a parare e, dentro di sé, iniziarono a muoversi numerose emozioni contrastanti, «Vorresti avere una famiglia?» la anticipò, «Con me?»
Anche se l'oscurità la celava, Siyul arrossì, annuendo, «Ti piacerebbe?» tastò timidamente il terreno, sapeva di aver sfiorato uno degli argomenti più complessi di un rapporto di coppia, «Non subito, insomma, abbiamo già corso tanto col matrimonio, però, più avanti...»
Jimin la abbracciò teneramente, «Diventare papà? Non lo so, ma penso di sì, piccola mia» le baciò nuovamente le labbra, «Chiamarti "mamma" davanti nostro figlio è uno dei miei obiettivi più grandi».
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Questa discussione, dunque, avviò l'ultima fase delle loro fatiche da fidanzati: la creazione di una famiglia.
L'idea preoccupava entrambi, come li emozionava allo stesso tempo.
Jimin non aveva mai perso la sua indole infantile, ma col tempo acquisì anche quella da uomo perfetto e responsabile, sarebbe stato un padre fantastico.
Mentre Siyul, col suo sarcasmo e la sua dedizione, avrebbe fatto crescere benissimo quel pargoletto, circondandolo da una nube di affetto e meme.
Più ne parlavano, più quell'idea si concretizzava.
Così a luglio, anche se nessuno dei due aveva previsto di ridurre tanto i tempi, Siyul ebbe un primo ritardo.
Si fece prendere dal panico finché, costretta dalla peste del suo ragazzo, non scoprì di essere incinta.
«Forse ho fatto male i calcoli dopo la serata pizza e soju» ragionò ad alta voce lui, ripensando alle loro ultime volte con particolare divertimento.
Siyul continuava a fissare il risultato del test con sguardo vuoto, forse terrorizzato, solo sentendo la tranquillità nella voce di Jimin si risvegliò meravigliata, «Non vuoi scappartene in Messico o da qualche altra parte?» chiese scettica.
Jimin inarcò un sopracciglio, «Più ne abbiamo parlato, più mi sono convinto a voler un bambino con te, questa notizia è bellissima».
«Sei troppo tranquillo» ribatté ancora, «Stai diventando inquietante».
Così, con un sorriso rassegnato, la prese di slancio in braccio, cingendola stretta stretta e iniziando a girare su sé stesso, mentre Siyul rideva come una matta.
Alla fine caddero insieme a terra, Jimin con la schiena sulle mattonelle del bagno, Siyul a cavalcioni del suo corpo, il fiato corto per le troppe risa e la giornata migliorata per la notizia gioiosa.
«Padre e madre Park» costatò felice lei, «Non vedo l'ora sai?»
Jimin si sedette, posando la fronte contro quella di lei, «Non vedo l'ora di addestrarlo al culto del metal e del completo rifiuto per i parenti» affermò.
Si baciarono con gioia e sollievo, assaporandosi lenti e pacati là dove venivano mossi non dalla lussuria, ma dalla castità di un amore giulivo e puro. Jimin si staccò con un lieve risucchio e posò le sue labbra prima sul collo della ragazza, poi agli inizi della scollatura della canottiera.
La fece stendere sul pavimento e, salendole sopra, le alzò i vestiti e baciò come ultima tappa il ventre caldo che avrebbe accudito suo figlio.
Una lacrima di gioia gli solcò le labbra, cadendo sulla pelle liscia e morbida, fino a tracciare un piccolo sentiero di enorme allegria.
Quando provò a nasconderlo, si accorse che anche Siyul, in realtà, aveva pianto qualche lacrima entusiasta.
Si abbracciarono, coccolandosi a suon di baci umidi e lacrime appagate su quel gelido pavimento.
Erano felici, così fottutamente felici che il loro umore non fu intaccato per interi giorni, forse mesi.
Luglio terminò, giunse agosto, poi settembre e, ancor dopo, ottobre.
Al quarto mese di gravidanza scoprirono che la primogenita fosse una bambina, una piccola creaturina che stava crescendo indisturbata.
Da quando seppero ciò, Jimin divenne enormemente paranoico, più di quanto non era mai stato anche in precedenza: si preoccupava a proteggere Siyul e sua figlia da ogni minimo pericolo, anche un piccolo e indisturbato ragnetto.
Si teneva a specificare che, fino a quel momento, fosse stata lei ad ammazzare quelle bestie, dato che Jimin ne era terrorizzato.
