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Un fiore.

Aveva sistemato ogni cosa, Ace, dopo essere tornato a casa e dopo essersi rimesso i suoi soliti e comodi vestiti; fatto tutto, dal bucato al lavare i piatti e il pavimento, con il triste pensiero in testa che quel Tea non avesse sbagliato del tutto a chiamarlo 'Cenerentola' visto come lavorava per gli altri, però lavare era qualcosa di umile che facevano tutti, e anche molto rispettabile, no? Nel pensarlo cercava solo di incoraggiarsi un po', anche perché aveva appena rubato altra droga da quell'essere che viveva in quella casa, e si sentiva sporco dentro, perché sfruttare in quel modo quella roba era uno scempio disgustoso, e quindi darsi del rispettabile era proprio fuori luogo.

-Ace! Sono a casa!-

Si rialzò da terra a fatica; colpa dei muscoli risentiti dalle percorse di suo 'padre', soprattutto per essersi sforzato a mettere tutto in ordine; e ascoltò il tintinnare della sua collana addosso nel rimettersi in piedi, lasciando lì, sul pavimento in legno la spazzola con la quale stava pulendo, sentendo il polpaccio più indolenzito rispetto a quella mattina, con il muscolo e i tendini che tiravano e si irrigidivano, ma cercò di imporsi e di non cadere, principalmente quando Luffy gli crollò sulle spalle, abbracciandolo da dietro; così, Ace, si costrinse a mangiare quel gemito che voleva uscire per quell'ormai quotidiano gesto del minore, con la gamba sinistra, ferita, che sentì crollare per un'istante ma tenne rigida, cosa che fece male come mille aghi che si conficcavano nelle sue carni, all'interno del polpaccio, raggiungendo i nervi e mandando una scossa di dolore a tutto il corpo che avrebbe fatto impazzire chiunque, ma non Ace, e non davanti a suo fratello.

-Ehi, tutto bene?- la voce gli uscì un po' tremolante, e per quello si dannò, ma Luffy non sembrò accorgersene, parlando della sua giornata, divertente perché avevano fatto educazione fisica per due ore, o qualcosa di simile; il suo fratellino parlava troppo a raffica, accavallando le parole tra di loro, ed era complicato capirle, o forse erano le sue orecchie che non attutivano completamente quei suoni. -Sono felice per te.- gli sorrise, voltando il capo per inquadrare gli occhi del fratello, un po' infastidito di quella posa, con Luffy ancora attaccato contro la sua schiena.

-Ho fame.- brontolò poco dopo, con il muso mogio, senza più la sua felicità ma con i brontolii dello stomaco che invadevano la stanza. -Andiamo da Sanji?-

-No, davvero... Oggi ho voglia di riposare un po', me lo concedi?-

-Ma... non hai fame? Non hai fatto nemmeno colazione.- protestò lui, mettendo un broncio adorabile, a cui era impossibile dire di no.

-Ehi.- ribadì il lentigginoso. -Chi è il maggiore qui? Io. E quindi, se non ho fame, fammi non mangiare.-

-No! Io voglio andare con te! Dai, sarà divertente.- scattò, scendendo dalle sue spalle; e gli fu infinitamente grato per quello Ace, ignorando però quelle parole, che erano sempre le stesse ogni volta che si azzardava a rifiutare il suo invito. -Puoi anche non mangiare, però vieni.-

-Oh, e va bene!- ringhiò, stanco anche se costrinse la sua voce ad essere scherzosa mentre si avviò verso l'ingresso dopo aver sistemato il pavimento dagli ultimi residui di schiuma, e dopo aver posato la spazzola.

In effetti, la fame si faceva sentire, elaborò Ace; e per fortuna doveva raggiungere il ristorante del padre di Sanji in macchina, e non a piedi; poteva riposarsi anche lì, rifletté, volendo accontentare per davvero il suo fratellino.



Arrivati, per lo più dormì e mangiò, partecipando solo poco al loro divertimento, però approfittò di quella situazione in cui era stato coinvolto per chiedere al caro dottor Chopper se avesse potuto visitarlo; lui acconsentì subito, e andarono in bagno. E la gamba adesso, anche se non era guarita del tutto, la sentiva comunque meglio e più rilassata rispetto a prima, bendata e medicata; la renna gli aveva suggerito di riposare, così si limitò a starsene seduto sulla sedia in uno dei tanti tavoli, parlando con Zoro e facendosi qualche bevuta insieme, e raccontandogli un po' della sua giornata al lavoro, omettendo di argomentare sulla sua cotta su Marco, mentre lo spadaccino gli raccontava la propria, e Sanji affermò, al posto del marimo, che si fosse perso dieci volte solo per andare in classe, e questo scaturì l'ira dello spadaccino, che attaccò il compare con fare irruente.

Ripensando poi a quel nome, al quel 'Marco', se ne rallegrò: era così bello anche il solo pronunciarlo. Sorrise innocentemente mentre rivolgeva lo sguardo all'orlo del boccale dove stava bevendo; non avrebbe voluto ubriacarsi perché domani voleva essere lucido per capire e per vedere Marco, ma si era lasciato trasportare dall'enfasi del divertimento di quei ragazzi, e poi, il ricordo della sera della festa, e di come l'alcool gli avesse fatto immaginare Marco che lo difendesse da quell'essere che non voleva nemmeno chiamare 'padre', e che gli toccava avere; lo avevano offuscato e reso felice come un beota a tal punto da farlo bere più del solito, e quindi anche a rimanere con quel gruppo più del solito, cosa che non rimpiacque affatto.

-Ace, penso che per oggi possa bastare.- lo ammonì la testa verde, tirando via dalle mani del moro il quindicesimo boccale.

-Oh, su Zoro! Io non penso di star esagerando, è solo una bevuta tra amici!- ridacchiò giulivo, con voce troppo elevata; felice perché albergava nella mente il pensiero fisso del biondo che era entrato ed era riuscito a possedere il suo cuore; era contento di aver incontrato quella persona, e per non pensare ai suoi dilemmi e alle sue responsabilità aveva preferito bere, così, per godersi meglio il momento e i ricordi di quando lo aveva incontrato.

-Uff...- sentì il verde sospirare, allontanando ogni tipo di alcolico sul tavolino, a portata di mano di Ace prima di alzarsi e recarsi nel bagno, entrando nel corridoio a destra, e arrivando all'ultima porta a sinistra, però quello era lo sgabuzzino, così dovette tornare indietro solo per perdersi di nuovo, trovandosi nella stanza dove tenevano le scorte di cibo.

Ace, non vedendo più Zoro, e forse non lo avrebbe più rivisto conoscendo la sua abilità nel perdersi anche nella sua stessa casa, si alzò barcollante, ringraziando gli effetti e l'adrenalina dell'ubriachezza visto che facevano svanire il dolore e si avviò fuori, salutando gli altri, forse più ubriachi di lui, o forse era la sua mente con poca lucidità che gli dava quest'impressione, complice anche la vista offuscata; ed uscì con Luffy, ritrovandosi poi nello scenario cupo della sera, senza ben identificare le sagome o il marciapiede su cui stava camminando, che sembravano così nebulose, e tutto il mondo lo circondava come fosse una fitta nebbia sfocata.

-E' stato divertente, no? Abbiamo anche cenato!- ridacchiò il più piccolo, ed Ace doveva ringraziare il fatto che grazie al fatto che avesse come amico Sanji non pagavano, anche se più grazie a Robin che lo aveva convinto solo chiedendoglielo con un sorriso. Se Robin poi lo aveva fatto, forse era perché; ed era un pensiero che Ace temeva, sapeva: lei era molto intuitiva, e forse aveva capito che le botte e le parole che giravano ma non si confermavano su Ace avevano un secondo fine dovuto ad altro e non perché il moro diceva di picchiare gente dei vicoli nei bassi fondi perché lo stuzzicavano.

