Un pezzo in meno, un pezzo in più.
Maledizione, maledizione e maledizione!; pensò il moro, stringendo i pugni fino a far sbiancare le nocche, ripensando, poi agli occhi di Marco mentre lo supplicava di aiutarlo: che vergogna!, grugnì nella mente, con una smorfia irritata sulle labbra: si era fatto vedere debole anche da lui! Con i denti che fremevano di delusione e rammarico, senza accorgersene, si addentrò, nel parco della città, desolato a quell'ora tarda; anche se non lo conosceva esattamente, poteva dire che, approssimatamene, fossero le undici. Alzò lo sguardo, esplorando la volta celeste così scura, senza stelle, e, lievemente nascosta dai rami che reggevano ancora qualche foglia arancione e gialla; e decise di fermarsi, sedendosi a terra, in quel prato fresco e gelido, quasi bagnato dalla brina della notte, e sospirò, cercando un modo di ricomporsi mentalmente, e con un sospiro angosciato perché non ci riuscì.
Si rannicchiò, riabbottonando la camicia, e adocchiando, poco più dietro di sé una panchina, lasciandosi cullare dal vento che gli scompigliava i capelli, portandogli le ciocche sopra gli occhi, coprendolo dalla tristezza e dalla luminosità delle pupille, dovute alle lacrime che cercava di trattenere: ne aveva versate già troppe, poco fa; e soprattutto, davanti a Marco. Si odiava, si odiava, e si odiava; davvero tanto e fin troppo! Perché?, pensò: era riuscito a rovinare la festa a Marco, dannazione! E cosa peggiore, tremava! Stava tremando come una femminuccia! Doveva solo vergognarsi! Faceva schifo, schifo, e schifo! E ora lo sarebbe stato anche di più! Perché era stato quasi profanato da un essere disgustoso! Era orribile, orribile, orribile! E doveva tornare a casa! Lì avrebbe di certo trovato un modo per non pensare a quelle mani nauseanti e appiccicose, e dal sapore di alcool... Forse doveva bere, sì, sarebbe servito di più a dimenticare... O a smarrirsi ancora di più fino a ucciderlo.
Non voleva farsi vedere da nessuno, soprattutto da Marco! No, non poteva guardarlo in faccia. E poi... Ma sì! Lui meritava quello, no? Era il figlio di un essere ripugnante! Non poteva stare con lui... Doveva convincersi e metterselo in testa una buona volta! In fondo, non avevano nemmeno ballato, o passato tempo assieme... Lui era andato via e non era più tornato... Forse aveva capito che faceva orrore, di chi era figlio.! Lo aveva salvato solo per non macchiare l'importanza e il valore di quella famiglia... Ma a Marco non gli importava di lui, ed era meglio così. Perché mai avrebbe dovuto preoccuparsi di lui? Un essere che non meritava nemmeno di vivere!
-Ace...-
Sobbalzò, sgranando gli occhi, e indietreggiando con un saltello, ancora con le braccia frementi e seduto, ritrovandosi poi, la figura del biondo dei suoi pensieri che lo aveva appena raggiunto. E non capì: non sarebbe dovuto restare alla sua festa? Ma forse, era lì per ricordargli di averla distrutta, rovinata, e di non farsi più vedere... se lo meritava, rifletté, chinando a terra gli occhi.
-Forse è una domanda sciocca, ma... stai bene?-
Tentennò, boccheggiando e restando con gli occhi sorpresi che sembravano non voler credere a niente, né a quelle parole: impossibile. Si voltò immediatamente verso il biondo con fare meravigliato, mostrandosi in tutta la sua incredulità; non se lo immaginava, aveva davvero..., pensò, a bocca aperta e tornando a chinare il volto per terra: gli aveva chiesto se stava bene! Si preoccupava per lui nonostante gli avesse intaccato il suo compleanno con quell'accaduto? O stava sognando? Sì, era ovvio: stava sognando, forse un colpo di narcolessia lo aveva colpito all'improvviso.
