Sapore.
Era già domenica pomeriggio, pensò amaramente Ace, seduto in soggiorno, a fare calcoli con davanti, sopra al tavolo, i fogli e i documenti delle bollette, e una calcolatrice. Doveva farli per vedere se i soldi che aveva erano abbastanza, e per elaborare cos'altro c'era da pagare; ed infine, sapere quanti ne sarebbero rimasti per le altre spese quotidiane. Era stanco, non voleva e non sapeva, e soprattutto odiava fare i calcoli, ma gli toccava; sperava solo di non sbagliare. Scuoté il capo, stanco, ma si bloccò di colpo nel sentire la mandibola protestare a quel gesto, ancora dolente, però riusciva ad aprirla adesso, come a parlare, anche grazie alle cure, di ieri, di Chopper; aveva solo un lieve colore violaceo sulla parte colpita, ma nulla di grave. Sbuffò, portandosi le dita della mano sulla fronte, con le ciocche che si era portato in alto, raccogliendole e attaccandole con un elastico per non averle sugli occhi; ticchettandoci sopra, e lasciando che la matita facesse altrettanto, ma contro il tavolo. Era stanco, anche se aveva dormito tutta la mattina, ma almeno era contento che suo 'padre' non era tornato ieri sera, e si era risparmiato nuovi segni sulla schiena; ormai erano come un marchio, uno di quelli di cui avrebbe fatto, volentieri a meno, anche se gli ricordavano che era macchiato, sporco, inutile... Il suono del campanello alla porta lo distrasse dai suoi pensieri tenebrosi, e da quelle bollette a cui nemmeno aveva dato un'occhiata, sparse senza cura, sul ripiano.
Senza nemmeno domandarsi che era impossibile fosse Luffy o suo "padre", visto quanto fosse presto, e quindi insospettirsi sulla dubbia identità dell'essere che aveva suonato; si alzò per andare ad aprire, magari per colpa della sonnolenza che lo avvolgeva: si era svegliato da poco, trovandosi davanti la sagoma slanciata e muscolosa di Marco che lo lasciò senza parole, non capendo perché fosse venuto lì, e in quel momento.
-Avevi promesso, ieri, rammenti?- si limitò a dire davanti a quel volto così confuso, sorridendogli. -Thatch voleva venire, ma poi ha detto che doveva occuparsi di alcune commissioni. Ti chiede scusa per non essere venuto, in cambio.-
-Oh, va-va bene...- disse, annuendo e stringendo convulsamente; cercando però di non fare rumore e di non farsi notare, la maniglia interna della porta, tentennando davanti a quegli occhi così luminosi che lo annebbiavano al punto di non concepire cosa fosse accaduto ieri per farlo venire da lui, per poi illuminarsi di colpo: ieri era tornato a casa quando loro, o meglio, Thatch, desiderasse passare ancora del tempo con lui, e così aveva detto che si sarebbero rivisti il giorno dopo, ma non aveva promesso un bel niente. Forse il cuoco credeva fosse sottinteso mantenere la parola.
-Posso entrare?- chiese, scrutandolo in ogni suo particolare, dalla capigliatura sbarazzina, con le ciocche raccolte in un elastico, sopra la cute, decorato da due perline rosa che si intravedevano in quella chioma che decadeva ai lati con fare ondulato; alla maglia lunga, a strisce orizzontali, fino all'inguine, un po' obliqua; con cinque bottoni in alto, aperti, e che mostravano il suo petto; completamente bianca ma con i margini marrone scuro, mentre le maniche nascondevano anche le mani, lasciando intravedere solo le dita; e dei lunghi pantaloni elasticizzati, neri, che terminavano ai piedi scalzi; e poi gli occhi, assonnati ma anche vivi nel vederlo lì, e la bocca che sorrideva senza che il proprietario se ne fosse accorto; le lentiggini e la pelle che splendevano ai raggi del sole che compariva alle sue spalle. In quei vestiti, poi, sapeva così magro e sottile, così fragile...
-Certo.- gli fece spazio, indietreggiando e annuendo, contento di quell'arrivo inaspettato.
-Che fine ha fatto il cowboy?- domandò scherzoso quando chiuse la porta, lasciando che lui intuisse il riferimento al proprio vestiario che teneva di solito, prima di sentirlo ridacchiare mentre si avviavano in soggiorno.
-Ehm, volevo stare un po' più comodo, a casa. Scusami, forse ho l'aspetto un po' trasandato.-
-No, sei bello in ogni modo.- aggiunse il biondo invece, voltandosi per guardarlo e fermandosi per allungare una mano sulla sua guancia tiepida, in modo dolce e lento; assaporando per bene quel contatto, con gli occhi di Ace puntati addosso che lo fissavano imbarazzati e increduli, come se volesse aggiungere qualcosa, ma non lo fece, e Marco continuò a coccolarlo prima di risalire, con l'arto, lentamente, fino alla cute e sfregarla, ma con attenzione per non disfare quella coda. -Spero solo di non disturbare.-
-No, no... Anzi, mi ha fatto piacere.- annuì, sorridendo poi imbarazzato, riprendendosi appena quando sentì il tocco di Marco abbandonarlo, così avanzò di nuovo dove si trovava prima, sedendosi piano a capo tavola, il suo posto, incurvandosi leggermente e portando le mani sulla base della sedia, in mezzo alle gambe un po' divaricare, e con la maglia che decise di lasciarsi scoprire di più le spalle, coprendo invece le mani completamente.
-Cioè, in realtà stavo cercando di capire come si fanno queste cose... Ci metto sempre un sacco.- ridacchiò, un po' nervoso nel sentire il timore di essere un'idiota in confronto con Marco, che lo raggiunse con calma, sedendosi al suo fianco e studiando quei pezzi di carta.
-Non c'è problema, ti posso aiutare.- fece gentile prima di incupirsi di colpo, sospirando mogio e allungando poi una mano ancora verso la guancia di Ace, questa volta però, diretto su quella ferita, dove si vedeva il livido; lamentandosi interiormente con se stesso per non essersene accorto subito.
-Cos'è successo?- domandò dopo averlo sfiorato, bloccandosi immediatamente nel vedere l'impulso di dolore, trattenuto a stento insieme ad una lieve smorfia, dell'altro.
-Nulla, un destro micidiale... Tutto qui, tranquillo. L'ho anche medicato, cioè, un mio amico...- commentò, con un sorriso e una risata di divertimento che pareva più amara e triste.
-E chi te lo avrebbe dato questo, cosiddetto, destro micidiale?- si fece più serio, incuriosendosi e portando i gomiti, uno sopra l'altro, sul tavolo, lasciando penzolare le mani oltre il bordo, verso di sé.
-Un tipo nei bassi fondi... Lo sai, no? Mi piace combattere con quelli...- chinò il capo, scurendosi in volto per un attimo.