-Sì.- annuì contento, il lentigginoso, salendo in macchina con la visione di Marco un po' ovunque: vicino alla porta del locale, sui sedili posteriori che gli sorrideva, seduto sui marciapiedi; anche le stelle assumevano la forma del suo volto. Ed Ace si chiedeva se fosse impazzito, o l'alcool lo rendeva così ossessionato. Optò per entrambe e mise la retro, uscendo dal parcheggio ed entrando in strada, andando poi verso casa; concentrandosi al massimo per non darla vinta alla sbornia di distrarlo o farlo assopire.

E quando arrivarono, strinse i denti, guardando il suo fratellino correre mentre si sentiva, dentro, sempre di più un traditore; e poi, Ace varcò la soglia, ritrovandosi quell'omone che parve più drogato del solito, o era un'effimera illusione: prendeva sempre quella roba. E il moro fu pronto a ricevere i colpi senza emettere poco più di un gemito.




"Perché aveva bevuto?", si rimproverò maledicendosi; "E perché il sole lo accecava così tanto?", pensò tra i mugugni, Ace, strizzando gli occhi e ignorando le parole, che sembravano più intensificate del solito, di Luffy. Si tirò su appena si rese conto di star respirando, per poi cadere subito dopo, colto dal dolore che gli strappò via l'anima, e tornò sotto le coperte, con la faccia nascosta contro il cuscino dopo aver capito che il polpaccio fosse più indolenzito di ieri, come anche il braccio destro, per colpa delle botte ricevute l'altra sera. Cercò di rassicurare il minore, che non voleva davvero lasciarlo in pace quella mattina, volendo con tutto il cuore prendersi cura di lui, ma poi, dettato dagli ordini del maggiore, Luffy aspettò di vedere il fratello mettersi a gattoni sul materasso prima di recarsi, con gli occhi brillanti di rimpianto, verso il bagno per lavarsi; e il maggiore sospirò triste, chinando il capo e mordendosi il labbro inferiore: cercare di incoraggiarsi era inutile; sentiva di non potercela fare a lungo in questo modo. Il lavoro era peggio di quando andava al liceo, anche se lì doveva sopportare le angherie dei compagni e la difficoltà che aveva nell'apprendere visto che dormiva in classe, ma almeno dormiva di più.

Scrollando il capo uscì dal letto, abbandonando quei pensieri, e si alzò in piedi, sentendo le gambe vibrare senza sosta sotto il suo peso, solo per crollare l'attimo dopo. Fece una smorfia e strizzò un occhio, in ginocchio; portandosi una mano sul polpaccio bendato, soffice al tatto e trattenne i gemiti, imponendosi di tirarsi su, e riuscendoci in fretta prima dell'arrivo del minore che sembrò non accorgersi di niente, troppo impegnato ad abbandonarsi alla malinconia di non poter mai essere d'aiuto al maggiore, ma Ace non lo ascoltò molto, non poteva o non c'è l'avrebbe davvero fatta a continuare quella vita. Si recò in bagno a lavarsi, cercando solo di non crollare sotto il peso della propria angoscia e del proprio dolore.



Ed ecco l'ennesima giornata, ma almeno si sentiva più vivace mentre entrava nell'università, perché voleva incontrare Marco, soprattutto ora che il biondo gli aveva detto che poteva presentarsi anche senza quella divisa orribile addosso se non voleva, e che avrebbe informato lui della cosa a Lucci. Ace aveva preso l'occasione al volo, soprattutto perché così era più comodo, e poi, con quei vestiti, era possibile farsi conoscere meglio: Marco lo avrebbe visto per com'era. Beh, non proprio, per non far vedere i lividi aveva deciso di chiudere i bottoni alla camicia, riguardo ai lividi sulle braccia poteva sempre dire la solita bugia: che amava picchiare le persone che lo infastidivano, però, forse, al biondo non sarebbe piaciuta questa cosa... Avrebbe trovato un modo, magari bendarle.., rifletté.

Oh, ma certo!, realizzò arrivando alla sua postazione; posso dirgli che mi alleno con mio fratello. Rise contento per quell'idea, iniziando a sistemare per bene, troppo felice, così tanto che il mal di testa e gli arti dolenti sembravano effimeri e neanche troppo sentiti. Era così contento anche se stanco.

-Vedo che hai preso alla lettera le parole di Marco. Buongiorno.- giunse Lucci, parlando tramite il piccione e togliendo tutta l'euforia al moro che si immobilizzò, restando a scrutare il datore nei suoi abiti eleganti e in quelle movenze raffinate mentre passava da tavolo a tavolo, scrutando ogni luogo e anche nella più piccola estremità, cercando solo il minimo barlume di imperfezione per coglierlo in fragrante, o almeno era l'impressione di Ace.

-Non te la stai cavando male. Continua così.- affermò ancora, il piccione, che annuì più volte, muovendo quel minuto becco e poi andandosene con il suo padrone.

Sospirando si concesse di riposarsi un po'; almeno Lucci era passato, forse non sarebbe tornato più, almeno sperava. Nel sedersi però gli sembrò di accumulare tutta la stanchezza, e aumentò con l'arrivo dei ragazzi che furono accontentati delle loro ordinazioni, e tra di loro non vide Marco, e questo scemò ogni sua illusione. Forse non gli interessava poi molto venirlo a salutare, ed ormai era mezzogiorno; non ci sperava più.

-Ehi, Ace.-

Con il mento appoggiato sul bancone, e nessuno nel locale, il moro voltò lo sguardo di poco verso il castano appena entrato, e non vedendolo con la compagnia del biondo temette che forse non lo avrebbe rivisto quel giorno. Mormorando qualcosa, riuscì a salutare Thatch, che si sedette su uno sgabello davanti a lui, guardandolo intenerito come un fratello maggiore premuroso.

-Cos'hai? Ti vedo molto provato. Non sei abituato a lavorare, neh?- ridacchiò piano, prendendosi delle noccioline che Ace aveva lasciato in una ciotolina sopra al bancone, insieme a quella con le patatine.

Non sono abituato a non dormire; avrebbe tanto voluto rispondere, Ace. E invece, le parole mugugnate che la sua bocca cacciò fuori con pacatezza e delusione furono: Dov'è Marco?

Dopo averle sentire, Ace avrebbe dovuto sentito imbarazzato e provare a negare, a dire di aver sbagliato a pronunciare le parole, eppure, la curiosità lo spinse ad attendere una risposta da quel ragazzo gentile che continuò a sorridere.

-Oh, la tua è spossatezza d'amore. Capisco; beh, il tuo Marco oggi non c'è: ha lezione di pomeriggio.- sorrise sempre di più, e ancora maggiormente quando vide la reazione del moro che scattò dritto di schiena e rosso sulle gote, alzandosi dalla sedia e muovendo frenetico le mani davanti al petto, come colto in fragrante su un misfatto.

-N-no! G-guarda che ti stai sbagliando! Io non sono innamorato di Marco! Ma-ma cosa vai a pensare?- affermò, o balbettò, deciso, o forse cercò di esserlo mentre abbassò gli occhi appena terminò quelle parole uscite tutte di un fiato.

-Okay, si vede che ho frainteso io. Scusa.- sorrise giulivo, e non dava l'impressione di uno che aveva fretta, quindi Ace pensò che sarebbe rimasto per molto lì. Se prima gli stava simpatico, ora che sapeva quel segreto lo era meno.