-Ace, non ti biasimo se non le accetterai, ma ti chiedo scusa per come si è comportato Teach...- sospirò, scrollando il capo e sedendosi al suo fianco, adagiando poi una mano sulla sua spalla. -No, lascia stare. Non riesco a perdonarlo io, figurati tu... Ma sono qui, e soprattutto per dirti che non gli permetterò più di avvicinarsi a te, o di toccarti... Promesso. Sono qui, okay?-
-I-io...-
Questo sogno era davvero incredibile e bizzarro; non poteva dire che non gli piaceva, ma era troppo insensato, pensò sospirando angosciato. Però, la parte del "Sono qui, okay?" gli aveva fatto battere forte il cuore, e arrossire il volto, nascosto dalle ciocche che invadevano la sua fronte mentre cercava di prendere le distanze da quella visione, troppo orripilato da sé stesso per poter stare con quella figura angelica, anche se inventata dalla sua mente. L'alcool. Sì, era colpa di quelle bevande: non c'era altra spiegazione. La sua mente malata cercava di tranquillizzarlo con stupide scemenze!
-Grazie...?- mormorò, quasi senza farsi sentire, ma in quel silenzio, e con quella vicinanza, lo avrebbe sentito anche se avesse farfugliato tra sé e sé. Che poi, se era davvero solo un sogno, perché rispondere?, si diede dell'idiota da solo per quella sciocchezza di aver aperto per davvero bocca.
-Lo so, vorrei poter fare di più, e magari, impedire fin dal principio cosa stava per farti, ma non potevo immaginare che pensieri gli vorticassero in testa! Vi ho seguito appena vi ho visti, ma non sono stato abbastanza veloce, né nel muovermi, né nel decidermi. Quindi, è anche colpa mia, e ti chiedo, soprattutto io scusa.- affermò, con occhi dispiaciuti mentre pensò che forse, era stata quella frustrazione, quel sentirsi in colpa di non aver potuto impedire una cosa che avrebbe potuto evitare, che aveva aiutato a farlo infuriare tanto. Se solo avesse agito subito, appena gli aveva visti... Che rabbia! Dannato Teach!, pensò, stringendo i pugni e accigliandosi maggiormente. Se, lui se lo fosse trovato dinanzi, non avrebbe più risposto delle sue azioni, e non se ne sarebbe, né curato, né pentito, di ciò!
-Mhm... Ah! Ma che razza di sogni sto facendo?- borbottò stralunato, sfregandosi il capo come in procinto di un mal di testa, e lasciando confuso il suo interlocutore che lo guardò strabuzzando gli occhi mentre Ace serrò i denti prima di sbottare con: -Non mi dispiace quello che dici, ma vorrei fosse reale... Sei davvero dolce, cavolo! Però io mi sento troppo uno schifo, e tutta questa scemenza inventata dalla mia mente non aiuta! Forse ho bevuto troppo... Dannata narcolessia e i sogni strani che porta...-
A quell'ultima parola, Marco collegò ogni cosa e sorrise lieve per quanto fosse tenero, avvicinandosi al moro, restando in piedi, e unendosi a lui in un tenero abbraccio dopo essersi chinato sulle ginocchia, stringendolo da dietro e sussurrandogli un pacato: "Guarda che non è un sogno. Davvero: io sono qui, e ho detto veramente quello che hai sentito con le tue orecchie. Ora finiscila, perché non fai schifo. Non pensarlo nemmeno, o, restando in tema: non sognarlo nemmeno. È solo colpa di Teach."
Al ché il moro strabuzzò gli occhi, cercando di assimilare quel tono carino che cercava di rassicurarlo, tenendo le pupille sbarrate mentre capiva che aveva appena fatto, non una ma ben due pessime figure; oltre al fatto che si era comportato ancora come uno stupido vigliacco debole, esprimendo quello che pensava perché credendo fosse solo un'illusione. Invece no! Marco era lì, e voleva rassicurarlo... E lo stava toccando! Non era disgustato, e non voleva rifiutarlo! ...Perché? ...No! No! Era sbagliato tutto quello! Lui... lui non lo meritava!, scattò, provando inizialmente a divincolarsi e riuscendoci poco dopo con agilità, scivolando giù con la testa dopo essere scappato con il busto dalle braccia che lo reggevano al busto e azionandosi in avanti su quegli arti forti e rassicuranti; e così si affrettò ad allontanarsi dopo essersi messo in piedi, guardandolo sorpreso prima di voltarsi e correre via.
