Sempre di più.
Aveva parlato con Luffy, nascondendo la pistola e discutendo come dei bravi fratelli; ed Ace si chiese se avrebbe continuato ad esserlo dopo quello che stava per fare, o se lo fosse stato per davvero in tutti quegli anni; e forse non era da fratello maggiore nascondere un tale crimine, proprio sotto al naso di Luffy, con lui a parlare al maggiore che celava una pistola in casa, nella camera dove dormiva... Ora, il suo fratellino, il suo tesoro, dormiva nel suo letto, e il lentigginoso lo guardava da lontano, seduto a terra e con la schiena contro la base del proprio, in quell'oscurità, e in quel silenzio, ancora con quell'arma nera e sporca in mano. Akainu non era tornato, non si era fatto più vivo da ieri. Non sapeva cosa poteva significare; sembrava che lo stesse lasciando in pace per quello che gli era stato assegnato in quei giorni, o forse era la sua immaginazione che gli è lo diceva non avendo altre idee; nah, forse era morto; probabile, di più però che si stesse ubriacando senza sosta; e magari era proprio lì a casa, ma era crollato nel suo schifoso letto per l'alcool ingerito. Però... e se sapesse per davvero?
Scuoté il capo: No, quei tre non potevano essere in combutta per ricattarlo... O sì?, sgranò gli occhi, ma no, non poteva essere; cercò di convincersi: lui aveva appena ottenuto un pezzo della sua libertà, non poteva essere!, ripeté insistente, tenendo con fare tremante quell'arma maledetta, tra i propri arti come se impugnasse un vaso di ceramica pronto a frantumarsi; uno delle quali ancora bendato; e mordendosi un labro mentre poté udì bene l'orologio della chiesa echeggiare in città, annunciando, a stento per la lontananza, con fare tenebroso e lucubro, senza sosta, l'una: l'ora che attendeva con estrema ansia, e che aveva pregato che non arrivasse mai.
Non voleva farlo, ma voleva perché quell'idiota se lo meritava, e, soprattutto, doveva perché gli era stato ordinato. Dannazione!, imprecò prima di calmarsi, respirare e, nell'alzarsi lentamente osservare il pavimento, analizzando così la situazione con stupore amaro ma consapevole: Già, ordinato... Era uno schiavo... Forse Sabo, se fosse stato lì come tempo fa, nel sentirlo, si sarebbe svegliato e lo avrebbe fatto rinsavire... No, lo avrebbe odiato e lo avrebbe ripudiato. Però, adesso era più certo che tutti in città e in quel dormitorio dove era diretto stessero dormendo e che nessuno lo avrebbe visto, forse solo sentito e...
-Merda. Ci sono le mie impronte su questa cosa.- imprecò, alzandosi in silenzio e percorrendo, corridoio e scale, come se stesse camminando su un pavimento coperto da chiodi che doveva cercare di evitare per non emettere suoni di alcun genere. -Gli darò fuoco, dopo.- decise, continuando a tenerla con tutte e due le mani, guardandola come un oggetto prezioso quanto pericoloso, come se avesse in mano le chiavi per le porte dell'inferno e stesse andando ad aprirle di persona, rischiando la vita... Rischiando di liberare il diavolo, il mostro, che avrebbe poi portato dentro per l'eternità, con il cuore che martellava, e il respiro che usciva sempre meno, perché non riusciva ad assimilare l'aria necessaria intorno, solo piccole dosi che non servivano a nulla se non ad agitarlo e a impossibilitarlo di vivere sempre di più, sempre di più... Sempre, sempre di più.
Era questa... la libertà?
Aveva varcato quell'enorme portone, e non aveva neanche ben capito perché l'avessero lasciato aperto. Credevano davvero di essere al sicuro, o forse lo avevano dimenticato? E se sapessero...? No, no. Di certo molti ragazzi dell'istituto uscivano come tutti per andare a divertirsi, e tornavano tardi, e quindi lasciavano la serratura dischiusa per il loro ritorno... O forse era successo qualcosa, forse non dormivano... Forse... Forse stava impazzendo! Ma basta! Bah, non doveva distrarsi, eppure continuava a farlo: non era convinto di quella missione?
Scuoté il capo, con la pistola tenuta in basso, con tutte e due le mani a reggerla, e con un dito sul grilletto; le braccia lungo il linguine mentre si avvicinò alla sala grande, con il solo pensiero di restare concentrato sul presente e sull'obbiettivo, guardandosi attorno furtivo quanto i suoi passi e trovando tutti quei ragazzi, persino Thatch!, si maledì nel vederlo; che, ubriachi, dormivano per terra mentre il gigante, anche lui assopito; con la tazza enorme sulle cosce, vuota, e gli occhi sereni e rilassati. C'era una confusione lì dentro; tavoli rovesciati, bottiglie ovunque che avevano seminato gocce, meno o più grandi, di alcool; e tutti ammassati, altri con altri, e alcuni con nessuno; distesi o seduti in pose abbastanza, a suo dire, scomode. Compreso il cuoco, disteso di schiena sopra la base laterale del tavolo caduto a terra. Ma quanto avevano bevuto?, si chiese scettico, per poi alzare piano, dopo essersi messo nell'angolo opposto all'uscita, e con davanti l'arcata per entrare in quel luogo; le braccia fino a mirare alla testa di quel tipo enorme: l'importante era colpirlo, poi, se era in un punto vitale sfiorato poco contava: ci aveva provato, si sarebbe giustificato; e poi, essendo vecchio, poteva morire più facilmente, o magari sul colpo per lo spavento... Ma che ne sapeva lui, di queste cose?, scattò funesto, volendo solo finirla subito e andarsene!
-Siamo amici, ci teniamo a te.-
Le parole del compagno tornarono funeste nella sua testa proprio come un urto di proiettile, ironizzò e si maledì, perché insieme ad esse, iniziarono a vorticare velocemente ogni singolo istante di tempo passato con loro, insieme, con felicità, ridendo, scherzando... Mostrandosi così uniti con lui... Non meritava tutto questo con loro, e loro non meritavano di perdere sé stessi e soffrire per la morte di quella persona: ci tenevano tanto... E lui poteva capire quanto ti distruggeva una cosa del genere...
Annuì piano, capendo cosa c'era da fare e tornando ad abbassare gli arti, lasciando l'arma alla mano destra, rialzandola in sequenza come a rallentatore e, osservando il pilastro bianco davanti dopo aver portato un ultimo sguardo, con poca importanza per quanto profonda; alla sala e alle persone che conteneva, si portò la canna alla tempia. Sorridendo sincero, in una smorfia contratta dalla felicità, incerta eppure vera, ad occhi chiusi per la decisione più sensata che avesse mai potuto prendere per quella sera solo abbandonando e lasciando indietro i pensieri e i ricordi in un angolo buio per un po', si lasciò andare, dimenticando tutto.
Sentì il dito premere contro il grilletto e strinse maggiormente le palpebre prima di ritrovarsi schiantato contro la parete, e trattenne il fiato, strizzando gli occhi spaventato prima di aprirli e constatare che non aveva sparato, che non aveva sentito dolore, o il suono e l'odore orribile e forte di quel proiettile schizzare fuori; solo, aveva udito essere sbalzato via, e la parete attutire al contatto con la sua schiena.
-Che diamine stai facendo?- affermò la persona davanti che Ace riuscì a focalizzare in quello stesso momento, e sigillò le labbra, tentennando perché non pensava fosse sveglio qualcuno, ma ancora non riusciva a mettere a fuoco la visuale, e, piano piano, identificò due occhi azzurri spaventati e arrabbiati fissarlo con i denti serrati.
-Io...- mugugnò, stringendo poi la mano lentamente, e poi l'altra, confuso, ma non riuscì a sentire la consistenza di quell'oggetto tanto spietato, però ci pensò Marco a mostrarglielo, nella sua mano, che lo teneva con la punta delle dita, quasi come se si schifasse di tenerlo per davvero, per la canna, e ascoltando gli strani ticchettii che si propagarono a terra senza sosta come selle biglie, ma non si chinò a vedere cosa fossero, troppo assorto in quello sguardo accigliato e intimidatorio, per la prima volta, diretto a lui.