-Non lo dirai a lui, vero?- brontolò infantile, come un bambino, guardandolo leggermente torvo.

-No, tranquillo. Sarà il nostro segreto.-

Ace annuì piano, e ripensando al motivo della mancanza del biondo sospirò e mugugnò "Peccato..."

-Mhm?-

-Oh, niente.- scuoté il capo, con una smorfia per il fatto che non lo avrebbe visto per davvero. Scrollò le spalle e si passò una mano sui capelli, sconsolato mentre Thatch continuava sgranocchiare quelle noccioline.

-Hai cambiato abbigliamento.-

-Già, Marco aveva detto che potevo, quindi...- arrossì di nuovo nel pronunciare quel nome, anche perché non riusciva a toglierselo dalla testa, e si morse un labbro, facendo un mezzo sorriso imbarazzato.

-In fondo è il primo 'Comandante'; è il presidente di tutto questo: è normale che decida.- mugugnò tra un boccone e l'altro, tranquillo.

-Come? E' il primo comandante?- scattò sorpreso.

-Non lo sapevi?- nel riceve un cenno negativo, il castano sorrise. -Sì, lo è. Io sono il quarto invece.-

-Oh.- tornò seduto, Ace, guardando il ragazzo che aveva terminato le noccioline. -E ti piace, stare qui?-

-E' una bella famiglia.- rispose, sicuro, annuendo mentre chiedeva altro cibo porgendogli la ciotola, che Ace si premurò a riempire dopo aver cacciato la busta, lasciandola sul ripiano inferiore al bancone, e incupendosi per quelle parole.

-Quindi, è davvero un 'padre' per voi?-

-Certo.- assicurò deciso, anche se era più voglioso di mangiare quelle noccioline a cui lanciava sguardi languidi.

Ace mugugnò negativamente, non sapendo se crederci o meno, ma decise di cambiare argomento, unendosi a lui a quello sgranocchiamento di noccioline imminente; e parlarono fino alla fine del suo turno, divertendosi e discutendo di passatempi, scherzando sulle lezioni noiose, e raccontandosi un po' della propria giornata prima dell'arrivo dell'altro. E quando, Ace, dovette raggiungere il parcheggio, Thatch lo accompagnò molto volentieri, facendo qualche battuta su come fosse ridotta l'auto del moro e poi salutandosi a vicenda, prendendo strade diverse: il castano di nuovo verso la scuola, forse perché abitava negli appartamenti adibiti, o per altro; ed Ace tornò a casa con il sorriso sul volto. Era stato bello parlare con così tanta enfasi e gioia con quel ragazzo; per fortuna non si era accorto della fasciatura al polpaccio, o forse se ne era accorto ma non aveva voluto chiedere.

Arrivato sistemò in fretta la tavola, sparecchiandola e lavando i piatti; con il buon umore nel sapere che presto Luffy sarebbe arrivato; peccato che il frigorifero fosse vuoto, solo del prosciutto che di sicuro apparteneva a loro padre. Gli toccava andare da Sanji, immaginò; però lui non voleva disturbare il biondo, anche se a suo fratello non dispiaceva, anzi, ne approfittava anche troppo, pensò con un sorriso innocente. Ma anche se questi dubbi iniziarono a varcare la soglia della sua mente, non perse la sua allegria, perché continuò a pensare a Marco, e a Thatch che gli aveva assicurato che domani sarebbe passato a salutarlo al bar come oggi, e quindi sorrideva, sorrideva e sorrideva.

-Ace!- l'urlo frenetico e spassoso del minore arrivò come un uragano, spuntando dietro alle spalle di Ace come un fungo.

-Com'è andata a scuola?-

-E' stato divertente! Un elicottero ha volato intorno alla scuola, abbiamo avuto un'ora di buca, e poi siamo usciti a fare educazione fisica!- esclamò divertito, sedendosi sopra al tavolo e guardando il maggiore in faccia con il solito sorriso.

-E le lezioni? Hanno spiegato?-

-Ahhhh, sono noiose quelle.- brontolò, lasciando sospirare l'altro che si passò una mano nei capelli.

-Fai il quarto, resisti un altro po'.- cercò di ironizzare, scompigliando i capelli al minore che fece una smorfia indecisa.

-Andiamo dagli altri? E dopo mi servirebbe un aiuto a fare i compiti.- sorrise innocente e candido.

-Certo. Oggi ho molta fame.- espose Ace, tranquillo; suo fratello non si sorprese di quella felicità improvvisa, perché capitava che la depressione e la stanchezza lo lasciassero per un giorno, e Luffy ne approfittava forse anche troppo, ma ad Ace non dispiaceva, gli piaceva passare del tempo con lui.


Finito il pranzo dal cuoco e gli altri, decisero di stare al bar per ripassare, e, seduti a diversi tavoli, tutti insieme, compreso Ace, fecero i compiti. Si soffermarono qualche minuto, più per scherzare un po', distrarsi e fare una pausa, per poi tornare sui libri, ognuno nel proprio gruppo da tenere a bada: Nami con Robin e Sanji, Luffy con Ace e Usop, Zoro con Franky, Chopper e Brook. Il primo se la cavava egregiamente, tanto che fu stato il primo a terminare i propri doveri, con il biondo che, volteggiando innamorato, portava alle ragazza qualcosa da bere; il secondo gruppo era difficile da armeggiare, Ace non riusciva a far stare fermo Luffy, o a volte era il maggiore che, colto dalla narcolessia, crollava sul libro addormentato, lasciando un Usop tra l'ansia e la paura più nera di dover fare tutto da solo senza sapere bene cosa; il terzo gruppo era un vero caos, Zoro dormiva o beveva, Franky ballava con gli altri due, tanto che per un certo istante anche Luffy e Usop, ripresosi dalle sue fobie, avevano lasciato Ace a dormire e si erano uniti ai tre in quella piccola festicciola improvvisata; ma, con l'arrivo funesto di Nami, che diede un pugno in testa a tutti e cinque, omettendo la tenera renna; e quello benevolo di Robin, finirono anche loro di studiare.

-Oh, finalmente.- sospirò Luffy, distendendosi contro lo schienale. -Grazie Robin, e grazie per essere venuto, Ace.-

-Prego.- sorrise l'amica, seduta davanti a lui e che tornò a leggere l'immenso tomo di archeologia.

-E' stato divertente, anche se non ricordo niente di queste cose.-

-Tu non seguivi le lezioni.- rise Zoro, bevendo un sorso di saké, ma tenendo la bottiglia lontana dall'amico; non perché non volesse farlo bere, ma perché quella bottiglia era solo sua.

-Non facevano per me, ho scelto il liceo sbagliato.- borbottò lui, dondolandosi indietro con la sedia mentre il fratellino iniziava a parlare del più e del meno con gli altri, discutendo di qualcosa che gli era successa in classe, magari per farlo sapere ad Ace; erano cose che, all'apparenza potevano essere stupide o di poco conto, però erano divertenti e di valore per loro. Erano le loro avventure e le loro esperienza, era la vita.



Erano ormai le sette di sera quando Luffy e gli altri decisero di uscire un po', ed Ace era andato con il gruppo, sorridente, e senza troppi dolori grazie alle cure che la dolce renna si era premurato di dargli, da bravo medico quale era.

Tenendo il pollice in tasca, della mano sinistra; Ace, camminava tra i vicoli, osservando il gruppo di Luffy parlare e ridere; anche lui partecipò un po' nel discutere, con Nami, o Zoro, o anche con il suo fratellino.

-Cosa ne dite di fare un pigiama party, tutti insieme?- domandò ad un tratto, la renna, saltellando euforica, e sorridendo candido.

