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Sciopero di fortuna.

Protestare tra i mugugni non era servito a nulla, portarsi le lenzuola fino a sopra al capo nemmeno, cercare di protestare in tutte le lingue che conosceva, che poi era solo una: la propria, neanche; il suo caro fratellino era così testardo che se andava a sbattere contro un pilatro, cadeva il pilatro; e poi, non lo ascoltava mai. Di conseguenza si era ritrovato lì, al Baratie, con tutta la combriccola di Luffy; simpaticissimi, ma lui era stanco, ed infatti era crollato sul tavolo di faccia; e mai come in quel momento aveva ringraziato la narcolessia di esistere. Per fortuna, prima di uscire si era cambiato mettendosi qualcosa di più comodo rispetto alla divisa di lavoro, anche se di poca voglia perché stanco; cioè aveva indossato i suoi soliti vestiti: pantaloncini fino a sopra il ginocchio, gli scarponi neri, e la camicia lasciata appositamente aperta, da cui si intravedevano alcuni lividi violacei su molti punti della sua pelle, però lui stava comodo così, con la camicia aperta, e gli amici di suo fratello pensavano che fossero meriti di litigi nei bassi fondi, sapevano che per lui era facile adirarsi quando ci andava e non la vera motivazione; in più, si mise addosso i suoi oggetti più preziosi che lo caratterizzavano: il suo immancabile scaldamuscoli arancione sul gomito sinistro, la collana di perle rosse attorno al suo forte e tenue collo, un bracciale a strisce bianche e rosse sul polso sinistro, la cinta lunga legata completamente attorno alla sua vita, arancione, e con la fibbia dove sopra vi era la sua iniziale in rosso; ma che facendo due semi-giri, agendo in modo da farlo scorrere tra i passanti del pantalone, saltandone uno e due no, si infilasse in quello finale, avendo come risultato che la punta penzolasse un po' fuori, ma da un solo lato. In testa, poi il suo fidato cappello da cowboy arancione e dove, sulla base, attorniava una piccola collanina di perle, simile a quella sul collo anche per il medesimo colore, e dove vi erano, fissate sul davanti, due faccine rotonde e azzurre: una felice ed una disperata, vagamente ricordanti le maschere delle opere teatrali; al momento teneva il cappello riverso sulla schiena, legato a lui grazie alla cordicella che pendeva ai lati delle ali del copricapo, e dove vi era inciso, sulla base delle cordicelle, un ciondolo con un simbolo di un teschio di un animale con le corna che si curvavano verso il basso e attorniato da un pezzo di stoffa a forma di cerchio, e sotto c'era una specie di tubo che si collegava ad un batuffolo di ciocche di fili arancioni. Insomma, così si sentiva di più se stesso, più a suo agio in quegli indumenti.

Ogni tanto si era risvegliato, aveva ricominciato a mangiare i piatti prelibati di Sanji, che gli aveva chiesto com'era andata la giornata di lavoro insieme a Nami, curiosi di sapere; e poi aveva scrutato da lontano il suo fratellino, meno muscoloso di lui ma sempre forte, meno alto ma non per questo meno all'altezza di saper vivere il mondo, forse anche meglio di Ace; lo guardò che si divertiva a ballare con il nasone bugiardo e il tenero, neo-dottore, Chopper. Tutti loro erano degni di piena fiducia, aiutavano molto Luffy, per questo Ace gli è ne era grato. E dopo che finì di raccontare solo i fattori positivi, sempre se ce ne erano stati, rispondendo ai due, tornò a dormire, colpito dall'ennesimo colpo di narcolessia di cui, tutti in quella stanza, erano abituati ad assistere.

Per una volta aveva avuto un po' di tempo, o meglio, aveva più che altro dormito che festeggiato con loro, però era felice di aver partecipato quel poco che era riuscito a rimanere sveglio. Ma forse un giorno avrebbe avuto più tempo. Era a questo che pensava Ace mentre si incamminava, passeggiando per le strade con l'intento di sistemare i soliti e perenni debiti che suo 'padre' accumulava senza ritegno ogni giorno; recandosi in quel maledetto magazzino nei quartieri bassi e angusti, ricolmi di banditi. Lo aveva costretto lui alla fine, a pagare questi affari che 'scottavano' al posto suo, e tutto perché amava la droga, suo 'padre'. Era gente crudele quella lì; suo 'padre' lo sapeva ma aveva deciso comunque di dare ad Ace ogni responsabilità per non avere rogne, e lui non aveva potuto dire di 'no', non se l'era sentita, ma solo per un motivo in particolare. Quindi, liquidando Luffy e gli altri con una scusa qualsiasi, si stava dirigendo ora in una di quelle fabbriche abbandonate e logore per pagare, ma anche vendere un po' di droga che aveva preso di nascosto a suo 'padre', così, giusto per racimolare qualcosa in più, e anche perché suo 'padre' qualcosa gli è la doveva, dopotutto.

-Ehi, Ace.- disse nel rivederlo, uno con il berretto, e la visiera che gli nascondeva completamente il volto assieme ad una mascherina e dei guanti, tutto colorato di nero; seduto ad un tavolo in mezzo alla sala tra i vari pilastri; giocando a carte con gli altri del gruppetto, gli unici componenti che aveva avuto 'l'onore' di incontrare, di quella setta. -Cosa ci hai portato di bello?- rise.

-I vostri soldi, più un paio di roba.- brontolò lui, gettando tutto il malloppo sul tavolo con fare scocciato e stanco; si conoscevano da parecchio, sapeva fino a dove poteva spingersi con loro; ma se esagerava, allora quella finta e cordiale amicizia svaniva nel nulla in un lampo.

-Grande!- esclamò un altro, dalla barba folta e vispa, gli occhi grandi, rossi e provati per via di essersi goduto troppe volte quella roba mentre prese la droga con quelle mani rozze, grandi e rovinate; osservando famelico quella polvere bianca, magica e oscura che Ace aveva lasciato dentro la bustina di plastica con davvero molta cura.

-Bene, questa è la tua parte.- affermò quello con la bocca coperta da una sciarpa nera, sganciando il malloppo da dentro la giacca, messo all'interno di una busta e portandola in mezzo al tavolo come aveva fatto Ace poco prima.

-Grazie.- decise di non rimanere a lungo, afferrando la busta bianca e infilandosela nella tasca del pantalone. Controllare se era giusto sarebbe stato inutile, gli bastava sentire a tatto se dentro c'era qualcosa, perché ribattere che non fosse la giusta somma, come aveva osato fare le prime volte, testardo com'era; gli avrebbe causato una lotta che non aveva proprio voglia di combattere, ed era ancora leggermente risentito dalla sbornia e dal mal di testa: non volevano lasciarlo andare, e forse era perché non era abituato a quelle sensazioni, a bere.