-No che non lo so, e sono stanco di lasciar correre questa storia. Mi dici chi ti fa del male?-
Non ricevette risposta, Marco nemmeno quella volta, e alzò gli occhi al cielo, stanco di vederlo soffrire in quel modo e in silenzio; non lo voleva vedere così, e soprattutto, non con una ferita in più ad ogni loro incontro. Attese ancora un po', guardandolo e chinando di poco il proprio capo per poter vedere le pupille del ragazzo che, questa volta, non potevano nascondersi dietro lo scudo che erano le sue ciocche; sembrava così afflitto e disperato, senza sapere cosa fare mentre si mordeva il labbro inferiore con agonia.
-Va bene, me ne vado. Perdona il disturbo.- finì di parlare, pacato, e si alzò poggiando le mani su quel piccolo tavolo a forma di quadrato, di legno, ma una presa salda sul suo polso sinistro, che arrivò funesta come un uragano, lo fece desistere, così aspettò ancora, con faccia seria, portando lo sguardo verso il moro che parlò a raffica:
-No, ti prego! Resta... Anche se non te lo dico, rimani, per favore.- implorò con lo sguardo, fremendo un po' e continuando a maciullare tra i denti il proprio labbro, con troppa agonia perché qualcuno potesse reclinare la sua richiesta.
Marco sembrò, dallo sguardo, pensarci a fondo, ma in realtà stava solo cercando di capire, di intuire da sé l'essere che osava toccare quello splendido ragazzo e in quel modo così tremendo e distruttivo, sedendosi poco dopo e lasciando che Ace sospirasse, senza però che si separasse dal suo polso. E il biondo realizzò che, senza prove, non solo non poteva arrivarci, ma non poteva nemmeno assicurarsene. Doveva trovare un modo, continuava a pensare mentre osservava il minore destreggiarsi, con una sola mano, in alcuni calcoli semplici, lentamente, cercando di non imbrogliarsi. Si lasciò sfuggire un sorriso, intenerito da quegli occhi così sinceri e corrucciati, allungando così una mano e afferrando la calcolatrice, sfilandogliela con dolcezza dalle falangi, e, nel farlo, quell'arto che gli teneva l'avambraccio si slanciò con malinconia, forse temendo di arrecare un fastidio inesistente.
-Ti aiuto.- si limitò a dire, tranquillo, controllando poi i vari prezzi, il reddito totale e tutto quello che riguardavano quelle carte, lasciando il moro ammaliato dal suo destreggiarsi, così veloce e accurato; sembrava un bambino meravigliato di vedere per la prima volta un giocoliere al circo.
Trascrisse alcune annotazioni su un foglietto, Marco, continuando fino a finire quei calcoli, e dividendo le somme che Ace aveva per ogni bolletta da pagare, lasciando poi scivolare il pezzo di carta sul liscio legno, fino a posizionarlo davanti al moro che lo ispezionò annuendo.
-Ti ringrazio.-
-Prego.- si limitò a rispondere, posando la piccola calcolatrice grigia all'interno di un borsellino cilindrico rosso, tornando poi a guardare il ragazzo che aveva iniziato a raccogliere le buste, tenendo il foglietto che gli aveva dato, ripiegato con cura, tra le dita. -Cosa ti piace fare?-
-Come?- scattò curioso a guardarlo, mettendo tutto in un piccolo fascicolo marrone che tenne sotto braccio. -Beh, adesso non posso pensarci, devo andare a pagare questa roba. Scusami.- mormorò, afferrando il borsellino dopo aver chiuso la cerniera, riflettendo ancora sul risultato dei calcoli, che era, ciò che gli sarebbe rimasto in tasca: non era poco, ma non era neanche tanto.
-Vai così di fretta?- sorrise pacato, lui, ancora seduto. -O è per via della mia presenza?-
Ace rimase un attimo fermo, davanti al tavolo, senza muoversi di un millimetro; in quella posa un po' ricurva in cui si attingeva a mettere il borsellino all'interno del gomito insieme al fascicolo, osservando Marco mentre le sue pupille si dilatarono, ma rimase calmo proprio come l'ospite che aveva davanti e che sorrideva.
-No. Non è per te, volevo solo togliermi questo peso. Però posso pensarci anche domani, certo.- sussurrò, anche perché non aveva più tanta voglia di uscire in quel momento, soprattutto con la presenza del biondo lì vicino.
-Oh, mi fa piacere saperlo.- disse alzandosi. -Andiamo, così ti togli il pensiero.-
-Mhm, okay... Fammi mettere le scarpe.- sorrise, un po' rosso sulle gote mentre si avviò ai piani di sopra, ancora imbarazzato per quello che stava accadendo, ma anche felice, tanto, tantissimo, anzi, era su di giri. Se solo avesse potuto, si sarebbe messo a saltellare per la stanza come uno scemo, perché Marco era venuto a trovarlo a casa sua!, gli aveva sorriso, ed ora sarebbe stato da solo con lui. E lo aveva aiutato a fare i calcoli, gli aveva detto che era bello in ogni indumento, lo aveva rallegrato e gli aveva migliorato la giornata con la sua presenza; e lo percepiva anche da come il cuore batteva dentro il suo petto, cavalcava come impazzito voglioso di uscire per correre ovunque, non volendo stare fermo, e anche il suo corpo avrebbe voluto saltellare, correre e far scemare quell'elettricità che lo faceva impazzire in un modo favoloso e bellissimo.
Sospirò dopo aver racimolato abbastanza aria nei polmoni, ma non servì a calmarlo comunque. Dopo aver messo i soldi, nascosti sempre tra la rete ed il materasso, nella tasca del giubbino rosso, visto la mancanza di cavità nel pantalone elasticizzato che indossava; ed essersi infilato quegli scarponi neri ed una camicia gialla, lasciando la maglia buttata, alla rinfusa, nell'armadio, fu pronto a tornare indietro.
-È questa la camera dove dormi?-
Sobbalzò, prendendosi quasi un infarto mentre si portò una mano al cuore, che aveva iniziato a palpitare anche più veloce di prima, cosa sorprendente e impossibile, forse; e il petto scoperto che fremette, colpa del respiro affannato per quell'inaspettata voce arrivata senza alcun preavviso, merito anche del fatto che aveva lasciato la porta aperta, anche perché non la chiudeva mai, per abitudine.
-Sì, dormo con mio fratello.- spiegò voltandosi verso di lui, guardandolo entrare, e ricordandosi solo in quel momento di avere il proprio letto sfatto, ma almeno quello di Luffy era in ordine, come sempre.
-Scusami, non volevo spaventarti.- sorrise sincero, il biondo, arrivandogli dinanzi e controllando se anche quel posto fosse in norma, senza darlo a vedere, o meglio, Ace non se ne accorse, occupato com'era ad ammirarlo senza volere, guardando quel volto così sereno e bello, con quegli occhi azzurri che teneva perennemente socchiusi, ma il pensiero, che ringraziava il cielo di aver pulito ogni centimetro di quella casa da possibili residui passati di sangue sorvolò la sua mente con un certo impeto e sollievo messi insieme.