-Ace! Ace!-
-Lasciami, lasciami!- si sentì prendere da dietro perché anche lui si era affrettato ad alzarsi e a seguirlo; con un braccio che gli avvolse la vita; e così, afferrandolo, Ace provò a levarselo di dosso, pizzicandolo con le unghie o tirandolo via. Perché si vergognava, Ace; troppo per poterlo guardare negli occhi ancora, troppo per rivolgergli parola, troppo per respirare la sua stessa aria! Se fosse stata una fantasia sua la questione sarebbe stata diversa perché inventata, ma quello era vero!, esclamò prima di bloccarsi nel sentire il respiro del biondo contro il suo collo, vicino al proprio orecchio a sussurrargli un tenero: "Shh, ehi... Tranquillo.".
Lo accontentò, senza che la mente concepisse una motivazione valida per farlo; restando fermo con la bocca semiaperta che affannava, e si calmò, volendo soddisfare quella voce così perfetta, e anche per quell'abbraccio da dietro che gli stava dedicando, prima che, con un movimento delle mani e dei gomiti lo voltasse lentamente; e così Ace, tirando su il naso con le sopracciglia piegate verso il basso, dispiaciute, rinunciò del tutto nel provare a fuggire, anche per via della presa forte dell'altro, e così affondò il muso nell'incavo del collo di Marco, socchiudendo gli occhi e sospirando, rosso ancora per la pessima figura fatta, con le gambe distese che non toccavano terra; e per quel calore con cui, l'altro lo stava circondando, rassicurandolo e facendolo sentire bene come nessun altro. Quegli arti erano come una barriera che lo proteggevano da ogni male, e come una coperta che lo riscaldavano con dolcezza, volendo solo la sua felicità.
-È vero, non posso perdonare quel bastardo... E scusa se lo chiamo così... Però, tu non c'entri niente, anzi, mi dispiace di averti rovinato la tua festa. Scusa, scusa davvero...- sussurrò.
-Puoi chiamarlo come vuoi. Ma non esagerare adesso: non hai fatto nulla di cui tu ti debba scusare.- esclamò invece, Marco, tenendolo vicino e assaporando l'odore di fiamme che emanava, fiamme come i raggi del sole che, forti, si espandevano e illuminavano il mondo, nonostante non sembrò d'accordo con la sua affermazione. -Non hai rovinato la festa, tranquillo. Teach l'ha fatto. Ma... Cosa dici? Torniamo indietro?-
-Torna tu, io... penso rimarrò qui un altro po'.- mormorò, chinando il capo, con la fronte contro la calda spalla del biondo che ancora non lo lasciava; era bello tutto quello, pensò, sorridendo lievemente ma in modo sincero per il sapore che sapeva dare quell'abbraccio; tutto senza nemmeno accorgersene.
-Allora rimarrò anch'io.- sorrise Marco, deciso e scostando i capelli dell'altro dagli occhi per poter ammirare quel marrone scuro quando si tolse con il volto dal suo dorso. Non poteva negare che avesse il timore che se ne andasse, e non voleva lasciare che tornasse a casa dopo quello che era accaduto; desiderava, invece, restare con lui, e poi, non sapeva cosa lo avrebbe atteso una volta che Ace si sarebbe recato alla propria dimora, e, al pensiero, lo strinse di più a sé, preoccupato e desiderando solo proteggerlo in ogni modo.
-Mhm... Ma... Una festa senza il festeggiato? Non sarebbe strano? E poi, i tuoi amici, potrebbero cercarti...- disse pacato, curioso e sorpreso mentre alzò lo sguardo verso di lui, sentendo ancora le dita contro il suo volto intanto che si rallegrò di come lo tenesse sempre più vicino.
