Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Pirati.

Scrollò le spalle, lasciando le buste sopra il tavolo in cucina, che aveva sparecchiato quella mattina stessa; con un sospiro triste nel momento esatto in cui sentì la porta aprirsi. Fece un mezzo sorriso, che uscì più malinconico che altro e attese l'arrivo del minore e la sua allegria; il fatto era che continuava a non sentirsi bene, forse la stanchezza aumentava la sua voglia di deprimersi, o forse era la sua vita che lo spingeva a morire.

-Ehi, Ace!-

Accolse molto volentieri quell'abbraccio, ma cercò comunque di tenerlo lontano dal cibo appena comprato, ripetendogli che non era per loro e tenendolo in braccio, stringendolo a sé per avere un po' di affetto, che il minore non gli negò, anche se tendeva ad allungare la mano verso le buste sul tavolo.

-Avanti, immagino che devi andare al Baratie.- brontolò scherzoso, lasciando che si allontanasse di poco con il busto per squadrarlo curioso, ma senza lasciarlo, prima che rispondesse ingenuo, inclinando di poco il capo:

-Anche tu.-

-No, io oggi salto. Ma ti prometto che ti raggiungo più tardi, e se riesco ti aiuto a studiare.-

-Già, studiare... Beato Franky: lui è giustificato perché deve presentare la mostra con la sua famiglia.- borbottò.

-Dai, non fare il musone. Adesso vai, io sistemo la spesa.-

-Okay, ciao.- esclamò, scendendo giù dalle braccia del maggiore, e, buttando lo zaino nell'angolo della cucina, si diresse fuori con energia, dettata dalla voglia di cibo.

Ace ridacchiò, preparandosi a mettere in ordine ogni cosa, pulendo anche i piatti nel lavandino, quelli che non aveva avuto il tempo di sciacquare quella mattina; e spazzando poi il pavimento. Dopo aver cercato di fare del suo meglio nelle pulizie afferrò, per una spallina, lo zaino del minore, portandolo di sopra, nella loro camera, e lasciandolo adagiato accanto al piede del letto di quest'ultimo. Scrollò ancora le spalle, Ace, cercando di sgranchirsi un po' mentre volse lo sguardo in alto, inquadrando la botola che portava in soffitta; in fondo, per le diciassette c'era ancora tempo, molto anche. Purtroppo, aggiunse; avrebbe voluto andarci prima: voleva vedere Marco, fece con un broncio infantile.

Sospirò, arrossendo un po' nel ripensare a come lo aveva guardato, in macchina; e afferrò un bastone all'interno dell'armadio, con la punta adattata ad afferrare i vestiti, e che usò anche per raggiungere il gancio della botola, tirandola giù e lasciando che la scala scivolasse, aprendosi, a terra, con dei cigolii, ed infine un tonfo sordo, lieve. Mormorò qualcosa tra sé e sé, lasciando a terra il manico di ferro di quel bastone, e salendo per andare a prelevare gli scatoloni con i vestiti pesanti, per l'inverno. Entrò in quel posto cupo e stretto, dove aleggiava leggermente, un po' d'aria fredda tutto intorno, e in alto si vedeva solo molto legno che lo ricopriva interamente; mentre il soffitto era incline a tendere verso il basso, così lo costrinse a piegarsi con il busto. Lamentandosi per i dolori alla schiena che gli davano un senso di pizzico alla pelle davvero tremendo e insopportabile, facendogli digrignare i denti e irrigidire il volto; si avvicinò agli scatoloni, prendendone due dove vi erano i nomi suoi e di suo fratello, e li trascinò verso quella porta sul terreno da dove era salito, lasciando che cadessero a terra con poca cura entrambe, andando a sbattere l'una contro l'altra. Le osservò da là sopra e se ne importò poco se il cartone si fosse schiacciato, tanto all'interno c'erano solo indumenti pesanti. Con un salto si ritrovò di nuovo a terra, mancando di poco quelle scatole per poi afferrare a terra il bastone di prima, servendosene per chiudere la botola dopo aver tirato su la scaletta, leggera anche se di un materiale resistente che non sapeva ben definire, non se ne intendeva, magari un metallo molto flessibile. Sbuffò, sentendo la testa vacillare e la vista girare, forse per via del salto e di come si fosse rialzato, troppo in fretta, ma poi guardò la particella chiusa, in alto, e posò il manico in acciaio da dove lo aveva prelevato, dedicandosi poi al proprio scatolone, raccogliendolo da terra e spolverandolo, con la mano, dalla polvere che lo impregnava sopra. Sospirò, e lo aprì, guardando i propri vestiti che non vedeva da tempo, da così tanto che se ne era dimenticato di come fossero quei tessuti. Li prelevò tutti, ma uno alla volta, e si diresse in bagno con essi, dividendo i colorati dai non, i jeans dalle maglie, e facendo un po' come aveva imparato a fare dopo tanti errori, con le parole di Robin, che gli è lo aveva spiegato bene, nella mente. Li sistemò all'interno della porticina della lavatrice, chiudendola e avviandola subito dopo. Lasciò gli altri vestiti all'interno del bagno, dentro una bacinella verde; e si diresse in camera, mettendo dritto lo scatolone vuoto di Luffy ed il suo, lasciandoli accanto al proprio letto e poi chinandosi, in ginocchio, per terra, e inclinandosi di lato con il busto per osservare, tra le travi delle reti del letto, dove aveva lasciato la bustina di droga per Teach; magari sarebbe arrivato a breve. L'afferrò appena trovata e se la mise nella borsetta azzurra attaccata al pantalone, alzandosi a fatica e con le ginocchia tremanti, ma che si stabilizzarono subito, e poi si lasciò cadere di schiena contro il materasso dopo averlo raggiunto; pensando di aver fatto tutto rimase lì, con le gambe adagiate fuori dal bordo del letto, con i piedi adagiati a terra mentre il busto rimase disteso e rilassato contro il materasso che si stava riscaldando a contatto con la pelle; ed Ace guardò il soffitto bianco per un po', con la luce che filtrava di poco dalla finestra lasciata socchiusa, e poi chiuse gli occhi, respirando piano piano, con la bocca semiaperta, e sospirando.