Nonostante gli ammonimenti, però, Jimin insisteva per sostenere le due donne della sua vita, tre contando sua madre e quattro con Nonna Yun.
Entrambe le famiglie erano state più che felici della notizia, l'avevano fatto notare attraverso miriadi di stendardi e pranzi a cui erano invitati mezz'ora prima, cosicché non potessero rifiutare. Nonna Yun ricamò uno dei migliori vessilli che potesse mai realizzare: un'aquila – perché le banalità alla vecchietta non piacevano – maestosa nel suo cappotto di penne sfavillanti, volteggiava splendida sopra i profili di una città, reggendo tra le forti zampe un fagotto di seta verde acqua.
Negli angoli spuntavano i cenni di un campo di Lycoris Radiata e, con le braccia protese verso l'alto, le sagome di due persone che attendevano la venuta del maestoso volatile. Lo appesero tra i tanti del camino, ornandolo di fiocchi e foto di famiglia.
«Quasi non ci credo» mormorava al suo capo.
Kyungseo lo osservava curioso, incitandolo a parlare col cuore aperto in quel piovoso pomeriggio di dicembre, era quasi ora di chiudere lo studio e, mentre trascorrevano l'ultima mezz'ora in un silenzio rigido, Jimin ricevette un selfie di Siyul, che, quel giorno, stava provando a suonare il nuovissimo pianoforte che le aveva donato per l'anniversario.
"Diventerà una musicista perfetta con i miei addestramenti divini" citava il messaggio.
Jimin sorrise in un modo talmente luminoso e dolce che ogni minima traccia di malumore e fatica era improvvisamente scemata via.
Kyungseo l'aveva dunque sottoposto alla sua indiscrezione. «Sto per diventare padre, è-è pazzesco» spiegava incantato, «Crede che sarò bravo? Sarò un buon esempio per mia figlia?» chiese con un tenero broncio preoccupato.
Kyungseo annuì convinto, «Sarai bravissimo, non preoccuparti» e gli diede un paio di pacche sulla spalla con la mano solcata dalla spessa cicatrice.
Jimin, che di solito non staccava mai lo sguardo da quel residuo di ferita, iniziò a vagar col la fantasia in un universo parallelo di bellezze e tranquillità. «A lei piacerebbe?» gli chiese poi, «Avere una famiglia intendo».
L'uomo non rispose subito, concentrato com'era a contare tutte le goccioline che si sfidavano lungo il vetro liscio della finestra, poi sospirò, gettando fuori un'aria di malinconia. «Se il mondo girasse in verso diverso, chissà. Ma per come siamo destinati a incastrarci in questa realtà, mio caro Jimin, no» comunicò solenne, «Un fiore non sboccia mai due volte di seguito».
❇ ❇ ❇
Non negava di esser confuso dal suo saggio maestro scappato di casa e con qualche rotella fuori posto da anni, ma lo era tutte le volte in cui entravano in quei discorsi più reconditi e profondi dell'animo umano. Ci ragionò finché non ebbe le chiavi della porta in mano e, con immensa gioia, non le infilò nella toppa, allora sparirono tutte le incertezze.
Un ammaliante aroma di arrosto lo accolse a braccia aperte, cingendolo con amorevolezza.
Si tolse il cappotto dalle spalle e, stiracchiandosi un po', trotterellò sollevato fino alla cucina.
Siyul stava leggendo un libro, seduta al tavolo da pranzo.
Quando Jimin le andò incontro si alzò, seppur con qualche difficoltà, facendosi accogliere dal calore del ragazzo.
Jimin le baciò le labbra, una mano dietro la schiena, l'altra sul ventre. «Tra poco è il tuo compleanno» esclamò felice, stringendola ancora, Siyul annuì, rilassandosi con la testa sul suo petto.
Si lasciò cullare in silenzio, mentre il suo tenero maritino già ragionava per rendere indimenticabile la festa per onorarla.
Alla fine Siyul insistette per averlo a casa tutto il giorno, per rilassarsi insieme con coccole e baci appena svegli, riappisolarsi nella vasca da bagno, l'una abbracciata all'altro, e svolgendo miriadi di attività quieti e irrealizzabili con il trambusto del Natale.
Come pensato, infatti, il 25 dicembre fu un giorno d'enorme intensità, tra cibo, regali, vestiti, parenti, complimenti, altro cibo, altri regali e altri parenti.
