Padri.
Marco, Marco, Marco, Marco... Perché non se lo toglieva di dosso? Oh, era stanco di pensare a lui. Era da ieri, da quando il biondo era uscito dalla stanza dell'ospedale lasciandolo in quel lettino, anche se per poco visto che era scappato; che non faceva altro se non pensare ai suoi occhi e a quel volto gentile, dedicato tutto a lui, o almeno ci sperava, con un sorriso lieve sul volto. Si adagiò, Ace, di petto sopra al bancone nella sua postazione, guardando il luogo desolato in cui si trovava con un broncio tenero e annoiato. Gli mancava; ecco, lo aveva detto... Ma gli mancava troppo! Cioè: voleva vederlo, voleva sentirlo, voleva toccarlo... Arrossì, scuotendo il capo e tornando seduto sul proprio sgabello, scuotendosi per le spalle prima di toccarsi le medicazioni, accarezzandole sulle dita con una piccola smorfia, dovuta al non volerle avere, e invece era sempre ferito. Era riuscito a farsele cambiare da Chopper per fortuna, e si era fatto medicare anche le nuove cicatrici dovute a ieri sera, a cui rivolgeva pensieri di terrore misto a puro rancore e rabbia; invece Nami si era ancora lamentata, aveva protestato nel non vederlo con addosso quel completo che lui odiava, e aveva anche osato affermare che ci stesse bene!, rifletté con fare, quasi offeso e oltraggiato.
Digrignò i denti, dedicandosi più alle parole della ragazza invece che ai brutti ricordi, o alla faccia scura di Luffy nel vedere; appartati in un angolo desolato del recinto a muro, chiuso, del liceo, quelle ferite profonde e che sembravano crepare la sua pelle come quando si rompe una finestra tirandogli contro un pallone; ma più allontanava questi scrosci tristi di vita, più il cervello gli è li trasmetteva in modo forte e vivido. Certo, calmare la renna era stato difficile, era rimasto molto sconvolto a quella visione, quasi quanto Luffy; e meno male che era riuscito a pulire il pavimento, lavando le prove incriminate prima che il minore, arrivando dal liceo, scoprisse quanto sangue il suo corpo avesse gettato fuori in una sola notte, ieri. Se si concentrava, anche se non voleva, poteva ancora udire il suono di quella fibbia imbattersi, infrangersi su di lui, quel suono cupo e forte, secco, fuso alle proprie urla, ai suoi gemiti che erano sovrastati dalle risate macabre e oscure di quell'essere, di quel mostro. Quanto, quanto lo odiava, pensò, stritolando, tra i pugni chiusi, i lembi dei suoi pantaloncini, trattenendo il fiato senza udire più nulla al di fuori della sua testa.
Tornò alla realtà, per quanto reale potesse essere, e scrutò il mondo oltre la terrazza del locale con fare curioso e malinconico: c'era un sole così bello quella mattina, da far venir voglia di lasciare tutto e correre per distendersi su quel prato che si stava godendo i raggi di quell'immensa stella alla faccia di tutti loro; ed il giorno passava davvero piano poi; nulla di euforico, nessun Thatch con cui parlare o ridere, nessun cliente da accontentare... Nulla di nulla. Nemmeno Lucci era venuto a controllarlo, però lo aveva intravvisto prima di presentarsi a lavoro, quindi dovrebbe saperlo che, lui stava lavorando: si erano guardati entrambi prima che il tizio con il piccione andasse per la sua strada; e quel volatile, Ace se lo sentiva: dentro di sé, quello lo sbeffeggiava; lo capiva dal suo volto, o forse era solo la stanchezza che lo faceva rimbambire fino a tanto.
Strizzò gli occhi, dandosi dell'idiota perché quello era solo un piccione, e iniziò a dondolarsi sullo sgabello, stando attento: non poteva cadere e rischiare di rompere qualcosa. Però, c'era noia nell'aria. Incredibile da dire, ma gli mancava l'ansia. Almeno lo teneva un po' vivo, ora invece: troppa calma; quasi come essere dentro l'aroma di una camomilla, gli provocava sonnolenza, e non gli faceva sentire niente. E infatti finì per addormentarsi, colto dalla narcolessia, che non lo avrebbe mai lasciato; almeno poteva recuperare il sonno perduto di quella mattina, svegliato presto grazie alla sveglia che era la voce squillante di Luffy, e che lo appagava e lo ripagava per ogni cicatrice che si prendeva.
-Buongiorno. Sai, se eri stanco potevi rimanere in ospedale, o a casa.-
Socchiuse un occhio, sbadigliando e destandosi con calma, perché la voce non era stata aggressiva, ma soffice e pacata. E mentre mise a fuoco la vista e l'udito, alzando lo sguardo riconobbe Marco, e sorrise lieve, felice di poterlo rivedere dopo ieri. Era contento, perché non voleva pensare alle cose brutte, e quindi nemmeno a come, il biondo, avesse paragonato il loro bacio della festa; decise solamente di godersi la sua presenza.
-Buongiorno.- salutò. -No, io devo lavorare; e poi, casa è l'ultimo posto in cui vorrei essere.- sbadigliò, portandosi una mano alla bocca, ancora assonato altrimenti non avrebbe mai detto tali parole con tanta sincerità, non se ne accorse nemmeno.
-Tutto bene?- chiese Marco, facendo il giro per raggiungerlo all'interno della postazione, con uno sgabello in più in mano su cui si sedette, assimilando le sue parole di prima con attenzione e curiosità.
-Ehm, sì... Sì, oggi mi sento bene.- ammise senza pensarci troppo, con la sonnolenza ancora presente sui suoi occhi, velati e opachi.
-Ho pagato l'ospedale comunque.- gli fece notare, Marco, non potendo che pensare, dopo quelle parole dette dal moro: "E gli altri giorni no?". Voleva sapere tutto di lui, conoscerlo nei minimi particolari, e voleva capire, ancora, chi gli avesse fatto del male; era un pensiero fisso che lo deconcentrava da tutto, rimaneva solo quell'enigma: era una cosa importante che doveva sapere. Magari, se approfittava bene di quel momento di sincerità, poteva estrapolare qualcosa con astuzia.
-Oh, okay...- mugugnò lascivo, alzando il capo e facendo per prendere un bicchiere d'acqua prima di sgranare gli occhi e voltarsi verso il biondo, al suo fianco, di scatto. -Cosa? Perché?-
-Perché andava pagata.- rispose il biondo, con sufficienza.