-Continua a piacerti anche adesso il dolore, eh, Ace?- fremette, sembrando che continuasse ad urlare, e invece, sia ora che prima manteneva un tono basso anche se tempestoso; volendo non destare nessuno: in fondo, Ace aveva portato da loro un'arma con l'intenzione di uccidere. Digrignò i denti, ripensando a quando era uscito, anzi, da quando Ace era corso via non era proprio rientrato, nemmeno per la cena, preferendo restare a prendere boccate d'aria e pensare, pensare, pensare, toccandosi il livido che aveva ricevuto con un sospiro... Si era scervellato perché non capiva, non assimilava come potesse volere lui stesso un male come quello. Il tempo era volato poi, tra passeggiate e discorsi con alcuni ragazzi che, uscendo lo videro e restarono con lui per un po', abboccando alla scusa di essersi fatto male cadendo, o forse volendo credergli e facendogli compagnia. Alla fine, deciso a non entrare per niente fino a che non avrebbe avuto un parere, si era seduto sotto un albero, aspettando di avere una risposta, ma quella, dopo ore interminabili, era apparsa sotto i suoi occhi in modo lento e celato: aveva visto il ragazzo che amava entrare, varcare il portone che aveva lasciato lui aperto, e allora lo aveva seguito, all'inizio immaginava cercasse lui per delle scuse, ma aveva qualcosa di troppo, e lo aveva notato subito prima che entrasse. Perché? Perché aveva una pistola? si era domandato con rancore e odio verso sé stesso nel vederlo lì, con la luce del corridoio lasciata accesa a illuminarlo. Non riusciva ad aiutarlo e si disgustava per questo. Ma non era riuscito neanche a comprendere cosa stava accadendo e a come reagire a tutto quello. Poi aveva capito: mirava a suo padre, ma sembrava così pensieroso che alla fine aveva deciso di lasciare perdere... Però, non poteva e non era rimasto fermo quando lo aveva visto puntarsi quello scempio di oggetto verso sé stesso. Come aveva potuto? Ma la sua risposta lo lasciò ancora più spiazzato.
-S-sì...- mormorò, vergognandosene tanto prima di spingerlo lontano e correre verso la porta, con le gambe che, protestando, sembravano voler cedere a quella sofferenza, cadendo e sembrando non voler reggere il peso del suo corpo nonostante si rialzasse il secondo dopo senza nemmeno aver lasciato il tempo che atterrasse prima che venisse catturato, sul vialetto, dalle braccia di quel ragazzo, proprio come poco prima della cena, e lo odiò come più si intestardì di fare.
-Lasciami. Lasciami, lasciami, lasciami! Lasciami!- urlò, dimenandosi senza sosta e cercando di fargli il più male possibile, ma non ci riuscì, perché non voleva, così, iniziò pian piano a calmarsi in quell'abbraccio, versando alcune lacrime di risentimento e di fitte atroci interne che non riuscivano mai a guarire.
-Vuoi proprio farti odiare, eh?- commentò, duro e stanco, e allora Ace non ci vide più dalla furia.
-No, siete voi che non mi odiate! Perché? Perché non mi odiate? Io, che sono il figlio di un mostro! Perché tu, Luffy, Nami, Zoro, Sanji, Brook, Thatch, Sabo, Sanji, Usop, Franky, Robin, Haruta, Izou, non mi odiate e non mi volete morto? Tutte le persone del mondo odiano mio padre! Perfino questo paese! Le persone mi evitano e non vogliono stare nella stessa stanza con me! Perché voi... voi no... Non lo capisco.- finì quello sfogo in un sussurro, e le pupille lucide che scrutavano per terra disperatamente, come se stessero cercando un piccolo pezzo di briciola di un'agognata libertà in mezzo a quell'oscurità, interrotta solo da qualche lampione distante, e dalla luna alta in cielo.
-Quindi è questo. È questo che ti frena dall'essere felice?- mormorò, ravvivando la sua rabbia, ancora una volta.
-Io non meritavo nemmeno di venire al mondo! Come posso bramare la felicità?- continuò ad urlare, senza fiato, voltandosi a fissarlo con rancore prima di staccarsi da solo da quelle braccia e voltarsi, afferrando di scatto un pezzo di quella camicia e strattonandola senza tregua. -Uccidimi! Fallo! Sparami, ti prego!- esclamò poi, afferrandogli subito dopo la mano con ambedue delle sue, costringendolo, senza neanche troppa forza, a puntarlo alla propria fronte, al centro, con quella pistola.
-Spara.- lo guardò negli occhi, sincero, senza assimilare veramente cosa gli stava chiedendo di fare, ma lui rimase immobile, con quegli occhi cupi e duri che mettevano paura con le sopracciglia ancora corrucciate.
-No.- sibilò, tanto da sembrare un ordine, però non abbassò l'arto, e così Ace, avvicinando le dita al grilletto, premette al posto suo, chiudendo gli occhi per la paura dell'impatto. -Ho messo la sicura, Ace. E ho tolto i proiettili.- spiegò, facendo così capire ad Ace cosa fosse quel suono sentito prima, quando lo aveva costretto contro il muro, impedendogli di spararsi, in quella casa.
-Ma...- mormorò deluso, prima di crollare a terra disperato, tornando a singhiozzare più di prima mentre si strinse nelle spalle, facendosi pena e schifo da solo, sempre di più, sempre di più...
-Ace... Non fare così, e ti prego, ti supplico, non morire. Devi resistere, perché ti salverò da tutto questo.-
-Lasciami in pace! Vattene!- rispose tra le urla, lui, negando con il capo il suo aiuto, con Marco che gli prese una mano, quella ancora bendata, dopo essersi chinato su un ginocchio, a terra.
-Ascolta, non mi interessa che sei il figlio di un mostro...-
-Gol D. Roger... Non ti importa ancora?- alzò lo sguardo, questa volta fu lui ad assumere un'aria impassibile e ferrea, però il biondo non fece una piega alle sue parole. Forse nemmeno lo conosceva?, si fece perplesso, un secondo.
-No. Però, da ciò che so lui è morto, Ace. Quindi ora devi dirmelo. Dimmi: chi ti fa del male? Chi ti ha fatto questo?- esclamò irruente, brandendo quell'arto bendato con delicatezza anche se con decisione. Temeva che, nel sapere che fosse il figlio di un mostro, fosse proprio quest'ultimo il responsabile, ma quel criminale era deceduto tanti anni fa, quindi era impossibile. Rimase in silenzio, osservandolo con determinazione mentre lui iniziò a sussurrare, guardandolo negli occhi come ipnotizzato da un fattore, una scelta sconosciuta:
-Io.- annuì, lasciando Marco scettico e sorpreso da un'idea amara e che lo agitò dentro maggiormente prima che iniziasse a spiegarsi meglio: -E-ecco... Akainu aveva un coltello... Temevo potesse usarlo contro di me ancora, visto che mi aveva bruciato e poi aveva provato ad affettarmi con quello. Allora l'ho afferrato con la mano, iniziando a strattonarlo, e così mi sono fatto quei tagli. Quando sono riuscito a togliergli l'arma sono andato in camera e...- iniziò pian piano a sgranare gli occhi, puntandoli poi verso Marco con più intensità, che lo ascoltava accuratamente. Perché gli è lo stava dicendo?, si chiese prima di ripeterlo a voce: -Ma... Perché te lo sto dicendo?-
-Akainu.- ripeté invece lui, alzandosi pacato, e lasciando il moro congelato sul posto: aveva fatto il suo nome!, si morse un labbro colpevole, con il cuore che gli martellò nel petto con enfasi.
-N-no! No! C-che vuoi fare, Marco?- lo rincorse, mettendosi in piedi e voltandosi indietro per prendergli un gomito e abbracciandoglielo per fermarlo mentre varcava il marciapiede, ma invano, lui stava continuando ad andare verso casa sua, lentamente, senza fretta, come se avesse un piano o un'idea.
-Lo denunceremo, ma prima, tu e Luffy verrete a vivere qui: sarete al sicuro.-
-C-cosa?- mormorò, lasciandolo andare per poi osservare la pistola che stava portando con sé, più perché non sapeva dove metterla, credette. Scuoté il capo, stringendo i denti e negando forte: -No!- si impose, mettendosi davanti a lui, poco importava che fossero in mezzo alla careggiata, tanto non passava nessuno.
-I-io... Te lo impedisco, okay?- scattò deciso, fremendo con la mandibola e con le pupille, serie e decise. -Io non merito il tuo aiuto.- confessò in uno spiro, chinando il capo.
-Ace... Tu meriti di vivere.-
-No, non è vero!- asserì, scuotendo forte il capo in quel silenzio angosciante e il buio macabro, interrotto solo da qualche folata, lieve di vento.
-Ace.- gli pese le spalle, Marco, accarezzandole e lasciando cadere a terra quell'orribile macchinario. -Tu vuoi davvero...? Ti piace davvero soffrire in questo modo? Guardami.- gli sollevò il mento con due dita, pacato e gli rivolse un tenero sorriso.
-... No.- mugugnò il lentigginoso, con un broncio imbarazzato e triste prima di sospirare aria dalle narici pesantemente.
-Lo so, e meriti anche di essere nato. Hai sentito? Non hai nessuna colpa per essere venuto al mondo.- lo strinse forte in un abbraccio, accarezzandogli la schiena, ed Ace rimase vivamente colpito da quell'ultima frase: era stata così perfetta, e si chiese se avesse ragione mentre si lasciò cullare dal suo odore.
-Marco... Non vuoi sapere perché ho cercato di uccidere tuo padre?- un po' gli dispiacque rovinare quel momento, ma forse Marco desiderava sapere e ne aveva il diritto.