Entrambi non vedevano l'ora di indossare i loro pigiami felpati e stendersi accanto, avvolti nella loro fedele coperta pelosa e addormentandosi sul divano angolare con sottofondo qualche scontato film natalizio.
Fu esattamente quello che fecero una volta tornati a casa rotolando.
Troppo cibo.
Per tutti i due giorni seguenti, Siyul e Jimin si erano fusi con le loro morbide e setose coperte, finché la notte del ventisette, non accadde l'impossibile.
L'apocalisse scoppiò così brutale che scorticò via ogni minima speranza dalle loro membra.
Iniziò il caos.
❇ ❇ ❇
Siyul ogni mattina dimenticava quando fosse confortevole e accogliente l'abbraccio di Jimin, appena se ne staccava, la sua mente rimuoveva ogni piccola traccia di quella meraviglia per non distruggerla con l'attesa di riaverlo. Ma, quando si infilavano insieme sotto le coperte e il caldo baciava le loro pelli, Siyul rimaneva sempre a bocca aperta.
Solo con Jimin sapeva di essere al sicuro da tutto, stretta al suo petto, mentre lui dormiva sereno e indisturbato.
Di notte, lui non riduceva le sue paranoie verso la sua salute, per questo anche nell'incoscienza, si assicurava di serrare abbastanza la presa sul corpo della moglie.
Siyul si era infatti svegliata da un'ora, più o meno, di cui la prima metà la passò in un dormiveglia astratto.
Si era destata per intero solo recentemente, trovando Jimin steso su un fianco davanti a lei.
Lo abbracciò con gli occhi chiusi.
Aveva freddo, più del solito.
Nonostante l'infinità di coperte, infatti, quella notte il gelo la martoriava. Prese a tremare senza rendersene conto, come se il suo corpo volesse avvertirla di qualcosa.
Si accorse solo dopo di doverlo ascoltare.
Infatti si limitò a contrastare il freddo nascondendosi sotto il piumone e prendendo quanto più calore possibile da Jimin, perché lui ne aveva fin troppo. Si riappisolò altre due volte, ma l'assopimento fu breve e turbato.
Entrambi i sogni erano ambientati in una lugubre stanza nera, decadente e spoglia. Sentiva l'odore di urina e feci scartavetrarle le narici, lo sporco avvolgerle il corpo e il freddo aumentare.
Nel primo sogno, l'oscurità volteggiava in grandi quantità di nuvole dense e burrascose: si frantumavano le une addosso alle altre, lottavano e guaivano.
Siyul tirò un sospiro di sollievo solo quando capì che la stessero ignorando. Ma, più andavano avanti quelle lotte temporalesche, più il suo corpo era privato di energie, finché non divenne quasi visibile perché la sua forza stava scemando via.
L'oscurità si concentrò sulla sua luce.
E la attaccò.
Quando riprese coscienza, tremava come una foglia al vento e aveva il fiatone. La paura le cosparse di brividi torridi la pelle e si accorse di avere lacrime secche attorno agli occhi.
Sperò di non addormentarsi ancora, ma fu costretta per sfuggire al gelo che la attanagliava nella realtà.
Il secondo sogno fu peggiore.
Siyul era ancora avvolta assieme all'oscurità, ma non la stava divorando.
L'oscurità era calma e placida, come se non lei non fosse più interessante.
E difatti non lo era.
Perché laggiù c'erano due luci.
Siyul scorse la potenza dell'intruso con un'onda di calore ghiacciato a bruciarle la pelle e strapparle ogni traccia di vita. La luce avversaria la controllava, si nutriva della sua.
E, con quell'abilità, schiavizzava l'oscurità.
Solo aprendo gli occhi, Siyul vide finalmente la fonte di luce e se ne pentì.
Era una maschera, due X di luce fosforescente rossa e un sorriso acuminato dello stesso colore.
Urlò.
E, nuovamente, aprì gli occhi spaventatissima.
Questa volta si mosse con troppa irruenza, distrusse ogni minimo riguardo per il leggero sonno del marito e iniziò a nascondersi nel suo petto. Jimin mugolò qualcosa, ma, anche se non era perfettamente lucido, sentì com'era gelido il corpo della moglie e, siccome non indossava la maglietta, le lacrime di colei gli scorrevano tiepide sulla pelle.
Non perse tempo a consolarla.
Non capiva, non capiva cosa le stesse succedendo.
La sua ignoranza, tuttavia, durò poco.