-Ah, già... Avevo dimenticato di farlo. Però, perché lo hai fatto tu?- mormorò piano, con fare innocente come un bambino, e le pupille frementi di curiosità dirette a lui.
-Potevano denunciarti.- sorrise Marco, guardando con piacere quegli occhi densi di dispiacere. E così si era dimenticato; i dottori avevano pensato lo avesse fatto a posta ad andarsene perché Marco sarebbe tornato; invece, Ace era un bravo ragazzo, anche troppo educato, pensò tra sé. Non lo avrebbe mai sfruttato, concretizzò più contento.
-Beh, non vedo come la cosa poteva interessarti. Non dovevi pagare...- borbottò piano, abbassando le spalle, triste. -Quanto ti devo?-
-Nulla.-
-Davvero? Perché?- si sorprese, tirandosi su con la schiena. -Sei sicuro?-
-Perché mi fa piacere aiutarti. E sì, sono sicuro.- gli scompigliò giocoso i capelli, facendolo arrossire un po'. -Ascolta, ti avevo preso un fiore. Volevo dartelo ieri, ma eri già scomparso.- disse scherzoso.
-Spero ti piaccia.- esclamò poi, cacciandolo dal taschino della camicia verde limpido, quasi sul verde-acqua.
-Un... fiore?- sussurrò il moro mentre si ritrovò davanti un'esplosione di dodici petali azzurri, più chiari, che si andavano a scurire leggermente verso il centro; dai petali lunghi e dalla forma a cuore anche se molto stretti. Era un fiore molto luminoso e simpatico, dava l'idea di un fuoco d'artificio, ma anche di un sole azzurro; era intenso, ed era fantastico.
-E' un Cyanus Segetum, meglio conosciuto come fiordaliso.- spiegò il biondo, scrutando curioso ogni minimo particolare di quel volto sorpreso e meravigliato per capirne le sensazioni; anche se, alla fine, era facile da leggere, Ace.
-Grazie.- sorrise, tenendo il fiore con due dita, dallo stelo, e portandoselo in grembo con cura. -E' il tuo fiore preferito?-
-In effetti, sì.- annuì, guardando come fossero candidi i suoi occhi, decorati da quella spruzzata di lentiggini sottostanti, e quelle labbra che si incurvarono verso l'alto nell'ammirare quel pezzo di natura leggera e che emanava freschezza da ogni petalo. -Il tuo?-
-Oh, facile. Il mio fiore preferito è l'ibisco rosso.- esclamò fiero, sapendo che era quello che sua madre indossava sempre tra i capelli, e a lui era sempre piaciuto, con quel colore rosso vivo, cinque petali grossi e sottili, luminosi e delicati, e il polline che sbucava fuori dal centro, pieno di piccole palline gialle; e il suo odore dolce, suadente e intenso.
-Mhm, sai che il suo vero nome è Hibiscus Rosa Sinensis?- ci tenne ad informarlo, pensando che gli avrebbe fatto piacere saperlo.
-Oh, complicato.- disse lui, osservando i suoi occhi e poi sorridere, inclinando leggermente il capo verso destra. -Però è bello come nome. Comunque, perché sei qui? Hai finito le lezioni?-
-Sì, ho pensato di venire a salutarti, e se non è un problema per te, farti compagnia.-
Gli occhi di Ace si illuminarono ancor di più di sbalordimento, gioia e stupore per quelle parole; pieno di felicità e muovendo frenetico le dita delle mani tra di loro, con ancora quel dolce regalo tra le mani; colto dall'ansia che era tornata e lo aveva colpito come un fulmine a ciel sereno, insieme all'allegria.
-Grazie, e no, non è un problema.- sussurrò, un po' porpora sulle gote. -Ti sei divertito a lezione?- domandò, posizionando le mani sulla base dello sgabello, con le gambe divaricate, e guardando il biondo curioso, tenendo però tra le dita quel dono.
-Sì, tu invece non hai avuto nessuno oggi.-
-Già.- ridacchiò, Ace.
-Però non dormire sulla postazione di lavoro, lo dico perché potrebbero disegnarti qualcosa sul volto.- affermò, sempre tranquillo.
-Oh, grazie dell'informazione. Ci sono già passato al liceo.- si sfregò il capo, imbarazzato. -E che, io soffro di narcolessia. A volte non è colpa mia se mi addormento.- fece un sorriso forzato, di certo non poteva dirgli che era anche dovuto al fatto che dormisse poco per colpa del dolore delle ferite che lo facevano star male, non gli facevano prendere sonno; o lo ridestavano da esso nel mezzo della notte, così cupa e silenziosa in quella stanza dove tutto sembrava cigolare e fuori gli alberi proiettavano le ombre dei loro rami spigolosi, spogli e tetri; e che sembrava volerlo attaccare. Era difficile prendere sonno in un posto angusto come quello, soprattutto se sapeva che il suo aguzzino era a pochi passi da lui, nella stanza a fianco, quindi non doveva emettere alcun suono che lo avrebbe fatto destare. Aveva così paura che si svegliasse che a fatica respirava in quei momenti, perché ogni singolo rumore poteva essere fatale; e, a volte malediceva Luffy, che, anche quando dormiva, non stava mai fermo nel proprio letto, causando il tono delle lenzuola che si sfregavano a contato con la pelle del minore che si rigirava e rigirava, e quello del materasso che strusciava piano. Che fosse stato per un incubo, o perché la posizione che avesse assunto nel letto premeva troppo sulle ferite, Ace si svegliava quasi sempre nel cuore della notte, e non tornava facilmente nel mondo dei sogni, perché non poteva muoversi per cambiare posizione, né sospirare, né alzarsi, né niente; non doveva disturbare nessuno, perché lui era effimero, inutile rispetto alle altre persone: doveva solo prendersi le colpe, le responsabilità e difendere il suo fratellino; fatto ciò, poi diventava inutile. Quindi rimaneva nel letto, a fissare il soffitto e a stringere i denti, cercando di non piangere, e di non pensare alle brutte cose che lo circondavano, e poi, stando lì poteva sentire la voce della solitudine soffiarli sul collo, e le braccia del dolore che avvolgevano il suo corpo come a cercare di consolarlo, ottenendo solo l'effetto contrario, facendolo stridere di spasimo, ma in silenzio per non destare nessuno, nemmeno il buio; non doveva disturbare niente, non ne aveva, e non ne sentiva il diritto. Era difficile però; quando le disgrazie ti capitano, lasciarle andare è complicato, tornano sempre, e quindi, insieme al dolore e alla solitudine, arrivava la sensazione di una felicità mancata e che non sentiva di possedere, che riusciva solo a sfiorare con le dita per un attimo, e poi la vedeva smaterializzarsi e lasciare il posto al mostro che aveva dentro, perché lui era questo lui: era il figlio di un mostro, e a sua volta lo era anche lui.