-Beh, perché no?- rispose Nami, addolcendo poi lo sguardo verso Chopper e annuendo per acconsentire. -E' deciso. Voi vi unite, vero?- si rivolse ad Ace e Luffy, con il minore che scrutò l'altro con fare interrogativo e semplice, sereno mentre aspettava una risposta.

-Lui sì, ma io non posso, mi dispiace.- affermò, facendo il finto dispiaciuto. Non voleva assentarsi dalla solita punizione quotidiana, e forse era un'idiota che amava il dolore, però se la meritava.

-Oh, però la prossima volta ci contiamo. Okay?- si impuntò Nami, sembrando calma dalle movenze del suo corpo formoso, però la voce era seria; anche lei, come Robin, sapeva capire bene, osservava e analizzava, e poi arrivava alla conclusione prima di tutti.

Ace temeva soprattutto loro due, perché forse sapevano, anche se non avevano detto nulla a riguardo, lui pensava che sapessero. Scrollò il capo con un sorriso, annuendo per darle la propria parola prima di voltarsi dopo aver salutato tutti, alcuni un po' dispiaciuti, Chopper che tratteneva le lacrime perché voleva che rimanesse anche lui, sempre stato facile, quell'esserino, nel cedere al pianto; e Nami e Robin mantennero il solito sorriso lieve, come a volerlo incoraggiare anche se non poteva vederle. Luffy fu l'unico a salutarlo con allegria, augurandogli sottovoce un "Buona fortuna, resisti." che solo Ace percepì, sapendo che quella felicità era falsa, e che avrebbe voluto tornare a casa con lui, però ormai, quando Ace prendeva una decisione, era quella, e Luffy rimaneva in disparte, come se fosse un duello e lui non poteva intromettersi perché avrebbe intaccato l'onore del maggiore.

Si incamminò tra i vicoli di quella strada, non volendo prendere la macchina, lasciata al Baratie; oltrepassando a piedi anche il suo vecchio liceo, dove ora accompagnava Luffy; di mattina era più bello quel luogo, ora sembrava macabro e cupo: c'erano solo i lampioni ad illuminare i marciapiedi in cui si stava avviando, e gli alberi nei giardini, o le case a tapparelle chiuse con alcune luci all'interno, o l'aria gelida e il suono del vento fuso con i versi degli animali notturni che non aiutavano molto a migliorarla.

-Ciao.-

Ace sgranò gli occhi e balzò con un saltello per lo spavento, voltandosi di scatto e indietreggiando barcollando, quasi rischiando di cadere mentre focalizzò meglio la figura davanti che gli fece vibrare forte il cuore.

-Non mi aspettavo di incontrarti, scusa se ti ho spaventato.-

-C-cioao... Ehm, ci-iao.- stava anche per sbagliare a parlare, wow, pensò, dandosi dell'idiota. -Come mai da queste parti, Marco?- cercò di non balbettare, se lo impose con tutte le forze, anche se la voce uscì comunque tremolante verso l'inizio.

-Tutto bene? Thatch mi ha detto che si è divertito molto con te.-

-Sì, è molto simpatico.- annuì, osservando che avesse più o meno i soliti vestiti, solo con in più una giacca nera, e questo gli fece ricordare che lui, oltre a non avere un giubbotto, aveva anche la camicia aperta, così afferrò i lembi di entrambi i lati e chiuse in fretta l'indumento sul davanti con la mano destra, tenendo stretta la presa sul tessuto; però, forse, in quel buio non aveva notato i lividi.

-Ho sentito che non sei venuto a lavoro con il solito vestito.-

-Beh, tu avevi detto che... Se ho sbagliato mi rimetto il completo.-

-No, tranquillo.- sorrise, lasciando Ace con gli occhi che brillarono nel vedere quel volto allegro. -Dove stavi andando?-

-A... casa.- mormorò.

-Anch'io, tu dove abiti? Forse siamo vicini.-

-Ecco, no. Io abito in fondo alla strada, seconda casa a destra.- spiegò piano, indicando un punto a casaccio dietro di sé perché non voleva perdersi nemmeno un particolare di quel volto.

-La mia è più distante, però posso accompagnarti fino a metà strada, se ti va.-

-Sì, mi farebbe piacere.- sorrise entusiasta, annuendo.

-Okay.-

Ace vide quel volto illuminarsi appena sorrise, o forse era una coincidenza: perché mai Marco avrebbe dovuto essere così radioso ad un suo sorriso?, pensò, non volendo illudersi.

Così si incamminarono fianco a fianco, forse un po' troppo vicini ma Ace, anche se imbarazzato, non volle lasciare quell'andatura che lo manteneva così legato al biondo, che guardava dritto davanti a sé, forse un po' pensieroso. Restarono in silenzio fino all'incrocio, con il biondo pronto a svoltare da un momento all'altro, e il moro a continuare sempre diritto.

-Ascoltami Ace.- iniziò ad un tratto, facendolo arrossire per come avesse pronunciato il suo nome con quella voce pacata e calda, ma densa e seria, e continuando con la stessa andatura: -Vorrei chiarire la faccenda del bacio se me lo consenti.-

Si fermò di scatto, Ace, con il cuore che si bloccò, quasi trattenendo anche lui il respiro; e subito dopo anche Marco seguì lo stesso movimento, ma con più calma, voltandosi per guardarlo negli occhi scuri quanto i suoi, come a cercare di capire qualcosa da quei pozzi profondi.

-Io... Beh, ecco, era solo un bacio, cioè, ero ubriaco: nulla di che.- balbettò angosciato, ma convinto di quelle parole per non fare pessime figure, messo in soggezione da quegli occhi che lo scrutavano attentamente prima che quelle labbra che aveva toccato sospirarono, ma il moro non poteva vederle, impacciato a guardare il marciapiede sotto di sé mordendosi un labbro, senza rendersi conto che quel sospiro era un po' come rassegnato da qualcosa prima che il biondo chiuse le palpebre per brevi istanti, come dispiaciuto di aver frainteso, e poi parlare:

-Lo so, era questo di cui volevo parlarti: era solo un bacio da ubriachi, nulla di più. Sono contento che per te valga lo stesso.- spiegò sereno, con quelle parole che ferirono Ace più di tutti i lividi e le cicatrici in tutti quegli anni, lasciandolo a bocca aperta ma la richiuse subito, annuendo e mugugnando qualcosa sottovoce, mentre permise alle ciocche davanti di coprirgli gli occhi opachi.

"Era ovvio, ovvissimo: Come ho potuto illudermi fino a tanto, era normale che non potesse provare qualcosa per me; era solo un'idiota", pensò mordendosi il labbro inferiore e stringendo i pugni.

Trattenne il fiato, cercando di resistere anche a quel duro colpo, mettendosi dritto e annuendo, senza però incrociare il suo sguardo. E sorrise, anche se fece male e i pugni fremevano di angoscia:

-Beh, meglio così. A domani.- saluto cordiale, Ace, cercando di dirsi che poteva farcela a non piangere, che poi, perché doveva piangere?, si disse; era solo una cotta inutile, una che doveva passare in fretta, perché non c'è l'avrebbe fatta a guardarlo ancora in faccia se nelle orecchie avrebbe sentito ripetutamente l'eco di quelle parole. Erano queste le riflessioni in cui affogava mentre si incamminò verso la propria dimora, dando le spalle al biondo, e non poteva vedere che anche il suo volto fosse distrutto per quel discorso appena terminato.

Marco non voleva dare la colpa all'alcool, però Ace era stato molto convincente, non sembrava trasparire nemmeno un barlume di incertezza in quelle parole; anche se balbettanti aveva affermato senza problemi che la colpa di tutto ricadeva sull'aver bevuto troppo, e Marco aveva concordato, incassando a denti stretti anche lui.