-L'importante è che tu non l'abbia fatto. L'unica cosa è: dov'è hai trovato quest'arma?- mormorò, distaccandolo di poco per guardarlo negli occhi, con lui che esitò, mordendosi un labbro angosciato, indeciso.
-Ecco... Alcuni tipi a cui vendevo la droga... della gente pericolosa, non è andato giù il mio cambio di programma... Mi hanno detto che se volevo fermarmi, dovevo uccidere qualcuno, e loro poi hanno fatto il nome di Barbabianca... Mi dispiace. Non so cosa faranno adesso...- farfugliò.
-Sistemeremo anche questa faccenda.- incoraggiò, continuando a tenerlo per le spalle, senza però intoccare la parte ferita.
-Smettila, Marco. Non capisci? Io devo continuare a...- si ammutolì, continuando a maciullarsi le sue labbra prima di ritrovarsi davanti il volto, di nuovo serio del ragazzo, così vicino da farlo accaldare dentro, insieme alle guance che si incendiarono.
-Continuare cosa?- volle sapere, alzando un sopracciglio.
-Perché fai tutto questo... per uno come me? Tu sei intelligente, vai all'università, sei bravo, sai fare tante cose, ti piace studiare... Sei perfetto. Perché vuoi rovinare la tua vita con me?-
-Voglio renderla migliore, Ace. Con te lo è, ha un sapore diverso e mi piace, come mi piaci tu.- e nel dirlo, fu felice della reazione di Ace, che, trasalendo e arrossendo, trattenne il fiato prima di balbettare:
-T-ti p-piaccio?- mormorò. Era la prima volta che gli è lo diceva, e il suo cuore non sembrava riuscire a reggerlo: era così emozionato, sembrava aver palpitato con uno scatto e, nel medesimo istante, essere ricoperto di un fuoco ardente.
-E, ascolta, non devi sottovalutarti. Anche tu sei perfetto: sei tenace, deciso, responsabile, forte, orgoglioso, anche tu sai essere intelligente, poi sei fantastico e quando ti dedichi a una cosa non ti arrendi mai, come non fuggi nemmeno dai pericoli. Hai una bella risata che mette allegria, mangi tantissimo, e ti piace dormire. Porti i capelli in modo ribelle e lunghi, tanto che ti coprono gli occhi quando ti vergogni o sei triste; hai delle lentiggini bellissime, e quando arrossisci diventi sempre più bello, e lo sei sempre. Solo, dovresti chiedere aiuto quando ne hai bisogno.-
Ace lo fissò ad occhi sgranati, meravigliato e impacciato per quelle parole così sincere e... e... romantiche?, inclinò il capo su un lato, piacevolmente confuso e amando quelle parole che tenne dentro il suo cuore con avidità, come in uno scrigno: era una cosa fantastica non essere rifiutati, soprattutto da lui. Ridacchiò, se lo lasciò sfuggire quel suono di felicità, chinando il capo, e celando gli occhi prima di sospirare, proprio come aveva detto Marco in quell'elenco; e, tornando alla realtà prima di scacciare tutti quegli stupidi problemi, mormorare:
-Mhm, non so Marco... Però...- tornando a guardarlo, e, mettendosi leggermente in punta di piedi decise di baciarlo, appoggiando le labbra contro le sue e venendo trattenuto da quelle mani che gli cinsero i fianchi, tenendolo costantemente al sicuro.
Si staccarono, ed Ace preferì rimanere fermo per perdersi ancora un po' in quegli occhi prima di celare il muso contro il petto scoperto del biondo, annusando l'odore dolce che trasmetteva, tanto buono da farlo assopire, quasi. E, forse, era tutto un sogno alla fine... No? Ora si sarebbe svegliato nel suo letto, da solo e con il russare di suo fratello nelle orecchie, e magari avrebbe stretto il fiore di Marco tra le mani per tornare ad addormentarsi... Però, finché non si svegliava, poteva godere di quella serata immaginaria.
-Prima... Non ti ho fatto male, vero? Mi dispiace tanto.- borbottò, puntando gli occhi, senza muoversi, su di lui, che rise sereno.
-Un po', ma tranquillo: è passato da un pezzo. Ora, l'importante, è andare da Luffy, così starà al sicuro.- affermò, senza spostarsi, e guardando Ace alla ricerca di un cenno affermativo, ma ne ricavò solo una stretta turbata e più intensa sui suoi indumenti da parte di quelle mani. -Andiamo?- chiese ancora, titubante ma sicuro delle proprie azioni.
-Io... Non lo so. Me lo merito davvero? Tu dici di sì, però... io... Tutti...-
-Ace, Ace...- lo richiamò dolcemente, volendo calmarlo. -Poco conta ciò che pensano gli altri, okay? Ignorali, e rifletti su te stesso, su quello che sei e vorresti essere, e poi vedi se meriti o no, di vivere. Ma non è una colpa vivere, okay?- volle sottolinearlo.
-Okay.- farfugliò, per poi, esaminando la mano di Marco, prenderla con dolcezza. -S-se vuoi... a-andiamo?- mormorò: tanto era un sogno...
-Sono felice che ti sia deciso. Sbrighiamoci.-
Erano arrivati, ed Ace iniziava a temere fosse davvero la realtà, perché continuava a non destarsi, e poi la strada che avevano fatto fino ad arrivare era stata gelida e con un vento troppo reale; purtroppo non poteva più rifiutare... Non se la sentiva di deludere Marco, e poi non voleva che Luffy continuasse a stare male. Mugugnò, afferrando il suo zainetto a sacco, verde e zebrato di nero; ci infilò qualche vestito suo e di Luffy, e poi il suo cappello prima di metterselo in spalla e fare altrettanto con il fratello, non aveva voglia di destarlo perché gli sarebbe toccato spiegare ogni cosa e non ne aveva davvero la forza; d'altro canto, Marco era sulla soglia con lo zaino scolastico di Luffy, pieno perché ci aveva messo tutti i libri del liceo, e per questo lo ringraziò.
-Possiamo andare, o devi prendere altro?-
-Ohm.- si voltò impacciato, inquadrando il cuscino e sentendo una morsa al petto nel doverlo lasciare lì: il fiore di Marco. No, non poteva. Però si vergognava...
-Cosa c'è?- mormorò lui.
-A-ahm... T-tu vai avanti...- farfugliò, e lui gli cinse una mano, pretendendo il suo zaino, o forse Luffy.
-Ti tengo io, questo. Ti aspetto qua fuori.- spiegò, vivamente curioso però che ci fosse una cosa di così segreto da tenerlo all'oscuro ma lo rispettò, afferrando la spallina e posizionandosela sull'altra spalla, opposta a dove fosse quella del fratello.
-Oh, okay. Grazie.-
Lo vide allontanarsi e così si recò accanto al suo letto, rosso in volto mentre si strofinava il retro del collo, sospirando. Dannazione a lui... Ora dove lo metteva il fiore? In tasca si sarebbero visti i petali... Beh, era buio, forse no. Per prima cosa non doveva farlo aspettare tanto, già. Alzò il cuscino, chinandosi leggermente per prenderlo con delicatezza per lo stelo, e tenendo ancora Luffy, che quasi crollò indietro con la schiena, addormentato ma se lo riportò con il capo contro la spalla destra, con cura, e con la mano a reggergli la spina dorsale mentre le gambe dondolavano, quasi a sfiorare la terra.
-Perfetto.- mormorò, mettendo il fiordaliso in tasca, ma lasciando che i petali fuoriuscissero, non volendo rovinarlo, e poi, voltandosi, uscì in corridoio, incontrando di nuovo Marco che gli sorrise per poi guardarlo curioso.
-Non dovevi prendere qualcosa?-
-Eh? Era... un biglietto.- si giustificò, piano, per poi avviarsi e allungare una mano verso il proprio zaino.
-No, faccio io.- sorrise. -E dimmi, è bello questo biglietto?- volle sapere, individuando qualcosa, a malapena, che traballava ad ogni passo, nella sua tasca, ma non comprese bene cosa fosse.
-Molto.- sorrise, guardandolo sereno visto che era collegato a lui, senza capire che Marco avesse intravisto il suo regalo e che lo stesse esaminando a fondo, in quell'oscurità.
-Attento alle scale.- lo avvisò, Ace, e lui annuì, per poi portare indietro una mano e afferrargliela ancora.
-Io ci sono abituato, tu no.- esclamò, facendogli strada fino all'uscita, e con un senso di angoscia che lo invase, quasi temendo che la porta si spalancasse e arrivasse Akainu infuriato nero, ma forse era in camera: non aveva voluto controllare, perché non voleva che Marco vedesse il mostro che lo uccideva.
Usciti si calmò un po' di più, restando al sicuro in quell'oscurità fredda, interrotta solo dai lampioni; sospirando prima che Marco gli porgesse, tra le dita, un fiordaliso blu uguale al suo: malconcio e un po' schiacciato, ma sempre bello.