-A cosa pensi?-
-Mhm?- si ridestò, alzando il capo da terra e guardando negli occhi il biondo che forse aveva commentato qualcosa sulla sua narcolessia, o su altro, e nel non riceve risposta aveva atteso un po' prima di porgli quella domanda. -A... a niente.- disse, prolungando di troppo quella prima parola. -M-mi dispiace, cosa stavi dicendo?-
-Nulla, solo che non pensavo che ne soffrissi.-
Ace annuì, per poi far dondolare le gambe una alla volta, a tempo, cercando però di non colpire quelle del biondo, visto che, notò solo in quel momento, era molto più vicino a lui di quanto pensasse.
-Mi piacciono i tuoi capelli.- disse senza pensarci, arrossendo subito dopo e balbettando per obbiettare su ciò che aveva appena affermato, colto dall'imbarazzo più vivo, e maledicendosi perché avesse iniziato a pensare ad alta voce.
-Grazie.- sorrise il biondo, contento del complimento, prima di ridacchiare e scompigliare la chioma al compagno di fronte. -Anche i tuoi sono molto belli.-
Arrossì, puntando gli occhi a terra e sorridendo, ringraziando a sua volta e tornando a far dondolare le gambe, ma con fare impacciato. Sentiva ancora le dita di Marco sulla sua chioma, perché erano lì, che giocherellavano con quei ciuffi corvini e ondulati, ed erano tanto dolci nel toccarlo, sembravano voler prendersi cura di lui, ed Ace non voleva che lo lasciassero.
-Ehi. Marco, Ace!- entrò Thatch, sorridente come al solito, costringendo così Marco a lasciare la cute del moro per voltarsi a guardarlo.
-Ciao. Finite le lezioni?- chiese il biondo, guardandolo prendere uno sgabello per unirsi a loro.
-Per ora.- annuì, mettendosi vicino all'amico per poi guardare Ace che era rimasto a capo chino, a fissare il pavimento nero come se la mano di Marco non si fosse mai tolta da lui. -Ho interrotto qualcosa?-
-Di che parli? Stavamo solo discutendo.- si affrettò a dire l'amico, ma con tono fin troppo pacato e normale, rabbuiando così Ace per tali parole.
-Ciao Thatch.- salutò allora, il moro, alzando il capo e sorridendogli.
-Ciao, ti vedo meglio rispetto a ieri.- constatò nel guardare e vedere le bende sul petto, dalla camicia aperta; lasciata così per comodità.
Ace annuì, e poi si limitò ad ascoltare, o a partecipare ai loro discorsi, parlando delle lezioni, o di cosa avrebbero fatto quel pomeriggio prima che tornassero a lezione; ma dedicandosi soprattutto a rimirare il volto del biondo di nascosto, lasciando alle ciocche sulla fronte il compito di difenderlo nel momento in cui Marco puntava gli occhi su di lui, di tanto in tanto, e con un sorriso; e in tutto ciò non si accorse nemmeno che il castano sorridesse perspicace, come se avesse capito tutto più di loro.
Sistemato il bucato, tolto la tavola, pulito per terra, stesi i panni puliti e poi stirati, e tolta; dopo giorni che era sopra la lavatrice senza un motivo sensato, la padella; si distese sul materasso, affondando la testa nel cuscino. Solo un occhio sbucava fuori dal tessuto così gonfio, puntandolo contro la finestra che era alla sinistra del letto, e si domandò perché quella stoviglia si era trovata in bagno, forse Luffy l'aveva presa dalla cucina nel vederci dentro del cibo e l'aveva lasciata in quel luogo nel mangiarci di nascosto, o chissà, forse per altro, forse l'aveva lasciato lì suo 'padre', e forse Marco avrebbe riso nel trovarsi in un bagno con un tegame sulla lavatrice. Ace sbuffò, piantando la fronte sul tessuto sottostante: cercava troppo di pensare a tutto, anche a qualcosa di stupido come una padella, gli bastava non pensare a Marco, però il pensiero ricadeva sempre su di lui; non poteva farci niente, e non lo sopportava, anche se lo amava: odiava averlo nella testa, ma adorava averlo lì; era fin troppo contraddittorio.
-Ace!- l'urlo acuto del fratello minore lo raggiunse anche dal secondo piano, e mugugnò con voce impastata: non era riuscito nemmeno a dormire per cinque minuti.
-Ace! Allora, andiamo? Sanji ci aspetta!- ridacchiò dopo aver salito le scale per raggiungere il maggiore che borbottò qualcosa. -Come ti senti?-
-Bene, non ti preoccupare.- si affrettò a chiarire, tranquillo, mettendosi seduto di colpo. Non voleva che suo fratello si preoccupasse, ed era ovvio che lo facesse dopo aver visto i tagli profondi sulla sua schiena quella stessa mattina, ma magari li vedeva sempre, quando scendeva a prenderlo e lo portava di sopra in modo silenzioso, forse piangendo, forse stringendolo forte in un abbraccio per stragli più vicino e per dargli forza. Di sicuro, per Ace non era facile, ma non lo era nemmeno per Luffy, anche se sorrideva, se rideva, se era forte per dare forza al maggiore, se era incoraggiante per incoraggiare l'altro, se era vivo per farlo vivere. Come sempre, erano in due a stringere i denti, ed erano in due a lottare e a resiste; insieme, sempre.
-Okay. Oggi Sanji ci ha preparato le lasange, e tanta, tantissima carne!- esclamò con gioia, prendendo il braccio del maggiore, ancora seduto sul letto, e trascinandolo verso la porta, funesto.
-Ehi, ehi. Calma!- protestò Ace, ridendo nel mentre e lasciando che Luffy lo portasse verso la meta, permettendogli però, di infilarsi i suoi scarponi neri prima di uscire. -Si chiamano lasagne, comunque.- lo corresse, ridacchiando.
Si adagiò contro lo schienale, guardando il soffitto e sbuffando: voleva Marco. Possibile che gli mancasse così tanto? Ma, soprattutto, quel senso di mancanza, lo sentiva essere dovuto al fatto che non lo avesse completamente: erano a malapena amici. Si rabbuiò al pensiero, ignorando i balli e le urla di Franky che si scatenava, facendo divertire gli altri, oltre che con i passi, anche con le sue varie acconciature di capelli che cambiavano con il solo toccare il naso grigio e metallico, che, in realtà, si era rivelato essere un pulsante.