-Tutto bene? Ho notato che sei pieno di lividi.- riuscì comunque ad essere amichevole, il biondo, non volendo perdere la possibilità di vederlo, ed era anche preoccupato nel vedere quelle ferite sulle braccia e la fasciatura al polpaccio.

-Ehm, sì. Io, faccio spesso a botte, e mi alleno... Ora devo davvero andare, perdonami. Buona serata.-

Si allontanò in fretta, forse un po' troppo da sembrare maleducato e codardo, però ormai il danno era fatto, non poteva tornare indietro nel tempo per impedire che quel discorso iniziasse; così, lanciando una fugace occhiata al biondo che si stava avviando verso la propria via iniziò a rallentare l'andatura fino a fermarsi, mordersi il labbro inferiore per trattenere i mugugni di dolore e rabbia, e poi crollare a terra, in ginocchio. Sfregandosi la chioma con entrambe le mani con fare irruente per trattenere la voglia di piangere. Ora Ace non sapeva più se il desiderio di vederlo era più forte di quello di scomparire dalla vista di Marco.

Respirò a fondo, cercando di calmarsi, e pensando che la punizione che lo attendeva fosse più che meritata dopo quella discussione, quelle sensazioni confuse che vorticavano dentro al suo cuore. Si avviò di nuovo, con il silenzio apparente di quella sera, che veniva celato dal suono delle parole del biondo, di quel "Era solo un bacio da ubriachi, nulla di più. Sono contento che per te valga lo stesso." dimenticandosi che, più o meno, le stesse parole le aveva dette prima lui a Marco.

Camminò furente, camminò fino a trovarsi davanti la porta che senza esitazioni aprì, voglioso di annullare la sofferenza che aveva lasciato quel ragazzo e le botte che quel mostro gli avrebbe riservato presto, con il sonno, sperando di non risvegliarsi più, senza pensare a niente, né alle persone che avrebbe lasciato indietro, né ai problemi; così la richiuse dietro di sé; e attese, neanche molto.

Trattenne il fiato e chiuse gli occhi mentre venne sobbalzato, come una foglia colpita da una folata di vento, e finì contro il muro con un tonfo, imprigionato subito dopo dalla morsa di quell'essere che in un attimo lo scaraventò al suolo, schiacciandolo con un piede e premendo di più sul suo petto, ridendo euforico per le sue urla strozzate e di dolore.

-B-brutto....- mugugnò imprecando, a denti stretti; cercando di togliere quel peso sul petto adagiandoci sopra le mani, ma senza riuscirci; con il respiro che si fece meno mentre guardò come si tolse la cinta, lentamente, prima di farla roteare nell'aria, e il tutto suonò davvero inquietante al lentigginoso, che vide qualcosa di nuovo e che mai era successo prima.

-Brutto a me? Idiota...- sbottò, afferrandolo per i capelli, alzandolo e strattonandolo prima di sbatterlo di faccia contro il terreno. -Ora vedrai.- ghignò, anche se, in mezzo a quel buio, e nella posizione in cui si trovava, per Ace gli era impossibile riuscire a vederlo.

Ma il ragazzo poté udire benissimo il colpo duro e rigido che gli arrivò sulla schiena, senza preavviso da togliergli il fiato e fargli sgranare gli occhi mentre alzò il mento di scatto verso l'alto, quanto più gli fosse possibile; ascoltando quell'urto, generato dalla fibbia color oro che si tinse di rosso scivolando via, cautamente, dalla sua schiena; volendo fargli sentire la nausea e il pizzicchio che provocava mentre passava sulla ferita appena nata. Fu come se lo avesse attaccato un fulmine, e poi un altro, e un altro ancora. Non riuscì a trattenere a lungo il gemito di dolore in gola, mentre un solo pensiero passava nella sua mente: "Bastardo.". Strinse i pugni, farfugliando qualcosa e poi urlando a piena voce, udendo come quel maledetto non si fermasse, e continuasse ad ucciderlo con quelle percosse; perché, ogni fitta atroce fu un po' come morire, sentirla arrivare e ad abbracciarlo per prendergli la sua anima, ma Ace resistette, mordendosi il labbro fino a spaccarlo e lasciando che un rivolo vermiglio scorresse lungo il suo mento, fino a toccare il pavimento che ormai aveva cambiato colore, anche se, nell'oscurità di quel posto, fu difficile definirlo: ma il colore del sangue si propagò fino a circondare tutto il suo busto, impregnandolo come ne era pieno la sua schiena, con cicatrici in più, che nascevano a tempo di quella sottospecie di frusta che quel mostro aveva deciso di usare su di lui, trattandolo come nessuno aveva fatto mai: Ace si sentiva schiavo di quell'uomo; anche se faticava ad ammetterlo, dentro di sé lo sapeva che era, un po' così.

Ace avrebbe voluto tanto fare qualcosa; voleva tanto fermarlo, fare in modo che qualcuno lo allontanasse da quell'essere, ma non accadde nulla, solo colpi su colpi; e il moro cercò di resistere, guardando quell'essere di sottecchi, impossibilitato dal mettersi in piedi o soltanto muoversi per via della sofferenza acuta che lo aveva colpito, e tossicchiò, sputacchiando saliva mista a quel sapore metallico e amarognolo di quel liquido rossastro vivo, al contrario di Ace che, privo di fiato e lucidità, svenne.




Iniziava a pregare e sperare che il fine settimana arrivasse in fretta, o che il giorno non arrivasse più per lui: non c'è la faceva. Però, nel vedere la stanza buia, il silenzio, e nessun Luffy nei paraggi si fece cupo, capendo che non fosse ancora tornato e che lui fosse disteso sullo stesso pavimento dove il mostro lo aveva torturato, appiccicato contro il suo sangue ormai indurito; forse il minore si era fermato per la colazione, sapendo che il suo fratellone fosse forte, e poi di corsa a scuola. Beh, Ace era forte, ma non mattiniero, e nel vedere che erano le nove dall'orologio sopra la mensola in soggiorno, un luogo un po' più luminoso rispetto al corridoio, mugugnò tra sé e sé di essere un'idiota completo. Si mosse piano, provando a staccarsi da quel liquido così scuro e che ricopriva tutta la sua pelle lentamente e producendo un rumore abbastanza ambiguo, come la carta che si strappava, ma più duro come suono. E dopo gattonò, distendendosi di schiena contro il pavimento più pulito appurando che il lieve gelo del terreno fosse riuscito a penetrare nella sua pelle ferita e graffiata, e che l'impatto fosse stato così forte da generare, oltre ad un tonfo anche i suoi gemiti strozzati. Chiuse d'istinto le palpebre con una smorfia, in una posa a stella, ingoiando groppi amari, e cercò di issarsi in piedi; non riuscendoci provò a muoversi, a fare qualcosa che gli permettesse di andare verso il bagno, ma rinunciò subito dopo; al momento non voleva nemmeno respirare, ed era difficile anche solo riuscirci, come anche tenere le palpebre aperte. No, non poteva arrendersi: gli serviva quel lavoro.

Si rivoltò su se stesso, finendo di petto contro il pavimento, stringendo i denti per le ferite forti e che bruciavano ancora, ma era dentro che le sentiva di più ardere di dolore...