-Te ne vai di già?- rise quello con gli occhi iniettati di sangue, sembrava folle per come teneva le palpebre spalancate, ma nello stesso istante gli sembrava grato per avergli portato quel tesoro.

-Sì.- sussurrò Ace, dandogli le spalle e incamminandosi, ma si fermò alle parole di quello che, tra i tre, era il capo, con la sciarpa sulla bocca e degli occhiali rotondi e grandi, arancioni, sugli occhi. Riprese a camminare e, contemporaneamente, anche a respirare, riascoltando come un nastro nella testa quelle parole mentre uscì:

"-Sarai contento di sapere che tra poco il debito con tuo padre sarà saldato del tutto.-" aveva detto, ed Ace non sapeva come interpretare la frase: se in modo positivo o negativo; poteva anche voler dire che lo avrebbero costretto a fare qualcosa di grosso per terminare la 'collaborazione'. Aveva imparato a conoscerli, sapeva che erano capaci di sfruttarlo in ogni modo.



Si sedette all'interno di un bar interamente ricoperto di legno in ogni dove, comprese le pareti; stanco e con poca voglia di tornare a casa aveva deciso di fermarsi lì, tanto Luffy era con i suoi amici. Si scrutò un po' in giro, osservando le persone che cantavano sul palco, o quelle che ballavano in pista; sembravano persone simpatiche e cordiali, di tutto rispetto insomma. Lui frequentava i bar, ma a volte sentiva la voglia di cambiare aria, infatti lì non c'era mai stato.

Ordinò una pizza, voglioso più che mai di approfittare di quella giornata, più tranquilla del solito; tanto, i soldi li aveva, e avrebbe portato una pizza anche a Luffy per cena, sempre se non si fermava dai suoi amici; il suo fratellino invitava spesso anche lui, anzi, lo pregava, ma Ace aveva sempre risposto di no, preferendo casa e loro 'padre' alla compagnia loquace e festosa di quei ragazzi. Sembrava quasi che se le andasse a cercare quelle botte da quell'essere o da chiunque; pareva amasse soffrire, e forse non era del tutto errato. Iniziò a mangiare, appisolandosi e poi svegliandosi per finire il piatto, ignorando le facce incredule dei clienti che erano accorse per vedere se stesse male, a cui Ace aveva, però chiesto se fossero coristi per come parlassero all'unisono, con loro che rispondevano insieme che erano solo preoccupati per lui; era un po' di consuetudine tutta quella scena. Si pulì e mugugnò piano, adagiandosi contro lo schienale e appoggiando contro di essa il capo, guardando il soffitto prima di chiudere gli occhi, riposando ancora.

-Ehi, ma quello non è il tipo imbucato alla festa?-

Non era passato un giorno che già lo sapeva il mondo intero?, pensò Ace. Fece una smorfia nel sentirsi interpellato, anche perché si sentiva osservato, così aprì un occhio, lasciandolo andare in giro, per quanto gli fosse limitato; alla ricerca di chi avesse parlato, riscoprendo che fosse quello ciccione, dalla pelle scura, che aveva travolto e che poi era fuggito via; insieme a quella sottospecie di statua enorme e seria, che era con lui anche in quel momento; mancava solo il biondo di cui, ormai era ovvio, aveva una cotta; altro che colpo di fulmine, ironizzò nella mente, aprendo anche l'altro occhio e mettendosi seduto più composto per osservarli da lontano, seduti su degli sgabelli vicino al bancone, con quell'altro che sembrava un soldato in attesa di ordini; e sembrava incutere timore ai clienti con quella corporatura possente, in piedi accanto all'amico. E, a notare meglio, aveva, oltre ai muscoli possenti, la faccia ovale e la pelle scura, con uno strano taglio di barba: con tre strisce verticali, nere.

Gli osservò con fare curioso e puro, cercando di capire cosa volesse quello ciccione da lui, che, come se gli avesse letto nel pensiero si alzò per venirgli incontro, lasciando al bancone l'altro che non sembrava né risentito né niente; Ace si chiese se fosse vivo. Quello più basso invece, ridendo gaio e mostrando i denti, tra cui quattro assenti sul davanti; con i capelli ricci, neri e lunghi, gli occhi rotondi e grandi, e vestito senza troppa cura, con dei pantaloni scuri, la camicia bianca aperta e la giacca nera sulle spalle che gli faceva da mantello, era giunto con la sua andatura grossolana, da lui.

-L'altra volta me ne sono andato in modo davvero scostumato, ti chiedo di perdonarmi. Non era mia intenzione, ma avevo bevuto un po' troppo.- affermò prima di ridere sguaiato con quella strana risata, faceva: "Zehahahaha!"

-Non fa niente.- brontolò Ace, infastidito da quella vicinanza improvvisa, ma senza darlo a vedere. -Posso fare qualcosa per te?- domandò poi, gentile come gli aveva insegnato Makino con tanta pazienza; una vecchia amica.

-Oh, pensavo solo di fare la tua conoscenza. Tra l'altro, oggi ti ho visto picchiare uno dei 'nostri'.- disse calmo, come se non fosse una cosa sconvolgente; visto come si proteggevano e come erano 'temuti' i 'figli' di Barbabianca si aspettava una reazione più forte e accigliata.

-Sì, mi dava fastidio.- nel dirlo con tanta sincerità scaturì l'ilarità più viva dell'altro, così Ace volle chiedere: -Ho detto qualcosa di divertente?-

-Sei un tipo coraggioso o stupido nel dirlo? Non dovresti metterti contro Barbabianca.- spiegò, e nel dirlo Ace cadde a riflettere che il biondo dei suoi pensieri potesse non essere d'accordo con il suo atteggiamento avuto con uno di quei 'fratelli' di quella fantomatica 'famiglia'. Che stanchezza, pensò, ora ci si metteva anche quel Barbabianca; e se non ricordava male, era temuto e rispettato in quella città.

-Non mi interessa, se mi vogliono odiare lo facciano pure, ma non ho rimorsi per quello che ho fatto.- borbottò, afferrando il bicchiere e iniziando sorseggiare la bevanda, controllando nel mentre anche l'orologio a cucù sulla parete.

-Capisco.- rise forte, ancora; e ormai si era anche seduto davanti a lui.

-Sì, bene.- esclamò Ace, adagiando le mani sul tavolo per darsi la spinta sulle gambe, e alzandosi si mise diritto, pronto per pagare e andarsene, non avendo più motivo per rimanere.

-Ehi, aspetta un po'.- ghignò quello, raggiungendolo abbastanza svelto.