-Sono tutti abbastanza brilli da non accorgersi di nulla. Magari mio padre potrebbe preoccuparsi, ma sono certo che mi abbia visto uscire.-
-Eh?- sgranò gli occhi, spalancando la bocca sconcertato. -C'era anche Barbabianca?-
-Sì, esatto. Non poteva mancare alla mia festa, e poi, a lui piacciono questi eventi, soprattutto se sono sui suoi figli.- espose tranquillo, annuendo piano, non aspettandosi una simile reazione, ma ne rimase comunque divertito.
-Io non capisco... Come ho fatto a non vederlo? Eppure è enorme!- affermò, più tra sé e sé, non volendo offendere con l'ultima esclamazione; a capo chino per ragionare e riunire le immagini nella mente, ma le persone erano tante, e la confusione troppa: non lo aveva visto per davvero, si ricredette, più sorpreso, risvegliandosi poi, solo nell'udire le risate dolci e belle di Marco.
-Mhm?-
-Beh, solo perché non lo hai visto non significa che non ci fosse.- sorrise divertito, continuando a coccolare la guancia dell'altro con fare denso e calmo.
-Sì, posso immaginare.- borbottò cupo; quello doveva davvero essere un buon padre, allora, o forse no; solo perché partecipava non significava che fosse un genitore; tutti amavano le feste, perfino lui. Lui non ricordava nemmeno una volta in cui, Akainu fosse venuto al suo compleanno; non che ci tenesse, anzi, sarebbe stato terribile! ...Però li aveva vissuti; forse, definirli compleanni era sbagliato; si trattava solo di una torta e un Luffy con cui passava le giornate prima dell'arrivo di quel maledetto in casa alla sera, ma non se ne era mai lamentato: era meglio di niente, e Luffy era la sua famiglia, come lo era anche...
-Ehi?-
-Scusa, stavo pensando.- non alzò lo sguardo, preferendo concentrarsi con gli occhi sul terreno, scuro e gelido, con le proprie gambe che risentivano dell'assenza del terreno, formicolando, ma avrebbe resistito pur di rimanere in quel contatto con Marco; e con il vento che spostava l'erba verde; non volendo farsi vedere, con le pupille, triste. Forse gli mancava davvero una figura paterna? O forse, semplicemente averlo, un genitore vero, come lo era sua madre... Non sarebbe stato male. Ma in fondo era dura, no? Sempre stato... Non avrebbe cambiato niente averlo o meno; magari solo peggiorato...
-Di cosa stavamo parlando?- si riscosse, senza cambiare posizione; non potendo essere così malinconico in un giorno così bello: era l'anniversario della nascita di Marco!
-Di mio padre.- parlò piano, studiando con occhi scrupolosi le ciocche nere di Ace che si celava a lui; si chiedeva cosa avesse, tutto ad un tratto. Non sarà che stava pensando a Teach?, temette.
-Oh... Mhm.- quello era un argomento che non gli andava molto di esplorare, pensò, rifugiandosi con le pupille, in quelle azzurre del biondo con fare curioso; e sentiva anche il timore di chiedere se quel gigante aveva visto qualcosa... Sperava di no... Oltre al danno anche la beffa con quello, poi. Non poteva e non voleva rifletterci. -Quindi... rimani qui?-
-Finché resti tu.-
-Ohm...- arrossì a quel nuovo sorriso che ricambiò con uno più impacciato, pensando che poco fa era stata la prima volta che lo aveva sentito ridere davvero. No?, si rallegrò. -Sì, però tu puoi andare, davvero. Vi raggiungo dopo quando... Mhm... Non so... se lui...- distolse lo sguardo, imbarazzato, non volendo ammettere qualcosa di scomodo, anche perché Teach faceva pur sempre parte di quella "famiglia".
-Ace, se è Teach che ti preoccupa, ti assicuro che se n'è andato, e questa faccenda rimarrà solo tra noi. Sempre se non hai intenzione di denunciarlo o altro, e non ti giudicherò se lo farai, anzi, capirò.- spiegò, con il sorriso che scomparve per far spazio ad un volto più serio e maturo.