-Sei pronto?- chiese subito dopo, il biondo, concentrandosi sul moro.
-Certo, possiamo andare.- sorrise, non volendo farlo aspettare di più e volendo anche passare più tempo con lui che a pagare bollette, ma si bloccò, con la bocca che si semichiuse e il respiro che si fermò in un'istante nel vedere la mano del biondo allungarsi verso la chioma, togliendogli delicatamente l'elastico che posò sul suo comodino, per poi scompigliargli i capelli in modo giocoso e, infine, prendergli la mano, lasciando alle pupille del moro il dovere di dilatarsi fino a quanto gli fosse concesso, meravigliati da quel semplice gesto inaspettato.
-Ma che fai?- sussurrò confuso e rosso, seguendolo senza obbiezioni mentre i suoi occhi si concentravano, brillando, sull'arto di lui sul proprio.
-Andiamo a pagare le bollette, no?- ridacchiò furbo, aprendo la porta principale dopo che ebbero sceso le scale assieme, uscendo poi, fuori di casa insieme a lui, senza lasciare quella mano.
-Okay.- sussurrò, facendosi scappare un tenero sorriso, e aumentando di più il passo per raggiungere le sue spalle, così forti e possenti, che superavano le proprie, impedendogli di raggiungere la sua altezza, un po' troppo alto per lui.
-Allora, cosa ti piace fare?- tornò a quella domanda, rallentando per poterlo avere di fianco e guardarlo negli occhi.
Ace lo scrutò attentamente, pensandoci con altrettanta accuratezza, ma non gli veniva in mente niente in quel momento, solo la parola 'Marco' che vagava nella sua testa senza un filo logico; e avere le pupille fisse in quegli occhi non rendeva possibile pensare ad altro mentre il suo viso si colorò più intensamente di un tono di porpora.
-Mi... piace il fuoco.- quasi gli scappò un "Mi piaci tu." ma era riuscito a salvarsi in tempo, riprendendosi prima che la bocca parlasse per lui.
-Il fuoco? Sei un piromane?- chiese scherzoso, guardandolo tra il curioso e un briciolo di preoccupazione, perché, sentiva che ne sarebbe anche stato capace.
-No, non in quel senso: io adoro la natura, e non la ferirei mai. Solo... mi piace, per quel senso di calore e pericolo che sa dare...- farfugliò impacciato, ripensandoci mentre giocherellava con le sue dita tra di loro. -In effetti, ammetto di aver dato fuoco a molte cose, ma non di mia spontanea volontà: dovevo cucinare, ed erano la prime volte; non essendo capace, sbagliavo un sacco.-
-Beh, questo è abbastanza comune, all'inizio.-
-Comune ne dubito fortemente.- ridacchiò, imbarazzato, capendo però che volesse solo incoraggiarlo o qualcosa di simile.
-Mhm, a me piace il vento, e il cielo. Ma cosa vorresti fare per essere famoso?- disse Marco poi, che annuì pacato e divertito; addolcendosi nel percepire come gli occhi del moro si fecero pieni di indecisioni e intrecci, ma non troppo complicati, con una luce al centro che sapeva esattamente la risposta a quella sua domanda, purtroppo troppo lieve e oscurata da quei dubbi per essere capita e ascoltata.
-Preferirei fare... Non è che lo so esattamente. E comunque non posso.- continuò a parlare, a capo chino, osservando le proprie mani sull'addome che snervavano le dita tra il nervoso.
-Come mai? E sempre per il fatto che ti tocca lavorare?-
-Io... Siamo arrivati. Mi aspetti qui?- chiese, guardando l'edificio delle poste dove doveva dirigersi. Appena il biondo annuì corse dentro, mettendosi in fila e sperando davvero che lo avrebbe aspettato mentre strinse al petto i soldi e quei foglietti strani, comunemente chiamati bollettini, per trasferire i soldi, o una cosa del genere.
Corse fuori con la stessa andatura con cui era entrato, guardandosi intorno alla ricerca del suo amico, e trovandolo a parlare con un ragazzo sotto al balcone di una casa, più avanti. Indeciso, iniziò ad avviarsi, nascondendo le mani nelle maniche del giubbino e della maglia bianca, rallentando sempre di più il passo più gli si avvicinava, come a sentirsi un intruso, ormai.
-Ciao Ace.- si voltò subito verso di lui appena si accorse del suo arrivo, Marco, lasciandolo sorpreso mentre gli sorrise gentile, dopo aver interrotto la discussione con quel ragazzo.
-Ciao, scusa se ci ho messo tanto.- disse, chiedendosi se dovesse rispondere alla domanda che gli aveva fatto prima di separarsi poco fa, oppure domandarsi perché quel cambio repentino: di cosa stavano parlano di così segreto che lui non poteva udire, visto come si era voltato il biondo, scaltro, al suo arrivo?
-Fa niente. Ti presento Haruta: è uno dell'università.-
Ace a quel punto si voltò verso quel tipo, vestito dai pantaloni bianchi e la maglia verde, dagli indumenti che ricordavano vagamente quelli di un secolo passato, più precisamente del sedicesimo secolo, e che Ace ricordava in modo rado per averlo studiato; era leggermente più basso di lui, dagli occhi blu notte e dai capelli marroni, a caschetto.
-Piacere di fare la tua conoscenza, io sono Ace.- salutò cordiale, piegandosi con il busto in segno di rispetto.
-Beh, io ora devo andare. Ci vediamo a casa, Marco.- salutò dopo aver sorriso al moro per quella cordialità nel presentarsi, e dopo averla ricambiata con altrettanta educazione.
-Ciao.- salutò il biondo per poi tornare ad Ace, sorridendogli mentre lui aveva gli occhi diretti al ragazzo che si stava allontanando.
-Hai la ragazza?- chiese ad un tratto, Marco, continuando con i suoi sondaggi e facendolo voltare di scatto.
-C-cosa? No!- ribadì come se si fosse ritenuto offeso da quella accusa, facendolo ridere di gusto, mentre Haruta, ormai non si vedeva più, solo tante persone che passeggiavano in tranquillità.
-Scusa, non pensavo fosse uno scempio fidanzarsi.- continuò a ridacchiare e ad avere un tono scherzoso, facendo arrossire il moro che gonfiò di poco le guance, imbarazzato.
-Mhm, no... Però non fa per me... Cioè, non mi piacciono le... Mhm...- disse piano, guardando prima il terreno e poi gli occhi di lui, per poi affermare, arrossendo: -Preferisco i ragazzi.-
-Ma davvero?- fece sorpreso l'altro, e con un tono che alle orecchie di Ace parve troppo sensuale e caldo per i suoi gusti, facendolo fremere e rabbrividire di piacere.