"Qualcuno stava bussando? O era la sua immaginazione?", pensò piano, infastidito e con una smorfia per via di quel frastuono continuo: quello sbattere contro il legno, che di sicuro si trattava del portone principale, lo aveva destato davvero in modo poco consono per i suoi canoni; beh, a pensarci, era abituato a peggio: con le urla del suo fratellino. Sbuffò, stanco e senza voglia prima di scattare in piedi con slancio ed energia, trasalendo con il cuore e trattenendo il fiato perché non sapeva che ore fossero, però si calmò l'istante dopo, realizzando che mancasse ancora un'ora e qualche minuto alle cinque, ma il che significava che aveva dormito davvero tanto. Ascoltò ancora il bussare frenetico e forte, come il suo cuore per la paura di aver fatto tardi, e così decise di scendere e andare a controllare, preferendo far smettere quel suono così inopportuno che gli ronzava nella testa; decisamente non era stato un risveglio aspettato, ma comunque una buona e tempestiva sveglia.

-Finalmente.- ghignò Teach quando la porta gli si aprì da davanti, ignorando la faccia assonnata e le palpebre decadenti del moro più giovane, che sbadigliava senza freni, portandosi una mano alla bocca ogni volta però.

-Mhmgm... Teach...- brontolò cupo, portando una mano lungo il fianco e inclinandosi di poco con esso per permettere alla mano di intrufolarsi all'interno del borsellino blu che teneva attaccato ai pantaloni. Cacciò la 'roba', consegnandogliela senza cura, lanciandogliela come se fosse stato un pacchetto di sigarette, per poi tendere la mano in attesa del contributo, che non tardò ad arrivare, sul suo palmo ancora aperto.

-Grazie, 'amico'.- ringraziò falsamente, più devoto a ciò che teneva in mano che a colui che gli è l'aveva consegnato prima di andare via, con quella camminata goffa.

Ace borbottò con una smorfia di stizza e gli occhi assottigliati, e poi sospirò, sbadigliando ancora e tornando dentro, ricordandosi dopo, in quel momento, che aveva lasciato la lavatrice al suo lavoro e corse in bagno, trovandola spenta sbuffò, perché non gli andava di sistemare i vestiti, e non era riuscito a mettere nemmeno l'ammorbidente prima che terminasse, come si era premurata di consigliargli Robin tempo fa; comunque, gli toccava mettere in ordine e così li tolse e li portò sullo stendino che era sul balcone, in soggiorno; lo usavano poco, così dovette alzare la tapparella, strizzando gli occhi e guardando la luce del sole come se fosse stata la prima volta, portandosi una mano sulla fronte per deviare i raggi, che, sentiva, così potenti; prima di aprire la finestra e uscire, organizzando gli indumenti umidi che si assicurò di stringere per far uscire l'acqua, e poi si diresse di nuovo in bagno, mettendo nuovi vestiti nella lavatrice. Finito tornò sul letto, distendendosi per cinque secondi prima di rialzarsi e recarsi in auto, più perché non era sicuro che sarebbe riuscito a svegliarsi in tempo, dopo. Si recò dove Marco e Thatch abitavano, e si fermò nei parcheggi sotto quella casa, rimanendo immobile all'interno, non sapendo se uscire per andare ad avvisarli del suo arrivo, ma magari, essendo presto gli avrebbero detto di tornare dopo; e poi, per la fretta si era dimenticato di darsi una rinfrescata, e dallo specchietto retrovisore si capiva che si era svegliato proprio da poco, sia dai capelli più scompigliai del solito, sia dagli occhi opachi, e, cosa più importante, non voleva farsi vedere così da Marco, soprattutto da lui e in quel modo. Sbadigliò e decise di mettersi alla ben e meglio contro il sedile, che però non poteva reclinarsi. Lasciò che il capo si adagiasse contro lo schienale, con l'intenzione di aspettare l'orario dell'appuntamento; si sarebbe orientato con le campane della chiesa in piazza che echeggiavano per le strade aperte, visto che la radio nella sua 500, rossa era rotta da un bel po'.