-No, no.- scuoté il capo frenetico, con l'idea che cadde, dopo aver sentito il consiglio del più grande, ad un possibile Teach che confessava a tutti, Marco compreso, che vendeva droga. No, era meglio di no, pensò, già immaginando lo sguardo di odio che gli avrebbe riservato il ragazzo che più gli piaceva, o quello deluso di Luffy... Per non parlare che la polizia... Non era mai stato in buoni rapporti con loro, quindi era meglio evitare a prescindere. -Però, se è andato via, allora okay. Ma potevi anche andare, sarei venuto comunque visto che avevo assicurato a Thatch che sarei rimasto a dormire da voi... Una promessa è una promessa.-
Marco rimase un attimo colpito, pronunciando un lieve mugugno sorpreso, pensandoci sopra un attimo: Uh? Questa mi è nuova. Strano che Thatch non mi abbia detto nulla... Sarebbe stato il suo regalo, neh? Ma visto come la serata stava per finire, forse... Mhm...
-Quindi... Vuoi rientrare? O stiamo ancora?- chiese pacato, Ace, scrutando poi un attimo il cielo dopo essere stato rimesso giù con immensa gioia delle sue gambe: sembrava che stesse per piovere. Ma era certo che Marco volesse tornare, in fondo era la sua festa, e lui non voleva rovinargliela bagnandolo e facendolo stare al freddo.
-Sì, andiamo.- sorrise ancora, il biondo, prendendogli teneramente la mano quando si districarono definitivamente, con le braccia, dall'abbraccio e conducendo la stessa strada fatta fino ad ora, ma al contrario, per ritornare a quel locale usato per la festa.
-M-Marco...- arrossì, guardando quella mano stringere e intrecciare le dita con le proprie; sembrava fatta a posta per quello: per stare con la sua, era perfetta insieme all'arto del biondo, anche se quest'ultimo l'aveva leggermente più grande era comunque adeguata a stare così, a toccarsi e a non lasciarsi; pensò, forse con fin troppa felicità da sembrare infantile, eppure non se ne pentì, legato e tenendo quel pensiero con gelosia, amando quell'idea di unione che le loro mani avevano dato con un semplice e innocuo gesto, tanto denso quanto adorabile.
Marco era comunque, felice da quella notizia: non poteva ricevere regalo migliore, rifletté divertito, rientrando al seguito del lentigginoso: Ace sarebbe rimasto con lui per tutta la sera, fino al domani.
Si sedette sul primo letto che trovò in quella stanza, davvero esausto dai balli che Thatch gli aveva costretto a fare: soprattutto almeno uno con Marco; e, magari, era anche un po' troppo brillo. Strizzò le palpebre, sbuffando per essere dovuto arrivare agli appartamenti a piedi, scrollando il capo insieme alle ciocche; ma, in effetti, se ci pensava meglio con la poca lucidità che teneva in quel frangente, era stato condotto da delle braccia. Ed era quasi sicuro si trattasse di Marco, e amava pensarlo; quindi restò di quella idea.
-Thatch...- sentì la voce del biondo sospirare, come delusa da qualcosa, e alzò il capo a guardare i due.
-Allora, Ace! Tu, adesso, dormi qui: nella stanza di Marco.- ridacchiò, parlando troppo forte, e, visto che la porta della stanza era ancora aperta, i ragazzi che riuscivano a stare in piedi, nello strisciarci accanto obbiettarono e sbottarono contro il cuoco, tutti insieme, un perentorio "Shh!" che, nel complesso uscì talmente forte che dalle loro smorfie, fu evidente che provocò solo più dolore alle loro teste.
-Mhm... Stanza di Marco...?- mormorò, vagando in quel blu delle pareti illuminate dalla lampadina in alto, e riconoscendo anche la gabbietta bianca, dove, il pappagallo, ormai sveglio per via del trambusto, si guardava attorno guardingo e con occhietti assonati; prima di venire attirato da un altro sospiro del biondo.
-Vedi di calmarti. Avete bevuto troppo tutti e due.-
-E ti dovresti lamentare di te stesso! Tu eri il festeggiato, e non hai festeggiato per niente! Dovevi esagerare con l'alcool!- urlò, prolungando di molto l'ultima vocale; e così Marco preferì chiudere la porta della camera, in modo da alleviare, anche se di poco, il malore degli altri, che si rasserenarono nel non dover più sopportare quella presenza, per quella sera, anche se ormai erano le cinque del mattino circa.