Lo aveva picchiato suo 'padre', aveva osato picchiarlo con la fibbia della sua cinta, usata come una frusta, e quel pezzo di metallo era stato così crudele da conficcarsi all'interno della pelle, graffiandolo, penetrandolo, e staccandosi da lui in modo così brusco, quasi a volerlo scoprire della pelle che proteggeva i muscoli sottostanti, e rischiando di portarsi dietro anche pezzi di carne, ma almeno non aveva intaccato le sue ossa; sperava. Ricordava ancora il sapore del sangue in bocca, o forse era perché lo aveva tutt'ora, e ricordava ogni colpo, ogni impatto di quella frusta sulla sua schiena come se avesse vissuto un incubo, ma non lo era stato.

-Ahhh...-

Gemendo a tratti, perché desiderava non esprimere il suo dolore apertamente, riuscì ad alzarsi, con le ossa che scricchiolarono, dolendogli in modo atroce da farlo urlare, ma restò quieto, ingoiando ogni grido e restando con i ginocchi piegati e la schiena ingobbita. Respirò con l'affanno, cercando di affrettare i tempi il più possibile: era già troppo, troppo in ritardo. Vedeva la vista offuscarsi, riempirsi di lieve macchie, e oscurarsi pian piano. Scuoté il capo, leggermente e senza fretta, ma questo rese solo peggio la sua percezione di veduta, ignorando che il pavimento sembrasse una scena dell'orrore, e forse lo sembrava anche il suo corpo. Si avvicinò a tentoni, reggendosi contro il muro su cui si aggrappò di scatto con i palmi delle mani, quasi disperato. Iniziò a salire le scale, con le gambe tremolanti e le dita pregne di rosso che fremevano, ma non poteva molare, se lo impose dirigendosi in bagno, cercando di non cadere, e soprattutto di respirare, e di non chiudere gli occhi.

Come aveva fatto a svegliarsi?, continuava a chiedersi; sentiva male ovunque, le orecchie fischiavano, o non ricevevano bene i suoni intorno, anche il silenzio doleva alla sua testa. Con le mani aggrappate alla base del lavello con forza osservò il riflesso delle occhiaie e i capelli scompigliati mentre un rivolo vermiglio solcava il suo mento. Tossicchiò un paio di volte, sporcando un po' le piastrelle e lo specchio di quel colore così macabro e vivo mentre decise di prendere una boccata enorme di aria, cercando di non strozzarsi nel mentre; e invece gli toccò sputare tutto quell'ossigeno, mischiato a sangue e dolore, tra vari e forti colpi di tosse che si espansero, echeggiando nella piccola stanza in cui si trovava. Mugugnò, scivolando a terra con un groppo in gola e gli occhi che pizzicavano insieme al respiro, e si strinse in un muto abbraccio, boccheggiando subito dopo per non morire tra la disperazione e la stanchezza, intanto che il sapore del sangue gli opprimeva le narici e deformava la sua bocca in una smorfia di disgusto per quel gusto metallico e amarognolo.



"Era arrivato... Era arrivato?" Alzò lo sguardo per esserne certo, scrutando l'entrata che consisteva in quell'enorme portone e sospirò: Sì, era arrivato. "Ottimo, mi reggo ancora in piedi, sono riuscito a non perdermi, ho parcheggiato la macchina dopo averla recuperata dal Baratie; respiro; ho gli occhi aperti, ho indosso vestiti che non permetteranno di far vedere le cicatrici, e non devo morire..." iniziò a fare mente locale, Ace, avanzando piano verso il bar, prossimo a fare mille scuse al signor Lucci. "Iniziamo a pregare..." sospirò, aprendo la porta e varcando la soglia, trovando tutto, stranamente e completamente vuoto.

-Ehm... Signor Lucci?- si guardò attorno, piano. Non c'era davvero nessuno, la fortuna girava dalla sua per una volta? Wow, rifletté meravigliato, quasi non credendoci.

-Buongiorno.-

Sgranò gli occhi, voltandosi di scatto indietro, verso la soglia da dove era entrato e riconoscendo Marco che lo raggiunse lentamente, osservandolo con quel solito cipiglio serio che ad Ace sembrava tanto tenero, anche se sfocato per via della vista opaca che non tornava lucida, e si chiedeva ancora come avesse fatto ad arrivare lì in macchina; però riusciva comunque a riconoscerlo, anche se appena, e poi quella voce; le orecchie fischiavano, ma era più che familiare ormai.

-Ehm, buongiorno.- mugugnò con voce sottile e spenta, quasi a malapena sentita.

Perché?, si chiese, quando lo voleva vedere, no; ora che voleva evitarlo, eccolo che compare in stile Batman. Beh, in realtà non sapeva se voleva evitarlo o meno, non aveva deciso e non ci stava proprio pensando a lui; rifletteva solo se fosse stato licenziato o meno visto il nulla e la mancanza di Lucci in quel posto.

Ma, elaborò nella mente, era vivo, e forse lo aveva ancora un lavoro, quindi decise di ignorare il biondo il tempo necessario per raggiungere la propria postazione e sedersi, cercando di respirare piano e di non tremare per il freddo, e pensare che aveva una maglia pesante a maniche lunghe, nera per impedire al gelo di penetrare nella pelle, e di far notare delle possibili macchie di sangue sulla schiena; le cicatrici si erano seccate, però, per sicurezza aveva voluto prevedere.

-Ho dato la mia parola a Lucci che saresti arrivato e che non sarebbe più ricapitato, me lo assicuri? Non ricapiterà, vero? Sempre se tieni ancora a questo lavoro.-

Si sentì uno schifo a quelle parole, e non perché non tenesse al lavoro, o perché Marco lo avesse difeso, ma perché non aveva scelta che fare quella decisione, lo faceva per occuparsi della casa e della sua famiglia. Si sentì uno schifo perché lui faceva schifo: era un'idiota, ed era un'incapace. Ace era davvero disperato; avrebbe voluto scoppiare a piangere, sfogarsi, morire, darsi un po' di pace, qualunque cosa che non fosse soffrire, anche solo per un giorno; e invece no, doveva essere forte, ed era questa la cosa che gli faceva più schifo di se stesso: essere forte in ogni situazione, in tutto e per tutto. Mai un attimo di pace.

-Sì.- la voce gli uscì roca, acuta e singhiozzante, però non demorse; sempre a capo chino cercò di darsi un po' di contegno, respirando e annuendo. -Ti ringrazio, non ricapiterà.-

-Per un attimo, sai, ho pensato che non venissi per colpa mia, per le parole di ieri sera.-

-Ah? Ecco, sì, cioè, quello che è successo ieri non ha a che fare con il lavoro, quindi non vedo perché dovevo mancare, io, io ho bisogno di soldi, te l'ho già detto.- affannò, strizzando gli occhi mentre la vista continuava a non voler mettere a fuoco gli oggetti o le persone che aveva davanti. Purtroppo, aver perso tutto quel sangue durante la notte non lo aiutava a rimanere lucido, o a resistere come di solito faceva gli altri giorni; voleva solo piangere e dormire, e morire alla fine. E forse una delle due ultime cose accadde perché sentì il peso della gravità cedere, appesantire la sua schiena con il pavimento che si fece terribilmente vicino, quasi a toccarlo, e forse lo toccò, o forse no; non capiva più niente, il moro.

-Ace? Ehi, Ace!-

Una voce tanto distante ora era quella di Marco, forse lo aveva afferrato prima che crollasse, e forse lo stava scuotendo piano, preoccupato, mentre lo teneva tra le sue possenti braccia, e forse stava correndo, perché Ace sentiva il vento scompigliargli i capelli; ma poi non sentì nient'altro se non uno strato morbido e caldo sotto di sé, con una mano calda che gli accarezzava i capelli con fare ansioso e affettuoso.

-Marco, cosa succede?-

Dei passi eleganti giunsero nella stanza in cui erano i due ragazzi, con il moro che respirava a tratti ormai. Ma Marco non rispose, forse perché la proprietaria di quella voce dolce e sublime, forse una donna, intuì da sola, nel vedere la sagoma sul lettino, quello che stava accadendo.