Peccato che la narcolessia lo colpì, di nuovo, e lo costrinse a cadere nell'ennesimo colpo di sonno; ed Ace sorvolò su un pensiero fondamentale: che era lì proprio perché avrebbe dovuto incontrare Marco, e quindi, lui lo avrebbe visto con quel tono sonnolento.



-Thatch, sei tornato? Hai fatto in fretta... Non puoi lasciare lo studio senza dire nulla, se vuoi che ti aiuti a ripassare, almeno un'ora al giorno... Ace? Perché hai Ace sulla spalla?- si alzò dalla sedia, Marco, avvicinandosi e squadrando l'amico che teneva il moro come un sacco di patate, senza troppa cura.

-L'ho visto dalla finestra che dormiva all'interno della macchina, così ho pensato di portarlo qui.-

-Okay, fin qui potevo arrivarci anch'io... Ma come lo tieni!- esclamò risentito, adagiando una mano sul capo del ragazzo con dolcezza, che penzolava di faccia davanti al petto del castano, sempre sorridente. -Perché dormiva in macchina?- sussurrò pensieroso, poi; e con sguardo serio.

-Magari stava per venire qui, ma la narcolessia lo ha attaccato alle spalle.- fece scherzoso. -Comunque, lo tengo così e non si lamenta, quindi.- ironizzò, con un sorriso furbo ed occhi curiosi, in attesa di vedere la mossa dell'altro che non attese molto ad agire.

-Dai a me.- disse, prendendo il più giovane con cura, e portandoselo in braccio; tenendogli le gambe con una mano, e la schiena con l'altra si apprestò ad avvicinarsi al proprio letto, per poi lasciarlo lì, rimboccandogli le coperte e sorridendo nel vedere quel volto assopito e rilassato.

-Oh, come sei dolce. Mi nascondi qualcosa, Marco?- chiese mellifluo, sorridente, affiancandosi a lui mentre l'altro accarezzava il volto di Ace con le dita.

-Non penso proprio.- disse lui, tranquillo.

-Avanti, a me puoi dirlo.- ridacchiò. -Ti piace, eh?-

-Non penso di avere nulla da dire, ora andiamo.-

-E lo studio?- sorrise scaltro, continuando a ridere sotto i baffi.

-Andiamo.- ribadì, e si avviò verso la porta, portandosi dietro anche Thatch per permettere ad Ace di dormire tranquillamente.



Socchiuse gli occhi, mugugnando piano prima di voltarsi su un lato, sfregando il naso, dolcemente contro il tessuto soffice del cuscino e sospirare, perché era caldo; si stava davvero comodi su quel materasso fuori dai suoi canoni, era più denso e morbido del suo in spugna, o forse era l'impressione. Sorrise, appagato di quel contatto, le coperte erano anche pesanti e rimboccate fino al suo volto, ci si poteva affondare per quanto le sentisse rigonfie e grandi, forse era un'imbottita. "Aspetta..."; Ace aprì un occhio, guardandosi intorno curioso e stralunato, "Da quando ho l'imbottita?"; lasciò vagare gli occhi, scoprendo di trovarsi in una stanza celeste e decorata: piena di scaffali sopra una grande scrivania; due librerie ripiene, un grande armadio e un'altro che si trovava sopra al letto su cui era lui in quel momento.

-Ma cos...- si mise seduto con una mano nei capelli, confuso, scrutandosi attorno ancora una volta e con più chiarezza, per poi soffermarsi un attimo ad ammirare l'animaletto all'interno di una gabbietta bianca, su un pilastro dello stesso colore, ma molto raffinato nella struttura. Arrivava all'altezza del davanzale della finestra su dove il pappagallo si posava con lo sguardo, con le zampette su quel bastoncino verticale all'interno della gabbietta.

Ace allora decise di alzarsi, avvicinandosi piano e a tentoni, tenendosi, con una mano, contro la parete, con fare lieve e pacato, non volendo disturbare il piccolo pappagallo, davvero concentrato sul panorama che si proiettava all'orizzonte. Era bello, con quel piumaggio azzurro che lo circondava, e giallo sulla coda, sulle punte delle ali, e sulle due piume che sbucavano dalla chioma, e con un becco affusolato e lungo. Lo scrutò a lungo prima di allungare curiosamente un dito, che attraversò le sbarre prima di giungere in prossimità di quel candido manto zaffiro. Si sorprese, sospirò e sorrise nel vedere come si lasciasse accarezzare con cura, anzi, sembrava desiderarle con avidità quelle coccole; non se lo aspettava, e osservò come muoveva la testa sul suo dito con fare amorevole, ma poi puntò i suoi occhietti su quelli di Ace, e forse non riconoscendolo come il suo padrone lo beccò sconvolto, per poi allontanarsi verso la fine del bastoncino appeso a mezz'aria con la stessa fretta che fece il dito del moro per uscire dalla gabbia.