-Oh, avanti, dormiamo! Ho sonno!- protestò Ace, sbadigliando mentre gli salì un dubbio, e si chiese se sarebbe dovuto andare o meno a lavorare appena il sole sarebbe sorto: chissà che giorno era, ecco, pensò dubbioso.
-Okay.- tornò a sorridere, il castano, raggiungendolo con un balzo e una corsa per poi sedersi accanto a lui e stringerlo con un braccio, portandoselo vicino alla propria spalla. -Dormirai con Marco, non sei contento?-
-Mhm, molto.- sbadigliò, per poi scostarsi di scatto e sgranare gli occhi con una smorfia sorpresa nel vederlo alzarsi di botto e urlare al biondo che si era avvicinato alla scrivania, ricolma di regali liberati dallo strato di impacchettamento, talmente tanti da sommergerla sia sul davanzale che sotto e accanto ad essa; forse aperti in mattinata; mentre lasciava la camicia sullo schienale della propria sedia, libera, un grande: "Hai sentito? Ace vuole dormire con te!"
Ed Ace si riprese dall'alcool appena appurò cosa stesse, realmente accadendo, e così saltò via dal letto come scottato, per poi affrettarsi a negare l'affermazione del castano, scuotendo le mani davanti a sé per evidenziare l'errore sotto lo sguardo serio di Marco che si era limitato ad alzare un sopracciglio dopo aver udito la frase del cuoco.
-Facciamo i seri per cinque minuti, okay?- cercò di prendere posizione, allora, contento però che, ad Ace non dispiacesse la sua presenza, talmente tanto che, per lui, non era nemmeno un problema dormirci insieme... da ubriaco, sottolineò l'ultima parte del pensiero, ma era meglio di niente, si disse visto che: "In vino veritas". Infatti, Ace era stato molto propenso a ridere e a stargli attaccato dopo aver ripreso a bere, con Thatch che adocchiava entrambi con un sorriso malizioso mentre il moro gli parlava allegramente e senza imbarazzo alcuno, forse però troppo sbronzo.
-Ovunque tu voglia dormire, Ace...-
-Sì, ma non qui... cioè, non... insomma...- preferì ammutolirsi, nascondendosi un po' dietro al castano che se la rideva, con le gote rosse di entrambi per via dell'ubriacatura che avevano mentre Marco tornò a parlare:
-Dicevo... forse dovremmo passare a prendere almeno il tuo pigiama, o qualcosa come lo spazzolino. Magari ti trovi più comodo così.- cercò di organizzarsi, anche mentalmente, aspettandosi una sua risposta.
-Vero.- sembrò tornare serio perfino Thatch, ma forse era solo la stanchezza che lo rendeva così calmo. -Non hai proprio niente, forse dovremmo passare da casa tua.-
-Dovremmo? Dovrei.- corresse il biondo, per poi spiegare meglio visto la sua faccia confusa, al contrario del moro che sembrava essere in un mondo distante dal loro, perennemente a capo chino, a pensare: -Ovvio che guido io: Siete ubriachi.-
-No, non importa. Non serve.- disse piano, riflettendo che, comunque, non sarebbe stato opportuno, né per loro, né per lui.
-Uh. Dormi nudo?- ghignò malizioso, Thatch, ridendo scherzoso.
-N-no! Ma che dici!- esclamò imbarazzato, stringendosi nelle spalle e trattenendo il respiro per pochi istanti. Lui dormiva vestito, proprio con quelli giornalieri, e anche se non era stata una sua scelta assopirsi con quegli indumenti, ma più una del destino che lo costringeva a prendere le botte da Akainu e poi svenire, per trovarsi successivamente, con i vestiti quotidiani la mattina dopo; non gli sembrava giusto e pulito dire una cosa del genere, soprattutto a loro; e forse, a mente più lucida, non lo avrebbe detto proprio perché non voleva parlare di Akainu. Così, all'affermazione di Thatch non gli restò che rispondere optando per una cosa un po' meno imbarazzante, ma neanche tanto... Ma era sempre meglio di dover andare a casa sua quando Akainu era in giro: avrebbe rovinato tutto nel peggiore dei modi, come sempre; impedendogli di uscire e raggiungerli di nuovo, e non era quello che voleva, non quella sera. O peggio, loro che entravano e Akainu che faceva una tragedia. Oddio, no! Categoricamente, no!