-Attento a non perdere il tuo "biglietto".- sussurrò, facendolo arrossire ancora, e boccheggiare, così Marco ridacchiò, lasciando adagiare le proprie labbra contro la sua guancia; riuscendo solo a farlo diventare ancora più rosso. Marco non poteva vederlo, e se ne dispiaceva; ma ne era sicuro che fosse così.
Erano tornati al dormitorio, e c'era un silenzio davvero tombale e inquietante, se non fosse che la luce della lampadina lasciava fuggire ogni timore, e il fatto che si fosse dimenticato di lasciare la mano di Marco, quando gli aveva restituito il fiore, era un vantaggio, che lo faceva sentire più degno di entrare, e sotto anche il suo consenso, come se gli permettesse di varcare quella soglia nonostante ciò che stava per fare. Sospirò, socchiudendo gli occhi e lasciando quell'arto, nel ricordarsi cosa fosse e di cosa si stesse per macchiare, tornando a stringere e abbracciare il minore, che, mugugnando si portò maggiormente contro l'incavo del collo del maggiore, come cuscino.
-Oh.-
-Che c'è? Hai bisogno di una mano?- si fermò, il biondo, attendendolo sulle scale mentre Ace lo raggiunse con lentezza.
-No, è che... Tra un po' sarà mattina, e per colpa mia non hai dormito nemmeno un po'. Scusa.- sbadigliò, strofinandosi poi, con cura e con la guancia, contro il suo fratellino, iniziando anche lui a sentire la presenza del sonno dentro gli occhi e nel respiro.
-Domani non ci vado, voglio rimanere con te.-
-Che, scusa? Ma io devo lavorare.- lo contraddì subito, prima di mordersi il labbro inferiore nel rendersi conto che doveva licenziarsi: non poteva lavorare lì se aveva cercato di uccidere il suo datore. -Forse non serve, dopo quello che ho fatto. Tu sei sicuro che possa stare? Stavo per ucciderlo...-
-Ace, ci parlo io con Lucci se proprio. E non devi lasciare nulla: non ne vedo il motivo, perché tu non volevi farlo, ti hanno costretto. Ti prego, Ace, però. Permettimelo: voglio averti un po' per me.-
-Cosa?- scattò lui, guardandolo scettico per poi chinare il capo e mugugnare contrariato: -Ti serve proprio una dormita, già.- e nel borbottarlo lo sentì ridere e decise di ignorarlo, reggendo per i glutei il più piccolo.
-Okay, ora andiamo. Prima lasciamo tuo fratello nella stanza da Thatch, tanto lui dorme giù a quanto pare.- commentò, fermandosi due camere prima della sua ed entrando, seguito dal moro.
-Non si sentirà male, visto in che posa dorme?-
-Vero, dopo scendo a occuparmi di quelli in posizione scomode.- ridacchiò, sapendo però che si sarebbero lamentati comunque al sorgere del sole, e il babbo avrebbe riso.
-M-ma... Po-posso dormire con te?- farfugliò piano, sentendo il cuore palpitare forte, come se stesse per concretizzarsi il sogno di una vita, e lasciando il minore, che continuava a ronfare senza sosta e tranquillo, nel letto comodo del cuoco e così gli rimboccare le coperte con cura. Sinceramente, non era una buona idea nemmeno quella richiesta... Luffy si sarebbe svegliato, avrebbe esaminato il posto, lo avrebbe trovato, gli avrebbe dato la sveglia e, trovandolo tra le braccia di Marco, sarebbe corso a spifferarlo a Nami, più per caso, gli sarebbe sfuggito quando la ragazza gli avrebbe chiesto come consuetudine: "Come sta Ace?", e il suo fratellino avrebbe parlato troppo. Già lo sapeva. Meglio dormire con Luffy, sì. -Anzi, no. N-non fa niente, lascia stare.-
-Mhm?- il biondo lo guardò sorpreso per quel cambio di idee e poi sospirò, lasciando entrambi gli zaini a terra, e guardando poi il lentigginoso chinarsi sulle ginocchia e destreggiarsi a togliere quelli che non servivano per il giorno dopo.
Conoscendolo, si sarebbe portato anche un missile se fosse stato all'interno di quel porta libri, si disse Ace con rammarico: non era nemmeno sicuro che gli usasse...
-Quindi resti qui? Se vuoi posso darti un pigiama, se lo hai dimenticato.-
-Ehm... No, tranquillo. Però...- inclinò il capo, rialzandosi e guardandolo, e visto che aveva acceso la luce della stanza poteva; tanto Luffy dormiva sempre e comunque.
-Vuoi dormire con me, giusto?- sorrise divertito, il biondo, porgendogli poi una mano come a invitarlo a seguirlo.
-Sì, ma non voglio che Luffy ci veda dormire insieme... Cioè, lo dirà di sicuro a Nami e poi lei mi darà il tormento.- specificò, non volendo che ci restasse male, senza capire il perché fosse così sincero adesso; e a quella confessione, Marco se la rise, capendo finalmente la situazione e annuendo.
-Quindi?- aspettò il verdetto, ma avrebbe accettato ogni sua decisione in ogni caso.
-D-dormo con te... ?- lo disse come un'affermazione, ma la terminò come una domanda. Si strinse nelle spalle, osservando un attimo il fratello, rincuorato che stesse bene, e poi decise di seguire Marco che gli sorrideva sempre, tenendogli la mano e spegnendo la luce.
Si mise tranquillamente sotto le coperte dopo aver chiuso le tapparelle per bene; sperando che a Marco o al pappagallo non dispiacesse; ma quest'ultimo dormiva quindi... Tremolando con le spalle contento e chiudendo gli occhi, adagiato contro il cuscino mentre poteva udire il silenzio, continuò a sorridere come un ebete. Era così elettrizzato! E sperava che Marco tornasse presto: era sceso, forse a svegliarli per farli andare a dormire, o sistemandoli in modo più decente delle posizioni che avevano preso loro. Restava il fatto che era bello, con quel tessuto a coprirlo fino al naso, prima che qualcuno gli è lo sottraesse ma senza fretta.
-Mhm?- fece sorpreso. In quel buio non poteva vedere ma era certo si trattasse di Marco, e se ne rallegrò ampiamente, mettendosi seduto per farlo passare prima di farsi perplesso nel sentire le sue mani armeggiare a togliergli la maglia e poi le sue fasce sulla spalla e sgranò gli occhi, bloccandosi a bocca aperta. -Che fai?- sussurrò imbarazzato, però almeno l'oscurità lo proteggeva.
-Ti metto un altro po' di gel per le scottature, e lasciamo la spalla libera per tutta la notte e anche domani, così la pelle respira maggiormente. Posso?- disse, accendendo poi una piccola torcia che costrinse Ace a strizzare le palpebre prima che capisse provenisse dal telefono del biondo che gli porse tra le mani, con la luce che portò ad infrangere contro la parte che doveva medicare.
-Non ti sporco il letto, così?- chiese pacato, sorridendo nel sentire e vedere le mani di Marco che gli massaggiavano quel punto con cura e lentezza, facendogli uscire un sospiro estasiato che sembrò un gemito invisibile, e un rossore anomalo sulle gote che si propagò nel capire di averlo emesso davvero. Non capiva se fosse così aperto perché era ancora mezzo certo si trattasse di un sogno e che si sarebbe ridestato nel solito letto, o solo perché era Marco, e che lo accettava, gli è lo aveva detto e allora voleva, forse, mostrarsi per come era, con sincerità. Ma doveva smetterla... Sì?
-Non c'è problema.- annuì lui dopo che ebbe terminato, avvicinandosi per lasciargli un tenero e caloroso bacio sulle labbra, mordicchiandole e assaporandole con i denti per poi staccarsi, divertito dalla reazione dell'altro che sembrava prendere fuoco dall'imbarazzo, e che, subito scattò giù, coprendosi con le coperte, protestando vivamente. -Mi fai spazio?-
Ace annuì, indietreggiando però verso la base mentre gli dava le spalle, e lui, spegnendo il telefono decise di andare prima a sciacquarsi le mani e a posare quella lozione sulla scrivania, per ogni evenienza. Appena tornato si infilò, dopo essersi slacciato con le mani i sandali, scavalcando il ragazzo, nella parte opposta alla sua, tornato sul bordo, avvicinandolo nel vederlo così in bilico, e lui non si rifiutò; ad occhi chiusi si raggomitolò contro il suo petto, e Marco ne approfittò per coprire anche sé stesso, reggendo il più giovane con un braccio prima di respirare piano, spegnendo gli occhi.
-Oh, ma guarda qui come sono teneri.-
-Tu dici?- fece scettico, con forse troppa enfasi nella voce mentre continuò a masticare senza sosta, e a bocca aperta.
-Shh. Non far casino.- ridacchiò, non aspettandosi di trovarsi quella scena così romantica, a suo dire.