-Sentiamo, cosa vuoi?- brontolò guardandolo di sottecchi, voglioso di allontanarsi da lui; gli dava una cattiva sensazione addosso averlo vicino.

-Tu vendi roba, no? Te lo chiedo perché mi servirebbe.- continuava a sorridere come se nulla fosse, con i suoi centimetri in più che costringevano Ace ad alzare lo sguardo per inquadrare meglio il suo volto; e il suo sorriso aumentò nel vedere la faccia sorpresa del più giovane che boccheggiò sconvolto.

-T-tu... Che ne sai?- sussurrò piano, assottigliando gli occhi, serio.

-Ho le mie fonti.- si limitò a rispondere. -Posso pagarti bene, e so che è questo che vuoi: soldi. Allora?-

Ace scrutò attentamente la situazione a quel punto, calmandosi e osservando la mano tesa di quell'essere che aspettava la conferma. Il fatto che sapeva era un guaio, poteva sfruttarlo e ricattarlo di dirlo alle guardie o alle forze dell'ordine, o peggio, poteva dirlo a tutti e si sarebbe ritrovato con gente che lo fissava male, più di quanto non facessero già per via di suo 'padre'; per non parlare che avrebbe deluso Luffy, e magari anche il tipo che gli piaceva lo avrebbe odiato; diceva 'anche' perché nel suo sguardo e nei suoi modi di fare non aveva visto nessun barlume di disprezzo o antipatia fino a quel momento, solo, lo scrutava attentamente, quasi lo studiava con quegli occhi perennemente socchiusi. Si guardò intorno con cautela mettendosi di spalle alle persone, e quando si fu assicurato di non essere visto infilò una mano all'interno della piccola borsa blu legata alla base della gamba sinistra delle bermuda grazie ad una piccola cinta del medesimo colore, per poi cacciare fuori un sacchetto trasparente, con all'interno la dose per la prossima volta che avrebbe incontrato quei tipi; ma era certo di poterne prenderne altra da suo 'padre' in piena tranquillità. Sinceramente, lui non sapeva come trattare quella roba, se andava bene metterla dentro una busta oppure no; gli interessava solo concludere gli affari, e aveva deciso di aprirne un altro, purtroppo, con quell'essere; a cui, il suo istinto gli urlasse di stare alla larga senza una ragione precisa.

-Ti basta?-

-Uh, vedo che tu vai subito al sodo. Sì, ti ringrazio.- ridacchiò contento, sganciando poi il portafoglio, e guardando Ace come per voler sapere la tariffa, quello che gli doveva.

Il moro, nel sentirsi osservato in quel modo percepì un senso di inadeguatezza in tutto ciò, con il cuore che fermò il suo battito, come a voler dire che stava sbagliando, però si sentì anche forte in quell'attimo, perché aveva il potere di decidere, così buttò giù una cifra, azzardando a mettere insieme un cinque con due zeri, con un ghigno sulle labbra per vedere quale sarebbe stata la mossa del compratore. Quel tipo non sembrò lamentarsi, in fondo gli aveva detto stesso lui di avere tanti soldi; e nell'avere tanti soldi nel portafoglio doveva di sicuro fare affari con altra gente, oppure altro che non voleva sapere.

-E' stato un piacere fare affari con te, alla prossima.- continuò a ridersela, tornando da quell'altro che nel mentre aveva deciso di bere qualcosa, senza averli guardati per tutto il tempo. Li osservò parlare tra di loro senza capire davvero di che cosa, e poi si avvicinò al bancone, ma non troppo vicino a quei due, ordinando la pizza e poi, dopo aver pagato, si allontanò, uscendo via da lì.

A capo chino se ne andò, con la compagnia dell'aria fresca della sera che si andava ad infittirsi sempre di più. Camminare, camminare, e si sentiva ancora stanco, e non capiva: aveva fatto qualche pisolino, ma proprio che il sonno non voleva lasciarlo stare. Sbadigliò, deciso più che mai a non bere più alle feste se doveva lavorare il giorno dopo visto gli effetti che gli dava, si sentiva anche tutto indolenzito. Sospirando si chiese quale fosse il suo nome, il nome di quel ragazzo che tanto si era appassionato ai suoi pensieri, troppo da non riuscire a dimenticarselo più. Ripensò a quegli occhi, e d'istinto provò a chiedersi a come lo avesse giudicato quando aveva picchiato un membro della sua 'famiglia'; forse aveva rovinato tutto prima di iniziare. Ringhiò e serrò i pugni al suo ultimo pensiero, non potendo credere a quello che aveva fantasticato: non c'era proprio niente! Era stato solo un bacio da ubriachi, almeno per il biondo visto che non era andato a chiarire quando lo aveva visto, o forse aveva lezione, o forse si sentiva anche lui imbarazzato dall'accaduto. No, era impossibile, la faccia che aveva era troppo indifferente per essere paragonata ad una che si vergognava; si vedeva che non gli interessava di lui, anche perché non lo conosceva, e lo stesso valeva per Ace; anche se il moro continuava a sperare in qualcos'altro senza nemmeno saperlo lui stesso, e negandolo ogni volta che se ne rendeva conto. 

Mormorando qualcosa su quanto fosse lunga la strada verso casa, con il capo riverso sulla strada del marciapiede, Ace arrivò a destinazione, più in fretta del previsto, o forse perché, nel pensare aveva perso la cognizione del tempo. Ed era arrivato proprio nel momento esatto in cui era giunto Luffy, che era corso a salutarlo entusiasta nel vedere la pizza che aveva in mano, e che si era completamente scordato di avere. Non riuscì nemmeno ad aprire bocca che la cena era stata già inghiottita dal suo fratellino. Sorrise, addolcendo il volto e scompigliandogli i capelli, ringraziandolo mentalmente di quei momenti di pace che gli regalava senza chiedere nulla in cambio, e poi, buttando il cartone nel primo cassonetto sul marciapiede, entrarono in casa, procedendo con lo stesso piano di sempre: mentre Ace si lasciava picchiare da loro 'padre', provando anche a difendersi, riuscendo, anche se di poco, a ferire quel colosso sempre ubriaco e drogato, ma la verità era che neanche ci provava sul serio; Luffy si rintanava in camera, aspettando che tutto il suono si trasformasse in silenzio prima di correre a soccorrere e trasportare il fratello svenuto sul proprio letto nella stanza che condividevano.