Siyul avrebbe dovuto ascoltare il suo corpo quando aveva ancora tempo, magari svegliare Jimin e scappare via, il più lontano possibile.
Però, nonostante avesse provato a guardarsi attorno, non c'era niente che la turbasse a primo sguardo.
Era un peccato che Jimin le coprisse la visuale sulla finestra e non avesse notato quella stessa maschera rossa guardarla dal palazzo di fronte.
Si accorse della sua stupidaggine, quando anche lui smise di muoversi completamente.
Pure il suo respiro cessò.
«C'è qualcuno» sussurrò senza volerlo, il suo istinto aveva vinto.
Jimin non disse niente, così Siyul alzò la testa.
Jimin stava fissando qualcosa ai piedi del letto, lo sguardo paralizzato, il corpo senza vita.
Un riflesso rosso negli occhi.
E fu allora che li vide pure lei quegli uomini che da ore li stavano guardando.
Tutti con addosso maschere neon rosse.
Fu inaspettato e repentino, tutto troppo veloce.
Jimin si precipitò sul suo corpo, le protesse, lei e la bambina.
Se inizialmente Siyul avesse dovuto capire perché, poi le fu troppo chiaro.
Una serie di boati continui e uno di seguito all'altro le fecero schizzare il cuore fuori dal petto.
Una spropositata serie di proiettili si conficcò ai lati dei loro corpi, modellandone la forma e facendo in modo che non potessero muovere un muscolo.
Siyul piangeva e gridava.
Jimin non sapeva che fare dalla disperazione, il suo io interiore era solo consapevole di dover proteggere Siyul e sua figlia.
Non aveva idea di come farlo, però.
La gabbia di proiettili consentì la perdita di ogni senso da parte delle due povere vittime e, non appena scorsero la libertà, Jimin fece per alzarsi e fronteggiare, con solo i miracoli dalla sua parte, quella gente. Ma non ci riuscì.
Venne strattonato da troppe braccia: quattro lo presero per le spalle, due per la vita, una gli serrò la bocca e tre gli bloccarono le gambe.
Erano forti.
Più di lui.
Provò a divincolarsi, diventare tanto difficile da trattenere e somigliare a un'anguilla, ma non ci fu verso.
Lo stringevano a costo di bloccargli la circolazione.
«AIUTO, NO, NO, PER FAVORE» il grido di Siyul lo riscosse.
Altrettanti uomini l'avevano placcata, la tiravano, la picchiavano pur di farla star ferma e zitta.
I suoi occhi erano cristalli di lacrime, il suo corpo un insieme di lividi.
L'anima, collegata alla sua.
Li separarono, uno da una parte, una dall'altra della stanza.
«JIMIN! LASCIATEMI! VI PREGO!» Siyul lo guardò dritto negli occhi, urlando con voce stridula e acuta l'unico nome che le dava una certezza.
Jimin si mosse più forte, addentò la mano che aveva sopra le labbra, strattonò quella gente che lo bloccava per le braccia e per le gambe, un paio se li tolse di dosso, ma rimediò solo dolorose percussioni sulle costole e un pugno in pancia.
Stramazzò.
Siyul gridava il suo nome.
Lo chiamava.
Lui non riusciva a parlare.
Serrò i denti, mentre quella gente lo avvolgeva e sentiva il sangue scorrergli in gola.
Il suo ultimo ricordo è la pietosa richiesta di salvezza di Siyul, col corpo proteso nella sua direzione, le braccia in avanti per fuggire da lui.
Jimin imitò il gesto, avvertendo che le forze lo stavano abbandonando e la presa degli uomini mascherati era più lieve.
Tese il bracciò verso di lei.
«JIMIN!» pianse Siyul, le vide poi muovere le labbra, prima che il suo volto sbiancasse e gli occhi le si spalancassero.
In quel momento, venne colpito da qualcosa di così doloroso che non riuscì a resistere all'agonia senza piegarsi in due.
Gli sembrò che il cranio gli venisse aperto in due, che le voragini della ferita sprigionassero fuoco e acido, gli crepassero le ossa, riducendo in polvere ogni piccolo muscolo.
Stramazzò impotente, barcollando a destra e sinistra, smosso dalla forza dei rapitori e con le loro luci rosse negli occhi.
Cercò di focalizzare solo Siyul nella sua mente, anche se fu difficile per la vista appannata e confusa.
Il suo bel viso.
Della sua unica certezza.
«Siyul...».
_ShiroYasha___
_vbtshiroyasha___
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