Ace strizzò gli occhi, infastidito da quei rumori, e prendendo una grande boccata d'aria dalle narici prima di socchiudere le palpebre analizzò con fare ancora stanco il petto scoperto e muscoloso che ritraeva un tatuaggio blu, e sorrise, strofinandocisi contro pronto a tornare a dormire prima di farsi serio, drizzando le orecchie per le risatine dolci che parve di sentire. Si voltò, mettendosi seduto e sgranò gli occhi all'invero simile, spalancando la bocca e sentendosi più imbarazzato che mai.
-Buongiorno fratellone!- urlò invece, Luffy, alzando le braccia al cielo con felicità, e destando così anche Marco che sbadigliò, un po' innervosito per quel baccano, coprendosi gli occhi con il polso della mano che aveva tenuto a sé Ace fino a quel momento.
-T-Thatch! Che ci fai qui?- sbottò, cercando di tenere gli occhi aperti mentre iniziò a riprendersi e ad abbandonare quel dolce stato di risposo che tanto aveva e continuava a bramare e a esigere, stringendo poi la presa sul tessuto che lo celava prima di guardare il minore che era tornato a mangiare, già vestito e pronto. -Buongiorno, Luffy... Come mai... Mhm... Chi ti ha preparato la colazione?-
-Questo qui.- e indicò il castano che parve offeso, e infatti lo rimproverò esclamando come si chiamasse, e l'altro si limitò ad alzare le spalle, finendo quel cosciotto succoso e sorridendo fiero.
-Tranquillo, Ace. Ha fatto da sveglia a tutta la casa mentre ti cercava, così gli ho preparato da mangiare. Comunque!- decise di tornare serio, e sorrise malizioso: -Ma come eravate carini, eh?-
In risposa, Ace, con una vena trionfante sulla tempia, lo colpì con un ponderoso pugno e con le sopracciglia accigliate mentre aveva le palpebre chiuse nel compiere il gesto; rosso ancora prima di tossicchiare per riprendersi e borbottare, con un inchino anche se era seduto:
-Ehm... Chiedo scusa se mio fratello vi ha dato fastidio, e ti ringrazio per avergli preparato la colazione.-
-Oh, è stato un piacere. E poi, è stato bravo: eravamo così assopiti che avremmo perso gli esami del giorno se non ci fosse stato lui; e il Babbo l'ha presa a ridere. Beh, forse a me non sarebbe dispiaciuto perdere anche questa occasione.-
-Mhm. Okay.- concordò. -Però, che ore sono?-
-L'ora che mi accompagni a scuola e che tu vada a lavoro.- ridacchiò.
-In realtà non so se ci vado, devo vedere... Sono un po' stanco visto che siamo andati a dormire alle quattro del mattino...-
-Uh! E perché?- volle sapere, con fare troppo lussurioso, il cuoco, al contrario di Luffy che non capiva e preferì pulirsi le mani sulla sua camicia.
Ad Ace venne voglia di picchiarlo di nuovo, ma si trattenne per poi sospirare sconsolato: ora Nami lo avrebbe saputo, che aveva dormito con Marco... Non avrebbe più avuto pace, e già c'era Thatch...
-Però, Luffy, prima dobbiamo andare a prendere la macchina. Mi sono proprio dimenticato di portarla.-
-Ma guarda che è proprio qui vicino il liceo, ricordi?- sorrise loquace, il cuoco.
-Ah, è vero... Si torva vicino all'università e noi siamo ai dormitori...- fece mente locale, con Marco che si mise seduto dopo aver ascoltato bene il discorso. -Senti, Luffy. Ti accompagno, però poi avvisa Sabo per favore. Digli che se è ancora intenzionato a venire a trovarci, noi ora siamo qui... Ehm, sempre se non crea disturbo, altrimenti potremo sempre andare...-
-E perché mai, amico? Rilassati: qui c'è spazio per tutti.-
-Grazie.- sorrise, scostando poi le coperte e alzandosi.
-Solo... Mi chiedo che fine abbia fatto la tua camicia, Ace.- ridacchiò, il cuoco, beccandosi questa volta un calcio da parte di Marco che lo guardò torvo.
-Ma perché questo cambio di dimora, Ace?- fece Luffy, avvicinandoglisi curioso e attirando l'attenzione dei due ragazzi più grandi, con il diretto interessato che annuì.
-Diciamo che, per ora, è meglio stare qui. Va bene?-
-Okay. Ma è per il tuo fidanzato?- a tali parole, così innocenti, Thatch scoppiò a ridere, affermando che lo sapeva!, mentre Ace si irrigidì sul posto.
-N-non è il mio fidanzato!-
-Oh, avanti Ace! Ammettilo!- gli impose, il cuoco, venendo però degnato e ignorato al tempo stesso, con un broncio.
-Ascolta, Ace. Metti il gel sulla spalla, okay?- lo informò invece il biondo, con lui che annuì.
-Sì, va bene.- mugugnò, ignorando il "Guarda com'è premuroso il tuo fidanzato!" del cuoco, e prendendolo di malavoglia dal tavolo per poi recarsi verso l'uscita, con il fratello che lo precedette e così si fermò alla domanda che Marco gli fece:
-Posso raccontare a Thatch cosa è accaduto?-
-Mhm... solo a lui, però.-
Chiudendosi la porta dietro di sé scrollò le spalle dopo aver accettato quella richiesta così dura, sentendosi un po' impaurito per la reazione che avrebbe potuto avere il cuoco: aveva pur sempre cercato di uccidere il suo babbo... E poi... Condividere in questo modo una storia, la sua storia... Una parte di sé... Era una sensazione così strana e sbagliata.
-Ohi, Luffy. Ascolta, non dire a Nami che... Ecco, sì... Che ho dormito con Marco, ma sai, mancavano i letti.- mentì, grattandosi una guancia con gli occhi a fissare le scale, ma se ripensava a ciò che era accaduto non poteva fare a meno di arrossire.
-Mhm. Come vuoi. Mi accompagni?- sorrise.
-Okay.- annuì, desiderando solo tornare presto per buttarsi nel letto e dormire fino a domani.
Non si era nemmeno cambiato; solo, si limitò a darsi una rinfrescata con poco entusiasmo e poca gioia. Aveva poi seguito il minore tra mille sbadigli, coperti dalla propria mano, e tono fiacco. Appena arrivato lo aveva salutato con un sorriso, scompigliandogli i capelli e osservandolo trotterellare con lo zaino che saltellava, e poi si era voltato dopo aver alzato una mano e sventolandola verso il gruppo, con Nami che, sentiva, aveva sbuffato e portato le braccia al petto, conserte, risentita che non avessero parlato. Di certo, Luffy avrebbe detto tutto: non c'è l'avrebbe fatta, anche perché Nami, se voleva, poteva essere tremendamente pericolosa e tenace, al punto da manipolare e rigirare... In più, era intelligente: avrebbe chiesto il perché quel cambiamento, perché non fosse venuto in macchina e dalla strada opposta alla solita, e che non portava a casa loro ma, ovviamente, e, sicuramente abbastanza ovvio per lei, da Marco...
Ma non poteva fermarsi, no... No, davvero: non c'è la faceva. Voleva dormire!
Si stropicciò un occhio, davvero grato che la campanella fosse suonata: l'aveva sentita; così nessuno era venuto a discutere per sapere come stava o altro, ma già sapeva che Luffy avrebbe detto tutto, ripeté, sempre con più rammarico e con più delusione. Per sbaglio o nel farsi ingannare, ma sì, sarebbe accaduto. Non gli è ne faceva una colpa.
Ritornò in camera con un sospiro contrariato e una smorfia prima di venire assalito da delle braccia che lo strinsero forte facendogli sgranare gli occhi, con il muso nascosto contro la spalla del ragazzo che sembrava davvero mortificato.
-T... Thatch, che c'è?- mormorò. Per un attimo pensava fosse stato Marco, anche se non ne avrebbe capito il motivo, ma neanche ora.
-Mi dispiace così tanto per quello che ti è successo.- asserì, passandogli una mano sul retro della capigliatura mentre, il moro comprese e si impuntò con lo sguardo, e poté vedere Marco seduto sulla sedia, accanto alla finestra, a guardarli tranquillo, fumandosi una sigaretta. Se ne lamentò interiormente: aveva alzato le tapparelle, ora c'era troppa luce... avrebbe dormito comunque.
-Scusami tu, invece... Ho incasinato le cose, e stavo per mettere in mezzo anche voi, con quella stupida missione di ieri... Ma grazie.- disse, sincero e sentito, ricambiando la stretta a appollaiandosi con il mento sulla sua spalla. -Non c'è l'hai con me per aver quasi cercato di uccidere vostro padre?-
-No, non è colpa tua.- gli sorrise, staccandosi poi dolcemente. -E non lasciarti condizionare dall'idea che ha la massa riguardo a tuo padre. Tu vai bene così, e sei fantastico: non sei come lui, sei migliore.- ridacchiò, parlandogli da amico, come una persona che gli voleva bene e che desiderava consolarlo prima di chiedergli:
-Ti preparo qualcosa da mangiare?-
-In realtà, vorrei dormire un altro po'.- annuì, e anche Marco sembrava dello stesso auspicio visti gli occhi più socchiusi del solito mentre lasciò il resto della sigaretta all'interno del posa cenere in vetro, e allora Ace si ricordò: voleva passare la giornata con lui; e arrossì.