Nello svegliarsi si trattenne dall'urlare, perché sentì tutti i muscoli pulsare, stirarsi, gemere e chiedere pietà, non volendo muoversi per tutta la giornata che li aspettava. Non sarebbero stati accontentati, purtroppo per loro, e purtroppo per Ace, che si morse il labbro, nascosto e con la faccia impressa sul cuscino, spaccandosi il labbro fino a far uscire il sangue per non far trapelare gli urli atroci che si tenne dentro, in gola, insieme ad un groppo di singhiozzi e lacrime. Doveva essere forte, si ripeteva; alzando poi lievemente gli occhi verso la finestra accanto a lui che il suo fratellino si era premurato a spalancare le tapparelle, per fargli capire che era riuscito a resistere alla morte anche quella notte, e che un giorno magnifico lo attendeva. Almeno, così speravano entrambi.

Un altro giorno, ancora; un altro su cui aveva posato gli occhi, con la voce allegra ed euforica del fratellino che gli tempestava le orecchie, impedendo così ad Ace di chiedersi: "Perché? Perché non era morto sotto i colpi di quelle botte? Se lo merita, no?". Ma in fondo, aveva promesso al suo fratellino di non morire, non poteva arrendersi così, soprattutto gli era impossibile pensare alla morte se vedeva la felicità del minore.

Ma nonostante la felicità di Luffy, si sentiva peggio di ieri, più stanco, e più depresso che mai. Gli attendeva un'altra giornata di lavoro in quel postaccio! E questa spossatezza era dovuta dal fatto che, di solito, la mattina riposava dopo le serate passate ad incassare, ora invece si svegliava alle sette e mezza per recarsi a lavoro; e se riusciva a svegliarsi era perché aveva davvero molta resistenza fisica. Ma non mentale, quindi Luffy doveva capire che, anche se la testa era affondata nel cuscino, ed il corpo nascosto dal lenzuolo, lui era sveglio, e quindi doveva smetterla di parlare, tanto non capiva nessuna sua sillaba comunque.

Si issò sulle braccia, dando l'ordine a Luffy di recarsi in bagno mentre vedeva i suoi arti tremolare senza sosta sotto il suo peso, come mai era accaduto prima. Si mise in ginocchio sopra il materasso, con il silenzio che aleggiava nella stanza grazie alla mancanza del più piccolo e sospirò, portandosi una mano sulla fronte, angosciato da quel mondo che gli si parava davanti, prima di scendere dal letto, rischiando anche di cadere visto che suo padre non aveva risparmiato nemmeno la sua gamba sinistra, ormai del tutto violacea e pizzicante di bruciore, le sentiva andare a fuoco ad ogni respiro, come tutto il suo corpo, che tremava. Mugugnò e, zoppicando, raggiunse il bagno, guardandosi allo specchio quando Luffy gli cedette il posto appena finito.

Sicuro di essere solo si lasciò sfuggire un singhiozzo a cui la sera prima non aveva saputo dare voce, e che non era riuscito ad emettere prima di svenire, e si tenne le ciocche sul capo, facendole ricadere sulla fronte l'attimo dopo che lasciò ricadere la mano lungo il fianco. Non pianse, se lo impose, sia per Luffy, che non doveva vederlo debole, e anche perché non sapeva se sarebbe riuscito a smettere, poi. Cominciò a lavarsi, in fretta perché in ritardo come al solito, aveva passato troppi minuti nel letto a cercare di svegliarsi e di far annegare il dolore nelle viscere del suo corpo, deciso a non farlo trapelare, anche se se ne era uscito zoppicante, in tutti i sensi.

Tornò in camera, dando un'occhiata malinconica ai suoi oggetti più preziosi che purtroppo non poteva indossare per il lavoro, e si infilò così la sua, ormai solita, divisa. Raggiunto Luffy in soggiorno, che terminò la colazione, facendogli ricordare così di dover andare a fare la spesa, salirono in macchina e lo accompagnò a scuola, lasciandolo con i suoi amici dopo che ebbe chiesto a Nami di sistemargli meglio la cravatta, e nel mentre giunse anche Zoro, un po' come ieri, con la differenza che con lo spadaccino ci fosse anche Robin, che ignorava le lamentele del ragazzo sul fatto che non si perdesse affatto. Sorrise, salutandoli e raggiunse il suo luogo di lavoro, riuscendo ad arrivare senza essere visto, perché in quel caso avrebbero notato il fatto che zoppicasse. Cercò di sistemare e pulire il locale il più in fretta possibile, usando la scopa come bastone su cui reggersi, stringendolo forte con ambedue le mani, e con una smorfia sul volto per quanto gli fosse complicato muoversi quel giorno. E alla fine, riuscì a crollare sopra lo sgabello, adagiandosi contro gli armadietti dietro e chiudendo gli occhi per un attimo dopo aver sistemato e posato tutto, anche i tavoli fuori.

-Ehi, Ace!-

Trasalì, sobbalzando ma senza scattare in piedi; e temette che fosse sbucato Lucci visto che non lo aveva ancora visto, né si era fatto vivo quella mattina. Chissà quanti minuti aveva dormito, pensò, guardandosi attorno confuso e con la lucidità che veniva meno come la vista, ma constatò poco più di venti minuti nell'intravedere le lancette sfocate dell'orologio, così iniziò a respirare piano, cercando di far tornare normale il suo battito e guardando la figura che lo aveva spaventato in quel modo, che si rivelò essere Thatch appena la vista di Ace tornò a mettere a fuoco ogni ogni cosa.

-Posso fare qualcosa per te?- cercò di dare l'impressione di essere sveglio, ma forse sembrava più uno zombie fuso ad una tartaruga; in pratica: era di una lentezza infinita.

-Oh, beh... Forse è meglio se prima fai qualcosa tu per te.- disse lui, riferendosi a quella stanchezza, ma lasciando Ace confuso perché non aveva assimilato il significato della frase appena udita mentre lui decise di sedersi su uno sgabello, davanti a lui, oltre quella barriera che era il bancone, e guardandolo sorridente mentre il locale iniziò a riempirsi di gente che nemmeno un formicaio, e purtroppo lui non assimilava, né capiva nulla di quello che voleva quella gente, ammucchiata sul bancone; si limitava a fissarli perplesso, con il volto sorridente di Thatch che lo guardava intenerito, lì davanti e con le braccia conserte sopra il bancone.

-Per questa volta ti do una mano, tanto non ho di meglio da fare.- si avvicinò alla sua postazione, quel cuoco, iniziando a destreggiarsi e ad accontentare ogni cliente, che si andò a sedere subito dopo, finendo di reclamare; ed Ace, nel vedere che sapeva il codice per aprire il registratore cassa, si fece ancora più confuso.

-Tranquillo, tutti i 'Comandanti' sanno i 'segreti' dell'università.-

Ace si tranquillizzò a quelle parole: se era un 'Comandante' non c'era nessun problema; così diede uno guardò smarrito agli studenti, erano abbastanza calmi per essere ragazzi che dovevano andare a lezione, no? Certo, parlavano tutti insieme, così ad alta voce che l'invenzione del megafono diventava inutile, però non avevano fretta di lasciare il bar.