Strizzò gli occhi mugugnando, anche se la sua voce parve più spiccicare piano, e forse nessuno lo udì. Sempre se ci fosse qualcuno... ma, perché, lui dov'era?

Più il sonno lo lasciava e più i ricordi riaffiorarono, facendogli capire che Marco lo avesse soccorso, e ne ottenne la conferma nel ritrovarsi su un lettino bianco appena riaprì le palpebre, socchiudendole con forza nell'avvertire il fastidio della luce sugli occhi. Fece una smorfia, producendo un borbottio fioco mentre cercò di tirarsi su, lasciando scivolare le braccia fuori dal lenzuolo, verticalmente; adagiandole poi sopra di esso e darsi la spinta, mettendosi seduto mentre notò, attaccata ad una vena sul polso destro, un tubicino che conduceva ad una flebo con il sangue con lo stesso gruppo suo, ormai quasi vuoto.

-Ti sei svegliato, finalmente.-

Ace si voltò piano, cercando il mittente di quella voce dolce e individuando che fosse Marco, proprio seduto al suo fianco, su una sedia e con in mano un giornale. Il moro arrossì, capendo che fosse rimasto a vegliarlo fino a quel momento, almeno quella era l'impressione che dava; e il lentigginoso, questo, non se lo aspettava, tanto meno che gli adagiasse una mano sulla sua chioma corvina con fare giocoso ed un sorriso più tranquillo sulle labbra.

-Grazie.- mormorò, apprezzando il gesto di essere rimasto e tenendo lo sguardo chino sul lenzuolo bianco che lo ricopriva prima di realizzare che quel luogo non fosse l'università, così alzò la testa di scatto per ispezionare quel posto caldo e ristoratore, nonostante fosse tutto ricoperto da uno strato di bianco innevato. -E' un ospedale?- sussurrò retorico.

-Sì, l'infermiera dell'università mi ha consigliato di portati qui, e molto in fretta anche. Ti hanno medicato e fatto qualche esame, ma ora è tutto nella norma. Avevi delle fratture un po' in tutto il corpo, ma soprattutto le costole della schiena, e vari lividi. Devi solo riposare.-

Ace si morse il labbro e strinse i lembi del lenzuolo con fare angosciato mentre il suo volto, coperto dalle ciocche nere, si fece cupo. Non gli interessava la sua salute, non era questo ciò che lo innervosiva, ma l'essere in quel posto in particolare.

-Perché? Perché mi hai portato in ospedale? Non avresti dovuto!- ringhiò furente, tornando a mordersi quel lembo di carne con i denti, e con un respiro pesante.

-Forse per salvarti?- rispose con fare retorico e ironico. -Hanno dovuto somministrarti dei campioni di sangue: ne avevi perso molto.-

-No, cioè... Questo è un cavolo di ospedale! Significa che dovrò pagargli per qualunque cosa mi abbiano fatto.- mormorò, stanco di questa storia di non avere mai tranquillità. Osservò il suo corpo sotto le lenzuola, coperto dai propri slip e da una vestaglia azzurra, tipica di quel posto, però, dalla lieve scollatura intravvide delle bende.

-Posso capire che forse pensi che, essendo dottori, dovrebbero curare le persone senza chiedere nulla in cambio, ma devono pur avere uno stipendio da portare a casa. Ma tu... ti preoccupi solo dei soldi. La tua vita vale così poco?-

-Non mi interessa la... I soldi servono per vivere, altrimenti sarebbero il mio ultimo pensiero, te lo assicuro.- borbottò. Stava quasi per dire troppo, ma si era fermato in tempo, però Marco forse aveva intuito comunque, non era che ovvia la frase che stava per affermare poco fa. Scrollò le spalle ad occhi chiusi, sentendosi davvero meglio di salute, e questo lo rallegrò, ignorando che il biondo lo stesse osservando, forse con un cipiglio serio e deluso per quelle parole.

-Scusa, ti sei preso un disturbo per portarmi qui, e grazie. Ma, per il lavoro? Sarò licenziato immagino.-

-No, non penso che Barbabianca ti licenzierebbe se ti conoscesse, però il signor Lucci incute timore, e preferisce che la gente sia puntale e organizzata. Non devi preoccuparti però, ha visto la tua dedizione nel voler lavorare, non penso che ti darà pressioni. Ma per il momento sei in ferie, finché non ti rimetti.-

-Oh. Okay.- brontolò, adagiato con le scapole contro i due soffici cuscini, pieni di piume tanto da sprofondarci con un sorriso che gli sfuggì senza volere.

-Pensavo fosse Lucci il 'magnifico rettore' o quella cosa lì.- guardò il biondo che scuoté il capo negativamente e con allegria.

-Fa da vice, al massimo può assumere persone che si occupino dell'università, ma è Barbabianca che controlla, sceglie gli studenti e può licenziare.- spiegò, contento che quei guanciali che gli aveva messo sotto il capo mentre dormiva fossero di suo gradimento.

Ringraziò, il moro; e sospirò scocciato, mettendosi disteso di lato e dandogli le spalle, ignorando che così gli permettesse di notare meglio tutte le fasciature dal piccolo spiraglio di quella vestaglia, aperta dietro; ma solo per un breve istante, poi si rimboccò le coperte, volendo riposarsi ancora un po'. Ma aveva un piano: avrebbe aspettato che se ne andasse e poi sarebbe uscito discretamente da quel posto, troppo bianco e puro per uno come lui che si sentiva solo sporco; anche perché lui odiava gli ospedali: in uno di quelli era nato, e in uno di quelli sua madre era morta.

-Ace, chi ti ha fatto queste?-

Il moro scrutò fuori dalla finestra, ma a quelle parole trasalì, e arrossì perché, nel dirle, il biondo, stava percorrendo le cicatrici sulla schiena da sotto le coperte. Mugugnò qualcosa, imbarazzato dal sentire le sue dita che scesero dal retro del collo fino alle bende per esaminare le cicatrici con attenzione e cura; a tatto erano calde e morbide, delicate, in contrasto con le sue ferite dure e segnate, profonde e che crepavano la sua pelle.

-Nessuno: te l'ho detto, io mi alleno.- borbottò piano, lentamente, ascoltando quel tocco e di come scivolassero piano su di lui.

-I dottori mi hanno detto che le ferite sono dovute ad un'arma, una frusta, ma hanno detto che doveva essere qualcosa di ferro o metallo, qualcosa di duro e sottile, e hanno optato per una fibbia, o qualcosa di molto simile... I tuoi lividi sono aumentati molto rispetto a ieri sera, l'ho notato mentre i dottori ti hanno tolto la camicia, quindi ho pensato che succede ogni giorno, che qualcuno ti ferisca intendo. Ora dimmi: chi ti ha fatto del male?-

Boccheggiò un po', sentendo un vuoto nel non percepire più quelle dita su di sé, ma decise di tralasciare quel senso di caduta nella mancanza e si concentrò su quelle parole che lasciarono un retrogusto amaro in bocca e un groppo in gola; lui aveva ispezionato ogni cosa di lui nei minimi dettagli, ne era sicuro visto quelle parole scorrevoli e minuziose, ma borbottò in riposta che non era stato nessuno, per poi domandargli perché i dottori gli avessero riferito tali tesi.

-Mi sono finto un tuo parente, ero preoccupato. Di me ti puoi fidare, non avere paura: dimmi chi è stato, per favore.-

-Preoccupato?- Ace voltò il capo nel dirlo, guardando il biondo che continuava a fissarlo serio e che continuava a parlare calmo, però annuì per confermare, per poi rifare la medesima domanda.