-D-dormo in mutande...- mentì allora, rosso in volto, ma sperando di aver risolto: voleva davvero rimanere con loro, soprattutto per Marco, che era il suo compleanno, e non poteva rovinarglielo una seconda volta nello stesso giorno con qualcosa di davvero drastico.
-Oh. Interessante, no, Marco?- ghignò, contento per l'amico, alzando entrambi i pollici delle mani.
-Finiscila.- lo guardò male, Marco; dedicandosi poi al volto, così preoccupato di Ace dalla sua lucidità che era meno di Thatch, ma gli impediva di cogliere e comprendere cosa lo affliggesse. A volte, sapeva, che chi era ubriaco era anche triste; quindi non poteva ben intuire da cosa dipendeva quel cambio di umore repentino. Così si avvicinò, adagiando una mano sulla spalla dell'altro che alzò gli occhi senza fretta, quasi rassegnato da uno dei tanti pensieri infelici.
-Se non vuoi stare qui, puoi sempre alloggiare nella stanza di Thatch. Sempre se te la senti di stare ancora.-
-Certo.- assicurò, annuendo e ringraziando. -Però, no... Ecco... Insomma, scusa se te lo chiedo, ma vorrei dormire qui...- tornò a chinare il capo, socchiudendo gli occhi prima di realizzare un qualcosa che aveva davvero sottovalutato: le cicatrici. Non ci aveva riflettuto abbastanza su quello, ma solo su suo "padre". Aveva impedito una cosa, ma per rivelarne un'altra... Doveva anche rimedicarsi le ferite, fasciarle visto che Teach gli è le aveva strappate.
Sospirò, Ace; certo, loro ne erano a conoscenza, e Marco le aveva proprio viste, e forse riviste quando era stato spogliato; e ancora ricordava come gli aveva rimproverati giorni prima, e come Marco lo aveva toccato, e ci stava ancora male; però... però, adesso non poteva fare altro che spogliarsi e mostrarsi in quelle ferite che tanto odiava... no? Non riusciva a pensare ad un'altra possibile soluzione, e il mal di testa non aiutava.
-Non con questo atteggiamento! Forza, più allegria.- asserì Thatch, scherzoso, guardandoli sereno.
-Sì, puoi dormire qui. Ti presto io un pigiama, se per te va bene.- annunciò allora, Marco, con i sussurri del cuoco dietro che diceva, fingendosi emozionato, e forse lo era, un: "Come sei dolce con lui! Ah! L'amore!"
-Grazie Marco.- mormorò, osservandolo avvicinarsi al proprio armadio, aprire un'anta e prendere il primo che gli cadde all'occhio, per poi porgerglielo con un sorriso.
-È un po' grande, ma per una notte può andare.-
-Okay.- sorrise Thatch, avvicinandosi alla porta. -Visto che vi siete organizzati, io vado prima di crollare dal sonno. Buonanotte a entrambi, divertitevi.- esclamò, fin troppo audace nel parlare, ma era solo colpa dell'alcool.
-Ohm, buonanotte anche a te, Thatch.- sussurrò imbarazzato, soprattutto perché lo aveva sentito prima e come incitasse a volere che avessero più un rapporto da fidanzati; guardando poi Marco uscire con la scusa dell'accompagnare il fratello per farlo cambiare con riguardo, per mantenere il suo spazio personale, con Thatch che lo rimproverava per star perdendo un'opportunità irripetibile; il biondo invece pensava a tutt'altro: dubitava seriamente dormisse solo con gli slip visto quando fosse riservato, ma poteva anche sbagliarsi.
-Andiamo...- disse brusco, portandolo fuori e chiudendosi la porta alle spalle, leggermente innervosito per le parole che aveva detto il cuoco, un po' troppo inopportune.
-Oh.- sorrise, Ace; divertito e stringendo il tessuto che gli aveva donato con dolcezza prima di adagiarlo con cura sul materasso e iniziare a far scorrere fuori gli arti inferiori dagli stivali, per poi far scivolare, cauto, le bermuda, lasciandole poi sulla sedia in modo composto, e la stessa cosa accadde per la camicia. Si ispezionò per qualche secondo, osservando la coscia sinistra bendata con poche fasce mentre altre ricadevano strappate, restando appese, e lo stesso valeva per il busto, anzi, era completamente scoperto ed era ben visibile ogni marchio mentre sospirò; per fortuna non le avrebbero viste, pensò, afferrando i pantaloni e infilandoseli, scoprendo che, anche se c'era da aspettarselo; erano più lunghi e quasi gli toccavano la punta dei piedi. Ridacchiò, il colore azzurro chiaro di quell'indumento rispecchiava perfettamente quello della stanza, mentre sentì il pappagallo fischiettare in protesta, forse in allarme che qualcuno si stesse appropriando degli oggetti del suo padrone; ma se a Marco andava bene, non vedeva dove stava il problema, si disse nel pensiero. Passandosi una mano sulla spalla sinistra bendata ancora perfettamente, salva per chissà quale miracolo. Se la massaggiò un'istante prima di passare l'arto sopra il materasso, prendendo così la maglia a maniche lunghe, indossandola e trovandosi la base che arrivava a sotto l'inguine, e le maniche che gli nascondevano le mani, e ridacchiò vivamente, divertito prima di illuminarsi, nel sorriso e nello sguardo, nel poter sentire il profumo di quel ragazzo impregnato in quel tessuto, e si portò le braccia sulle spalle come ad abbracciarsi, chiudendo gli occhi felice per quel sapore di fresco e di buono, quasi come quel fiore che gli aveva donato.
Con uno sbuffo, si chiuse piano la porta alle spalle, borbottando parole sconosciute verso Thatch e al suo fastidio che sapeva dare più del normale quando era ubriaco, avviandosi poi verso al centro della stanza prima di fermarsi di colpo, scrutando accuratamente il ragazzo, disteso sopra al proprio letto, e il fatto che fosse rannicchiato sul bordo gli fece credere che lo volesse lì con lui. Davvero voleva la sua compagnia?, lo scrutò confuso. Senza pensarci oltre, sfilandosi i sandali e lasciandoli sul tappeto si tolse il pantalone, mettendosi quello del pigiama; prelevandolo dall'armadio e posando quello appena usato. E poi decise di accontentarlo, o di accontentarsi, dirigendosi al proprio giaciglio a petto nudo, cercando di non toccare il moro nemmeno per sbaglio si posizionò dietro di lui, verso la parte dove, alle sue spalle adesso aveva il muro e davanti la schiena del moro, e sorrise, rimboccando poi le coperte ad entrambi. E prima che se ne potesse rendere conto, aveva portato un braccio a cingergli la vita, tirandoselo più vicino a sé, anche per permettergli di stare più comodo e non sull'orlo di un "precipizio", mentre rifletté, nel toccare il proprio tessuto leggero nel corpo di un altro, quante cicatrici avesse su quella schiena che ora toccava con il proprio petto, udendo chiaramente il contrasto della pelle; annusandogli alcune ciocche a palpebre socchiuse, come al solito; e rilassandosi.
Forse si era sbagliato a intendere il messaggio di Ace, forse era solo crollato sotto la narcolessia o alla stanchezza, e non lasciargli il posto; o meglio, era stato lui quello indiscreto, e batteva di gran lunga le battutine di Thatch con quello, eppure non la smetteva: non riusciva a togliere il proprio braccio dal busto dell'altro. No, okay; decise togliendo l'arto, ma prima di riuscire a compiere completamente il gesto, Ace, come se lo avesse intercettato, si girò di colpo per poi mettersi comodo, accovacciandosi contro di lui e nascondendo il volto, appoggiandolo, sul suo petto; e anche se lo fece perché addormentato, lasciò Marco felicemente interdetto, e; cullandosi in quel caldo gesto, chiuse gli occhi, assopendosi con un senso di soddisfazione nella mente e di tenerezza nel cuore.
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