-Oggi hanno stabilito uno sciopero generale. La giornata andrà avanti così per molto.- chiarì il castano, prendendosi uno sgabello e sedendosi accanto ad Ace, e offrendogli un caffè per svegliarlo un po'.

-Grazie.- mugugnò piano, portandosi la tazzina alla bocca e finendolo tutto d'un sorso, ignorando che fosse senza zucchero, che il castano non fece in tempo a porgergli, tanto fu più veloce Ace. - Bleah!- quasi urlò, cacciando fuori la lingua con una smorfia di terrore per il saporaccio che aveva, così amarognolo e forte, ma che fece scoppiare a ridere il ragazzo davanti a lui.

-Come mai non partecipate allo sciopero?- sussurrò, scuotendo il capo per riprendersi e mettendosi più dritto con la schiena.

-Oh, beh; loro la sfruttano come un'occasione per perdere tempo, e... Oh! Ehi Marco, vieni!- scattò, lasciandolo scosso per quel divario di voce: da calma ad intensa in un attimo; mentre aveva alzato una mano per salutare la persona che era ferma sulla soglia del terrazzo.

Ace a quel punto, dopo aver posato la tazzina sul ripiano in marmo, inferiore a quello in legno soprastante del bancone; volse il capo verso la direzione in cui guardava Thatch, e quasi si strafogò con la sua stessa saliva nel riconoscere il ragazzo biondo che aveva baciato e che lo perseguitava nei pensieri. No, non era possibile..., sgranò le palpebre nel vederlo lì, spalancando di poco anche le labbra; E il suo nome era Marco? Finalmente poteva dare a quel ragazzo un appellativo, e di sicuro Thatch si riferiva a lui visto che si stava avvicinando, chissà da quando era lì a fissarli... Aspetta! Si stava avvicinando? Oh no, no, no... No! Ed ora? Non poteva nemmeno nascondersi dietro il bancone! Perché, oltre a sembrare ridicolo, Thatch era proprio al suo fianco e lo avrebbe, di sicuro, guardato strano come si guarderebbe un'idiota, e poi, in quel fragrante in cui non riusciva a muovere la gamba era anche solo stupido provarci: rischiava solo di finire di sedere a terra; e soprattutto, non poteva farlo perché... Beh, perché ormai c'è lo aveva davanti. Aspetta, come? Come davanti!, i suoi pensieri si confondevano da soli, ma si bloccarono nel capire quell'ultima, importante, nozione.

-Ciao.-

Marco lo aveva appena salutato? Davvero? Stava sognando, o cosa? Stava, stava forse immaginando tutto? Cioè, da quando era all'altezza di essere salutato da una persona così perfetta?, pensò con il cervello in tilt, o forse era il cuore, o entrambi, ma con la bocca spalancata da essere davvero definito uno stupido.

Ma la testa decise di agire per non sembrare più idiota di quanto non lo fosse in quel fragrante, o forse il contrario. Però, non potendo rimanere in silenzio parlò al posto suo:

-E-hm... C-cia-ao.-

"Balbetto? Perché balbetto?", pensò Ace, scombussolato. Forse era la stanchezza, si disse, per poi imporsi di non fremere davanti a lui; non sapendo se rabbrividiva per l'emozione di vederlo, o per il dolore delle ferite che pizzicavano, o entrambe, ma non importava: non doveva tremare.

-Dicevo, io e Marco non partecipiamo allo sciopero, perché non siamo d'accordo.- tornò a parlare il castano, come se non avesse notato il nervosismo ed il disagio in cui si trovava al momento Ace, continuando a spiegare anche su cosa era stato indetto la suddetta astensione dall'università; ma poi, le sue parole si persero nel vento: al moro non interessava, e non ascoltava nemmeno perché, voleva, e lo fece: si perse in quegli occhi così perfetti, con il respiro che si regolarizzò da solo, e il cuore che bruciava per quanto, averlo così vicino, lo rendesse felice.

-Comunque, voi vi conoscete già?- decise infine di chiedere, Thatch, finito il suo sproloquio inascoltato da entrambi e guardando come il più giovane avesse subito deviato lo sguardo e scrutasse il pavimento con intensità, quasi a pregarlo che lo risucchiasse, mentre Marco non sembrava diverso dal solito: perennemente serio, però continuava a guardare Ace, e più lo osservava, più questo diventava rosso, e il castano lo intravedeva nonostante il volto fosse oscurato dalle ciocche dei capelli.

-Sì, ci siamo incontrati alla festa. Ma non so se lui si ricorda, aveva bevuto molto.- spiegò il biondo, tranquillo, mentre si adagiava con le braccia sul bancone, scrutando intensamente il più giovane tra i tre, come alla ricerca di qualcosa che neanche lui conosceva, ma forse voleva solo che il moro ricambiasse ancora il suo sguardo.

-Oh, anch'io l'ho conosciuto lì. Ho visto che mangiava molto volentieri i miei pasti, e così abbiamo iniziato a parlare un po'.- spiegò, con il biondo che annuì, ascoltando l'amico, al contrario di Ace che pensava solo a come scomparire, e a come non tremare per quanto il corpo non lo ascoltasse; in quella posizione, scomoda per le sue cicatrici, leggermente ricurva per non farsi vedere in faccia mentre Marco non sembrava accorgersi per niente del suo disagio, o forse fingeva soltanto.

-Certo che hai avuto coraggio, ieri: picchiare uno dei nostri. Era Tea... Beh, in effetti non è molto educato, però se lo conosci è una brava persona.- asserì, annuendo, davvero cordiale e amichevole, il cuoco.

-Ma da come lo hai spaventato, non penso si avvicinerà più a te.- affermò Marco, davvero tranquillo, ed Ace era incredulo: non gli importava di quel bacio che si erano scambiati?, pensò.

Decise di alzare il capo leggermente, osservando il biondo in quei vestiti curati, una camicia azzurra, con le maniche lunghe e aperta sul davanti, che arrivava fino al busto; non poteva vedere il resto, coperto dal bancone, ma prima che arrivasse lo aveva scrutato, e visto avere dei pantaloncini neri fino a dopo il ginocchio, un foulard viola che gli attorniava il girovita e con due fasce che ricadevano verso le gambe, e dal tessuto che avvolgeva la vita, poi, attaccata dal lato sinistro partiva una cinta metallica gialla alquanto elaborata che si incurvava e si fermava verso l'estremità destra, perdendosi dentro la fascia; e infine lo aveva visto tenere dei sandali marroni, che si attorcigliavano a chiocciola fino ai polpacci; e aveva notato che sul tricipite destro teneva uno strano bracciale da dove pendevano ciuffi di fili bianchi. Non gli dispiaceva il suo modo di vestirsi; questo continuava a pensare mentre notava ancora che fosse sempre più carino, osservandolo passarsi una mano in quei corti capelli arruffati. Ma, Ace, trasalì e sgranò gli occhi di scatto nel momento in cui realizzò che il biondo gli stava sorridendo, così si affrettò a tornare con il capo chino, mordendosi il labbro inferiore per l'imbarazzo. In tutto ciò, Thatch aveva iniziato a ridersela sotto i baffi.