-Ahio...- mugugnò piano, portandosi il dito alla bocca per poi guardare il pennuto che sembrava fiero del suo gesto, si pavoneggiava, per poi guardarlo con tono di sfida. -Scusa.- mugugnò lui, togliendosi il dito tra le labbra e allontanandosi nel momento esatto in cui il pappagallo affondò la testa nel petto, chiudendo gli occhi.

Ace sbuffò, ma almeno fu sollevato che non uscisse il sangue dall'indice, aveva solo lasciato il segno: era riuscito a togliere il dito prima che il pappagallo affondasse per bene il becco nella sua pelle. Scrollò le spalle indifferente e si avvicinò alla porta, con l'idea, ormai sfumata, che fosse tutto un sogno: il dolore ricevuto al dito non lo aveva svegliato, ergo, quella era la realtà. Quindi gli restava solo una domanda a cui rispondere: Dov'era?

Uscì dalla stanza, ritrovandosi all'interno di un lungo corridoio che si collegava ad altre e varie stanze, e dove, alla fine, vi erano delle scale che portavano ad un possibile, e anche abbastanza ovvio, piano inferiore; in più, il soffitto era così distante, da farlo sembrare una formica. Sentiva molte voci partire da lì sotto, così iniziò ad incamminarsi, lasciando che la mano scivolasse su quel scorrimano, liscio e bianco, arrivando così al primo gradino; guardò quelle scale che si curvavano come a formare un cerchio, ma che scendevano e si fermavano al terreno, fondendosi con esso. Raggiunta la fine si studiò attorno, individuando un ingresso sul davanti, un corridoio che portava ad un'enorme cucina, a destra; almeno, notava che fosse più ampia dai due oblò sulla porta a due ante; e poi, a sinistra, c'era un altro corridoio che conduceva ad una specie di salone che conteneva la maggior parte dei ragazzi, più un'enorme e lungo tavolo, e varie poltrone e divani, arredato con tappetti, quadri, scaffali, vasi, tende e un balcone in fondo. Era enorme, per non parlare che continuasse a sentirsi una formica se alzava il capo verso il soffitto, decorato da un enorme ed elegante lampadario. Incurvò il capo da un lato, avvicinandosi piano verso la porta, enorme anche quella; lì tutto lo era, enorme come se ci abitasse un gigante, anche le scale di prima, ma il termine adatto era scaloni per come fossero ampi.

Giunse sulla soglia e rimase ad osservare da lontano, nascosto dall'accesso della porta, scrutando tutte quelle persone messe assieme che festeggiavano, e alcune che cantavano. E in quel momento che si rese conto di dove si trovasse; aveva puntato lo sguardo sulla poltrona più grande rispetto alle altre, e dominata dalla figura imponente del fantomatico Barbabianca, sembrava essere alto il triplo di un essere umano, quasi un gigante; un volto allungato dai capelli corti e biondi, con dei baffoni lunghi a forma di mezzaluna e rivolti verso l'alto, bianchi. Era davvero muscoloso tra l'altro, con una giacca bianca da capitano sulle spalle che gli faceva da mantello, arrivando fino alle caviglie, anche se in quel momento era seduto e quindi era ripiegata più volte su se stessa, sul pavimento. Lo guardò passarsi il dorso di una mano sulla bocca, per asciugarsi le labbra visto che aveva appena finito di bere da una grande ciotola lasciata, ora sul tavolo, e poi adagiare l'arto sui pantaloni color panna, dove vi era legata alla vita una fascia viola, e ai piedi teneva degli stivaloni neri. Certo, si disse; si era addormentato fuori dai dormitori dell'università, quindi, per suon di logica, qualcuno lo aveva portato dentro... L'unica domanda, si chiese, era, chi? E perché?

-Ace!- urlò festoso, Thatch, arrivando da dietro di lui e facendolo sobbalzare.

Ace, nel sentirlo scattò sul posto, voltandosi per poi indietreggiare, ma nel farlo entrò nella sala che stava spiando, finendo al centro dell'attenzione di tutti... purtroppo: lui non era il tipo da stare al centro dell'attenzione.

-Ti sei svegliato, eh?- rise il castano, avvicinandosi.

Ace si sentì imbarazzato, però almeno, la vicinanza di Thatch lo rincuorò un po', in mezzo a tutta quella gente che lo squadrava come se fosse un alieno arrivato da chissà quale nuovo pianeta mai scoperto.

-Ehm, sì.- disse piano, continuando a guardarsi attorno e infilando le mani in tasca come per cercare di sembrare naturale e neutrale, come suo solito e come era abituato ad essere.

-Sai, io e Marco stavamo ripassando ed io ero vicino alla finestra. Nel vedere la tua macchina mi sono incuriosito, così sono sceso e, vedendoti dormiente ti ho portato in camera di Marco. Ti abbiamo lasciato riposare lì perché era meglio del sedile dell'auto. Ora che sei sveglio possiamo andare alla mostra, fammi chiamare Marco, ma prima vieni, ti faccio conoscere nostro padre.- spiegò senza fretta, prendendo il moro per il polso e trascinandolo verso l'enorme poltrona, sempre sorridente.