-Okay.- sorrise Marco. - Allora... hai il fidanzato?- decise di correggere la questione di prima, sempre con tono allegro.
-Neanche.- mormorò, grattandosi il capo e iniziando ad essere perplesso: cos'era tutta quella curiosità?
-Andiamo, facciamo una passeggiata.- esclamò allora Marco, un po' più sicuro di sapere di avere pieno campo libero, o almeno, così avrebbe detto Thatch se fosse stato lì con loro, mentre tornò a prendergli di nuovo la mano.
-Come? Ma...- borbottò confuso, Ace, non capendo perché un discorso, che credeva abbastanza pesante, fosse finito così di punto in bianco, raggiungendolo poi, al suo passo per restargli a fianco, ma arrossendo comunque per quel contatto, che stava diventando quasi quotidiano.
Ace continuò a osservare Marco con attenzione, con il pensiero di chiedergli o meno la stessa domanda che gli aveva rivolto lui, però preferì non parlare, non rovinare quel momento di pace, e volendo restare a rimirare quel sorriso pieno su quel volto così maturo. Per come gli era vicino, quasi si poteva adagiare contro la spalla del biondo con il capo, se solo avesse potuto e voluto... Sospirò, soddisfatto di quel contatto, senza rendersi effettivamente conto che lo avesse fatto anche nella realtà e non soltanto nella sua immaginazione: si era adagiato contro di lui, e nel farlo aveva fatto sorridere maggiormente il compagno; abbracciandogli anche il gomito, stretto contro il proprio petto e socchiudendo gli occhi, assopendosi quasi.
-Ehi! Marco!-
Quel richiamo fece destare molto bruscamente Ace da Marco, tanto da farlo distaccare e voltare verso quella voce, riconoscendola come Thatch mentre il rossore sulle gote non ne voleva sapere di svanire, continuando imperterrito a farlo avvampare nel rendersi conto di tutto ciò che era accaduto in quei brevi secondi, e che, oltretutto, adesso c'era un testimone oculare, ed era uno dei peggiori; già fantasticava, Ace, sui commenti che avrebbe potuto affermare, Thatch, per quello che aveva appena visto.
-Ciao Ace! Non mi aspettavo di incontrarvi in giro, ma visto che ci siamo... Non vi dispiace se mi unisco, vero?- chiese incamminandosi verso di loro, guardando il biondo che gli rivolse un mezzo sorriso che parve più una smorfia di fastidio, ma poi si scrollò le spalle, annuendo a quella domanda. Tanto ormai era impossibile che ricapitasse quell'attaccamento di Ace sul suo corpo nello stesso giorno, pensò Marco, un po' deluso: il moro gli si stava avvicinando, si stava aprendo, e invece...
-No, non ci dispiace.- parlò invece, Ace, spostandosi un po' dal biondo nel sentirsi di intralcio e inadeguato in quel momento nel ricordarsi quello che aveva appena fatto senza accorgersene: approfittare della sua vicinanza per usarlo come appoggio. Ace non poté pensare che aveva fatto un'errore madornale: Forse era meglio tornare a casa, rifletté.
-Ottimo.- affermò, raggiungendoli ormai del tutto. -Ma, cosa stavate facendo voi due?- sorrise sotto i baffi.
-Niente, ci godevamo la giornata.- alzò le spalle, il moro, guardando verso terra mentre iniziava a sentire la mancanza del suo cappello, ben compensata dalle sue ciocche che gli coprirono lo sguardo. Il problema è che non se ne voleva andare: stava bene lì, si sentiva al sicuro proprio come quando stava con Luffy; esclamò nella mente, malinconico. -Oh.- si stupì, ridestandosi dai suoi pensieri al tocco caldo e giocoso di Thatch che gli scompigliò i capelli.
-Tutto bene? Che hai?- la voce del castano era così seria, ed era così raro sentirla in quel modo dopo tanto, concepì il più giovane.
-Nulla, stavo pensando. Scusa.- disse, alzando il capo e sorridendo subito dopo.
-E a cosa pensavi, che ti ha fatto rattristire?- fece un passo avanti, Marco, guardando quel sorriso che non sembrava volersi spegnere nonostante quella domanda.
-Oh. A nulla di importante.- scuoté il capo come a dire che non era davvero nulla di serio, per poi guardarli entrambi.
-Allora se non è nulla di importante, vieni, ti preparo uno dei miei famosi manicaretti: avrai fame.- spiegò il castano, sorridendo; dicendo ciò dopo aver udito un familiare languorino provenire dallo stomaco del moro, conoscendo bene il significato di quel suono.
-Ehm.- ridacchiò imbarazzato, grattandosi il capo. -Va bene, grazie.- sorrise, chinando di poco il capo in segno di gratitudine.
Finito di mangiare, in quella grande cucina che era l'interno degli appartamenti degli istituti, Ace cadde in un sonno profondo e narcolettico senza volere, anche se in modo tranquillo e sereno, grazie alla conoscenza di sapere quali persone lo circondavano in quel momento: adagiato contro lo schienale della sedia e con il capo penzolante, con la bocca spalancata ed il volto appagato e riposato.
-Ma guardalo!- esclamò Thatch, contento, intenerito mentre era seduto, all'incontrario, su una sedia e con i gomiti incrociati e sopra lo schienale, dove vi si era adagiato con il mento. -Che carino, eh?- mandò uno sguardo malizioso al biondo per prenderlo in giro, ma quello non sembrò recepire il messaggio, o almeno, così sembrava; troppo impegnato a rimirare la luce che trasmetteva quella persona, quel ragazzo così speciale, o almeno, così era di sicuro, per lui.
-Lo porto nella mia stanza.- si limitò a dire prima di avvicinarsi, e protendere le braccia con cautela, quasi come se temesse che potesse romperlo solo sfiorandolo.
Tenendolo in braccio lasciò che il capo del lentigginoso si adagiasse contro il proprio petto tonico, e osservò come si strusciasse per cercare una posizione più comoda, mugugnando con piacere quando la trovò, e facendo scappare al biondo un sorriso spontaneo prima di portarlo alla destinazione predestinata, con i commenti smielati di Thatch in sottofondo che si divertiva a sbeffeggiarlo, affermando che doveva dichiararsi una buona volta, magari appena si sarebbe svegliato il più giovane, o che magari poteva direttamente fare la luna di miele visto come lo trattava con estrema cura, e visto dove lo stava portando, in un luogo isolato e calmo. Marco, in quel momento avrebbe voluto urlargli contro e magari dargli un calcio, ma per quanto volesse, non poteva disturbare il sonno di Ace; così si appuntò mentalmente di farlo dopo; e per fortuna non c'era nessun'altro in quel momento, in giro.