-Ehi, Ace.- si sedette accanto a lui, Robin, con in mano un frullato ed un nuovo libro nelle mani. -Cos'hai?-
-Penso...- iniziò, indeciso se parlare o meno mentre si aggregò anche Nami, con un frullato di un diverso gusto, accompagnata da Sanji che adulava come sempre, entrambe le ragazze. -Ecco, credo di essermi innamorato...- brontolò, arrossendo di poco a tutti i commenti che gli piovvero addosso come coriandoli; e temendo un commento in particolare che non tardò ad arrivare, e infatti pronunciato dalla ragazza dai lunghi e mossi capelli arancio:
-Che bella notizia! E chi è la fortunata?-
-Ecco, il fatto è che...- ingoiò un groppo di saliva a stento e poi continuò, sperando che il loro giudizio o la loro felicità non sarebbe svanita nel sentire: -E' un lui.-
-E dov'è il problema?- ridacchiò Robin mentre Sanji adagiò un vassoio di dolci, che teneva in mano già da prima, sul tavolo in cui erano raggruppati.
-Ah.- sospirò deluso per quella domanda, ma non perché li vedeva contenti della notizia, anche più del sottoscritto, ma perché: -Non penso che provi lo stesso, tanto meno di essere alla sua altezza.-
-Phf, non dire cavolate: è lui quello che non è alla tua altezza se non capisce il tuo valore.- esclamò Nami, con orgoglio. -Devi farcelo conoscere, dobbiamo ispezionarlo per bene.- esclamò poi, ma con tono fin troppo deciso.
-Ohw, Nami-swan! Sei così dolce quando ti preoccupi degli altri!- esclamò, Sanji, volteggiando su se stesso con fare innamorato, e le mani sul cuore.
-Grazie.- sorrise sincero, il lentigginoso, osservando in lontananza Luffy che gli piombò addosso come scagliato da una fionda.
-Ehi, Ace! Franky ha costruito un nuovo robot! Dobbiamo andare a vederlo!- seduto, saltellò sulle gambe del maggiore frenetico, e felice.
-Luffy!- ruggì Nami, colpendo in testa il minore con un ponderoso pugno. -Stavamo avendo una discussione seria!- protestò.
-Un nuovo robot? Davvero?- scattò invece, Ace, beccandosi anche lui il pugno in testa. -Cosa c'è?- brontolò, massaggiandosi il punto dolente con una smorfia di disappunto.
Nami sospirò, calmandosi, o provandoci, mentre Robin ridacchiava e Sanji si sedette per appurare al meglio la situazione, con Luffy che era caduto a terra per il colpo ricevuto, guardando il soffitto con una smorfia.
-Come si chiama?- tornò in sé, Nami, guardando Ace, che arrossì sorridendo, ripensando alle sillabe che componevano quel nome prima di rispondere:
-Marco; è uno studente dell'università dove lavoro.-
-Chi? Ti sei fatto un amico? Voglio conoscerlo!- esclamò Luffy, mettendosi seduto sul pavimento di botto, a gambe incrociate e sorridente come al solito.
-Ecco, non siamo proprio amici...- iniziò a dire, Ace, ma il minore si issò in piedi e, non ascoltandolo nemmeno, iniziò a dire che, il giorno dopo, sarebbero andati tutti insieme a trovarlo a lavoro per incontrare questo fantomatico ragazzo.
-Luffy, domani non possiamo saltare la scuola: abbiamo verifica.-
-Oh.- brontolò lui in risposta alle parole della voce gentile di Robin, abbassando le braccia e lasciandole dondolare con tristezza e depressione.
-Avete verifica? E tu sei preparato?- si affrettò a chiedere, Ace, guardando il minore annuire fiero.
-Robin e Sanji mi hanno aiutato.- espose gaio.
-Vi ringrazio.- li sorrise, grato, voltandosi verso i due, Ace.
-Lo aiutiamo sempre e volentieri.- rispose la ragazza in questione, mentre Sanji borbottò qualcosa con una smorfia, riguardo al fatto che l'attenzione di quel ragazzo fosse pari a quella di una scimmia.
Ace annuì a Robin, per poi lasciarsi trascinare ancora dal minore che lo costrinse ad alzarsi dal divanetto attaccato al muro, e, afferrandogli il polso, si incamminarono insieme, con Franky e Usop che gli attendevano sulla soglia, seguiti anche da Chopper, e poi da tutto il resto del gruppo, verso la casa dell'amico dalla capigliatura azzurra brillante.
Il robot che aveva costruito Franky non era male, anzi, era pieno di accessori, dettagliato in ogni particolare, decorato di mille colori ed era anche enorme. Ace sorrise: era incredibile come loro andassero in una scuola solo per il diploma e poi, fuori dalle lezioni si dedicassero al loro vero interesse; ognuno ne aveva uno: Sanji la cucina, Robin l'archeologia, Zoro l'arte della spada, Franky e il suo lavoro da carpentiere, Nami con la sua geografia, Chopper con la medicina, Brook la musica, Usop il disegno, e Luffy con il suo voler sempre vivere nuove avventure.
Si distese di schiena sul prato, osservando il cielo che aveva iniziato a scurirsi; non era preoccupato per Luffy e gli altri, cioè, sì, mentre stavano andando da un'altra parte si era perso, però sapevano che era normale e non c'era nessun problema: sapeva orientarsi sempre meglio di Zoro, e forse si era smarrito anche lui. Chiuse gli occhi per riposare un po', assaporando il sapore di erba fresca, sentendo il vento gelido e vivo lasciargli un lieve torpore sulle guance, e poi scompigliargli i capelli sulla sua fronte prima di mettersi il proprio cappello a coprirgli gli occhi con un lieve sbuffo. Era così indeciso: doveva essere felice o no? Insomma, non poteva dire che la sua vita fosse perfetta, né bella, però aveva Luffy, aveva... Aveva Luffy.
Marco, pensò Ace, spostando di poco il copricapo dopo aver aperto gli occhi e riversandoli nel cielo che si era ricoperto di stelle in un attimo; Marco era, era... Per Ace era e valeva tanto, ma Marco non provava le stesse cose, e non le avrebbe mai provate per uno come lui. Thatch era un buon amico, era gentile, però non era sicuro che fossero, che avessero davvero un legame di amicizia, nemmeno con il biondo. Lui, non era un tipo facile con cui rapportarsi del tutto, perché la maggior parte dei dubbi e delle debolezze se le teneva dentro, era complicato, però era anche allegro; era un tipo che si chiudeva in se stesso, ma che amava festeggiare e stare in compagnia; aveva quei momenti in cui si perdeva nel buio dei ricordi e della tristezza, e poi c'erano quei momenti in cui veniva posseduto dalla vita e viveva; lui era... era complicato; e magari non c'era cosa più bella, o forse no. Chi lo sa, si chiese.
Ed ecco di nuovo la postazione di lavoro, wow. I giorni volavano più scattanti di una fenice, realizzò tra sé e sé, e anche con più dolore, rifletté nel sentire la schiena bruciare, e la pelle, a contatto con la camicia, stridere, pizzicare e corrodersi quasi. Era fastidioso, ma di più la realizzazione che: la vita iniziava ad essere monotona. Sospirò, guardando e girando le pupille un po' ovunque, con lo sguardo rivolto verso l'alto con fare annoiato e stanco, e le spalle accasciate contro la parete, seduto su quello sgabello ormai noioso; sembrava un drogato ipnotizzato dal soffitto, con le iridi assenti e le occhiaie gonfie e scure. Ieri sera, per poco non si era addormentato su un prato nel completo gelo, però Luffy era passato di lì, lo aveva visto, lo aveva svegliato, o meglio, gli era saltato addosso, e poi erano tornati a casa; aveva guardato suo 'padre' in quei centimetri di differenza che lo facevano sembrare una montagna, e aveva attutito il colpo di quello schiaffo arrivato sulla sua guancia sinistra in mezzo all'oscurità, che lo aveva scaraventato contro quel muro, ormai pieno di crepe fatte in tutte le volte in cui il suo corpo si era andato a spiaccicare contro di esso, quel muro che aveva resistito con più coraggio di Ace a tutti i colpi ricevuti negli anni. Il moro aveva continuato ad incassare, e aveva sentito le nuove ferite bruciare, e quelle vecchie, che non avrebbero mai, forse, avuto occasione di guarire completamente, riaprirsi, farsi più grandi e profonde; e, il sangue scorrere, sporcare le bende e i vestiti e ogni cosa che toccava o lo toccava, in un attimo; e poi aveva perso conoscenza, non resistendo più. Magari aveva sbagliato, probabilmente la sua vita era sempre stata monotona; o forse lo era perché sbagliava qualcosa lui, ma, in fondo, lui era un errore.
Quella mattina aveva faticato a mettersi in piedi, come aveva faticato a muoversi, a respirare, e a cercare di non ricordare; ma i flash della notte vissuta precedentemente erano tornati con violenza e funesti, e lo avevano colpito come un assedio di frecce sulla schiena, ed era crollato; non in presenza di Luffy, ma lo aveva fatto. Non aveva pianto, quello mai: aveva stretto i pugni, in ginocchio, a terra, mordendosi il labbro inferiore mentre sentiva la spina dorsale coperta di tagli e il corpo coperto di lividi; e il letto, oh quel letto: lo aveva visto rosso come il fuoco, e intenso come se qualcuno ci avesse gettato una secchiata di vernice fresca. Aveva subito cambiato lo sguardo, diretto al pavimento su dove si trovava, e poi era corso in bagno dopo che il minore era tornato, cercando di non farsi vedere da lui in quelle condizioni oscene. Non era nemmeno riuscito a nascondere quella visione del materasso agli occhi innocenti di Luffy, che aveva cercato, piantandosi davanti alla porta del bagno, di convincerlo a restare a casa a riposare, affermando che avrebbe mandato il caro dottore renna ad aiutarlo, e che, per Chopper non sarebbe stato un problema: dava sempre precedenza ai pazienti. Ace non aveva risposto, era rimasto muto, lavandosi e poi uscendo, portandolo al liceo senza aprire bocca.
Ed ora era lì, con le ferite bendate alla ben e meglio dal sottoscritto in quel piccolo bagno; perché farsi medicare per la terza volta di fila da quel caro animaletto avrebbe potuto far nascere dei sospetti, o preoccupazioni che non voleva davvero generare. Ed era lì, alla sua postazione di lavoro, dietro il bancone dopo aver servito e servito da qualche ora, forse due, ai tavoli; non era abbastanza lucido, ed era troppo pieno di sonnolenza che gli dava un senso di pigrizia che gli impediva di alzare il capo per controllare l'orologio sopra di lui. Però diede un'occhiata veloce in giro con le pupille, ancora; squadrando i clienti che avevano iniziato ad andare via, diretti ai loro corsi, ma la sua visuale venne interrotta da una sagoma grossa e scura, con la camicia aperta che dava una triste visuale sulla sua enorme pancia ricoperta di peli, che arrivò dinanzi a lui in un colpo solo da farlo sussultare piano.
-Ehi.- rise gaio, con quello sguardo maligno e ghignante, e quegli occhi che brillavano di una luce tutta loro e intensa, che Ace non riusciva a decifrare.
-Ciao Teach.- mormorò nel riconoscerlo, ascoltandolo ridere in quel suo modo, così bizzarro.
-Ascolta, ho bisogno di altra roba. Ci vediamo questo pomeriggio al vicolo vicino casa tua.-
Non gli lasciò il tempo di assimilare appieno quelle parole, né di controbattere, né altro che scomparve com'era apparso. Ace sbatté le palpebre, confuso, e poi decise di non pensarci più, tanto aveva afferrato quello che voleva: non era un mistero. Dopo aver appurato le parole che indicavano il luogo decise di concedersi alla narcolessia, e si addormentò adagiando la guancia sinistra contro il bancone, dando le spalle al terrazzo. Tanto lì, per lo più, c'erano ragazzi molto rispettabili che non avrebbero mai approfittato di quel momento, soprattutto per non intaccare la fama e la rispettabilità del loro cosiddetto 'padre', l'unico intacco era che potevano fargli degli scherzi mentre dormiva, ma avrebbe rischiato, doveva recuperare il sonno perduto a tutti i costi, per riprendersi.
C'era un ticchettio continuo, e davvero fastidioso anche se pacato e dolce, sulla sua mente. Mugugnò contrariato, cercando di farlo smettere con tale grugnito ma nulla. Provò a scuotere piano il capo, senza però cambiare posizione o muoversi troppo; sentì una risatina in risposta, e poi di nuovo quel ticchettio frenetico sulla tempia che lo costrinse a strizzare gli occhi e generare una smorfia sul suo volto prima di aprire le palpebre.
-Ed eccolo qui, il nostro Ace. Sempre dormiente; allora è vero che soffri di narcolessia.-
La voce era familiare, ma non era Marco, quindi, ipotizzò si trattasse di Thatch. Mugugnò affermativo a quelle parole, per confermare, e rimase con il capo riverso su un lato, e gli occhi fissi contro il davanzale in marmo del bancone su cui si era adagiato.
-Ciao Thatch. Te l'ha detto Marco?- borbottò con tono impastato, lasciando che le ciocche della sua capigliatura sbarazzina invadessero la sua fronte, ricadendo sugli occhi e sul naso lateralmente.
-Mhm, sì.- lo sentì annuire, e forse si sedette sullo sgabello perché udì un cigolio, o forse due, oltre quel muro che li divideva.
-Oggi ti vedo meno arzillo del solito. Merito della narcolessia o della stanchezza vera e propria?- volle informarsi curioso, adagiando i gomiti sul bancone per tenersi il mento, sul ripiano superiore prima di piegare un braccio e iniziare ad accarezzare i capelli del moro con dolcezza.
-Penso entrambe...- mormorò, ancora con la voce di uno che era nel mondo dei sogni, ma tranquillo, anche perché si era coperto con una camicia, anche se leggera, che permetteva di coprire anche la vista delle bende, ma sempre a maniche corte. Ascoltò il tocco di quelle dita e sorrise, non erano come quelle di Marco, si notava la differenza dal diverso odore, dal diverso contatto al tatto, dal senso di calore, e perché, semplicemente lo percepiva dentro, ma era comunque bello, tanto da farlo sorridere.
-Oh.- commentò alla risposta del moro prima di esaminare, nel proprio pensiero, le possibili idee da esporre. -Ascolta, noi oggi pomeriggio andremo a vedere le nuove creazioni della famiglia di Franky, non so se lo conosci, ma ti andrebbe di venire?-
-Già viste.- mormorò con poca enfasi, Ace, ricordando di esserci andato ieri e di averle ammirate tutte, un po' come al solito; ed era stato fantastico, però, ora era stanco, altrimenti lo avrebbe affermato con più gioia. E infatti, ora che ci pensava, quel giorno c'era la mostra, o qualcosa del genere; la facevano ogni tanto, e forse gli è lo aveva anche accennato, ieri, Franky.
-Come?- chiese sorpreso, il castano, visto che sapeva fossero inedite.
-Beh, ecco, Franky è un mio amico, cioè, è un amico di mio fratello, e ieri siamo andati a...- sbadigliò, strizzando un occhio nel mentre prima di continuare, respirando piano. -Con tutto il gruppo del mio fratellino siamo andati a vedere la mostra prima degli altri, lo facciamo spesso...-
-Oh, chissà che bello. Ma non farci spoiler. Però, tu non hai amici tuoi?- si affrettò a chiedere, scettico, parlando sempre al di fuori di loro due.
-No, io... Preferisco stare per i fatti miei, e poi non sono bravo in queste cose, quindi non credo di avere amici...- mormorò, iniziando però a svegliarsi e, nell'assimilare meglio le parole del castano dette poco fa, si fece stranito, perché lui continuava a parlare come se, con loro, ci fossero altre persone intorno.
-Così ci offendi.- asserrì risentito, anche se il tono era per lo più scherzoso.
-Come?- e a quel punto si costrinse a puntare gli occhi sul castano, non vedendo però nessuno intorno la curiosità aumento, insieme alla confusione, indeciso se alzare il capo o rimanere ancora un po' in quella posizione così comoda, disteso con il capo sul ripiano inferiore, con ancora la mano di Thatch che lo coccolava.
-Noi tre siamo amici.- affermò con orgoglio, scompigliandogli i capelli con quella mano che non sembrava volerlo lasciare, e al moro non dispiacque.
-Davvero?- sussurrò senza farsi sentire, o forse lo pensò, mentre si mise seduto composto, sbadigliando ancora e stropicciandosi un occhio, notando solo in quel momento che, in tutto quel fragrante, con quei "Noi." qua e là, e l'ultimo "Noi tre.", Thatch intendeva anche Marco, che si trovava a fianco al castano e osservava Ace con un sorriso.
-Ciao.- lo salutò, il biondo, felice.
-Ciao.- ricambiò, in fretta, e con forse troppa enfasi per uno che era ancora nel dormi-veglia.
-Ma come? A Marco fai un sorriso tanto raggiante, e a me niente?- parlò, con fare oltraggiato, il castano, e facendo arrossire il moro che temette, per un attimo, che, a quelle parole, Marco avesse capito cosa provava per lui, ma non sembrò variare lo stato d'animo del biondo quel commento, o il proprio imbarazzo, né nulla, forse perché non c'era nulla da capire, e così si rilassò, anche se un po' dispiaciuto prima di ridere impacciato alle parole di Thatch per non lasciarlo in sospeso.
-Stavo scherzando comunque; però vorrei conoscere questo tuo fratellino, sono curioso.-
-Okay, promesso.-
-Ci conto.- strizzò un occhio, iniziando poi a sgranocchiare le noccioline dentro la ciotolina bianca. -Ma dimmi, non ti fa freddo? E' da un po' che siamo entrati nella fase Autunno, e tu ti vesti sempre leggero.-
Sì, in effetti doveva andare a controllare se in soffitta ci fosse qualcosa della sua misura, di solito, nei cambi stagione gli indumenti li depositava lì; era passato un anno, magari era cresciuto e non gli sarebbero andati alcuni vestiti, quindi sarebbero passati al minore. E, ora che notava meglio, quel giorno l'aria era rigida e il vento imperlava nella natura, e si rese conto che anche Thatch fosse vestito con indumenti un po' pesanti, anche se sempre con il solito abbigliamento di pantaloni lunghi e camicia bianche, a ricordare che, il suo ruolo, era quello di cuoco; anche Marco non indossava più pantaloncini, però la camicia la teneva sempre aperta, sempre a maniche lunghe. Invece Ace teneva sempre tessuti leggeri addosso, e con le braccia e gambe scoperte.
-Non ancora.- rispose pacato, grattandosi una guancia lentigginosa e allungando la mano per far compagnia al castano nel suo sgranocchiare cibo gratis, sotto gli occhi di Marco che non sembrava voler altro che non fosse poter stare così vicino al moro e poterlo guardare in ogni suo particolare, ignorando che il sentimento fosse reciproco, anche se Ace evitasse di farsi scoprire quando lo osservava mentre discuteva con lo chef.