-E' questo moccioso chi è, Thatch?-

-Lui è Ace, te ne avevo già parlato.- esclamò, lasciando che il vecchio ricordasse prima di continuare. -Lavora nel bar dell'università.- disse infine, guardando poi il diretto interessato che in fretta si chinò con fare rispettoso, e in segno di saluto.

-Piacere di fare la vostra conoscenza.- esclamò cordiale ed educato, aspettando un po' prima di rimettersi dritto e guardare il vecchio ridere, che cacciava dalla bocca le sillabe che formavano un "Guararararara!" infinito e simpatico, ma che lasciò confuso Ace: perché rideva?, si chiese.

-Sei ben educato, vedo.- commentò il vecchio, sorridente.

-La ringrazio.- disse il moro, squadrandolo per capire da dov'è che si vedeva che fosse un padre. Ma era solo un uomo come tanti altri, a parte la statura, constatò. Ace allora non capiva, perché tutti quei ragazzi tenevano a lui tanto da chiamarlo 'padre', e perché lui li chiamava 'suoi figli'?

-Oh, ehi Marco!- si voltò ad un tratto, il castano, nel notare il biondo tra la folla che studiava il moro accanto con attenzione e con un sorriso.

Ace era un po' troppo confuso, non capiva ancora perché si fosse sbellicato in quel modo quel vecchio, così lo ignorò, ma senza dargli le spalle per educazione, e si dedicò al biondo che si era avvicinato a loro, salutandolo. E sorrise imbarazzato, ascoltandolo parlare poi con il castano di qualcosa che non riuscì ad udire bene per via della musica che era tornata più forte di prima in quella sala. Ma respirò con calma, più felice della sua presenza, e guardandosi attorno ancora una volta accorgendosi che, ormai, nessuno lo stava calcolando più, ma poco gli importava; sorrise ancora quando Marco e Thatch gli si avvicinarono di più, con il castano che gli scompigliò i capelli in modo dolce.

-Ti è piaciuto dormire nella stanza di Marco?- volle sottolineare, come se desiderasse farglielo capire maggiormente, con il soggetto della frase che assottigliò gli occhi, sentendo come se volesse infierire fin troppo, anche se in modo positivo, sperava.

-Sì... S-stanza? M-Marco? C-cosa?- comprese sorpreso, Ace, arrossendo vistosamente.

-Già, ti ha messo lui lì per farti stare comodo.- spiegò, sempre sorridente prima che Marco lo fissasse torvo, dandogli di nascosto una lieve gomitata.

-M-mi ha messo... L-lui... Vuol dire che...- farfugliò ad occhi sgranati prima di riprendersi e sussurrare: -Ohm, g-grazie.-; con le pupille che vagarono verso il pavimento, sorridendo come un'ebete nel sapere quella notizia; magari significava qualcosa, che Marco provava un sentimento per lui, e questo lo rese davvero felice, con il cuore che palpitò forte.

-Oh, avanti. Che c'è Marco? Non vuoi che...- fece Thatch alla risposta di quel colpo al fianco dell'amico, ma non riuscì a finire che il biondo gli piantò una mano sulla bocca, tappandogliela prima di sospirare e guardare il moro che non sembrava connettere con il mondo, impegnato più a fantasticare su chissà cosa, e Marco addolcì lo sguardo per come fosse tenero con quel sorriso pieno di aspettative e di fantasie.

-Ace, se vuoi possiamo andare.- iniziò a dire, il proprietario del suo cuore, lasciando la presa sulle labbra del castano che sorrise di più per gli sguardi vibranti e vivi di entrambi.

-Oh, certo.- si riprese, un po' imbarazzato per essersi assopito nei suoi pensieri. -Ma abitate tutti qui?-

-Sì, ci sono stanze per tutti, e poi ci raduniamo qui, in questa sala.- spiegò il castano, indicando il pavimento con l'indice, che rappresentava tutta quella stanza.

-Beh, allora ci vediamo dopo papà.- salutarono i due, diretti verso quel gigante che non aveva tolto lo sguardo dal moro nemmeno per un momento, studiandolo; e questo non aveva dato fastidio al più giovane solamente perché non se ne accorse nemmeno, impegnato più verso il comandante dal volto di frutta.

-Arrivederla signore.- continuò ad essere cordiale, Ace, seguendo poi i due, ma stando il più possibile vicino a Marco, cercando però di non darlo a vedere. -Mhm, ma che ore sono?-

-Cinque e mezza.- rispose il biondo, controllando velocemente l'orologio sul muro prima di uscire dalla porta, posizionandosi davanti all'auto, e aspettare il proprietario della 500 prima di salire, mettendosi sul sedile davanti come l'altra volta.

-Grazie.- disse piano, con Thatch dietro che gli scompigliò i capelli giocoso, mettendosi comodo.



Erano arrivati, e le persone intorno erano davvero parecchie, scrutavano e studiavano ogni particolare di quelle creazioni, dalle navi ai robot, tutti lasciati con cura all'interno di uno spazio proprio, con dei divisori che non permettevano di passare oltre. Quelle persone dovevano essere molto interessate per come fossero concentrati, e per come commentavano.