-Okay, arrivati.- sussurrò, scostando le coperte con una mano, per poi adagiarlo sotto di esse dopo avergli tolto le scarpe, rimboccandolo poi, con quel tessuto. -Dormi bene, Ace.-
-Mhmmgmghm...- quello sarebbe sembrato anche un mugugno di risposta, se non fosse che il moro dormiva profondamente e che Marco non aveva capito nulla.
Il biondo ridacchiò divertito, per poi chinarsi sulle ginocchia e accarezzare la guancia lentigginosa del ragazzo, sorridendo per come avesse la bocca spalancata e gli occhi velati da un lieve raggio di sole che arrivava dalla finestra. Marco non poteva che adorarlo anche in quella visione, era tenero anche se russava di poco, ed era sereno. Sempre sorridendo decise di alzarsi, avviandosi alla scrivania per studiare un po' dopo aver abbassato le tapparelle, con il pappagallo che cinguettò allegro.
-Marco...- sussurrò poco dopo, Ace, senza svegliarsi, lasciando fermare il biondo che tornò a guardarlo curioso, ma il lentigginoso si limitò a voltarsi su un fianco per mettersi comodo e poi smettere di russare, accovacciandosi tra le lenzuola e riposando senza più aprire bocca, ma abbracciando il cuscino dal profumo di buono con un sorriso raggiante e lieve.
-Allora, calcolando la radice di tre si ottiene...-
-Questa cosa è noiosa, ammettilo Marco!- sbottò il castano, dondolandosi sulla sedia davanti alla scrivania e pettinandosi i capelli nel frattempo, anche se ancora dolente per il calcio ricevuto qualche ora prima.
-Parla piano, o svegli il bel addormentato.- ironizzò un'altra voce, che ridacchiò subito dopo.
-Il 'bel addormentato' ha un nome: Ace.-
-Oh, ma come siamo permalosi, vedo che Marco è...-
-Taci Haruta.- lo interruppe bruscamente, con una gomitata, il biondo in questione che ticchettava contro il quaderno con la punta della matita tra le dita, dedicando poi una fugace occhiata al ragazzo ancora nel suo letto, che abbracciava il suo cuscino come se fosse stata una persona, e sorrideva; quel letto sembrava piacergli più del rispettivo proprietario..., rifletté con sufficienza. Okay, no; si disse Marco, non poteva essere geloso di un cuscino, del suo cuscino poi...
-Pensiamo a studiare.-
-Tu, Thatch non fai nemmeno la nostra facoltà... Stiamo facendo fisica due, cambia aria.-
-Senti Haruta, se io sono qui è solo per tirarvi su il morale.- esclamò sincero, annuendo.
-Ed è per questo che non studiamo...- commentò l'amico, mentre Marco si limitava solo a guardarli, incurante di tutto; in fondo, lui era già preparato per quegli argomenti, stava solo aiutando Haruta.
-Grazie.- sorrise gaio, Thatch, pavoneggiandosi fiero.
-Non era un complimento...-
Uno sbadiglio interruppe quei battibecchi, facendo girare simultaneamente tutti e tre i ragazzi verso il letto, perfino il pappagallo nella gabbia aveva distolto lo sguardo da quel litigio; e tutti si concentrarono dove, due occhi ormai aperti gli stavano osservando senza vederli per davvero, ancora inconsci.
Il moro sbatté le palpebre un paio di volte, cercando di assimilare i suoni e la realtà, mettendo a fuoco anche la vista per poi mettersi seduto e scrollare il capo, portandosi una mano tra la chioma più spettinati del solito, parendo davvero confuso.
-Buongiorno...- mugugnò con voce impastata mentre la sua testa gli mandava un impulso, un pensiero che gli diceva: Ma è davvero mattina?
-Buonasera se mai.- ridacchiò Haruta, alzandosi in piedi e prendendo gli appunti. -Grazie Marco, per oggi abbiamo fatto abbastanza, penso che uscirò un po'. Volete venire con me?-
-No, ci vediamo dopo.- rispose pacato, il biondo, tornando con lo sguardo sul moro che si era messo in piedi.
-Ciao.- sorrise allora, intuendo cosa ci fosse dietro quello sguardo perennemente serio, e uscendo dopo aver ricevuto la medesima negazione da parte di Thatch.
-Sera?- chiese confuso, in un sussurro. -Ore?- si limitò a chiedere, strofinandosi un occhio come un bambino, e che parve tremendamente tenero agli occhi del cuoco, che non commentò solo per via di un Marco che, intercettando i suoi pensieri, lo scrutò torvo e in tono di sfida, facendogli ben capire che sarebbe finita male per lui se ci avesse solo provato, e così sospirò rassegnato.
-Quasi le sei.- tornò a sorridere l'ormai unico castano nella stanza, che lo raggiunse per avvolgergli un braccio attorno alle spalle.
-Va bene...- sbadigliò ancora, strizzando gli occhi e inquadrando il volto di Thatch che parlava di chissà cosa, con fare allegro: non aveva voglia di ascoltarlo, decise con una lieve smorfia.
-Ace, vuoi che ti accompagniamo a casa?- si avvicinò, il biondo, adagiando una mano sulla spalla del moro e accarezzandola piano.
Ace, nell'incrociare quegli occhi non seppe dirgli niente, né dare una risposta a quella domanda, preferì rimanere in silenzio, forse anche per colpa del sonno che lo aveva intontito. Però era domenica, pensò inconsciamente, poteva anche restare un altro po', in fondo Luffy sarebbe stato con i suoi amici tutto il tempo; continuò a riflettere, incentrato e fisso su quelle pupille azzurre che, con le palpebre socchiuse, mantenevano il solito atteggiamento serio e composto.
-Però, se non disturbo mi piacerebbe rimanere ancora.- disse, arrossendo lievemente nel percepire quegli occhi illuminarsi di colpo, e perennemente addosso come aveva fatto lui attimi prima, che sembrarono acconsentire senza dar bisogno alle labbra di confermarlo per loro.
-Certo!- ridacchiò Thatch, scompigliandogli i capelli e tenendolo stretto con l'altro braccio. -Marco ti indicherà il bagno, vorrai rinfrescarti un po'.-
-Vieni.- disse il diretto interessato, alzando gli occhi al cielo appena si voltò per andare verso la porta, incredulo a quel tentativo di avvicinamento di Thatch per lui verso il moro: non voleva smetterla; eppure lo aveva minacciato!
Dopo che si fu assicurato di averlo dietro percorse il corridoio, rallentando solo per averlo vicino e guardarlo, con quegli occhi ancora assonnati che sembravano a mala pena concepire cosa stesse accadendo. Sorrise, alzando una mano e lasciandola adagiare contro la chioma scompigliata e sbarazzina di Ace che ricambiò il sorriso, avvicinandosi di più a lui, ma forse era solo la stanchezza che lo faceva agire in quel modo, si disse quest'ultimo, cercando però di non staccarsi da quel ragazzo nemmeno di un centimetro, volendo rimanere al suo fianco.
Arrivarono in bagno, ed entrarono insieme nel trovarlo vuoto, anche se l'intenzione di Marco era di aspettare fuori, ma Ace gli aveva afferrato il polso, così lo aveva seguito, ed ora, il biondo, lo osservava, adagiato di spalle e a braccia incrociate contro la porta chiusa; rinfrescarsi il viso dopo aver aperto il rubinetto e posizionato le mani, unite, sotto lo scroscio d'acqua.
-Non usare l'acqua fredda.- si avvicinò, girando la manopola dalla striscia sulla base di colore rosso mentre Ace era più dedito a guardarsi nello specchio, a fissare i propri occhi e quello che trasmettevano prima di celare il viso dietro le ciocche e sbadigliare: non gli era mai piaciuto il suo riflesso.
-Okay.- sussurrò, diretto più a se stesso che alle parole di Marco visto che era abituato a lavarsi con l'acqua gelida, scuotendo poi il capo e strizzando gli occhi. -Sono sveglio.- affermò, come se farlo sapere avrebbe aiutato la testa a capirlo di più.
-Tieni.- gli passò l'asciugamano viola, coccolando la sua chioma con la mano ancora una volta, ormai abitudine; ma senza lasciare la presa nel vedere che i suoi occhi si erano illuminati a quel tocco prima di essere coperti da quel tessuto, e Marco sentì il tremendo e irrefrenabile impulso di prenderlo e bloccarlo contro le piastrelle gelide del bagno solo per impossessarsi di quelle labbra, riavere il loro sapore e poi voleva, esigeva, il bisogno che quel ragazzo gli permettesse di amarlo perché così, in quel modo, non poteva: non gli era concesso, Ace non gli è lo concedeva, e forse non voleva. È vero, dimostrava di avvicinarsi, e durante l'arco di quella giornata sembrava essere che, per entrambi andasse bene stare insieme in quel modo, così vicini come una, effettiva, coppia, ma c'era ancora un muro, ed era troppo evidente da scavalcare, o da abbattere. Ace gli permetteva di stargli accanto, ma non di farlo sempre, o, almeno, gli faceva capire che c'era un limite che non poteva superare, altrimenti quella parete si sarebbe rafforzata, allontanandoli l'uno dall'altro; e la cosa che non riusciva ad intendere, era che, questo era tutto voluto da Ace, non dal muro: non riusciva a vedere chiaramente quali fossero le sue intenzioni, e questo complicava il suo modo di approcciarsi con lui. Ma era sicuro, che ci fosse qualcosa dietro quella barriera, un segreto immenso e, forse pericoloso, che avrebbe scoperto ad ogni costo se gli avesse permesso, poi, di avvicinarsi e di farlo restare al suo fianco.
-Marco?- il richiamo di Ace, che aveva terminato di detergere il suo viso, lo ridestò da quei pensieri, così alzò il capo dalle piastrelle porpora del pavimento per tornare in quegli occhi marroni, lucidi e vispi che avevano alzato il capo dal tessuto per scrutare la sagoma imponente del compagno.
-Va bene... penso che, se ti va, puoi mangiare con noi.-
-Davvero?- chiese sorpreso.
-Certo. A Thatch non farebbe che piacere. E anche a me.- parlò pacato, entrando in quelle pupille senza che lui se ne accorgesse, studiandone il contenuto, ma sembravano voler celare i loro segreti con fermezza.
-Anche tu?- sgranò gli occhi nel sussurrarlo e capirlo, e Marco sorrise, compiaciuto da quella reazione; con quelle piccole rivelazioni riusciva a comprendere che non era così distante dal provare i suoi stessi sentimenti, l'altro; doveva solo intendere come approcciarsi: aveva capito che solo un passo falso avrebbe rovinato tutto, e mentre appurava ciò, senza saperlo, la barriera intramontabile aumentò il suo volume.
-Sì.- disse, il biondo, facendolo arrossire maggiormente e chinare il capo verso terra con fare indeciso.
-Okay. Grazie.- optò per accettare, Ace, pensando che, in fondo, Luffy avrebbe mangiato da Sanji come ogni giorno insieme agli altri.
-Ehi.- arrivò il castano, mettendosi in mezzo e con un sorriso, e di uno che aveva tutta l'aria di avere origliato. -Oggi prepareremo la cena più buona del mondo solo per il nostro caro amico. Andiamo Marco!- esclamò tutto d'un fiato trascinando il biondo giù per le scale, con un braccio avvolto al suo collo, e lasciando il moro tutto solo, e con uno sguardo interrogativo, in quel bagno enorme; senza pensare che, dicendo ciò, il cuoco avesse appena dato prova della sua colpevolezza.
-Che diamine fai?- scattò a quel punto, Marco; e già c'è l'aveva con Thatch per aver spifferato al mondo intero, o meglio, a tutta la famiglia compreso il babbo, che era innamorato di quel ragazzo; omettendo che loro padre si era limitato a ridersela, tutti gli altri non facevano che prenderlo in giro ogni qual volta ne avevano la possibilità; più perché si divertivano a farlo infastidire.
-Ti aiuterò a preparare una cenetta con i fiocchi e super romantica per Ace. Solo voi due, in cucina, ed io e gli altri staremo lì a spia... Ah, a mangiare con il babbo.- si corresse all'ultimo, ridendo nervoso e piombando nella sala di gastronomia, trovandola completamente deserta ma ben in ordine, visto che era il suo regno.
-Scordatelo. Non siamo ancora a quel punto, anzi, non so nemmeno io a che punto siamo. Se mi avvicino, Ace sembra sempre pronto a retrocedere, o forse è solo una mia impressione... Resta il fatto che non mi sembra il caso.- borbottò pensieroso, districandosi dalla presa dell'amico e portando le braccia, conserte, al petto, osservando la porta dietro di sé da dove erano entrati.
-Ah ah...- annuì senza ascoltare, Thatch, cercando di trattenersi dal dire che era chiaro come la neve che entrambi si amavano; ma non poteva: dovevano capirlo da soli. -Se non provi, come puoi dirlo? Magari fare il romantico funziona, diventa la tattica vincente e poi lui, tac!, cade ai tuoi piedi.- sorrise il castano, annuendo, fiero della sua deduzione.
-Certo... Non siamo in una favola, Thatch.- sbottò allora il biondo, con tono ovvio e diffidente.
-Beh, mi pare ovvio: se la pensi così. Tutto ti sarà più facile se ci credi. Immagina, puoi.-
-Non farmi la pubblicità del caffè adesso.- commentò schizzinoso e con una smorfia di diniego. -Non sei la mia fatina magica, quindi finiscila.-
-Oh? Ehi, ragazzi.- ridacchiò Teach, entrando spavaldo e a braccia aperte, ridendo con la solita risata che lo caratterizzava. -E così parlate di Ace. Ho sentito che si trova qui.- continuò a sorridere, senza che nessuno si accorgesse del luccichio maligno nel suo sguardo.
-Già. Mangerà qui con noi, però Marco dice che non sono la sua fatina dell'amore. Peccato.- fece il finto offeso, per poi scoppiare a ridere insieme al panzone appena arrivato.
-Fatina? Eh. Credo che il nostro Marco preferisca Ace in questo ruolo. Te lo immagini vestito in quel modo...?-
-Taci.- sbottò a quel punto, Marco, offeso e innervosito, zittendolo con un ponderoso pugno in faccia. -Non parlare di lui in questo modo.-
-Ah!- gemette il panzone, portandosi ambedue le mani sul naso sanguinante mentre Thatch si affrettò a prendere il kit medico dal tiretto in alto, prestandogli le immediate cure prima di guardare il fratello; tutti, in famiglia, sapevano che era difficile far arrabbiare Marco, ma se ci riuscivano, le sue azioni sarebbero potute essere molto istintive, e quindi difficili da prevedere; per fortuna, succedeva di rado, e lui cercava sempre di tenere il suo autocontrollo anche in quei casi.
-Non esagerare.- commentò piano, il castano, con il biondo che si sfregò il capo nervoso.
-Permaloso...- brontolò Teach con voce ovattata, con il mento rivolto verso l'alto e due batuffoli di cotone, pregne di rosso, nel naso.
-Beh, e tu vedi di non parlare di lui così! Non te lo permetto!- urlò feroce, scattando verso di lui, seduto sulla sedia, e poi voltando il capo di scatto con un ringhio, uscendo da quella sala con passo svelto.
-Marco, ti ho sentito urlare. È successo qualcosa?- si avvicinò, Jaws, il colosso enorme; che stava passando dalla cucina in quel momento ma che non ricevette risposta; si limitò, quindi ad osservare il biondo oltrepassarlo da davanti agli occhi.
Quel maledetto... cavolo!, pensò il biondo, stringendo i pugni e recandosi in bagno, un altro, al piano inferiore; non riuscendo a non sbattere la porta nell'entrarci, ignorando gli sguardi perplessi delle persone che incontrò durante il cammino; in fondo, era raro vederlo adirato per tutti. Però non aveva potuto farci niente, si era sentito ribollire dentro; come aveva osato parlare in quel modo, prendere in giro così Ace... Davanti a lui, poi!, rifletté Marco, portandosi una mano tra i capelli splendenti, e con la schiena adagiata sulla parete. Aveva esagerato con Teach, o forse no?; Quel ragazzo lo aveva davvero conquistato fino a tanto?, si chiese, scrutando il soffitto con un sorriso appagato che sapeva davvero ironico in quel subbuglio di pensieri e dopo quello che aveva osato fare.
Ace mugugnò, di nuovo nella stanza di Marco visto che, nel cercare la cucina per ritrovarli si era perso lui, e non volendo disturbare i ragazzi che girovagavano e parlavano tra loro aveva preferito tornare al punto di partenza. Certo che era rimasto un po' confuso: quando alcuni di loro lo vedevano sorridevano con fare fin troppo amichevole verso uno che non conoscevano nemmeno di vista; decise di lasciar scorrere, scrollando le spalle con fare impensierito: magari erano clienti del bar, si era detto. E ora era lì, seduto sul letto del biondo, indeciso su come affrontare l'argomento con il medesimo Marco, e anche Thatch, soprattutto con il primo perché non credeva che sarebbe riuscito a dirgli di: "No, non posso rimanere a mangiare con voi." se lo avrebbe guardato negli occhi. Il problema era che si era ricordato, troppo tardi, di avere un impegno: doveva andare ai vecchi magazzini per il solito appuntamento, per vedere quei tipacci a cui doveva la solita quantità di droga, ma forse doveva smettere, poteva cavarsela anche con il solito lavoro. No; scuoté il capo, Ace; non poteva: era difficile uscire da quei giri indenni, soprattutto non senza conseguenze spiacevoli. Ormai era deciso, purtroppo: doveva andare; ma poteva sempre fermarsi un'altra volta lì. No, neanche; ne dubitava, perché, oltre al motivo ormai ovvio, non voleva cenare con loro perché... Perché c'era Marco, ecco!; e poi ci sarebbero stati tutti quei ragazzi, e quel "padre" gigante... No, non si sentiva giusto a fare un passo così grande, tutti quegli occhi che lo avrebbero fissato, studiato, magari fino a capire di chi era figlio per poi cacciarlo via; o magari, alcuni già lo sapevano e avrebbero informato tutti gli altri, compreso Marco, e lo avrebbero evitato... Marco lo avrebbe evitato... Lo avrebbe fatto comunque. Se solo si sarebbe sforzato ad ascoltare i bisbigli della gente quando lui passava per strada, a quest'ora non gli avrebbe nemmeno rivolto uno sguardo. Basta, pensò; non gli piaceva perdersi in quelle tenebre. E rimanere in quella casa, in quella famiglia che sembrava, fin troppo bella e perfetta, lo faceva sentire inadeguato e più vittima di quello che gli toccava sopportare.
Alzò lo sguardo, prima verso il pappagallo e poi verso l'uscita, chiusa; però, per andarsene, doveva varcare la soglia e trovare la porta principale, ma anche avvisare, rifletté amaramente: gli sembrava una sfida fin troppo ardua. Si alzò, passandosi una mano tra i capelli ondulati, sulla fronte; e percorrendo poi il lungo corridoio, dopo aver lasciato socchiusa la camera del ragazzo che gli aveva permesso di dormirci. Era pronto e deciso a fare una cosa inaudita, sapendo che lo avrebbe salvato dalla cena di quella "famiglia; cosa che non avrebbe voluto fare: parlare con la gente che tanto ripugnava; anche se loro non sembravano odiarlo come gli altri, fuori; no, loro sembravano molto più diversi.
-Scusa, mi puoi dire dove si va per la cucina? Dovrei parlare con Thatch.- si affrettò a chiedere, cordiale; diretto al primo ragazzo all'interno di un piccolo gruppo che gli indicò la strada giusta, così sorrise, e, ringraziando, seguì quelle informazioni.
-Ehi, Thatch, Marco, siete qui?- chiese entrando, oltrepassando quelle ante grigie con gli oblò che lo condussero all'interno della cucina dove era stato pochi attimi prima, o forse era meglio dire ore visto quanto aveva dormito. -E successo qualcosa?- domandò nel vedere Teach seduto e con la testa verso l'alto, con i nasi tappati da pezzi di cotone, ricolmi del denso colore rosso del sangue.
-No, nulla di importante.- affermò il cuoco, sventolando la mano con fare vago e sicuro, senza dare conto delle proteste del ragazzo ferito, a cui preferì tappare la bocca per non far trapelare indizi sul motivo di quella ferita. -Ma dimmi pure, cosa c'è?- sorrise cordiale, allentando la fiamma dove, sopra aveva messo un pentolone gigantesco, e con dentro chissà quale squisitezza.
-Oh, ti chiedo scusa, e chiedo scusa anche a Marco, ma mi sono ricordato che dovevo fare una commissione. Quindi, la cena magari sarà per un'altra volta. Mi dispiace.- affermò grattandosi il capo impacciato, guardando il volto stupito del cuoco, e quello ghignante e consapevole di Teach, a cui preferì non dar conto.
-Non c'è problema.- assicurò lui, anche se un po' rattristato dalla notizia. -La prossima volta ci conto però, o mi offendo. E tranquillo, riferirò io a Marco.- esclamò tranquillo, annuendo sereno.
Ace annuì, salutando calorosamente entrambi per poi voltarsi e andarsene verso la porta principale, incrociando alcuni ragazzi che passarono tranquillamente ma senza degnarli troppo, giusto un saluto. Sospirò, guardando da una finestra come fosse buio fuori prima di arrivare alla porta tanto agognata.
-Ace, dove vai?- chiese la voce calma del biondo, che stava passando proprio in quel momento, per tornare in cucina, anche se non sapeva se sarebbe stato pienamente in grado di chiedere scusa a Teach.
Ace si irrigidì nelle spalle al suono di quella voce che sapeva pronunciare così bene il proprio nome con quel suo tono serio, ma non poteva voltarsi, se lo impose; però forse non era educato nei suoi confronti, pensò, a capo chino e provando a rilassarsi. Ma non poteva girarsi, non poteva e non sapeva se poi avrebbe trovato il coraggio di dirgli che non sarebbe rimasto nell'incrociare i suoi occhi fino ad immergersi in essi; erano così belli, lui era così bello. No, non doveva distrarsi, anche se gli sarebbe piaciuto osservarlo ancora, e magari un bacio, e poi un'altro, rifletté arrossendo, senza accorgersi di essersi fermato davanti alla porta per troppo tempo, dando così all'altro, il tempo per raggiungerlo.
-Ace?-
-Ah?- il secondo richiamo, pronunciato sempre da quella persona, servì a farlo destare e a fargli raddrizzare il busto mentre si rese conto di averlo al suo fianco, e che lo stesse scrutando negli occhi.
-Te ne vai, quindi?-
-Ohm... Mi dispiace.- sussurrò imbarazzato, deviando subito gli occhi dai suoi perché altrimenti non sarebbe riuscito a parlare, così si dedicò al portone enorme, e con la maniglia grande quanto lui stesso, forse serviva a Barbabianca; anche se c'è n'era una normale per persone di statura come lui. Certo che, quell'entrata era così interessante in quel momento, avrebbe perso anni di vita a studiarsela con attenzione.
-Devo fare una cosa, ma ho detto a Thatch che la prossima volta rimango il più possibile. Promesso.- asserì; finalmente riuscendo a parlare ma tornando con le gote più rosse che mai per come il biondo non la smettesse di scoprire il suo volto, come a cercare di capire cosa ci fosse dietro, e che tornò ad essere coperto dalle ciocche per quell'intensità di Marco che destabilizzava il più giovane.
-Okay.- annuì in un sospiro fiducioso, passandogli una mano sulla capigliatura e sperando. -Buon appetito e buona notte.-
-G-grazie, altrettanto.- affermò uscendo, e tirando un sospiro di sollievo nel riuscirci senza ripensamenti. Con quelle parole e quei gesti gli aveva scaldato il cuore; erano segni come dire: io tengo a te; giusto?, si chiese con un sorriso, prima di darsi dell'idiota, preferendo dimenticarli con rimpianto, ed il cuore pulsò da far male, come a rimproverarlo per quella decisione orribile, e che continuava ad esserlo, per entrambi.
Si sedette, costretto da quei tre mentre li vedeva godersi la droga che gli aveva portato, con l'uomo dalla barba folta che la sniffava dal setto nasale, tanto ripugnante da fargli venire una smorfia, e gli altri due nascondendola all'interno del giaccone, forse per usarla in seguito. Li guardò allontanarsi, lasciandolo seduto davanti a quel tavolino lurido, e riuscì solo a vedere le loro labbra muoversi ma senza capire: troppo distanti per le sue orecchie. Sospirò mogio: aveva fame, e soprattutto, gli mancava Marco; ancora ricordava il suo volto prima di salutarlo; beh, in fondo erano passati trenta minuti, se non di più, e poi aveva quel viso incastonato dentro di sé, come ancora quel bacio che gli aveva dato. Quando gli mancava quel sapore su di sé.
-Ace, ehi, Ace.-
-Eh?- si voltò, arrossendo lievemente per essersi assopito così tanto su Marco da non avere più il mondo attorno, di nuovo; però era bello, adorava questa situazione, quella di loro due soltanto, anche se al momento stava solo pensando a lui, e non era con lui.
-Drogarti non ti farebbe male, forse ti svegli di più.- rise quello con il berretto nero che, perenne, gli rendeva nascosto il volto.
-Serve altro, o posso togliere il disturbo e lasciarvi divertire?- optò, Ace, per la scelta di fargli capire che gli avrebbe solo dato fastidio avere lui intorno, e guardò il grande capo dal muso coperto dalla sciarpa scura, quello da cui aveva preso i soldi anche stavolta, che si limitò solo a guardare Ace, facendogli un cenno di fastidio, proprio come sperava: era il segnale che poteva andare.
Ace ringraziò, sentendosi meglio e così andò via, conoscendo a memoria la strada per la porta anche se nel completo buio, salendo poi in macchina; però ormai era tardi, quindi sarebbe stato inutile provare a tornare da Marco e Thatch. Un po' ci stava male, se ne rammaricava ma capiva che non sarebbe voluto rimanere: era complicato; e, al momento non voleva nemmeno tornare a casa, o andare al Baratie. Stare solo, decise; sarebbe stato un po' da solo per quella sera, e non lo avrebbe detto a Luffy, altrimenti l'avrebbe solo presa a male. Doveva, adesso, trovare un posto di preciso dove stare con la macchina, e di sicuro non davanti a quel magazzino, in quel quartiere poco di buono.
Lasciò immobile la macchina, in mezzo al sentiero dissestato poco transitato, davanti al suo personale ponte, e decise di scendere per mettersi sul proprio muretto dopo aver messo il freno a mano che diede un suono, come di protesta nel sentirsi tirate indietro, ma era un suono di poco conto.
Si guardò intorno, reggendosi con le mani alla base di quel muretto di pietra, ammirando poi il cielo e rallegrandosi a quella vista di stelle dal cielo limpido e sereno, con l'aria fresca sul volto e la brezza della vita che desiderava farsi accogliere da lui mentre chiuse gli occhi, Ace, per poterla sentire meglio, provando ad accontentarla.
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