-H-ho già detto che non è stato nessuno. Smettila di chiederlo!- urlò stufo, infastidito da quelle parole mentre chinò il capo, imbarazzato, sul cuscino, e reggendo il busto sui gomiti, dandogli ancora le spalle intanto che mostrava i denti, con una smorfia, a quel tessuto che aveva davanti e dal colore limpido della neve.

-All'inizio avevo pensato che avessi fatto a botte nei bassi fondi per davvero, per quello che c'eravamo detti magari, o perché era accaduto altro, ma quando i dottori mi hanno confessato quelle parole, di un arma, e di come avesse inflitto su di te... Tu non ti sei difeso, quindi non può essere questa l'ipotesi giusta. Perché non vuoi dirlo? Hai paura?-

-Bassi fondi...- sussurrò, rilassando il volto e facendosi sorpreso mentre tornò a guardare il biondo con fare sospettoso, senza dare peso al fatto che lo avesse visto senza maglia, quindi un po' come se lo avesse osservato nella sua nudità, più o meno; ma in quel momento, l'imbarazzo e quelle parole non entrarono, non arrivarono appieno al mittente nella sua mente, più preoccupato per un'altra questione:

-Tu... hai preso informazioni su di me, hai, hai sentito... sai cosa dicono di me in giro...- mormorò risentito, non sapendo se esserne deluso, perché Marco aveva preferito chiedere informazioni su di lui da altri senza domandare prima al diretto interessato; che poi non gli avrebbe detto nulla Ace era un altro fatto; o, non sapeva se esserne amareggiato, perché ora Marco sapeva, o forse lo aveva sempre saputo magari, e non lo avrebbe più frequentato, anche se era una notizia falsa.

-No. Io so solo che sono entrambe menzogne.- rispose pacato e con sufficienza, lasciando Ace un attimo confuso: entrambe? Su di lui si diceva che picchiava la gente nei bassi fondi, ma cos'altro poteva dire la gente di lui senza che il diretto interessato lo sapesse?, pensò. Però, Marco non credeva a quelle parole, forse voleva che gli è le dicesse Ace in persona; che il moro confessasse la sua verità? Come a voler vedere se Ace gli avrebbe detto tutto, chiarendo ogni cosa, perché Marco si fidava. Beh, lui non lo avrebbe fatto, non gli avrebbe detto nulla; sbottò nel pensiero prima di aggiungere un 'purtroppo'.

-Non vuoi ancora rivelarmi il colpevole di tali eferateze? Posso aiutarti.-

-Finiscila!- ringhiò, stringendo i pugni. Non doveva farsi abbindolare; in fondo, la ferita di quel "Era solo un bacio da ubriachi." la sentiva ancora viva e bruciante, e poi non gli avrebbe detto proprio niente; era inutile ci provasse.

-Scusa.- mugugnò subito dopo, Ace, capendo di aver alzato troppo la voce da sembrare maleducato, di nuovo.

-Okay.- si alzò, lasciando Ace angosciato più di prima. -Io devo andare. Visto che sei sveglio... Ti verrò a trovare. A dopo.- salutò cordiale e serio, allontanandosi piano ma con un'idea fissa: Marco aveva deciso una cosa in quegli istanti in cui era stato lì, nel vedere il volto angelico e tenero di quel ragazzo; aveva preso la decisione, l'obbiettivo, di conquistare il suo cuore, inconsapevole che lo avesse già fatto a quella festa di pochi giorni fa.

-Okay. A dopo.- mormorò quando la porta si chiuse, ed Ace sospirò mogio e triste, sul punto di voler provare ad alzarsi e corrergli dietro per imploragli di rimanere con lui, però, non poteva, non se la sentiva, avrebbe reso tutto troppo ridicolo; e poi, la sedia a rotelle al fianco opposto del letto gli aveva lasciato intendere che per un po' avrebbe dovuto sfruttarla: rimanere lì solo perché Marco sarebbe tornato.

-No. Ma cosa dico? Luffy tra un paio d'ore sarà a casa, devo andare.- borbottò, guardando l'orologio sul comodino, e alzandosi con lo sguardo che cercava i suoi vestiti, accorgendosi poi di avere anche la caviglia destra fasciata.

-Dove sono i miei...? Vestiti... Lui... Lui mi ha visto s-senza v-e-vesti-ti...- realizzò di essere stato in presenza di Marco con solo una vestaglia che arrivava, sì e no, fino al linguine solo in quel momento mentre il rossore si impossessò delle sue guance, e desiderò sotterrarsi, senza sapere che, durante tutto il tempo in cui Marco fosse rimasto in quella stanza era stato più dedito ad osservare il suo volto assopito che il suo corpo, tra l'altro, coperto dalle lenzuola, sempre rimboccate da quest'ultimo.

Cercò di non pensarci, Ace, scrollando via l'imbarazzo e afferrando i propri indumenti che individuò essere su una sedia in un angolo della stanza. E non capiva perché sarebbe dovuto rimanere in quel posto visto che si sentiva bene come non mai, con le gambe arzille e il corpo pimpante, ma se non sentiva più le ferite fare male era solamente per via della morfina e degli antibiotici somministratili.

-Okay, andiamo da Luffy.- sospirò dopo aver lanciato sul letto la vestaglia, e, ormai vestito, senza farsi vedere, sgattaiolò via dalla finestra, anche se si trovava al secondo piano riuscì ad aggrapparsi ad un ramo di un albero del giardino sottostante e poi catapultarsi per terra, e, con i suoi scarponi neri, correre via.



Aprì la porta, scrutando ancora l'oggetto che aveva nella mano destra, e sperando che potesse piacere al moro, ma, nell'alzare lo sguardo rimase cupo, per poi sospirare e avvicinarsi all'unico letto vuoto e in ordine di quella stanza singola che aveva scelto proprio per farlo stare più a suo agio visto il suo astenersi, il suo complicato voler fare amicizia con le persone; e Marco andò, così, verso le uniche persone rimaste, volendo discutere con i medici; magari non era andato via, forse era solo in bagno, o a fare un'altra visita. Peccato che i dottori risposero di essere entrati e di non averlo trovato, ma che non erano allarmati, perché l'importante era che non si sforzasse. Anche se, in realtà; pensò Marco; non volevano avere un 'fuorilegge' in quel luogo rispettabile; beh, c'era sempre la dottoressa Kureha, che curava tutti senza fare discriminazioni; era brava, anche se cara. Ma, a rifletterci bene, era andato via senza pagare, e gli è lo ricordarono anche i medici con fare oltraggiato; come se il loro lavoro consistesse nell'avere soldi e non nel curare la gente. Ascoltò quei medici lamentarsi per essere stati ingannati in quel modo, ma Marco era deciso su non pensare male di Ace senza prima conoscerlo in ogni sua particolarità, in ogni suo gesto e aspetto che dava di sé; ignorò quelle persone, deciso di tornare a casa propria.

-Vi ringrazio. Arrivederci.- salutò cordiale, e, dopo aver sistemato i pagamenti se ne andò, con il fiore in mano. Aveva voluto portargli un regalino, peccato che non avesse potuto lasciarglielo. Sospirò, mettendo lo stelo in tasca con cura e uscendo. Non sapendo come approcciarsi aveva optato per il cominciare da un fiore, sperando che potesse scaturire in Ace un sentimento di felicità, e che potessero così iniziare a relazionarsi meglio. Peccato che non lo avesse trovato, ma gli è lo avrebbe dato la prossima volta; in fondo, era solo un fiore, ed era uno dei preferiti di Marco.

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