-Super!- esclamò ad un tratto il ragazzo con la muscolatura promettente sulle braccia, che si mise nella sua solita posa, avvicinandosi poi, ad Ace con un sorriso. -Che bello vederti qui, amico mio.-

-Ciao Franky!- ricambiò contento. -Vedo che c'è gente, immagino che ne ricaverete molto.- disse.

-Super!- esclamò energico, facendo qualche passo di danza prima di commentare. -Come sai, la maggior parte andranno ai più bisognosi. E, se vuoi, posso dare un contributo anche a te e Luffy, così potrai riposare. Ti vedo così spossato, più del solito e...-

-Sì, su questo ne parleremo in un altro momento, per favore. Ma non penso che mi serviranno più avendo un lavoro, è servono a gente più bisognosa. Grazie.- chinò il capo in segno di rispetto verso il ragazzo che decise di cliccarsi il naso e far spruzzare i capelli in aria come tanti raggi di sole, laterali, sorridendo energico; ma aveva capito, è questo bastava ad Ace.

-Ace.- si avvicinarono i due, rallentati dalla visione di alcune opere dietro di loro. -Quei robot sono mitici, li hai visti?-

-Mhm. Oh, sì.- disse nel rivedere quei macchinari, per poi inquadrare Thatch che aveva parlato. -Oh! Lui è Franky. Franky, loro sono Marco e Thatch, sono studenti dell'università dove lavoro.- spiegò al ragazzo che commentò con l'ennesimo "Super!", ma con più forza, forse riconoscendo il primo nome pronunciato, e mettendosi sempre in posa.

-Piacere.- esclamò il castano, porgendogli la mano mentre Marco restò in disparte, ad osservare il moro con serietà, perché aveva ascoltato.

-Felice di fare la tua conoscenza, hai davvero stile nelle tue creazioni.-

-Super! E' bello conoscere gli amici di Ace, è un tipo simpatico il mio amico, e lo siete anche voi. E grazie per il complimento!- ridacchiò, dando una pacca sulla sua spalla ad entrambi per poi guardare il moro.

-Già, è simpatico ma dorme troppo.- esclamò il castano, facendo ridere entrambi mentre il diretto interessato sorrise divertito.

-Guarda che è bello dormire.- brontolò allora, Ace in difesa della sua narcolessia, volendo per lo più scherzare.

-Ah ah.- rise ironico, Thatch, scompigliandogli i capelli.

Ace lo lasciò fare, guardando poi, di sottecchi, il biondo che non sembrava voler dare la sua partecipazione in quel momento: ascoltava.

-Oh, Iceberg! Super! Ho pensato di creare un pavimento che si riscalda: sarebbe bello, sarebbe comodo d'inverno, e ovviamente ho pensato anche a dei portoni che, appena si avvicina il proprietario, si aprono in automatico, per dare un tono di accoglienza maggiore!- esclamò ad un tratto, richiamando l'attenzione di un uomo dai capelli azzurri che continuava a coccolare un topo nel taschino, annuendo poi alle parole dell'amico che si allontanò dopo aver salutato Ace e i suoi amici.

Ricambiarono, i tre; e, il moro a quel punto, un po' rosso in volto, decise di avvicinarsi di più a Marco, sorridendogli e indicandogli la porta che conduceva ad un'altra sala di sculture.

-Vi va se andiamo a vedere quelle?- chiese.

-Mhm, okay. Però, non vi dispiace se vi raggiungo dopo? Devo andare in bagno.- esclamò Thatch, sorridente, e dopo che Ace annuì strizzò l'occhio a Marco con fare scaltro, allontanandosi.

-Ah.- sospirò il biondo, capendo bene i pensieri dell'amico che era appena fuggito per lasciarli soli.

-Che c'è?- chiese Ace con fare innocente. non capendo.

-Nulla, andiamo.- sorrise poi, Marco, lasciando che la mano scivolasse piano sulla sua guancia prima di incamminarsi, stando a fianco a lui; ridendo piano per come diventò rosso, più di prima.

-Ahm, ehm, ecco, io...- respirò un attimo, elaborando meglio le parole prima di esporle nel momento seguente, dopo essere arrivato davanti ad una piccola nave pirata, ma abbastanza grande da essere chiamata nave e non zattera. -Questa l'ho costruita io insieme ai miei fratelli, sai?- sorrise, anche se lì mancava il Jolly Roger, nascosto da Luffy da qualche parte in camera loro; stonava vederla senza, ma era molto preziosa quella bandiera, e Luffy non se ne sarebbe mai separato, e nemmeno lui.

-Ah sì? Volevate essere pirati?- disse Marco, studiando quella nave in legno, poteva salirci perfino lui, o forse solo lui; ma può darsi che, tre bambini, ci stessero una meraviglia. La ispezionò con gli occhi, e si fermò nel notare sulle travi, al fianco destro, le iniziali "ASL". -Hai un altro fratello, eh... Chi è S? E' la stessa iniziale che porti sul braccio...-

-Lui è... Mhm, ti piace la nave?- cambiò discorso, guardando quelle travi, alcune un po' storte, altre spezzate, ma, messi nell'insieme formavano la fiancata, e così anche il resto; era perfetta nella sua imperfezione, in quei danni sapeva essere forte e sapeva essere una nave. Una meravigliosa barca che rappresentava la loro voglia di essere vivi e liberi.