-Sicuro di non avere freddo?- tornò all'argomento, il biondo, con fare apprensivo e lasciando un gomito sul bancone, ricevendo una scrollata lieve del capo da parte del moro che significava 'no'.
-Beato te.- borbottò Thatch, rivolgendo la sua attenzione completamente alle noccioline con fare languido e affamato, facendo ridacchiare il più giovane.
-Però, sì, se l'offerta è ancora valida mi piacerebbe unirmi a voi.- iniziò a dire, senza nascondere nella voce un tono speranzoso, volendo andare davvero con loro per quella volta.
-Ma sicuro, che domande!- esclamò contento e fiero, con gli occhi di Marco che si fecero radiosi e vivi prima che allungasse poi una mano verso la capigliatura del moro con fare rassicurante, e dire:
-Ci fa piacere averti con noi.-
-Grazie.- sorrise, arrossendo ancora e senza volere, mentre si sentì avvampare per quelle parole.
-Possiamo vederci verso le diciassette di pomeriggio, okay?- disse il castano, che rideva sotto i baffi nel vedere quei due e i loro modi di fare per stare sempre vicini, solo per Ace; per poi finire le noccioline e alzarsi soddisfatto, distanziandosi un po'. -Ora che abbiamo fatto tutto, possiamo andare.-
-Andate via di già?- chiese, cercando di imporsi in un tono curioso e non dispiaciuto, riuscendoci male.
-Sì, abbiamo lezione. Ma torniamo dopo, fatti trovare sveglio.- ridacchiò Thatch, ironico, lasciando che il biondo si allontanasse per primo, e poi si avvicinò in fretta al bancone per sussurrare al moro: -Ti devo ringraziare, e solo merito tuo se Marco mi ha concesso il privilegio di venire al bar.-
Ed Ace lo guardò allontanarsi in fretta con una faccia interrogativa, osservandolo parlare poi, con fare frenetico e con un sorriso forzato, forse alla ricerca di una scusa per le domande che il biondo gli rivolse con faccia seria, magari volendo sapere cosa si fossero detti in quel modo così sottile e misterioso; e il moro non comprese appieno: cercò di sentire, spalancando di poco gli occhi e allungando il collo per provare a percepire cosa si stessero dicendo, peccato che si avviarono fuori e poi scomparvero tra la folla degli altri ragazzi. Sospirò e scrollò le spalle, non capendo il perché di quelle parole dette da Thatch, però decise di concentrarsi di più sul fatto che avrebbe passato il pomeriggio con loro, e non vedeva davvero l'ora, e sarebbero anche tornati da lui, quindi, più felice di così non poteva essere Ace, in quel momento.
Okay, iniziava ad annoiarsi, pensò. Ed Ace si guardò intorno, in quel locale di nuovo vuoto e silenzioso mentre fuori le nuvole coprivano il cielo e oscuravano il sole; il tempo era davvero rigido e cupo, e pensare che Ace sperava migliorasse visto che doveva uscire con i suoi nuovi amici. Sorrise a quel pensiero, in piedi a spazzare un po' visto che il suo turno era finito da qualche minuto.
-Ciao di nuovo!-
-Oh, ciao.- sorrise, voltandosi a guardarli entrare dalla porta del terrazzo.
-Vuoi una mano?- domandò Marco, pacato, avvicinandoglisi.
-No, ho quasi finito.- disse, fremendo un po' mentre strinse con ambedue le mani il manico della scopa, imbarazzato e timoroso, ma anche felice di quella vicinanza improvvisa, lo aveva praticamente difronte, con quei centimetri in più che li separavano e lo costringeva ad alzare leggermente gli occhi per inquadrare i suoi. Era carino, pensò con un sorriso, rosso in volto.
-Allora, ho saputo che non abitiamo molto lontano.-
-Come?- lo risvegliò, Thatch, con quelle parole.
-Marco mi ha detto che tu abiti solo a qualche isolato in più, ed io e lui siamo coinquilini.-
-Beh, penso sia molto più di qualche.- commentò il moro.
-Però, se ci organizziamo potremmo venire insieme all'università.- propose contento.
-Ehm, sarebbe bello, ma io di solito mi fermo ad accompagnare Luffy al liceo.- disse, andando a posare la scopa pensieroso; non poteva rinunciare a quel gesto: passare tempo con Luffy, anche in macchina per parlare e discutere e ridere era bello, ed Ace adorava quei momenti.
-Luffy? E' questo il nome di tuo fratello?- domandò Thatch.
-Sì, lo conosci?- domandò, magari lo aveva incontrato alla festa.
-No, però si sente molto parlare di lui. Si dice che è un tipo simpatico e con un carattere tutto suo.-
-Eh, sì.- riconobbe vere quelle parole, sapendo però che, alla fine, le persone ci mettevano sempre un "Al contrario di suo fratello, quel delinquente.". Ma pazienza, a lui importava solo che Luffy stesse bene.
-Visto che hai finito, andiamo? Possiamo andare tutti a casa con la tua macchina, tanto ci stiamo.- sorrise il castano.
-Beh, sì.- annuì, seguendoli fuori e chiudendo la porta dietro di sé; tanto perso nell'avere Marco vicino da non capire cosa avesse accettato; e forse era proprio per quella mancanza di attenzione che il castano ne aveva approfittato.
-Ora che ci penso, quanti anni hai?- chiese Thatch, affiancandolo da un lato mentre Marco fece altrettanto dall'altro.
-Diciotto, voi?-
-Eh, noi siamo un po' più grandi di te di due anni.- rispose lui, sorridente. -Sei venuto qui subito dopo il diploma, come mai?-
-Beh, per pagare il liceo a mio fratello.- rispose, guardando il castano; ed era preferibile a guardare il biondo, lo imbarazzava troppo avere i suoi occhi addosso, anche se lo adorava al tempo stesso, e pregava non smettesse mai.
-Sì, questo me l'ha detto Marco, però, a questo non potevano pensarci i tuoi?-
Trattenne il fiato, irrigidendosi ma dando comunque l'ordine alle gambe di continuare all'andatura dei due, cercando di rilassarsi. Non pensava che non sapessero, cioè, suo padre era conosciuto per quello che faceva nei bassi fondi, ma forse la gente preferiva non parlarne più dopo tanti anni; invece, la morte della sua amata madre era passata in secondo piano a molti, lei era gentile, ma la fama di suo marito la rendeva un soggetto da evitare comunque, quindi, alla sua morte, davanti alla sua tomba, c'erano solo lui, Sabo e Luffy; e il prete, nessun altro. Se ne era parlato, tra la gente, per qualche giorno, con falso rammarico, e poi si erano dimenticati di lei. Quanto odiava le persone così.
-Beh, lui non lavora.- sussurrò con poco orgoglio nella voce, mantenendo lo sguardo dritto, ma puntando gli occhi al terreno, non riuscendo nemmeno a chiamarlo 'padre', ma solo perché non lo meritava, però riuscendo comunque a contenersi dal non usare un altro termine più scurrile.
-E nemmeno tua madre?-
In quel momento, Ace, anche se non voleva, provò un profondo odio verso Thatch, come odiò quella domanda. Digrignò i denti e si morse un labbro, stringendo i pugni e mostrando un po' di remissione nel rispondere; a capo chino, non sapendo però se loro notarono tale difficoltà o meno. Desiderava omettersi dal rispondere, e invece le labbra si mossero autonomamente.
-Mia mamma è morta... tanto tempo fa.- sussurrò in fine, con occhi vacui, verso il pavimento. Le mancava come la prima volta che comprese, il giorno dopo, a mente più chiara e non offuscata dalle lacrime e dal dolore, di non poterle più parlare, e di non poter più vedere il suo sorriso che gli infondeva vita, uguale a quello di Luffy: le mancava.
-Oh, mi dispiace. Non volevo fartelo ricordare.- esclamò subito Thatch, dal tono davvero dispiaciuto, adagiando una mano sulla spalla del più giovane che annuì, sempre a sguardo basso e mogio.
-Tutto bene?- chiesero all'unisono i due, ed Ace decise di tirarsi su di morale, alzando lo sguardo e annuendo convinto, solo per poi rendersi conto di essere arrivato davanti alla sua macchina, nel parcheggio, senza accorgersene.
-Sì, sto bene.- rispose, cacciando fuori le chiavi dalla tasca e, incredibile da dire ma voleva ringraziarli, e lo fece anche, appena furono tutti in macchina.
-Grazie? E per cosa?- si fece confuso Thatch, che si era messo nei posti dietro, lasciando a Marco quello davanti a posta, ma Ace stava rimuginando troppo nella sua mente per accorgersene.
-Era da tanto che non pensavo a lei, ricordarla mi fa piacere, anche se fa male. Ho sempre paura di dimenticarla.- confessò, uscendo dal parcheggio.
-Aww! Ma che tenero che sei!- lo prese in giro, stuzzicando la sua chioma con la mano e ridendo.
-Tenero?- ribadì a quel punto il moro, oltraggiato e voltandosi verso destra per ribattere, trovando però Marco le parole gli morirono in gola, senza accorgersi dello sguardo malizioso del castano, dietro.
-Allora, ti andrebbe di parlarci un po' di lei?- chiese il biondo, pacato e con un sorriso mentre passò la mano sulla sua chioma.
-Ohm...- mormorò rosso mentre entrò in strada, diretto verso l'incrocio dove l'altra volta si erano separati; era indeciso, doveva parlare?
-Era dolce e gentile, sempre pronta a sostenere me e Luffy, ci voleva bene; ed era un'ottima madre... Ho cambiato e porto tutt'ora il suo cognome in sua memoria.- finì, sorridendo fiero, non sapendo nemmeno se quelle erano le parole giuste per descriverla, forse non erano abbastanza sopraelevate; voleva fargli capire che sua madre era perfetta, la migliore.
-Devi andarne fiero.- constatò il biondo, gentile, guardando come i suoi occhi brillassero, e scintillarono nell'udire la sua voce. Marco sorrise, con Thatch che continuava a ridere sotto i baffi prima di indicare dove svoltare per non stare troppo in silenzio, dicendogli dove andare.
-Sì.- rispose, Ace, seguendo le parole del castano fino a raggiungere la loro casa e fermandosi sotto al portone, realizzando solo in quel momento che si trovavano dietro l'università, e davanti a lui vi erano gli appartamenti dell'edificio scolastico. Si fece confuso, osservando oltre il parabrezza l'enorme casa piena di finestre e di cinque piani, dalle mure bianca e candide, e con alcuni balconi qua e là; a tratti sembrava più una casa, e forse lo era. Però continuava a non capire, se era così vicino perché gli aveva indicato la strada più lunga? Gli avevano fatto fare il giro più lungo, passando per il vicolo da dove aveva visto Marco svanire quella sera, e poi facendolo svoltare, una volta a destra e due a sinistra per farlo tornare indietro, ed ora doveva solo chiedere perché tutto ciò, o perché Marco gli avesse detto che vivevano vicini quando invece non era così.
-Volevamo solo farti vedere dove abitavamo, non è poi così lontana dalla tua, basta solo fare una strada diversa, quindi se vuoi, da domani potresti passare da qui, noi ti aspetteremo.- spiegò il biondo, contento, e passando ancora una mano sulla chioma del moro che arrossì.
-No, no...- scuoté il capo, se evitava di fare quella strada era perché doveva andare ad accompagnare Luffy, e lo aveva anche detto.
-Avanti, il liceo è a due passi da qui se fai questa strada.- esclamò Thatch da dietro, indicando la strada a destra dell'incrocio che avevano a malapena sfiorato: una scorciatoia.
-Oh.- notò nel voltarsi; non ne sapeva nulla, forse nemmeno Luffy. -Beh, ci penserò.-
-Facci sapere.- sorrise il castano uscendo dalla macchina insieme a Marco. -Ti va di entrare? Ti facciamo un po' vedere dove abitiamo, e così ti facciamo conoscere nostro padre!- esclamò, guardandolo oltre il finestrino aperto.
-Non posso, devo andare a fare la spesa e preparare il pranzo. Magari... magari un'altra volta.-
-Allora ci vediamo dopo, qui, e te lo faremo conoscere.- decise quel cuoco, e anche Marco sorrideva fiero.
Sembravano davvero compiaciuti di quel vecchio che avevano come 'padre', pensò Ace, annuendo e mettendo la retromarcia; sarebbe andato, se lo impose, però aveva paura; non voleva incontrare quel Barbabianca. Odiava i padri: erano tutti uguali; se lo sentiva, e lo sapeva; anche se, in realtà, era perché aveva avuto troppe brutte esperienze con le persone che portavano quel termine, quella parola che dava il risultato di: 'padre'.
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