-Perfetto. Divertitevi allora.- riacquistò il suo buon umore, il cuoco, dandogli una pacca sulla schiena e avviandosi fuori. -Dopo ti preparo tutto quello che vuoi.- lo avvisò, chiudendosi la porta alle spalle con allegria.
-Eh...- ridacchiò impacciato, grattandosi la tempia con un dito prima di avviarsi e distendersi di botto di petto, come se stesse lanciando contro quel materasso anche tutti i chili di stanchezza; mugugnando poi per la comodità di esso, e sospirando più tranquillo.
-Ace, tutto bene?-
-Mhm... Mhmhfgnod.- rispose, con la bocca contro il cuscino e scaturendo la sua ilarità mentre gli si avvicinò, distendendosi di schiena per poi voltarsi su un lato per guardarlo.
-Cosa hai detto esattamente?- chiese, guardandolo staccarsi piano, già con occhi chiusi.
-Sono troppo stanco per pensarci.- ripeté, più chiaramente.
-Anch'io sono stanco per riflettere. Però volevo sapere se stavi bene, e se ti trovi bene qui, al sicuro.-
-Oh... Quello sì, tanto...- mentì, non sapendo ancora se sarebbe rimasto, né perché fosse davvero e ancora lì; sbadigliando ancora prima di avvicinarglisi e adagiare le mani contro il suo petto delicatamente, assopendosi un attimo per capire una cosa: -Ci sei tu.- ammise veritiero questa volta, addormentandosi con un ultimo farfuglio: -È questo è bello.-
Si incamminò lentamente verso le cucine, sbadigliando per la seconda volta: aveva dormito tantissimo: erano le una e mezza. Tra poco sarebbe tornato Luffy.
Si era lavato, e aveva appurato contento che la spalla fosse migliorata, ma Marco aveva preferito spalmargli ancora quel gel: era così dolce, pensò arrossendo, varcando poi la soglia nel riprendersi e salutando Thatch che, con altri cuochi, cucinava.
-Ehi, ehi! Dormiglione!- rimproverò severo, andandogli incontro. -Potevi almeno divertiti con Marco, un po'. O lo hai fatto?- sussurrò, cercando di non farsi udire da altri.
-Mhm, dai, Thatch...- brontolò risentito, ancora intontito, altrimenti un pugno non gli è lo avrebbe tolto nessuno; per poi seguirlo mentre lo invitava al tavolo.
-Scusa.- ridacchiò, per poi servigli della prelibata carne: per fortuna Marco era passato qualche minuto prima ad avvisarlo, e così Ace aveva potuto trovare già tutto pronto. Ancora però risentiva del calcio ricevuto, dopo aver commentato verso il biondo che fosse un gesto davvero carino quella preoccupazione per iniziare una relazione, davanti a tutti, compreso il babbo.
-Grazie.- sorrise, Ace, entusiasta per quella visione mentre iniziò a divorarne una per una con gusto, con il cuoco che tornò al suo lavoro allegramente: gli faceva sempre piacere che la sua cucina venisse apprezzata.
Ace continuò a riempirsi la pancia contento e fieramente, troppo felice di poter finalmente servirsi di un piatto decente: il ristorante Baratie era un ricordo così lontano visto quanto era stata l'ultima volta che ci aveva mangiato; forse non tantissimo, però era comunque molto per uno che, quando si cibava, lo faceva come fosse la portata di un gigante.
-Ace!- urlò festoso suo fratello, allungando di molto l'ultima vocale e stordendo i più vicini, giungendo da scuola prima di precipitarsi da lui, lanciando da qualche parte lo zaino con poca cura, forse colpendo qualche o più di un malcapitato; perché aveva sentito qualcosa di più importante: odore di carne!
-Ace!- esclamò contento, per poi sedersi e iniziare a divorare il cibo con lui, sotto lo sguardo stralunato dei ragazzi là dentro, tra cui Thatch.
-Questo ragazzo ha un acuto micidiale...-
-Ohm, mi dispiace.- affermò prontamente, Ace, vedendo come alcuni si tappassero le orecchie con dolore: in effetti sapeva gridare come un dinosauro.
-Ascolta, Ace. Sabo ti vuole parlare: è al telefono.- si ricordò solo in quel momento, il minore, che gli porse l'oggetto in questione, appartenente a Zoro; acceso e con la chiamata ancora in corso, anche se in attesa.
-Grazie.- asserì, tornando serio di colpo, e alzandosi per poi uscire. Si guardò intorno, ma c'era troppa gente, così salì le scale ma nulla: era tutto brulicante di ragazzi che discutevano o studiavano raggruppati nelle stanze apposite che aveva scoperto da poco, essere un luogo perfetto per rifugiarsi se non c'era nessuno, o ad aspettare l'ora di pranzo nella sala principale. In più c'era un via vai di gente che passeggiava tranquillamente, alcuni in compagnia. Così optò per celarsi in bagno dato che non voleva disturbare o farsi sentire da Marco, in una stanza che neanche gli apparteneva.
-Qui non c'è nessuno...- appurò senza fretta ma neanche troppo soddisfatto, senza dare conto al vapore, credendo che fosse solo uscito qualcuno qualche minuto prima dato il silenzio, con l'ansia che protestava e urlava nelle orecchie, chiudendosi poi dentro e sedendosi sul coperchio chiuso del water sbloccò quell'opzione, chino con la schiena da appoggiare un braccio sulla coscia; e ravvivando la chiamata se lo portò all'orecchio, senza riuscire a vedere oltre il suo naso per quanta nebbia ci fosse, era come un manto bianco, quasi, ma non gli interessava perché il cuore gli martellava troppo forte e la testa sembrava ucciderlo nel capire che dovesse parlare proprio con lui... Che Sabo volesse parlargli! Nemmeno fosse un bambino davanti alla mamma che lo rimproverava per la nuova marachella.
-Ciao Sabo.- mormorò, cercando di apparire normale, ma il suo tono divenne in automatico cupo come se parlasse con un nemico e fece una smorfia contrariata a quello.
-Ciao Ace. Ascolta, ho parlato con Luffy... Mi vuoi spiegare cos'è questa storia? Mi ha detto che avete cambiato casa, e che non c'è più Akainu e che quindi siete tranquilli e aspettate il mio arrivo con ansia. È una bugia bella e buona?- scandì subito, arrivando al punto che lo aveva sconvolto mentre la sua voce poté propagarsi bene in quella stanza e in quel silenzio, colpa del volume alto del vivavoce che era solito mettere Luffy per parlare con il fratello come se fosse lì con lui, ma il moro non se ne curò.
-È una lunga storia... Non devi preoccuparti. In pratica, staremo qui con gli studenti dell'università: non hanno nulla in contrario. Ma è solo per poco. E sì, Luffy non vede l'ora di riabbracciarti.- gli sfuggì un "Anche io." ma che si rimangiò l'istante dopo, ingoiandolo in gola senza che il mittente lo scoprisse. -E poi... dobbiamo parlare. Ho bisogno di chiarire una cosa importante.-
-Questa cosa non la voglio, Ace. Senti, lo so cosa vuoi fare. Io sto venendo lì proprio per impedirla. Ma dimmi, è quel tuo fidanzato? C...-
-Marco non è il mio fidanzato.- ribadì subito, interrompendolo bruscamente prima di pentirsene e portarsi il dorso della mano alla bocca, mordicchiandola per aver affermato ancora quella triste verità. -Cioè... Non lo so... Non... Senti, non è importante Marco.- sentì una fitta al cuore ancora peggiore che lo fece trasalire all'istante, e quasi impossibilitarlo di respirare; è già era dura con tutta quell'aria calda che lo invadeva, ma la ragione decise di attutire il colpo, eppure il petto sembrava soffrirne tanto da procurargli una smorfia, come dovuta a un pugnale atroce e che sprofondava.
-Okay, io sarò da voi tra una settimana, sperando di trovarvi tutti in piena salute. Non vedo l'ora di rivedervi.- ammise. Sempre stato meno orgoglioso in questioni di afferro, lui, pensò il maggiore con un sospiro, annuendo a quelle parole nonostante sapesse che non lo vedesse. -Partirò tra qualche giorno perché ho dovuto sistemare dei documenti e...-
-Hai preparato l'affidamento di Luffy?-
-Come?- domandò sorpreso, bloccato ancora e perso nella discussione prima di intercettare quelle parole ed esaminarle nella mente.
-Rispondi.-
-Sì, da molto ormai. Ma non...- farfugliò confuso, prima di grugnire con fare cupo nell'interrompersi da solo, iniziando a capire cosa volesse.
-Bene. Allora portalo.-
-Ace, cavolo! Non è questo il punto: ciò che voglio! Io desidero venire da voi per chiarire, perché vi voglio bene e aiut...-
-Ah! Avete rotto tutti con questo aiutare, aiutare! A me non me ne frega niente!-
-Nami mi ha detto che Marco ti sta aiutando.- ribadì severo.
-Scemo, non è vero niente. Ho accettato solo per una notte, e basta. Ascolta, io ti aspetto. Parleremo e firmerò, così potrai portarti via Luffy, e saremo tutti contenti!-
-E tu? Anche tu, vero?- fece ironico e con beffa.
-Taci, e fai come ti dico.-
-Sì, giusto. Così io e Luffy saremo una famiglia, e tu... Tu la farai finita. O forse mi sbaglio; prima ti farai torturare da Akainu ancora un po' appena si sarà rimesso dall'ospedale, e poi ti ucciderai.- esclamò con ribrezzo, prima di affermare piano, quasi con tatto: -...Perché la farai finita, vero?-
A quel punto Ace si morse un labbro, rimanendo in un cupo silenzio mentre sentì il suono di qualche goccia d'acqua che non seppe identificare, infrangersi al suolo, e forse erano solo le sue orecchie, uccise dall'ansia che si immaginavano tutto, anche un sottofondo musicale, o era la doccia che perdeva un po'... In ogni caso rimase a bocca chiusa, ad esaminare il vapore che non voleva diradarsi come il dolore nel suo animo.
-Come sospettavo...- borbottò.
-Aspetta. Spiegami: cos'è questa storia di Akainu in ospedale? Te la sei inventata, immagino.- mormorò, non capendo come potesse essere informato su tale notizia, di cui lui non ne era, tra l'altro, a conoscenza.
-Me ne ha parlato Luffy. Chopper gli ha parlato di un uomo violento che è giunto in ospedale per overdose e che ama offendere tutti quando è sveglio, insomma: è lui. Anche perché gli ha detto il nome, e lui me lo ha riferito.- esclamò, come se fosse una cosa senza importanza.
-Dannazione.- imprecò a denti stretti, guardando le piastrelle con un grugnito: stava fallendo...
-Okay, tornando a noi; farò come dici. Tanto è inutile cercare di convincerti. Sei solo un'idiota. Appena arrivo ne parliamo: Non morirai. Non te lo permetterò.-
Il moro assottigliò lo sguardo, approvando appieno sulla prima parte, e anche felice di averlo convinto in quello mentre si calmò: non era il momento di dedicarsi ad Akainu, e ai suoi problemi di droga. Ora Sabo aveva la certezza, perché lo aveva sempre sospettato, che volesse smettere di vivere.
-È meglio così, per voi.- asserì piano, chinando il capo, con gli occhi che vennero coperti dalle sue ciocche.
-Hai ragione, Luffy non merita di stare con uno come te.- ringhiò, dettato dalla rabbia e se ne pentì ma ormai era troppo tardi per aggiustare il torto inflitto con quelle parole: aveva riattaccato senza volerlo, Sabo, mentre la sua amica lo richiamava da un'altra stanza con insistenza.
Rimase ancora in silenzio, Ace; elucubrando bene le parole dette dal fratello e, ammettendo, avesse ragione. Già, non meritava di stare con nessuno. Da solo, ecco. Maledizione!, fremette, alzando il braccio pronto a scagliare quell'aggeggio ma poi si fermò, perché non poteva: era di Zoro, no? Come avrebbe potuto ripagarglielo...
-E così... te ne andrai presto, eh?-
Sgranò gli occhi, alzandosi in piedi di scatto e indietreggiando spaventato: c'era qualcuno? E aveva appena sentito tutta la conversazione!, tese le braccia, stringendo il pugno e posando in tasca il telefono mentre sfiorò poi la parete, puntando sulla porta.
-Ace, ma perché?- mormorò, avvicinandosi e mostrandosi, con un asciugamano attorno alla vita, e, per il resto, completamente nudo.
-C-che ci fai qui? E come sei entrato? E-e come ti sei premesso ad ascoltare?-
-Io ero qui prima che arrivassi; il tempo di chiudere l'acqua e sei arrivato. Avevo lasciato la porta aperta per sbaglio, l'avevo completamente dimenticata. Sono rimasto in silenzio perché volevo capire. Ho fatto bene anche se non è giusto nei tuoi confronti.-
-Perdonami ma...- abbassò la testa, distrutto che avesse sentito ogni parola, compreso ciò che aveva detto su di lui, e lasciando ondeggiare le ciocche scure al vento.
-Perché non far decidere Luffy con chi vuole stare?-
-Ah?- alzò lo sguardo, scrutando il biondo e avvicinandoglisi; temeva che gli avesse urlato contro per la storia della morte e invece...
Marco continuò a guardare Ace, serio: sentire quelle parole avevano fatto malissimo, però non poteva fare niente. Si era imposto di aiutarlo e l'avrebbe fatto. E lui che iniziava a pensare andasse tutto bene: illuso. Ma era sicuro che Ace non lo stesse usando; provava le stesse cose, il problema era che, la voglia di morire e la consapevolezza di essere imperfetto lo avevano reso schiavo in un modo orribile e abominevole.
-Sì, hai ragione. Ma il problema è che, se sceglie, non mi abbandonerà mai. E io non voglio.-
-Perché vuoi morire.- annuì, con tono pacato; capendo la situazione come se fosse nella norma. ...Come se non ci teneva più, parve al più giovane, ma in fondo: era un caso perso, ed era quindi normale.
-Non so quanto possa valere un pezzo di carta con la volontà di una persona, ma fate voi.- si espresse ancora, serio come il suo sguardo.
Ace si strinse nelle spalle, avvicinandosi per avvinghiare le braccia al suo petto, mordicchiando le proprie labbra fino a spaccarle, e attendendo che ricambiasse ma non accadde. Questo gli fece male, tanto. Portò gli occhi in basso, osservando le candide piastrelle prima di allontanarsi, a piccoli passi indietro, lentamente, boccheggiando aria con un lieve singhiozzio, voltandosi poi fuori da lì.
Basta così. Aveva già fatto abbastanza, si disse, recandosi nella stanza di Marco e afferrando il suo zaino che era stato spostato lì; con l'intenzione di andare da qualche parte, ovunque fuorché lì.
-Ace, dove vai?-
Si fermò, sospirando e adagiando sul letto il telefono appartenente a Zoro, in modo che Luffy avrebbe potuto riprenderselo, e poi si mise in spalla il suo sacco verde, guardando la gabbietta di Hawk come se fosse l'ultima volta, in contraddizione a ciò che disse, calmo e risoluto:
-A prendere la macchina, ne approfitto per fare un giro.-
-Oh, okay. Io invece vado a darlo a Zoro, senza di questo non lo si può rintracciare, e se si perde addio.- annuì, sempre tranquillo, Luffy, correndo a prendere il cellulare con un sorriso.
-Già.- ridacchiò falsamente. -Conoscendolo, potrebbe tuffarsi e farsi una nuotata in acqua per fare prima, e credendo che sia la strada giusta, si ritrova in Alaska.- commentò, facendo invadere la stanza dell'ilarità del minore che concordò appieno prima di fissarlo contento.
-Ci vediamo dopo.- lo salutò allegro, poi.
-... Sì.- mormorò, uscendo, il più grande; cercando di non farsi vedere da nessuno.
Si fermò, davanti casa sua e osservò come sembrasse distrutta nonostante fosse giorno. Non aveva proprio niente di meglio da fare, eh? Perché? Perché era così? E perché Marco non lo aveva abbracciato? Era stato cattivo..., brontolò nella sua mente. Sì, ovviamente non voleva più stare con lui: avrà capito che era un errore...
-E non lasciarti condizionare dall'idea che ha la massa riguardo a tuo padre. Tu vai bene così, e sei fantastico: non sei come lui, sei migliore.-
-Ace, Ace... Poco conta ciò che pensano gli altri, okay? Ignorali, e rifletti su te stesso, su quello che sei e vorresti essere, e poi vedi se meriti o no, di vivere. Ma non è una colpa vivere, okay?-
Non lo so, non lo so... Non lo so!, si tenne la testa tra le mani con angoscia, desiderando tanto che Marco fosse lì per consolarlo ancora, per dirgli ancora quella frase con la sua voce e non nella sua mente. Desiderava tanto stare con Marco, davvero...
Ma era solo una palla al piede, e lui si sarebbe stancato a stargli dietro... E poi, non voleva questo... Voleva che Marco fosse felice nel stargli accanto, ma così, come lo guardava serio nel bagno, e come non aveva ricambiato l'abbraccio che tanto desiderava... Così no...
Si sedette, adagiandosi contro la staccionata con la schiena e sospirando, con le gambe portate al petto su quel marciapiede freddo e duro, nascondendo il muso con le braccia e mugugnando. Aveva rovinato ancora le cose?, si chiese alla ricerca di una risposta che non si seppe dare con certezza, o forse non voleva darsi.
Il ponte. Desiderava raggiungerlo per il suo lato di solitudine, però non se la sentiva di muoversi, e poi... doveva andare da Akainu..., rifletté con rammarico, mettendosi in piedi per recarsi in quel luogo così orribile e che tanto detestava, di nuovo.
Vagando tra i corridoi l'aveva trovato; c'era scritto che aveva avuto un overdose da eroina, come gli era stato detto dal fratello, poco contava. Peccato fosse ancora vivo, si disse con un sospiro, restando sulla soglia ma senza varcarla, restando a fissare il mostro da lontano. Come avrebbe voluto qualcosa... Cosa? Sempre Marco. Non faceva che pensare a lui! Il fatto che non lo avesse seguito o fermato come al solito, ma che lo avesse solamente lasciato andare via dal bagno... Perché? E perché ci stava così male?, adagiò la fronte contro il muro, mugugnando stanco e triste: voleva Marco, voleva Marco, voleva Marco...
E allora perché era lì? A controllare che quell'idiota fosse vivo? Dannazione! Perché!
-Idiota. Sono un'idiota.- farfugliò, staccandosi e guardando come fosse steso nel letto pieno di tubi che gli trasmettevano nelle vene sangue pulito: era l'occasione perfetta per farlo fuori... Ma lui non era un assassino.
Scuoté forte il capo, dando le spalle a quella stanza e salendo le scale per arrivare alla sua terrazza, trovandola vuota come al solito, e così, lasciando al suo fianco il proprio zaino, si distese a guardare il cielo, con le mani sotto il capo; sperando di ricavarne qualcosa, come un'idea o una rivelazione; e invece la narcolessia lo colpì, facendolo crollare in un nuovo sogno.
Che tristezza... Svegliarsi e ritrovarsi davanti il cielo di un azzurro già più scuro non gli dispiaceva, anzi, però... In quel luogo... Beh, in realtà era triste e basta, anche se non ne capiva il motivo principale tra le tante che lo tormentavano.
Basta; si mise seduto, sbadigliando. Tanto valeva piangersi addosso in un posto dove non avrebbe avuto il timore di essere trovato da Akainu. Sì, era stupido: era praticamente nel letto, attaccato a mille flebo; però, se lo avesse trovato... Continuava a temere un suo attacco anche in quel modo, ma allora era davvero scemo.
E non era lui che desiderava tornare a casa con quell'essere deficiente? Bah. L'unica soluzione che gli venne a guardare l'orizzonte: buttarsi. Tanto era alto, e almeno tutti questi problemi avrebbero smesso di assillarlo. Però, a pensarci, non poteva farlo: morire nel luogo speciale che condivideva con sua madre Rouge, sarebbe stato un crimine che non si sarebbe mai perdonato. Mai. E non doveva dimenticarsi di Luffy... Di recente lo aveva tralasciato, anche quando si era portato la canna alla tempia non ci aveva pensato, ed era per quello che lo stava per fare... Non doveva. Non voleva far soffrire Ace, e, per quanto gli importasse, nemmeno Sabo.
Tornò indietro, con il suo sacco prezioso, chiudendosi la porta alle spalle del terrazzo e osservando quello scivolo di scale con gli occhi che lampeggiarono tenebrosi, con agonia mentre iniziò a scenderle lentamente, per poi correre appena arrivò alla fine, per impedire di vedere Akainu in quella stanza, o che lui lo vedesse. Si ritrovò fuori, ma non smise di correre, continuò, continuò, contro un punto cieco e scansando bruscamente quelle inutili e insopportabili persone che, cadendo, si lamentarono urlandogli contro.
Non sapeva la sua meta, e si limitò a chiudere gli occhi, con le gambe che sentiva procedere senza sosta e pizzicare, andando una avanti, e l'altra ferma per ritornare poi a ripetersi con intermittenza. Sospirò, continuando a strizzare le palpebre e a far cadere le persone, per poi svoltare e fermarsi, sbattendo contro il petto di qualcuno impuntato, deciso e fermo con i suoi arti posteriori a terra e che lo fece finire sul cemento duro e freddo di sedere, sbattendo duramente i denti.
-Dannazione. Che cavolo!- imprecò, con la mano bendata che fremette, risentendo di quel brusco impatto con il terreno e che subito si portò davanti al petto; ed Ace era già troppo nervoso di suo. Nervoso e adirato per tutto. Tutto! Tutto!, urlò nella testa, stremato, seduto sul marciapiede, domandandosi anche quant'è che fosse uscito dall'ospedale; prima di guardare quel ragazzo con disprezzo; non perché volesse, ma perché era davvero irascibile e voleva solo sbattere la fronte contro un muro fino a spaccarla. Però!, si ricredette. Non era una cattiva idea; si disse poi: almeno il dolore che sentiva dentro, e lo schifo che gli ricopriva il cuore, impedendogli di battere e di percepire il mondo come sempre, sarebbe svanito. Forse per sempre, forse no.
-Sei tu che dovresti stare attento. Idiota.- imprecò quello che, offeso, si voltò per continuare la sua strada.
-Marco...- gli scappò invece, al moro senza un motivo logico mentre si tirò in piedi, stringendosi nelle spalle e tirando il fiato in gola con un tono spezzato prima di tornare a correre, stringendo la spallina del suo zaino con forza, intanto che il sole, lo sentiva; veniva meno, costringendo alle lanterne per i marciapiedi ad accendersi, nonostante fosse ancora presto, forse; non lo sapeva e non gli importava. Lui ci aveva sperato che fosse venuto a cercarlo! Che idiota! Marco, ormai, non lo voleva... Ma sarebbe stato così bello se ora sarebbe spuntato fuori, quasi per magia. Perché lui non sarebbe tornato ai dormitori. Mai più.
Lo decretò, dimenticandosi ancora di tutto il resto, perché era bello e liberatorio farlo; e infatti si diresse, alla fine, verso la strada che lo conduceva al suo ponte, fermandosi davanti a qualche casa solo per riprendere fiato visto come il suo petto corresse senza tregua, e poi, guardando il retto e chiaro muro accanto, così invitante e bianco, attuò il suo piano. Deciso a non fermarsi iniziò con amarezza, adagiando semplicemente il capo frontale contro la parete gelida che sembrò intorpidirgli la pelle; lasciando anche alla mano il privilegio di percorrere quello strato di cemento; indietreggiò con il solo pensiero di aver rovinato tutto ancora una volta e di meritarlo, di doverlo fare, così scattò con forza, sentendo il macabro suono delle ossa cercare di resistere, attutendo bene il colpo, al contrario della pelle che, spezzandosi contro quella parete ruvida si tagliò, lasciando che socchiudesse gli occhi a scatti prima di mugugnare.
-Che stai facendo?- sentì dire, da una voce spaventata che gli si avvicinò in fretta. -...Ace.- disse con tono quasi deluso, accarezzandogli la schiena dolcemente, con le dita e costringendo il moro a voltarsi piano, più perché confuso e sconnesso da non capire nemmeno dove fosse, come confermarono gli occhi, lucidi e persi; scombussolato e rammaricato.
-Marco... Oh...- sussurrò sorpreso, con il sangue che cercò di imprigionare le sue palpebre, ma invano visto che si passò una mano su di esse, anche se ancora la ferita era aperta e continuava a lasciar scorrere quel liquido scuro. Ace però non capì; come poteva conoscere quel luogo...? Era confuso. Non c'era già stato con Marco in quel posto segreto, vero? Solo sulla terrazza dell'ospedale... O... forse...
-Sei un allucinazione, eh.- mugugnò triste, chinando il capo e comprendendo finalmente; anche perché quella sagoma non ribatté, né rimase stranita da quella affermazione, anzi, ne restò consapevole.
La botta alla testa forse era stata troppo forte, si disse a stento, cercando di mettere a fuoco la vista e di tenere le palpebre aperte; e, ancora perplesso si avviò verso il suo personale ponte, sperando che fosse questa la meta che stava cercando prima di quella botta voluta, e desiderando tanto sedersi su uno di quei bei muretti, volendo riposarsi un po'. Camminò lentamente, con i polmoni ancora un po' provati mentre, a capo chino, guardava i suoi piedi andare desincronizzati, e moltiplicandosi per brevi istanti prima che tornassero come prima e poi tornare a separarsi dalla sagoma vera, ancora e ancora, in un ciclo continuo. Riuscì comunque a identificare la strada asfaltata terminare e farsi di terra, e con attorno dell'erbetta che si propagò sempre di più, insieme agli alberi mentre il buio iniziò a farsi più fitto nei suoi occhi, colpa dell'aver abbandonato la parte urbana della città, insieme ai lampioni. Forse stava sbagliando strada? No, impossibile, la conosceva da sempre, quasi.
-Sono quasi arrivato... Sì, ne sono certo. Sono quasi...-
In un attimo, in quella confusione in cui gli occhi non riuscivano più a stare aperti, il vuoto lo inghiottì: sotto di sé i suoi piedi percepirono solo il nulla da far fermare il cuore per il tempo necessario di un secondo che parve un minuto infinito, e poi fu buio per davvero.
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