-Sì, è bella.- comprese che non gli è ne volesse parlare, e preferì non approfondire l'argomento, guardandolo di sottocchio sorridere malinconico nel guardare la propria opera, magari perso nei ricordi.

Ace sospirò, decidendo poi di cambiare pensieri, di farsi vedere più positivo e, sorridendo, tornò a guardare il biondo con enfasi, ma svanì subito dopo quel sentimento, mutato con un'espressione di sorpresa e di imbarazzo nell'attimo in cui la mano calda e morbida del ragazzo si adagiò sulla sua guancia tiepida.

-Ehm, M-Marco?- balbettò confuso, guardandolo in quegli occhi così decisi in quel momento, sembravano ardere di una determinazione propria, che volevano appagare ad ogni costo. -F-forse dovremmo andare a vedere se Thatch sta bene, n-non è ancora tornato dal bagno...- balbettò, e non capì; gli piaceva come Marco lo guardava, e come lo toccava, però voleva che la smettesse. E non sapeva se dar retta alla voglia di fuggire o alla voglia di restare, anche perché, lui non scappava mai. Ma in quel caso non stava lottando, poteva fare un'eccezione, pensò.

-Thatch sta bene, tranquillo.- sussurrò pacato, chinandosi sempre di più con il collo, e lentamente, con fare quasi sensuale; sempre più verso le labbra semiaperte del più giovane che iniziò a respirare frenetico. Gli accarezzò la guancia delicatamente e con il pollice, Marco; ormai vicino al suo volto, così tanto che il respiro agitato del più giovane lo sentiva sulla propria pelle.

Il lentigginoso respirò a fondo, bramando quelle labbra sulle sue e aspettando che il breve distacco che gli separava si annientasse del tutto, ma poi si ridestò nel sentire dei bisbigli, dei sussurri che parlavano di lui, della gente che stava intorno e che gli stava guardando; e così la magia finì, ed Ace fece una smorfia tra il diniego e il dispiaciuto; e quindi scattò di un passo indietro con fare impacciato, funesto, e imbarazzato. Abbassò il capo in fretta, pieno di angoscia, nascondendo gli occhi dalle ciocche e guardandosi intorno, scrutando quelle persone che lo guardavano male, conoscendo bene la sua fama, e lasciò crollare le spalle sotto il peso di quelle espressioni e di quelle parole che, sussurrate, a mala pena sentiva, anche perché abituato di quei giudizi. Non poteva, non poteva fare questo a Marco; non a lui! Si meritava di meglio. Se finiva con il frequentare uno come lui, la gente lo avrebbe giudicato male, guardato con diffidenza come facevano con lui; non voleva questo, e poi, Marco non avrebbe di sicuro sopportato una cosa del genere e lo avrebbe lasciato in un attimo, con il risultato che avrebbe sofferto il doppio, era meglio non cominciare qualcosa che sarebbe finita in partenza. Forse sarebbe stato meglio chiuderla definitivamente lì, smetterla di averlo come amico visto che non riusciva a celare i suoi sentimenti nemmeno a se stesso.

-Perdonami, ho capito male io.- disse il biondo, risvegliando il moro con quelle parole; e togliendo la mano dal suo volto, ignorando che nel farlo lasciò uno strano e amaro vuoto dentro Ace. Marco lo guardò con rammarico, fraintendendo la smorfia e il comportamento di poco fa con disgusto e non per negazione.

Calò un silenzio imbarazzante tra i due, ed Ace preferì restare a capo chino senza guardarlo, non lo meritava, non meritava di incrociare quegli occhi così perfetti e buoni con lui. "Mi dispiace." Avrebbe voluto dire, ma continuò a rimanere in silenzio, con occhi vacui e mogi; non avrebbe voluto nemmeno questo, ma ormai il danno era fatto..., rifletté, mordendosi un labbro inferiore.

-Ehi!-

Trasalì nel sentire una mano attaccarsi di colpo sulla sua spalla nell'istante in cui quelle parole entrarono nelle sue orecchie, con troppo rumore anche per via della vicinanza. Alzò il capo, il moro, incrociando gli occhi allegri e il sorriso di Thatch, in contrasto con la situazione attuale, con il silenzio cupo di Marco; e il proprio isolarsi.

-Ciao...-

-Beh, cosa sono quelle facce?- ridacchiò forzato, indicando poi la nave. -E' molto bella.- si congratulò con il moro che annuì, ringraziando; non connettendo con il cervello appieno, altrimenti gli avrebbe chiesto come facesse a sapere che l'aveva fatta lui, solo per poi capire che avesse origliato per tutto il tempo; ma non ebbe quest'intuizione e tornò ad isolarsi, a distanziarsi mentalmente da quei ragazzi, sentendosi in colpa per aver fatto soffrire Marco.