-Oh, Jaws! Scusatemi, devo andare.- esclamò giulivo, il castano, andandosene per raggiungere il colloso dal bizzarro taglio di pizzetto, che dava sempre l'impressione di essere un soldato in attesa di ordini; la cosa che Ace non comprese bene, era perché gli sembrasse che il cuoco lo avesse fatto a posta mentre pensava, diretto proprio a lui, con fare sofferente per averlo lasciato da solo con Marco: "Maledetto...".

Sperava che anche Marco raggiungesse l'amico, ma capì che non fosse così nell'intravederlo, di sottecchi, sedersi sullo sgabello, precedentemente usato dal castano, entrando nella sua postazione, ed Ace strinse i pugni, con, tra le dita, i lembi del pantalone; poco importava se lo avrebbe stropicciato; si sentiva così in soggezione con lui: non sapeva come comportarsi.

-Come va?- chiese sorridente, passandogli una mano tra i capelli corvini; un gesto tanto inaspettato che lasciò Ace sconvolto, e con gli occhi perennemente sbarrati: perché era così amichevole con lui?, si chiese traumatizzato e incredulo.

-I-i... b-bene.- sussurrò, incassando la testa tra le spalle nel sentire ancora quelle dita vagare sulla sua chioma leggera e soffice. Rimase un attimo in silenzio, il tempo di godersi quel tocco prima che si staccasse, e poi decise di parlare ancora, o meglio, balbettare un: -E t-tu?-

-Sì, benissimo.-

La risposta non seppe sapere, Ace, se lo rese allegro o triste: allegro perché se lui era contento se ne compiaceva; triste perché temeva che il bacio che c'era stato tra di loro non valeva nulla per lui. Doveva chiederglielo, pensò.

-Ehm, riguardo il...- sussurrò per poi bloccarsi da solo, non sapendo se continuare fosse giusto o meno; e se poi gli rispondeva per davvero che era stato una cosa da nulla, un momento da ubriachi, ormai passato? Ace non voleva sentire quelle parole dette da quella bocca che aveva proprio baciato, già nel pensarci si sentiva morire. -Sì, tu... Che corso fai qui all'università?- nel dirlo cercò di assumere un po' di sicurezza, drizzandosi con la schiena ma senza guardarlo negli occhi, preferendo scrutare il bancone davanti.

-Facoltà di matematica, fisica e medicina.- rispose pacato, dalla voce pareva contento.

-Oh, saranno difficili.- borbottò, guardando le gambe dondolare mentre si teneva all'estremità dello sgabello con le mani.

-A me piacciono, e le capisco, quindi no.-

-Ti tolgono molto tempo?- chiese allora, curioso.

-No, anzi, visto che le capisco al volo ho molto tempo per me. Vengo alle lezioni solo perché mi piace ascoltare le spiegazioni, altrimenti studierei a casa.-

Ace ascoltò attentamente quelle parole, e mugugnò affermativo, rendendosi conto solo in quel momento di essersi ripreso dalla stanchezza nel momento in cui era arrivato Marco, e arrossì lievemente, perché si era reso anche conto che iniziava ad amare anche la sua voce: era bella, calda, e gentile; un tono calmo e apprensivo ma anche forte e tenace, che sa imporsi: era così bella da essergli entrata nel cuore. Che stupido, si disse, era solo una voce; ma, nel pensare ciò la sua mente aggiunse che "Però, è la sua voce", come se nel mettere quel aggettivo possessivo, riferito a quella persona, le cose cambiassero radicalmente.

-E tu? Come mai lavori in questo bar? Sembri giovane, o questo è solo un primo passo verso la tua meta.- ritornò a parlare, il biondo, lasciandolo davvero con una faccia interrogativa, ma solo perché non sapeva come rispondere; non aveva mai riflettuto su quello che voleva fare, in quel momento gli servivano solo soldi, e per quello aveva optato per il barista.

-Io, penso che rimarrò in questo bar per molto. Non ci ho mai riflettuto in realtà.- iniziò ad esporre i suoi pensieri, un po' troppo apertamente, però gli veniva naturale in quel momento, con quella presenza. -Mi servono soldi.-

-Oh, e come mai? Quanti soldi ti servono?-

-Mi servono solo per mio fratello, gli devo pagare il liceo.- spiegò, omettendo il resto per cui gli usava ovviamente. -E dopo penso che dovrò pagargli l'università, quindi continuerò a lavorare qui, o sceglierò un altro lavoro che mi renderà più soldi.- aveva iniziato a parlare con fare loquace e sereno, Ace, abbastanza da riuscire anche a guardare Marco negli occhi senza rendersene conto, tanto gli piaceva parlarci.

-E sentiamo, tu non vorresti fare l'università?-

-Nah, odio studiare.- brontolò sincero, sapendo però che era lo stesso per suo fratello; però desiderava che si realizzasse, diventasse qualcuno, così non avrebbe avuto problemi di fondi come gli avevano ora. Nel pensare a ciò, ricadde un attimo nella depressione più cupa, perché iniziò a ripensare a tutti i problemi che gli toccava risolvere da solo, e sospirò.

-Mhm. Ma non hai un sogno? Ne avevi uno?- lo riprese, studiandolo in quel suo cambio d'umore tutto ad un tratto, riflettendoci accuratamente, volendo capire, mentre lui scuoté il capo, riprendendosi.

-Oh, ehm...- mugugnò, non sapendo cosa dire; l'unico suo sogno era che desiderava una risposta ad una sua domanda avuta fin dall'infanzia, e non poteva dirlo certo a lui; non avrebbe capito, forse. Cioè; pensò; non sapeva se lo avrebbe capito o meno; infondo, se non gli è lo diceva come poteva essere certo che lui non avrebbe concretizzato? Solo, non voleva, non si sentiva di volerglielo dire; era una cosa sua che lo tormentava, e non voleva che le persone scoprissero i suoi punti deboli, nonostante il fatto che con Marco si stesse aprendo un po' come con nessun'altro, e non capiva il perché. Di solito, non diceva queste cose nemmeno a Luffy, e questo perché era Ace il fratello maggiore, non doveva assolutamente essere debole, e anche perché Luffy forse non avrebbe compreso appieno tutti questi dilemmi di soldi e di affari, e non voleva che ci pensasse, era troppo ingenuo; e ad Ace piaceva così il suo fratellino, non voleva che si preoccupasse degli inutili problemi degli adulti. Si ricordò solo in quel momento di aver lasciato in sospeso la frase per molto più tempo del dovuto, così si affrettò a rispondere la prima cosa che gli venne in mente. -Ecco, il mio sogno è di essere famoso.-

-Come intendi diventarlo?-

Quello lì aveva sempre la risposta pronta, eh; pensò con una smorfia stupita che non diede a far vedere, Ace.

-No, non penso di... Devo preoccuparmi di mio fratello, non posso farmi distrarre.-

-Il tuo sogno lo paragoni a qualcosa che può distrarti? Allora non ci tieni poi molto.- sembrava voler scoprire ogni cosa di Ace, peccato che il moro volesse tenere i suoi segreti sotto chiave; amava parlare con lui, si sentiva onorato di questo privilegio, però c'erano dei limiti che non poteva superare. -Ascolta, quando tuo fratello finisce il liceo fallo venire qui. Se nostro padre lo accetta, gli darà una borsa di studio, e non pagherà nulla.-

-Come?- si riprese, perché nel parlare con Marco alla fine si era voltato per guardarlo e lo aveva capito solo in quel momento, peccato che si fosse incantato nel guardare più quelle labbra, morbide alla vista e al ricordo, che le parole che uscivano; ma nel riassumere in fretta comprese l'ultima frase e puntò gli occhi nei suoi, confuso. Non sapeva molto di quell'istituto, era aperto da poco ma non pensava funzionasse così: -Voi non pagate?-

-No.- sorrise, e questo fece arrossire di più il moro che decise di riabbassare il capo, ma Marco era sereno nell'aver notato con quanta dedizione si fosse bloccato a rimirarlo, senza chiedersi il perché di tale pensiero prima di continuare. -Noi qui abbiamo tutti borse di studio. Vedi, in quest'università, è Barbabianca che sceglie, e quando sceglie si diventa suoi figli oltre che studenti. Anche dopo gli studi, lui resta vicino a tutti e gli aiuta a trovare lavoro se necessario. Ma per lo più, alla fine, tutti vorrebbero scegliere di essere assunti nella cooperativa dello stesso Barbabianca, oppure c'è chi vuole diventare insegnante di questa università, o altro che possa permettere di restare uniti; e così si rimane ad essere una famiglia. Qui, per lo più ci sono emarginati, persone che il mondo non ha voluto... Non è un legame di sangue, però ci rende felici. E lui ci aiuta ad avere una vita migliore, come un padre con i suoi figli.- spiegò, sereno come mai.

-Mhm. E lui vi ritiene davvero suoi figli?- quella domanda di curiosità gli uscì, però detta con troppo odio e rancore. Ace odiava troppo il proprio padre, quello vero, e non poteva credere che questo fantomatico "Barbabianca" trattasse tutti come suoi figli, così, giusto ad occhio. No, era troppo una cavolata, pensò.

-Sì, ci tratta e ci chiama suoi figli.- assicurò con molta determinazione e certezza, sia nello sguardo che nella voce, Marco.

Ed Ace rimase concentrato in quelle pupille, osservando come brillassero, come fossero determinate e felici in quella affermazione. Sembravano davvero ferme in quella convinzione: che nemmeno una cannonata gli avrebbe fatto cambiare idea.

-Okay.- annuì, forse con poca sicurezza per quelle parole, ma decise di cambiare argomento. -Oggi rimani qui per molto?- Non gli sarebbe dispiaciuto avere la sua compagnia addosso, anche se gli era complicato il solo rimanere a guardarlo per più di due minuti.

-Sì.-

Sorrise, e annuì. E adesso, Ace, rispetto a ieri, desiderava che il tempo passasse il più lentamente possibile. Forse a Marco non interessava nulla di quel bacio, e mai gli sarebbe interessato; faceva male pensarlo, però il fatto che volesse rimanere lì con lui gli piaceva, gli faceva dimenticare il male, e anche il bene; non sapeva spiegarlo, ma sentiva che c'erano solo lui e Marco in quel momento, e nessun altro; ed era bello, solo quello: era bello.

-Dì un po', ma questo fratello è quello della festa di ieri sera che ti è piombato addosso?-

-Sì, perché? Eh, beh, in effetti lui è sempre così irruente, è fatto così.- sorrise fiero, annuendo sereno e felice; il solo parlare o pensare a Luffy gli risollevava la vita.

-Mhm. Tu cosa fai dopo il lavoro?- tornò a parlare, Marco, guardando quel volto brillare e se n'è rallegrò mentre un pensiero sorvolò la sua mente senza il suo permesso, nulla di particolare, solo un semplice: "Sono un'idiota, quello era suo fratello...". Sorrise ancora e poi volse lo sguardo al locale e a come, alcuni ragazzi iniziassero a lasciarlo, volendo forse cambiare aria, o per fumare, o perché stanchi di rimanere lì fermi.

-Non lo so...- mormorò, quando in realtà sapeva benissimo cosa gli toccava fare: il bucato, lavare i piatti, sparecchiare, spazzare in soggiorno, perché di sicuro suo 'padre' aveva lasciato tutto sporco quando aveva finito di mangiare, prendeva da mangiare solo per sé poi; e doveva rifare i letti, ieri non gli aveva fatti, non aveva fatto in tempo; doveva racimolare anche altra droga all'interno dello scompartimento segreto di suo 'padre'..., rifletté. -Tu?-

-Mi organizzo, forse uscirò con alcuni amici. Ti andrebbe di unirti a noi?-

Quella proposta lo lasciò un attimo incredulo e interdetto; voleva la sua presenza, lo aveva invitato... Wow, cioè: era una cosa incredibile e mai accaduta prima! Certo, Luffy lo invitava spesso, però, lui era suo fratello, quindi i suoi amici lo avevano accettato a prescindere se era antipatico o meno, poi che fossero diventati anche amici di Ace era un altro fatto; quei ragazzi erano speciali a modo loro, ognuno aveva sofferto e quindi capivano, e poi erano uno più bizzarro dell'altro. Invece Marco lo aveva invitato perché voleva lui, cioè... Forse alla fine stava ingigantendo un po' la cosa, ma la sentiva lui così: che quell'invito era speciale, una cosa unica; e non sapeva nemmeno il perché.

Realizzò di essere rimasto in silenzio per troppo tempo anche stavolta, e preso dall'ansia, invece di rispondere, iniziò a pensare alla risposta. 'Sì' non poteva dirlo, anche se voleva, perché aveva da sistemare le cose a casa e non poteva rimandare, non volendo che suo 'padre' lo punisse anche per aver trovato la casa in subbuglio proprio come l'aveva lasciata; ma non poteva nemmeno dire 'no' perché lui voleva andarci, però, ora che ci rifletteva su, cos'avrebbe fatto? Sarebbe stato imbarazzante restare accanto ad un ragazzo che aveva baciato, anche se lo stava facendo anche ora, ma, in mezzo ad altre persone..., pensò; fece una smorfia, indispettito e indeciso prima di rispondere:

-No, non posso.-

Se ne pentì subito dopo, però anche se avrebbe detto 'sì' lo avrebbe rimpianto. Non poteva distrarsi, doveva occuparsi delle faccende di casa, ma soprattutto prendere un po' di droga prima dell'arrivo di Luffy, che lo avrebbe costretto ad andare chissà dove con gli altri del gruppo. E, cosa più importante, si sentiva inadeguato a stare con uno come lui, non c'era confronto: Marco era uno studente di università che frequentava tre facoltà diverse e che si sarebbe laureato, aveva perfino una borsa di studio, era elegante, a modo, gentile, troppo colto, e, sopra a tutto questo: era perfetto. Ace come poteva essere alla sua altezza? Vendeva droga, tirava avanti facendo il barista, aveva dei debiti da sistemare, era manesco quando perdeva la pazienza o se lo indispettivano, era un ladro, aveva un mostro come padre, sia quello vero che quello di adesso; insomma: era un poco di buono. Non c'era paragone: Marco non si sarebbe mai abbassato a stare con uno come lui.

-Okay, non importa. Sarà per la prossima volta.- sorrise, e si alzò. Nel compiere quel gesto, Ace perse un battito: se ne stava andando?

-Te ne vai?- gli sfuggì, piano, ma non abbastanza da non farsi sentire da lui.

-Sì, vado a fare una passeggiata. Ti va di unirti a me almeno in questo?-

-C-Come? M-ma s-to lavorando.- perché non riusciva a non balbettare?, pensò con irruenza, in contrasto con il suo volto rosso e imbarazzato.

-Non preoccuparti, è sciopero per tutta la scuola, quindi Lucci non verrà a controllare, e Thatch è proprio lì, sorveglierà lui la tua postazione finché non torniamo, sempre se vuoi venire.- sorrideva, e quel sorriso così sincero e luminoso scaldava il cuore ad Ace, che mandò la ragione a farsi benedire con tutti quei dilemmi inutili e senza senso: aveva la possibilità di stare con Marco, le responsabilità non valevano nulla e non avevano confronto rispetto a quella persona.

-I-io...- pensare e pensare era inutile, davvero: voleva andare con lui, e se lo impose con così tanta forza da riuscire a resistere al dolore e alzarsi in piedi, annuendo. -Se per Thatch non è un problema, va bene.- sorrise.

-Thatch rimarrà qui a giocare per molto, non gli disturba.- esclamò Marco, indicando l'amico con un dito che stava, a punto, divertendosi con il calcetto, e così mandò poi un segno a quel colosso di Jaws, che comprese visto che si chinò per sussurrare qualcosa al castano che annuì.

-Okay.- sorrise, Ace, seguendo il biondo verso il terrazzo senza nemmeno più zoppicare, nascondendo le prime, lievi smorfie di dolore, ma poi questo iniziò a diminuire accanto a Marco che lo scrutava di sottecchi con un sorriso sincero; era così bello che Ace si assopì in lui fino a non sentire più alcuna fitta.

-Allora, così hai un fratello: ha un nome?- chiese, voltandosi verso Ace per guardarlo completamente.

-Oh-ehm... L-Luffy...- borbottò imbarazzato, senza nemmeno saperne il motivo con certezza: perché balbettava anche nel dirgli il nome del suo fratellino? Uff, che fastidio, pensò. -T-tu?-

-Io ho molti fratelli, come puoi ben vedere.- affermò, riferendosi agli studenti dell'università. -Il fatto che hai osato picchiare uno di questi mi ha turbato molto, però Tea è un po' scontroso, fa perdere la pazienza un po' a tutti, ma è fatto così. Ti chiedo di perdonarlo.-

Ad Ace non sembrava volerlo giudicare male con quell'ultima parte della frase, più che altro voleva spiegare e vantarsi di quel fantomatico fratello, nonostante si dispiacesse un po' di quel difetto. E ancora quel particolare che ricordava proprio quello di un vero fratello, quel voler sempre scusarsi degli atti errati del minore, proprio come Ace faceva con Luffy. Sospirò, se erano tutti così che si comportavano allora erano davvero fratelli.

-Certo.- rispose piano, pensieroso su quel fatto di sentirsi tutti, continuamente, una famiglia. -Oh.- esclamò sorpreso nel sentire ancora quella mano scompigliargli giocoso la chioma mentre camminavano tra i marciapiedi sotto i portici, tra le varie collone che lo decoravano, in quello stile, che credeva essere barocco a vederlo; però, pensò, aveva imparato qualcosa al liceo allora.



Avevano continuato a parlare per molto, e di vari argomenti; dai propri hobby ai propri difetti e pregi; non si erano detti tutto tutto, però era stato bello e piacevole per Ace; pensò a questo mentre tornava dietro la sua postazione. Mugugnò piano e osservò lo sgabello, sedendosi e sentendo il peso del proprio corpo venire meno sulle sue gambe, e gettò il capo all'indietro per un attimo prima di tirarsi su meglio, notando anche che i tre bicchieri che aveva rotto ieri erano stati rimpiazzati da altri, sopra lo stesso scaffale anche; magari era opera di Thatch, o di quello che lo rimpiazzava il pomeriggio, in fondo quella mattina non ci aveva dato poi molto peso.

-Marco, qui tutto in ordine. Nessun problema!- esclamò Thatch all'amico, fermandosi dal continuare la partita alle macchinette con le pistole nel vederlo avvicinarglisi; si era messo perfino sull'attenti, con fare scherzoso, e posizionando una mano sulla fronte come un vero soldato.

-Meglio così.- disse il biondo, sereno, voltandosi poi verso di Ace che tornò ad arrossire nel vedere quel sorriso che gli assicurava che era tutto apposto.

Però, Ace; anche se rosso e imbarazzato, non poteva che sperare che il giorno a seguire arrivasse in fretta, così da poter rimirare ancora quegli occhi e quel sorriso, in quel modo in cui gli è li dedicava e per il fatto che fossero tutti per lui, o almeno così amava pensarla.

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