-Io vado a fumarmi una sigaretta.- esclamò ad un tratto il biondo, recandosi fuori; ed Ace provò a fermarlo, ma risultò solo un'idiota boccheggiante che non riusciva a far trapelare nemmeno una sillaba dalle labbra.

-Oh.- fece una smorfia, Thatch, guardando l'amico andare via; e sospirò prima di voltarsi verso il moro. -Mhm, vado da lui. Aspettaci qui.-

Ed Ace osservò come anche il castano se ne andò, lasciandolo solo, accanto alla sua creazione, e in mezzo a quelle persone che erano tornati a criticare, guardandolo male e standogli lontano come se fosse un mostro. Sospirò, ignorandoli e si chinò, accarezzando la prua della sua nave; Franky gli aveva promesso che se ne sarebbe preso cura, e che poteva riprendersela quando voleva, e gli è ne era davvero grato, soprattutto perché la teneva in quella specie di museo. Sorrise, chinando poi il capo e stringendo la presa sul legno con un senso pieno di rimorso e di rottura, qualcosa che, spezzandosi nel suo petto, si perse nel vuoto; e mordendosi poi, il labbro inferiore per quello che fosse appena successo, e a quello che aveva perso: Marco.



-Tutto bene?-

-Lascia stare, Thatch. Non ne voglio parlare, e poi, hai visto tutto da te.- brontolò, già con la sigaretta accesa in bocca, e gli occhi che scrutavano il cielo che si stava oscurando per far spazio alla notte.

-Ehehe... Sì, lo ammetto: vi ho visto. Ed è per questo che ti posso dire che ci stava! Solo, lo ha frenato qualcosa, magari vai troppo veloce per lui.- cercò di dire allegro, per tirargli su il morale, e dandogli una gomitata amichevole.

-Mhm.- cercò di acconsentire, ma solo per farlo andare via; voleva stare un po' solo a pensare.

-Allora, che so, potresti invitarlo alla tua festa. Magari viene, e poi, lì per lì... eh?- disse malizioso, gesticolando e facendo intendere che poteva sfociare l'amore, disegnando nell'aria un cuore.

-Nemmeno tu fossi Cupido...- commentò ironico, Marco, facendo un mezzo sorriso perché era difficile tenere il muso al castano, e poi, quell'idea non era male, forse.

-Su, è un ragazzo gentile e a modo. Non puoi saltargli addosso quanto e dove ti pare.-

-Primo, non gli stavo saltando addosso. Secondo, è stato lui ha 'saltarmi addosso' la prima volta. Terzo, cosa più importante, vedi di non spiarci più.- esclamò, voltandosi verso di lui dopo aver fatto un tiro con la sua sigaretta, tenendola tra due dita, vicino alle labbra.

Thatch rise forte, tenendosi lo stomaco e scuotendo il capo con fare sconsolato, per poi calmarsi e guardare l'entrata della casa con fare intrepido.

-Andiamo, non facciamolo aspettare.-

-Sì.- sospirò, gettando all'aria il fumo dalla bocca per poi buttare, nell'apposito cestino, nel vialetto coperto di verde, il mozzicone di sigaretta dopo averlo spento, entrando all'interno di quel luogo e tornando davanti alla nave, peccato che non trovarono nessuno.

-Ohm, sarà andato in bagno?- si chiese Thatch, con Marco che scrollò le spalle con uno sguardo risaputo, quasi ad aspettarselo un atteggiamento così dal moro. -Ehi, Franky! Per caso hai visto Ace?-

-Super! Cercavo proprio voi!- sorrise quello, avvicinandosi pimpante. -Mi ha detto che aveva degli impegni, così è andato via, e mi ha chiesto di avvisarvi, e che vi chiedeva scusa per l'inconveniente.-

-Oh, ma noi eravamo fuori e non lo abbiamo visto uscire.-

-Certo che no! E' andato sulla porta sul retro, reca direttamente ai parcheggi.- spiegò contento, sempre con un tono di voce alto ed energico.

-Okay, ti ringrazio.- disse Marco, cordiale per poi sospirare appena il proprietario di casa si allontanò, diretto verso un gruppo di persone, forse suoi amici.

-Oh, peccato.- commentò Thatch, cercando di far uscire una voce dispiaciuta, mal celando dal tono che avesse inteso che fosse una bugia, perché era ovvio che se ne fosse andato per colpa di quello che fosse successo con Marco.

-Andiamo.- asserì il biondo, iniziando ad incamminarsi verso la porta, di nuovo.

-Come? Perché?- si fece confuso il castano, non capendo i suoi piani, ma lo seguì comunque.

-Ho intenzione di andare a casa di Ace, gli chiederò scusa per ciò che stavo per fare.- borbottò deciso, uscendo solo dopo aver messo un benevolo contributo all'interno della scatola delle offerte all'ingresso, imitato dall'amico che sorrise alle sue parole.

-Bene.- si limitò a dire, Thatch, fiero della decisione di Marco di non voler demordere, o lasciar perdere quel ragazzo così facilmente, perché, ne era convinto, Marco non si sarebbe limitato a delle scuse; o, almeno, sperava.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro