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Omicidio.

Si trascinò ancora un po' più in avanti, disteso sopra quei muretti triangolari di pietra che graffiavano contro la sua camicia rosa; quasi con la voglia di cadere verso il fiume lungo e scorrevole, limpido, da sopra quel ponte. Magari poteva affogare e farla finita. Sì, era meglio...

Ah! Ma perché? Perché Teach aveva dovuto rovinare ogni cosa?, sbottò, con il mento oltre il bordo di quel recinto e divincolandosi con i polpacci in aria, da là sopra, quasi davvero con l'istinto di cadere mentre percepiva ancora le guance bagnate, ma le mani si reggevano con troppa forza contro il contorno del muretto, con le falangi rosse per la pressione, nonostante non le sentisse quasi più; e impedendogli di buttarsi o di provarci.

Lo aveva visto, Ace. Aveva visto lo sguardo incredulo dei suoi amici: gli aveva delusi; lo aveva capito. Volse il capo verso il fondo della vallata, interrotta dalla distesa di acqua cosparsa con qualche macigno. Buttarsi era così veloce e facile, rimuginò; poteva anche sbattere la testa contro una roccia e finirla lì.

No..., socchiuse le palpebre, prendendo un grande sospiro e tirandosi su con i gomiti. Invece si alzò, deciso a tornare a casa, con un sospiro deluso mentre si passò il braccio ad asciugarsi gli occhi con forza e i denti stretti tra loro per non far trapelare nemmeno un mugugno; e successivamente, con i piedi sopra quelle travi di legno, si avviò, lentamente, verso la via di casa. Aveva versato qualche lacrima, ma almeno si era riposato; ora stava meglio.

Ah, ma chi voleva prendere in giro?, pensò, uscendo dal suo ponte personale. Era troppo orribile il fatto che Marco fosse venuto a sapere del suo segreto... Ora avrebbe pensato che fosse un drogato, che era un tipo losco, malvagio o chissà che... Forse anche Thatch! E di sicuro, non avrebbe più voluto essergli amico, nessuno dei due...

Lo avrebbero odiato come tutti!

Come tutti...

Dischiuse gli occhi, arrivando finalmente al portone di quella casa maledetta con disgusto, e afferrandone la maniglia fu pronto a entrarci e a non uscire per un bel po', tenendo perennemente una smorfia, ma imponendo al suo corpo di smetterla di tremare, e lo pretese duramente.

-Ehi, ehi. Amico mio!- ridacchiò euforico, alzando le braccia e fissandolo allegro, anche se non fu ricambiato. -Ti perdono per il pugno di prima, ma in cambio, dammi la droga.- e nel dirlo si leccò il labbro superiore che, a guardarlo, diede ribrezzo ad Ace, voltatosi a fissare il suo interlocutore sconosciuto, ma che si ricredette essere solo quel maledetto...

-Teach.- grugnì con una smorfia. -Idiota bastardo, con te ho chiuso!- fremette, portando una mano in avanti come a gesticolare la fine del loro accordo, se mai c'è n'era stato uno, e lasciando poi stare definitivamente la porta, ancora chiusa, per poterlo aggredire, afferrandolo per i baveri di quella camicia nera dopo aver saltato quei pochi gradini che lo separavano dal vialetto, anche se restò sopra all'ultimo per poter guardare l'altro negli occhi, data la differenza di altezza che li separava di poco.

-Oh, andiamo. Non dirmi che te la sei presa. Era uno scherzo!- commentò, continuando a ridere sguaiato. -Posso pagarti di più questa volta, okay?- ghignò.

Ace si accigliò maggiormente. Quanto poteva essere odioso... Quanto! Non faceva altro che ridere e ridere, con quel sorrisetto del cazzo!, pensò con fastidio, mostrando i denti come se volesse azzannarlo, e infatti ringhiò con un verso cupo in gola, lasciando che le corde vocali tremassero. In quel momento era come un predatore, come una tigre che teneva tra gli artigli la sua preda di cui avrebbe assaporato presto il sangue con goduria. Non era il momento giusto per istigarlo, e Teach lo avrebbe capito. Avrebbe ridotto quel ciccione in fin di vita se solo gli avesse dato un motivo in più, o anche un semplice gesto di fastidio; e se Akainu era in casa e sarebbe uscito, con il sangue alla testa come aveva ora, lo avrebbe ucciso insieme a quel panzone del cavolo! Dannato! Dannati entrambi! Aveva rovinato tutto, Teach! Aveva distrutto la sua amicizia con Marco e Thatch! Se non se ne sarebbe andato, gli avrebbe fatto provare quello che sentiva lui, il dolore che lo stava martoriando, e allora avrebbe finito di ridere!

-Non hai sentito, idiota? Ho finito! Con te! E con la droga! Non ne voglio più sapere! E tieniti i tuoi soldi di merda!- sbottò, spingendolo e facendolo crollare a terra, per la seconda volta quel giorno. -Vattene!- urlò furioso, indicando il luogo da cui era arrivato mentre gli rivolgeva uno sguardo fremente, a denti stretti e ringhianti.

Quel ciccione lo osservò confuso, non capendo. Pensava di divertirsi a dire ai due la verità, non credeva sarebbe stata quella la reazione di Ace, che avrebbe addirittura smesso di dargli ciò che bramava di più. E il suo scetticismo lo si notava dal suo volto, con la bocca spalancata quanto gli occhi, e ancora a terra, così perplesso da non riuscire più a parlare.

-Oh! Hai sentito? Via! Levati dai piedi!- imprecò, con i pugni stretti lungo i fianchi che tremolavano, pronti ad attaccare da un momento all'altro, intanto che scese dall'ultimo scalino con tono ancora più minaccioso, volendo spaventarlo mentre sentiva un fuoco dentro corrodergli l'anima e che gli ordinava di prenderlo e colpirlo, di martoriarlo di colpi senza pietà.

-Oh, su. Cos'è? Ti rode di più che l'ho detto a quei due, o che ti ho stuprato?- ghignò maligno, turbato di essere stato trattato in quel modo da un moccioso che pretendeva di dargli ordini. -Puttana.- terminò graffiante.

-Cosa?- ruggì, stringendosi nelle spalle e allargando le palpebre, con le pupille che si ridussero a due puntini, scossi. No, quello era troppo!, pensò, avvicinandosi con uno scatto e portando indietro una gamba, pronto a sferrargliela dritta in faccia con l'intenzione di rompergli qualche dente in più.

-Fermo, fermo!- due braccia lo braccarono, immobilizzandolo e portandolo indietro il più velocemente possibile.

-Calmo Ace, va tutto bene.- cercò di tranquillizzarlo una seconda voce che si parò davanti a lui, prendendogli le mani chiuse a pugni mentre continuava a dimenarsi ad occhi chiusi, volendo liberarsi.

-Ehi, Marco, Thatch! Che bello che siete qui.- ridacchiò, ricevendo delle occhiatacce dai due. -Siete qui per me, o per la puttana? Credo proprio per la puttana.-

-Taci! Zitto! Non chiamarmi così, bastardo!- fremette, senza smettere di urlare a piena voce, con le corde vocali che tremolavano ad ogni parola, e con le gambe che non la smettevano di scalciare prima che sgranasse gli occhi lentamente e sorpreso, ancora puntati furiosi su quell'essere; ricevendo solo ora l'impulso dei nomi appena pronunciati. -Cosa?- mormorò, alzando di poco le pupille e riconoscendo il volto di Marco davanti a lui, che però stava guardando il fratello, a terra, con ribrezzo.

-Teach!- scandì il suo nome come se stesse per annunciare la sua morte, come a voler far tremare il mondo con quel tono mentre avanzò di un passo, ma il ciccione, capendo che era nei guai forse, si mise in piedi goffamente, rischiando anche di scivolare, e poi, ridendo e alzando le mani colpevole indietreggiò.

-Calmo, calmo... Stavo scherzando...- esclamò giocherellone, ricevendo solo un calcio contro la sua pancia, che lo sparò dritto contro il muro della casa che sembrò aggirarsi come pronta a crollare, ma non lo fece.

Ace sbatté le palpebre confuso, non capendo quando fossero arrivati lì, o perché, però si sentì di nuovo mettere giù, e si voltò nel riconoscere Thatch, che guardava serio e oltraggiato Teach che, in tutta fretta, decise di allontanarsi; in modo buffo visto come si muovesse a papera, forse dettato dal colpo appena subito.

Il moro indietreggiò, volendo subito rifugiarsi in casa e infatti iniziò a risalire le scale camminando all'indietro, percorrendole a una a una, senza guardarle dopo che il castano lo ebbe superato; e continuò a rovistare, con la mano dietro la schiena, alla ricerca della maniglia, sfiorando solo la liscia struttura della porta. Non voleva più rimanere con loro, non poteva! Lo avrebbero guardato come tutti gli altri... Non voleva...

Riuscì ad aprire l'entrata e sospirò sollevato, con i polmoni e il cuore più leggero; tanto Thatch era occupato a parlare e a calmare Marco, quindi... Si voltò in fretta con un ghigno messo a stento, più una smorfia di delusione, e varcò la soglia con un balzo, ma quasi si sentì trascinare indietro e per poco cadere, strattonato da una mano.

-Ace, aspetta!-

La voce di Marco gli fece tremolare l'animo, e sgranare maggiormente gli occhi. Ma non si girò, e provò solo a districarsi dalla sua morsa, tirando e continuando a tirare in avanti con un ringhio severo, piantando i piedi ben saldamente a terra, con lo sguardo di entrambi su di sé sulle spalle mentre, davanti a sé, ringraziava ci fosse solo il vuoto del freddo e della paura, e niente Akainu.

-Ace.- lo richiamò ancora, e forse fece un passo avanti. -Vogliamo solo parlarti.-

-Maledizione!- imprecò, più verso sé stesso per non riuscire a scappare, e così si limitò a scattare con tutta la sua forza dentro casa, trascinandoselo dietro ma, quello, dalla sorpresa allentò la presa, e così Ace si liberò, per poi affrettarsi a correre per le scale, sentendo benissimo i passi dei due seguirlo e chiamarlo. Trattenne il fiato, entrando in camera e sbattendo forte la porta, dirigendosi poi verso la finestra, staccando una delle travi movibili che le sigillava e uscendo con un balzo.

Atterrò sul prato dopo aver allentato le mani dal ramo dell'albero davanti alla sua camera, e continuò la sua corsa senza voltarsi nemmeno una volta, superando la staccionata e finendo in strada, allontanandosi fino a rallentare, e poi si rifugiò in un vicolo, in cui iniziò ad attendere che il battito si regolasse, stringendo una mano sopra al petto, in quel punto preciso; e lasciando che anche il respiro frenetico si stabilizzasse. Alzò gli occhi al cielo a quel puntò, e sbatté la testa contro la parete di pietra dietro di sé, odiandosi e maledicendosi, con il fiato corto che usciva dalle labbra con ritmo calcolato. Marco e Thatch lo odiavano... Lo odiavano!

Scivolò a terra, ma si fermò prima di toccarla, scuotendo il capo; non poteva rammollirsi adesso: i soldi li aveva, e aveva anche un po' di cocaina che sarebbe bastata. I tre idioti lo aspettavano.



Varcò l'enorme portone di garage giallognolo che cigolò, e poi si guardò attorno, tossendo senza volere nel sentire un'aria strana girare in quel luogo chiuso: puzzava di fumo e fuoco, quasi da bruciare gli occhi. Continuò a tossire, incamminandosi tra quella lieve nebbia grigia; l'appuntamento era per più tardi ma sarebbe stato lo stesso, alla fine.

-Ehi, è la polizia. C'è la polizia.- sussurrò una voce davvero spaventata.

-Eh? Taci, dov'è il mio crack?- borbottò un altro che, sotto il tavolo, ispezionava il pavimento come se fosse l'unico modo per sopravvivere, alla ricerca di un qualcosa che, Ace non capì; però, guardando come quei due si muovessero veloci, con occhi sgranati, si preoccupò parecchio: non aveva mai visto l'uomo con il berretto, e quello dalla barba folta, come gli aveva ormai catalogati; comportarsi così.

-Nh... ohm... Vi ho portato i soldi e, se è possibile, l'ultima busta di droga che posso darvi.- scandì bene l'ultima frase dopo un altro colpo di tosse ma indietreggiò di scatto nel vederli muoversi come a volerlo assalire.

-Fermi, fermi.- implorò, non capendo come comportarsi in quel momento. Non era la prima volta che li vedeva drogati, però, nel capirlo, se ne andava; questa volta era rimasto, e aveva sbagliato.

-Dammi il crack, dammi il crack!- ordinò, con occhi grandi e rossi quello con la barba, allungando le mani lentamente mentre tremolavano, ormai ad un passo da lui.

Ad Ace tutto ciò spaventò troppo ma tenne nascosta la cocaina, attendendo che arrivasse uno più sano di mente di loro, magari il capo. Di certo lui non si sarebbe mai drogato con quei due, o almeno, non in un posto del genere dove, se trovato, sarebbe stato catturato facilmente con il cervello sconnesso da quella polvere che si prendevano. Però, sperava che ci fosse, altrimenti... Non voleva, non gli andava di ritornare. Non era proprio la giornata adatta per fare quello che doveva fare, ma più una da rinchiudersi in camera e restare nel letto a dormire a vita, senza muoversi di un centimetro.

-È la polizia! Non dovevi lasciare la porta aperta!- corse l'altro, paranoico, verso l'entrata, e la socchiuse, guardando fuori con un occhio, spostandosi la visiera del cappello indietro per vedere meglio, e scoprendosi gli occhi, ma forse non gli bastò, e così lo gettò a terra.

-Ohm.- ricordava che non ci fosse nessun'agente fuori..., rifletté confuso, volgendo di nuovo lo sguardo al tipo dalla barba che era tornato a cercare qualcosa per terra, urlandogli di aiutarlo.

-Shh! Ci sentiranno!- rispose quello che era andato a fare il palo.

Ace si strinse nelle spalle allora, e si avvicinò al tavolo, e solo in quel momento si accorse di un altro uomo, mai visto; era seduto, e gli arti tremavano come posseduti, e nonostante ciò, quello continuava a fumare, con sguardo assente, quasi morto.

-Ehi, Ace. Non ti aspettavamo.- si avvicinò il capo, e il giovane lentigginoso tirò un sospiro di sollievo, anche se in parte. Però, quello, tutto quello... Era in un manicomio per caso?

-Sì, vorrei finirla qui con la droga, se possibile.- esclamò, consegnandogliela visto che sembrava lucido e sano, per ora.

-Capisco... Ma sai, vero, che i debiti di tuo padre non sono finiti, eh?- ghignò, con la sciarpa sempre sulla bocca e un cappello che lo oscurava in volto. Lui... Lui era davvero difficile da decifrare...

-Sì, lo so.- annuì, serio.

-Perfetto. Per i debiti, ti aspetta un bel finale. Sicuro, tranquillo... In fondo, il patto all'inizio era solo questo; la droga l'hai aggiunta tu, dopo. Se non ci abbandoni va tutto bene.- ci tenne a precisare che non avrebbe rischiato nulla, ridacchiando tra sé e sé con tono opaco. -Ma...- fece poi, e nel dire ciò, fece scivolare l'ultimo barlume di speranza nel cuore del lentigginoso che lasciò cadere inermi le braccia, lungo i fianchi e con una smorfia risentita che proprio non riuscì a celare.

-Vuoi mollare il giro della droga con noi? Ti spetta una missione.- esclamò ridendo, allontanandosi un attimo, vicino a una colonna prima di svanire nel nulla e confondersi con l'oscurità, senza emettere alcun suono.

-Co... Che tipo di...?-

Rimase in silenzio, trattenendosi e scrutandosi attorno con le pupille, veloce, quasi temendo un attacco alle spalle. Aveva sbagliato ancora, però voleva uscirne... Forse non poteva. Rimase nel vuoto di quel buio, respirando lentamente anche se si notava fosse agitato mentre percepiva ancora le voci spaventate di quei due che sembravano davvero impazziti. Che doveva fare? Attendere ancora? Magari era andato via... Sospirò ma si risvegliò subito dopo nel sentire uno strano rumore, e scattò con le mani nel vedere una scintilla scura lampeggiare a contatto del contrasto della luce della lampadina; e afferrò al volo l'oggetto d'istinto, senza aspettarselo, ma spalancando occhi e bocca nel capire di aver ricevuto una cosa del genere: una pistola!

-Uccidi Barbabianca.- esclamò, e nel dirlo ci furono delle risate generali a dir poco agghiaccianti, che echeggiarono in quel luogo così tetro e che provocarono un brivido di paura alla schiena del giovane, ma che non comprese come potessero aver avuto quella reazione a quella parola. Era solo un vecchio decrepito, e non si aspettava fosse così odiato. -Questo è la missione. Questo è l'ordine.-

-Vuoi lasciarci? Ti tocca uccidere qualcuno. Al momento è da molto che protegge la città, e tra non molto "conquisterà" anche questo territorio. E così, già per colpa sua la droga che abbiamo è poca; ora, se venisse tolta del tutto, come faremo? Per non parlare che, tu ci lasci, e non avremmo più una dose in più. Hai capito, Ace?-

In risposta, il giovane boccheggiò confuso, non riuscendo più a respirare mentre non sentiva nemmeno le gambe, e non era dovuto alla puzza di fumo e fuoco che impestava quel luogo chiuso e confuso e che entrava nei suoi polmoni. Non riusciva a elaborare ancora che si ritrovasse, tra i palmi delle mani, una pistola... Una pistola! Una fottuta pistola! Un'arma! Un'arma con cui avrebbe dovuto uccidere un dannato e stupido vecchio vivente! Maledizione! Una pistola!

Era lì, la vedeva... La osservava ma senza tenerla per davvero: era solo adagiata lì, sul suo palmo, ma non ne sentiva la consistenza vera e propria perché non la voleva. Avrebbe solo voluto buttarla via, magari proprio contro il capo... Sentiva il cuore pulsare come un matto nel capire chi dovesse uccidere. Ma c'è l'avrebbe fatta? Non aveva mai usato un'arma da sparo. Per di più, lui non voleva tutto quello, e non poteva. Cos'avrebbe detto Marco? E Thatch?

... Beh, in effetti, già lo odiavano per la droga, quindi...

Non aveva nulla contro Barbabianca, però... Se era quello il prezzo, lo avrebbe fatto. Tanto, non aveva nulla da perdere, no?, rifletté, lasciandosi sfuggire una smorfia amara. E pensare che, aveva deciso di mollare tutto quello, proprio per Marco...

Forse... Forse aveva solo sbagliato momento, ma era impossibile: il capo non era drogato ed era serio. Però, magari poteva dirgli che aveva cambiato idea... No, non si tornava più indietro ormai, e poi, nemmeno loro gli è lo avrebbero permesso; lo capì dallo sguardo risoluto di quell'uomo che gli mostrò apposta, sempre con la sciarpa a coprirgli la bocca.

-Va bene.- annuì, girandosi e uscendo da quel posto maledetto e che, da oggi, odiava ancora di più mentre posò la pistola dentro la tasca azzurra, per fortuna, anche essendo larga più della sua mano, si celò abbastanza bene al suo interno. Tanto... Non aveva nulla da perdere, continuò a ripetersi, volendo convincersene con tutto il cuore, ma più se lo diceva, più l'immagine di Luffy riaffiorava nella sua mente. Il problema però, è che adesso... Adesso davvero non poteva più rifiutarsi... Aveva accettato, non c'era altra scelta...

Respirò a fondo allora, camminando e cercando di ristabilire ogni pensiero e di stabilizzare anche la sua mente: uccidere una persona, una cosa così pesante da tenere dentro e da fare. Ma non quel giorno, no. Domani sera, così si sarebbe organizzato meglio, e magari avrebbe trovato il coraggio di farlo.

Ma, in fondo, lui doveva: Perché dopo, sarebbe stato, anche se solo un po', libero.

Ne valeva davvero la pena?, si lasciò sfuggire nella testa, e per non rispondere sinceramente, per non distruggersi psicologicamente, iniziò a correre, correre e correre con tutte le sue forze; sperando solo di non trovare nessuno, a casa.




Il capo, respirando piano e con sguardo serio, volse lo sguardo deluso ai suoi uomini, sotto allucinazioni da tutte le droghe che avevano preso quel giorno. Stavano impazzendo, rifletté. Ma poco contava, si disse, ora che, l'uomo più forte della città sarebbe morto. E per mano loro, sogghignò. Perché, Ace, alla fine, era uno del gruppo, sorrise maligno.

-Lo ucciderà? Lo ucciderà!- rise sguaiato il vecchietto, con fare pazzoide prima di correre alle finestre, chiuse dalle tapparelle. -C'è la polizia! C'è la polizia!- urlò, cercando di allarmarli di un qualcosa che vedevano solo i suoi occhi, al contrario dell'uomo con il berretto che era crollato, forse svenuto, sotto il tavolo, con l'altro che continuava a fumare senza tregua, più voluto dalle sue braccia che dal cervello che non le controllava più.

-O morirà provandoci.- asserì allora, il capo, contento prima di girarsi e scomparire nelle ombre.




Si chinò con il busto, dentro il vialetto e con dietro il cancello semiaperto, con il respiro corto che cercava di recuperare. Ma poi alzò il capo, facendo un ultimo sforzo per entrare e salire le scale, chiudendosi la porta con il solo pensiero di nascondere per bene quell'arnese; e così raggiunse la sua camera, ma rallentò con agonia, e non solo per il dolore alle gambe. Guardò con freddezza il proprio letto, e poi la trave che aveva lanciato là sopra senza farci caso, e sospirò, avvicinandosi al materasso, volendo rimetterla al suo posto mentre, appurò il ricordo delle voci dei suoi ex amici nelle orecchie... Gli mancavano, e voleva tanto spiegarsi, farsi perdonare... Inutile. Era tutto inutile. Perché lui era inutile!, fremette, chinando il capo e mordendosi il labbro inferiore fino a spaccarselo, leccandosi poi quel poco di sangue che fuoriuscì.

-Sei tornato.-

Si voltò di scatto, sgranando gli occhi, finendo per crollare sul letto e trattenendo il fiato dopo aver prodotto un verso strozzato nel mentre, ma si rialzò subito, osservando la sagoma di quel ragazzo dietro la porta, che, camminando, lo costrinse a retrocedere fino a costringerlo con le spalle al muro, accanto all'armadio. Poté sentire le sue spalle ricoprirsi di lieve scosse, intimorite da lui che continuò, sorprendendolo con un sorriso:

-Finalmente.-

-M-Marco... Che ci fai qui? Perché sei ancora qui?- balbettò, cercando di indietreggiare sempre di più, ma il muro dietro gli è lo impediva; anche con il volto che negava ad ogni passo dell'altro che sorrideva. Perché cavolo sorrideva!, volle quasi urlagli addosso, e invece rimase in silenzio, mormorando un lieve: -Perché non te ne sei andato?-

-Ti sbagli.-

-C-cosa?- mormorò scettico, osservandolo con quegli occhi seri che, purtroppo per lui, sembrarono delusi.

-Io non sono qui.- e nel dirlo, lentamente e con un vento gelido immaginario che sembrò raggelare l'aria, svanì nel nulla, e quasi ci rimase male Ace, che crollò a terra con un groviglio che lo schiacciava all'altezza del cuore, con la pistola che finì a terra con un eco freddo e metallico.

Era impazzito per davvero, non c'erano storie che tenevano, si disse. Di sicuro, quel turbamento provocato dalla pistola era stato il colpo di grazia al suo cervello che era andato in tilt; si preannunciò esasperato, sbrigandosi poi ad alzarsi, e, prendendo l'arma, alzò il cuscino, osservando tristemente il fiordaliso blu, che dovette fare spazio a quell'oggetto orribile.

Si strinse nelle spalle e, tentennando con il respiro, afferrò quel pezzo di legno, riattaccandolo al muro, e indietreggiando di un passo dalla finestra, restando immobile per qualche secondo prima che, ad occhi socchiusi, si diresse in soggiorno, scendendo le scale una alla volta come se, ogni passo fosse una fitta ad ogni parte del suo corpo. Ma non era dolore fisico quello che lo premeva, era sempre quello psicologico che gli faceva capire, anche quella volta, come fosse stato orribile nascere, per lui: non sarebbe mai dovuto venire al mondo. Era davvero un mostro... E non c'erano scuse che tenevano! Vendeva droghe, aveva accettato di uccidere una persona... Era. Un. Mostro.

Scrollò il capo, stringendo i pugni e cercando di resistere ancora un po', o, almeno così si disse. Guardò davanti a sé, il divano e poi, accanto la tv. Non seppe nemmeno lui perché, ma volle avvicinarsi, notando che ci fosse qualcosa di strano e sbagliato sopra quest'ultimo, un oggetto che non aveva mai visto in quel buio. Era un'ombra di una cosa in più, appurò arrivandoci davanti, e così, con le dita, la toccò, ascoltando fosse una scatola di fiammiferi, o di carte. Abbassò le sopracciglia, sentendosi stupido prima di sobbalzare, voltandosi solo per finire a terra, con un urlo strozzato che uscì dalla sua bocca mentre si portò la mano alla spalla.

-Che fai, moccioso?- sbottò la sagoma di Akainu, ben celata in quel buio, tranne per l'accendino che teneva tra la mano, accesso e con la fiammella che ondeggiava.

-N-niente.- mormorò, pensando già che avrebbe dovuto dire addio ai giorni in cui non veniva più toccato perché, tutti i soldi gli aveva ceduti a quei loschi ceffi, per il debito.

-Hai un centone da darmi? Avanti, ho fretta.-

Ah, perfetto, pensò mentre negò con il capo in modo ferreo e arrogante, ascoltando la spalla colpita sfrigolare con un tono inquietante, e nemmeno riusciva a sfiorarla con le dita anche se era riuscito a spegnere la camicia che aveva preso fuoco, e che ora teneva un bel foro fumante.

-Oh. Peccato.- borbottò, spegnendo l'accendino dopo averlo sventolato nell'aria per poi lanciarglielo contro con una forza calcolata. -Inutile.- sbottò, infastidito da come gli avesse risposto.

Ace si scansò, sgranando gli occhi nel sentirlo esplodere: non credeva fosse possibile, ma infondo c'era il gas là dentro. Strizzando gli occhi, infastidito dall'odore di quel vapore chimico pungente e dal dolore alla pelle che, però, non produceva più quel suono raccapricciante, si alzò in piedi, ringhiandogli contro per quell'affronto. Maledizione, possibile che ci si metteva anche lui?

Il ragazzo indietreggiò, non sapendo esattamente cos'altro fare visto che Luffy non era ancora arrivato: se veniva picchiato, poi non poteva assicurarsi se lui si sarebbe salvato, visto che, Akainu non aveva gradito di essere colpito da suo fratello in quel modo, infatti ci aveva rimesso tutti i soldi, alla fine; soprattutto per quello. Quel bastardo non amava prenderle, e i soldi lo avevano tranquillizzato in molti modi... Ma adesso...

-Ehi, dove credi di poter scappare? Codardo.- sibilò, cacciando, nell'oscurità, un coltellino dalla tasca e avvicinandosi furtivo fino a colpirlo, centrandolo in pieno.

-Ma che diamine...?- scattò, portando la mano in avanti per bloccarlo, e invece venne trafitto con un taglio che prese tutto il palmo, facendolo gemere e lasciare che una scossa prendesse a volgere tutto il suo corpo per lo spavento e il dolore. -D-dannazio...- imprecò, socchiudendo un occhio ma si affrettò ad afferrare la lama con tutto l'arto, tagliandosi anche le falangi, ma almeno aveva evitato che lo colpisse ancora, visto che aveva intuito le sue azioni: era ovvio che volesse ferirlo ancora e ancora.

Cercò di trattenerlo, nonostante scuotesse quel coltello con forza, procurandogli non pochi dolori mentre gemette, cercando di tirarlo indietro per toglierglielo. Non riuscendoci, con un'altra smorfia fremente, come il suo braccio che si sforzava, gli diede un calcio, allontanandolo il tempo giusto per correre su per le scale, ancora, fino a entrare nella sua camera e chiudersi, adagiandosi con tutta la forza possibile, con la schiena contro di essa, trattenendo il fiato per cercare di sentire i suoi passi, e li udì, si stava muovendo, eppure, successe una cosa strana: lo sentì uscire, sbattendo la porta principale.

Oh, meno male, si rilassò, scivolando a terra prima di mugolare, stringendosi nelle spalle ma procurandosi solo altro male, dovuto al bruciore ancora vivo su quel punto sinistro. Sospirò pesantemente, e poi, facendosi coraggio, chinò il capo per vedere la mano, rivolta con il palmo in alto, ma ciò che trovò fu solo rosso, una pozza vermiglia che continuava a espandersi, ogni minuto che passava. E rodeva, sembrava esplodere dall'interno per poi propagarsi fuori come un vulcano. Tentennò, ma riuscì solo a produrre uno scatto a un dito mentre il coltello restò adagiato al suo fianco.



 Si sistemò al meglio le bende, guardando e muovendo le dita della mano... Non sembrava compromesso nulla, nessun nervo o vena; sperava quindi che sarebbe guarita da sola... Ma faceva male. Era meglio non muoverla per un po'. Sbuffò, stanco, e si osservò allo specchio del bagno con rassegnazione, con la luce che illuminava il suo sguardo provato e sfinito prima che si voltasse per scendere di nuovo le scale; aveva sentito un rumore: era certo fosse Luffy.

-Idiota. Non saresti dovuto scendere.- si annunciò Akainu, arrivando alle sue spalle mentre ancora percorreva le scale. -Hai preso la mia droga, eh? Pensavi fossi così scemo da non accorgermene?- urlò, guardandolo e venendo ricambiato con stupore appena ebbe il tempo di voltarsi, il più giovane; così il mostro si posizionò per colpirlo con un altro coltello, estraendolo sempre dalla tasca, più furioso che mai per essere stato preso in giro in quel modo da un moccioso.  

-C...- non riuscì a finire Ace, che con un balzo si precipitò in soggiorno, peccato che quello gli è lo lanciò contro. Trasalì, mancandolo di striscio, e trovandolo infilzato nel muro. Trattenne il fiato e continuò a correre, trovandosi poi bloccato da altri coltelli che gli vennero lanciati ma che schivò; sfuggendo anche a quell'accendino, un altro, dannazione. E poi corse verso la porta prima di saltare, fermandosi e roteando a terra, restando poi seduto con il respiro che batteva veloce: aveva la sua pistola!, sgranò gli occhi nel ritrovarsela puntata addosso, eppure, l'unico pensiero che aveva in quel momento non era la morte, bensì al fiore di Marco: si chiese se l'avesse toccato, se lo avesse preso.

Ma si riprese in tempo prima che premesse il grilletto, e saltò fuori dal portone, aperto, neanche seppe come. E continuò, senza risparmiarsi. Lo aveva scoperto! Lo aveva scoperto! Cavolo!

Andava tutto bene: non aveva mai sospettato nulla, perché l'aveva scoperto ora che gli aveva rubato la droga?, pensò spaventato, fremendo e battendo i denti dalla paura mentre percorreva una strada che non esisteva: poteva vedere unicamente il marciapiede in tutto quello, e nulla più, né le case accanto, né la strada dall'altro lato. Perché? Proprio ora che aveva smesso! Maledizione! Che giornata del cavolo!

Puntò gli occhi e osservò il cielo, sembrava azzurro chiaro, eppure era completamente buio. Non capì, il moro, piegando un sopracciglio confuso prima di cadere, sbattendo contro qualcosa, e finendo a terra. Cavolo! Cavolo! Non c'era tempo!, si riprese, mettendosi seduto e ritrovandosi a cavalcioni sopra la sagoma di Marco, e ciò lo immobilizzò per sempre, come una statua. Cessò anche di respirare, restando con le pupille immerse in quelle del biondo mentre si strinse, con la mano sana, ai lembi della sua camicia, con il petto che fremeva e correva veloce.

-Ace... Che succede?- si affrettò a chiedere, osservando poi l'arto ferito e che ancora sanguinava, che il lentigginoso non poteva vedere, occupato com'era a fissare i suoi occhi azzurri. -Chi ti fa del male?-

No, cavolo! C'era anche Thatch, lì, in piedi! Non poteva più scappare ora: gli avrebbe messi in pericolo!, fece tremante, trattenendo il fiato e sobbalzò, mugugnando e sgranando ancora di più gli occhi, mugolando e boccheggiando con il filo di voce che gli rimase mentre portò le mani al petto, osservando quella specie di sciabola che gli aveva appena trapassato il petto con orrore; e guardò a palpebre sbarrate come gli venne estratta brutalmente, sentendo, sulla schiena il piede di Akainu insieme alle sue risate mentre iniziò a sputare sangue dalla bocca, tossendo e potendo percepire come facesse male. La gola prendeva fuoco e gli impediva di prendere aria perché doveva cacciare fuori quel liquido vermiglio, e ciò iniziava a far udire come si stringessero i polmoni, desiderosi di ossigeno. E guardò il sangue colare, dalle labbra e finire sul nulla, e lo stesso il petto, che non smetteva di scorrere di rosso come un fiume, con una linea orribile che partiva da sotto il petto fino a sopra l'ombelico. Iniziò a tremare, sentendo freddo e con un gelo invaderlo e possederlo mentre iniziò a cadere, senza più la terra sotto di sé, e venendo preso tra le braccia di Marco che lo scrutava attentamente; con il cuoco che sembrava tranquillo mentre, dietro, sentiva ancora la voce divertita di quell'essere abominevole di cui non sembrava più esserci il corpo.

-Ace, chi ti fa del male? Dimmelo, ti posso aiutare.- tornò a chiedergli Marco, serio e impassibile, come Thatch; il biondo ancora sotto di lui, a tenerlo prima che Ace chiudesse gli occhi e tutto svanisse, con la voce di Luffy nelle orecchie che lo implorava di non morire con tutta la voce possibile prima che un pianto infinito e rotto si prolungasse, dirompendo tutto e distruggendo ogni cosa, sgretolando il mondo come se fosse stato un pezzo di vetro, e tutte quelle briciole di cristalli si conficcarono dentro il suo cuore.




Sgranò gli occhi, puntandosi in avanti con il busto e propendendosi a prendere più aria possibile nei polmoni, con la bocca che emise un verso strozzato nel prendere ossigeno, boccheggiando e volgendo le pupille ovunque, con il cuore martellante prima che si calmasse nell'appurare fosse tutto un dannato sogno. Un incubo!, si corresse imprecando prima di strizzare gli occhi e gemere a denti stretti.

-La mano...!- fremette, per poi aprire gli occhi e constatare, con scempio, che il sangue si fosse asciugato, perché sentiva il suo arto intrappolato in una morsa secca e dura. -Farà male...- mormorò, anche se, forse con dell'acqua...

Il punto è che era bloccato, oltre al fatto di aver appena fatto un sogno da pazzi. Era talmente stressato, maledizione!, sospirò, volgendo poi gli occhi alla sua spalla, ma era troppo scuro ormai e non vedeva come fosse ridotta la parte bruciata, però non sentiva più dolore..., concretizzò, leggermente sollevato.

-Ace! Ci sei?-

-Oh, una gioia!- sorrise, dando voce alla sua più sincera felicità: Luffy era a casa, e lo avrebbe aiutato. Mai aveva adorato le sue grida prima d'ora, e Akainu non era tornato! Fantastico! Tutto perfetto! ...Sempre se sarebbe riuscito a spostarsi visto che era appoggiato alla porta.

Guardò le gambe, le scrutò senza vederle, tanto era oscuro tutto... Si chiese quanto avesse dormito... Se le portò così al petto, mettendosi poi sulle punte dei piedi, e chino sulle ginocchia, protestando nel sentire quella scorza di sangue asciutta non demordere ma fare un lieve strappo alla base che fece comunque male alla pelle sana.

-Nhg... Ehi, Luffy! Sono qui!- esclamò, facendosi aiutare dall'altro arto libero e strisciando; con le ginocchia ora a terra, verso la parete, sciogliendo così l'entrata dal suo ingorgo e che, in un lampo, si aprì, quasi a volersi schiantare contro il muro, e ci riuscì anche, tanto che si crepò: ecco perché la tenevano aperta; Luffy sembrava volerla uccidere, ogni volta che l'apriva, sempre con troppa enfasi... E per fortuna si era spostato in tempo..., si lasciò sfuggire un lungo sospiro ad occhi chiusi, tanto ringraziò ogni divinità lo avesse aiutato a non essere colpito da quella furia.

-Ace! Tutto bene? Che hai?- scattò subito il minore, perdendo la felicità nel vedere una sagoma a terra, e sentendo una smorfia agonizzata che cercava di celare. Poi accese la luce, e comprese dove fosse il problema. -Oh. Ora ti aiuto a strappare quella roba.-

-Eh? No, no! Calmo, e fermo.- ordinò subito, osservandolo fermarsi dal chinarsi, e con le mani che sembravano già pronte a voler tirare e fare un grande strappo per levare quella specie di cerotto rosso. -Vai a prendere uno strofinaccio, e riempi una pentola di acqua: mettila sul fuoco, e quando bolle porta tutto qui.- spiegò, tranquillizzandosi nel vederlo annuire e correre di sotto con estrema serietà: quando si trattava della sua salute, Luffy rinunciava completamente al suo comportamento infantile pur di aiutarlo al meglio. Di quello, Ace, gli è ne era grato, ma non di essersi fatto vedere, ancora e dannatamente, debole!, esclamò nella mente, dando una testata al muro prima di sospirare e restare in quella posizione scomoda, con il braccio storto e collegato al pavimento, con l'altro che si appoggiava alla coscia, entrambe distese e di lato, davanti alla porta come il busto mentre il capo continuava ad essere contro quella parete bianca, scurita solo dalla sagoma della sua ombra, oppressa quanto lui.

-Eccomi!- esclamò correndo, e lasciando cadere l'acqua in giro, tornando dopo forse circa dieci minuti, forse più, forse meno. -Ho messo la temperatura al massimo, però credo di aver sbagliato qualcosa.- mormorò, lasciando a terra la pentola.

-Cosa?- si premurò Ace, guardandolo con esitazione e temendo già in un incendio da domare.

-Ehm... Ho dato fuoco allo straccio.- e gli è lo mostro, nero e fumante su un lato.

-Perché?- sibilò confuso.

-Pensavo che dovessi riscaldarlo.- brontolò, gonfiando una guancia e facendo capire ad Ace di non essersi spiegato decentemente.

-Okay.- mugugnò, troppo stanco per protestare o fare altro.

-Anche la tazza...- farfugliò poi, Luffy, chinando gli occhi prima di abbeverare quel pezzo mal ridotto nella pentola piena di acqua bollente e che, ancora, emetteva bolle. -Ahi!- scattò, ritraendo le dita ma lasciando lo strofinaccio là dentro.

-Tutto bene, Luffy?- chiese, ricevendo un cenno affermativo ma non si fidò tanto di quelle parole, il moro, intanto che lo vedeva sventolare le mani e soffiarci sopra. -Hai rotto la tazza?- tornò al suo interrogatorio, alzando poi la mano non imprigionata e immergendola di tutta fretta, portandola poi fuori insieme a quel pezzo di stoffa bruciacchiato che lasciò adagiato a terra, visto come fumasse e facesse male al tatto. Agitò al vento il proprio arto anche lui, proprio come continuava a fare Luffy con entrambe le mani, e che seguivano lo stesso movimento della sua testa che negò alla sua domanda.

-Ho dato fuoco alla tazza.- corresse il fratello che si bloccò, parendogli impossibile una cosa del genere prima di ricordarsi che, con Luffy, tutto era concreto e neanche le leggi della fisica potevano reggere al suo confronto.

-Va bene, va bene. Ci pensiamo dopo. Ora, io mi occupo di questo, e tu vai a mettere le mani sotto l'acqua gelata. Subito.- esclamò serio, osservandolo poi correre verso il bagno e così, lui, con lo straccio, ormai più toccabile anche se ancora bello caldo, iniziò a lavorare, tamponando il duro liquido vermiglio con pazienza, e con accanto la pentola enorme e gocciolante, che trasmetteva un senso di vapore confortevole essendogli vicino.



Tolse lentamente e con attenzione, la mano dagli ultimi residui e schegge di sangue, iniziando poi a muovere le dita con lentezza, ancora increspate di quel materiale, che regnava, in mille pezzi, sul terreno, o ancora attaccato ad esso. L'importante era essersi liberato, pensò, alzandosi e sgranchendosi le gambe: c'era voluto molto, erano passate ore e, alla fine, Luffy era crollato dal sonno nell'aspettare con lui. Lo prese con un braccio, non volendo sporcarlo con l'altra mano, e lo adagiò, rimboccandogli le coperte, nel proprio letto.

-Buona notte, Luffy.- mormorò dopo aver controllato per bene le sue mani, fresche e senza nemmeno una scottatura visto che, ogni volta che gli diceva che ora stava meglio, dal bagno, e che tornava da lui, gli urlava in risposta, visto che erano lontani, con tono duro, esigendo che rimanesse con gli arti all'interno del lavello pieno di acqua gelida fino a suo nuovo ordine.

Sorrise, felice che stesse bene, e poi, senza fare rumore, si recò in bagno, afferrando la scopa e scendendo nel buio della cucina prima di sospirare e abbassare disperato il capo nel ritrovarsi tutto quel macello: acqua per terra fino in soggiorno, pentole che si disperdevano sul davanzale della cucina e sul tavolo con ancora i tiretti spalancati, e il gas, tristemente accesso, dove, ai piedi del forno rotto, regnava la povera tazza assassinata e nera per le fiamme. Beh, si incoraggiò, voleva solo aiutarlo e c'era riuscito, sorrise, spegnendo il fornello e iniziando a pulire con una sola mano perché dopo gli sarebbe toccato sistemare il sangue, non solo quello che si trovava lì, nel luogo della colluttazione, ma anche in camera, ovviamente. Si disse che, l'indomani a lavoro, sarebbe crollato dal sonno, e non voleva nemmeno pensare alle urla di suo fratello come sveglia che già stava male, con un mal di testa immaginario solo a sentirlo nella sua immaginazione; ormai la sapeva a memoria la voce di suo fratello, pensò angosciato, e continuò ad asciugare, posizionando le stoviglie nell'apposito posto, tanto, non erano finite a terra, Luffy le aveva solamente raccolte uno ad uno alla ricerca della più grande; volle sperare, anche perché non aveva sentito il trambusto di qualcosa che cadeva, prima. Raccolse la povera tazza e la posizionò dentro il lavello con malinconia: quella tazza era di Sabo, ricordò prima di voltarsi e spaventarsi di colpo nell'osservare un'ombra, prima di darsi dell'idiota perché non c'era nessuno oltre a lui, lì: era solo la sagoma del frigorifero..., capì con sguardo di sufficienza, domandandosi perché restasse al buio quando aveva la possibilità di usufruire di una cosa chiamata luce elettrica. Ma non se ne curò comunque, rimanendo nell'oscurità e avviandosi poi fuori dalla cucina dopo aver sistemato ogni cosa, osservando il pavimento asciutto di entrambe le stanze, e dove aveva anche tolto il sangue con soddisfazione prima di recarsi, in silenzio e in fretta, e con la scopa, su per le scale, non volendo che arrivasse proprio Akainu da un momento all'altro. Arrivò a destinazione e scrutò ciò che restava di quel suo liquido vermiglio, pulendo anche quello con fare lento e un po' annoiato. Gli mancava il suo letto, pensò amareggiato, mandandogli uno sguardo sconsolato. Ci sarebbe stato poco... La mattina, era certo, sarebbe arrivata veloce. Però era felice..., sorrise. Era stato bello che Luffy fosse rimasto al suo fianco fino ad addormentarsi sulla sua spalla sana. Avevano anche parlato un po', e lui stava bene; gli è lo leggeva anche negli occhi: era felice, tanto. Aveva degli amici fantastici, davvero ottimi, annuì, rialzandosi appena ebbe terminato anche quel lavoro. Però, ripensò, aveva anche notato una scintilla di preoccupazione nei suoi confronti, in suo fratello...

Afferrò e mise in un luogo sicuro quel coltello, e con la schiena dritta cacciò un po' d'aria dai polmoni, sollevato prima di rabbuiarsi e darsi, nuovamente, dello scemo nel fissare l'angolo della porta, in basso: si era dimenticato di posare la pentola...

Con una smorfia scese le scale con tutta la fretta possibile, e la mollò sopra il davanzale della cucina, dicendo che c'avrebbe pensato domani, troppa era la paura che la porta principale si aprisse e rivelasse un ubriaco e stanco Akainu; così ritornò al secondo piano solo per chiudersi in bagno e accendere, finalmente, la luce. Si adoperò con il kit medico, aprendolo e rovistando, guardandosi allo specchio e quasi temendo, per un attimo, e sussultando con le spalle, che il suo sogno potesse realizzarsi; tremando quasi. Si morse un labbro, ma si limitò solo a bendare la mano e la spalla, annodando l'arto tra mille e veloci fasce che non coincidevano nemmeno, fatto in modo sbagliato e in fretta; e poi piazzandoci sopra, sull'ultima ferita, sulla spalla bruciata, un cerotto quadrato, con poca cura come se stesse mettendo del prosciutto su un pane: non aveva forza per dedicarsi realmente a quello che stava facendo, pensò con amarezza, stringendosi con le braccia e guardando la porta nel voltarsi, aspettandosi di vedere la faccia di Akainu sbucare fuori, ma non accadde e ringraziò il cielo che non tornasse più, per quella sera: aveva davvero paura che quel sogno potesse... Scuoté il capo, sospirando, e così posò la scatola bianca e metallica, a terra. Spegnendo la luce, si diresse in camera in silenzio, buttandosi poi sul proprio materasso, sopra le coperte e chiudendo gli occhi di colpo, addormentandosi appena il suo corpo teso toccò la consistenza soffice e pacata del letto, lasciando solo che le dita andassero spontaneamente a stringere lo stelo del fiordaliso, e gli sfuggì un leggero "Marco" dalle labbra prima di crollare del tutto.




Era davvero arrivato alla sua postazione di lavoro? No, non ci credeva; pensò esterrefatto, sedendosi di botto con ancora le urla del minore, che lo svegliavano, nelle orecchie, e poi adagiò la fronte contro il bancone, sospirando e chiudendo gli occhi, usufruendo delle proprie braccia, posizionandole conserte intorno a lui, quasi come uno scudo.

La mattina non era stata male, in fondo. Aveva sistemato la pentola al suo posto prima di uscire, e si era messo in macchina che ancora sbadigliava prima di essere attirato dalle risate di Luffy che gli si avvicinava senza smettere e senza respirare, pronto e pulito, e che lo guardava come si guardava un pagliaccio. Ancora divertito perché, invece di lavarsi con il sapone, aveva usato l'asciugamano, e invece di usare quest'ultimo per asciugarsi, aveva preso l'asciugacapelli... Che poi, non sapeva nemmeno di avere! Avevano l'asciugacapelli? Da quando?, sbottò. Però, quella ventata in faccia, calda e improvvisa lo aveva, non solo spaventato, ma anche svegliato un po' di più. Per non parlare di quando, nel vestirsi si stava mettendo i pantaloni al posto della maglia e viceversa!

In pratica, aveva ucciso suo fratello dal ridere, ma alla fine era riuscito a riprendere fiato e a entrare in macchina con lui da vivo. Così lo aveva lasciato davanti al liceo senza uscire, perché già sapeva, e vedeva; lo sguardo curioso di Nami che voleva affogarlo di domande; ma riuscì a scamparla, partendo prima che si avvicinasse, e salutò con la mano tutti, almeno sperò... Sinceramente, non ricordava se avesse salutato o lo avesse sognato... Anzi, non sapeva nemmeno se tutto quello fosse reale o solo frutto della sua mente stanca e annebbiata.

Sbadigliò un'ultima volta, decidendo che, se Lucci sarebbe venuto, lo avrebbe mandato a quel paese. Perché, lui, non si sarebbe alzato per mettere in ordine i tavoli e le sedie in terrazzo, no signore. Non c'è l'avrebbe fatta nemmeno ad alzare la testa dal bancone, figurarsi sollevare e posizionare quei cosi, pensò sfinito. Per una volta, la sua voglia di essere ragionevole e responsabile era morta, o meglio, dormiva.

-Ace! Oh, allora sei venuto al lavoro. E Marco che temeva il contrario.- ridacchiò la voce cristallina e gentile di Thatch, che corse fino a sedersi davanti a lui, o almeno, questo gli sembrò di sentire visto la folata di vento che gli arrivò, e i passi percorsi con così tanta furia che ne susseguirono.

-Mhm...- mugugnò, cercando, con quella parola, di far intendere che voleva essere lasciato in pace. Era troppo stanco per cercare di essere in imbarazzo per quello che era successo ieri con loro... Poco gli sarebbe importato che volessero fargli una ramanzina o altro, ma non ora almeno... Un'altra volta. Però, pure lui... Perché era lì?

-Tutto okay?-

Oh, perfetto... C'era anche Marco. La voce dolce era la sua, la identificò subito. Perché?, si chiese. Dopo una serata passata in quel modo, desiderava non vederli più, e pensava sarebbe stato lo stesso anche per loro visto che avevano scoperto vendesse droga, la notizia che aveva distrutto tutte le aspettative che si erano costruiti su di lui... E invece ora erano lì, e forse proprio per rinfacciargli il loro disgusto nei suoi confronti; avevano avuto una serata intera per riflettere su quali parole orribili da dire... No, e allora perché quella voce così pacata e calma? Merito del sonno? O stava sognando?

-Ace?-

-Secondo te, dorme? Sembra sfinito... Poverino.-

Okay, perché non si limitavano ad andare via?, piagnucolò tra sé e sé, cercando di non muoversi, ma solo perché non sentiva più il suo corpo; respirando piano e cercando di rilassare i muscoli il più possibile, volendo ignorarli, e sperando andassero a qualche lezione. E poi... "Poverino"? Stava scherzando, vero? Sì, stava scherzando... Per forza! Non poteva dirlo sul serio!, si innervosì, quasi con l'istinto di stringere i pugni per la rabbia, ma non ci riuscì: Dannazione, non era debole!

...A quanto pare, invece sì...

-Ehi.- tornò a parlare, Marco, dopo aver studiato a fondo il moro e la posizione in cui si trovava. Gli occhi chiusi erano assopiti, il volto adagiato su una guancia; però si capiva anche quando fossero distrutti, quasi crepati da una notte difficile. Gli accarezzò i capelli nel mentre che disse quella breve parola, senza toglierla e continuando a esaminare ogni lembo opaco del ragazzo che tanto voleva proteggere, senza mai riuscirci, affermò con rammarico nella sua mente.

-È successo qualcosa?- continuò, con il cuoco che rimase in silenzio ad osservare. Ormai il biondo aveva capito che non stesse dormendo del tutto.

-Mhm... Ghng... Andate via...- annunciò, riuscendoci per miracolo anche se con tono trascinato e lieve.

-No, non andiamo via. Tranquillo.- rispose invece, Thatch, come se quella del moro fosse stata una domanda e non un'affermazione, o come se avesse capito male; alzandosi dallo sgabello per raggiungerlo all'interno del bancone, e con Marco che lo seguì.

-Che ti sei fatto alla mano?-

-N... Nhienet... Mi shono thatgliato... Erho arrabbhiato... Nhon hoh dhormito...- disse con difficoltà nel tono, con le labbra contro il bicipite destro che attutivano di più la voce, rendendola più fievole di quanto non fosse già, e offuscandola un po'.

-Capisco...- commentò, Marco. Purtroppo, in quel momento, non poteva concepire se fosse la verità, o una menzogna, e ignorò lo sguardo di Thatch che sembrava dire: "Hai davvero compreso?", sospirando invece e cercando di assimilare cosa potesse essere successo dopo che era scappato dalla finestra. La sua prima intenzione era stata quello di attenderlo, e di attendere anche il colpevole di tutto, ma non poteva rischiare che Thatch, suo fratello, anche se consenziente di restare, rimanesse ferito: non era certo di poterlo difendere dato che non sapeva bene con chi avrebbe avuto a che fare. Restava il fatto che non volesse mettere in pericolo Thatch; e con l'arrivo di Luffy poi, anche se gli aveva detto che potevano restare, era stato costretto a lasciare la dimora, non volendo disturbare. Sapeva e sentiva, allora come adesso, che avesse fatto la scelta sbagliata anche se la più etica... Ma aveva approfittato di quei minuti di libertà anche per dirigersi al comune... Sfortuna volle che l'unica cosa che trovò fu una documentazione che affermava che, la casa in cui abitavano i due, fosse a nome di Ace. Era riportato non ci vivesse nessun altro, ma non capiva: era certo del contrario; si passò una mano sulla chioma con un lieve sbuffo infastidito. Non poteva essere d'aiuto, e pensare che ci provava..., venne però attirato dai nuovi mugugni del moro, e avanzò di un passo, fino ad arrivare a toccare, con gli addominali scoperti, il bancone, volendo ascoltare meglio.

-Mi... Mih odiate?-

-Eh? No, perché dovremmo?- esclamò subito, il castano, allungandosi con il collo fino a stenderlo sopra il bancone, all'altezza di Ace, e guardando il suo volto, coperto da alcune ciocche, e ancora con gli occhi chiusi. -Non dirmi che è per questo che non hai dormito?- si ritenne colpevole, lui, con sguardo preoccupato.

-Nhhol fg...- ormai ci rinunciò: non sapeva più parlare. Era come se la mandibola fosse bloccata, di nuovo. Ma più come se non volesse lei non rispondere ai comandi del cervello, che arrivavano a stento o con troppa lentezza... E con nemmeno tanta voglia.

-Va bene...- mormorò Marco, anche se non aveva afferrato quello che voleva dire; con Thatch che però pensò il contrario e sembrava attendere la traduzione, così lo ignorò per poi alzarsi e afferrare la mano destra con cautela, quella che ritrovò ferita, dal polso; constatando che le fasciature erano state fatte male, e, cosa peggiore, erano insanguinare, anche se solo con qualche macchia, ma erano abbastanza grandi da farlo spaventare. La tastò, limitandosi solo a sfiorarla, ma ricevette solo uno scatto involontario del più giovane che scattò seduto, ritraendola con una smorfia e strizzando un occhio. -Vieni, ti medico io.-

-Ah?- balbettò, respirando a fatica per il colpo che gli era venuto a quel gesto inaspettato. -Ma... E-ehi! M-mettimi giù!- arrossì, ravvivandosi solo per dimenarsi nel sentirsi sollevare e tenere di peso, tra le braccia di Marco che lo condusse nello sgabuzzino.

Ace non si arrese però, e diede un pugno, con la mano buona, al petto che si trovava davanti, inutilmente. Sospirò, con un broncio, e poi si sporse con lo sguardo oltre la spalla destra di Marco che continuava la sua camminata indissolubile, cercando in Thatch un po' di aiuto, ma quello, purtroppo, si limitò a guardarlo con un sorrisetto malizioso e, proteggendo da un lato la bocca, con una mano mentre li salutava allegramente come se dovessero partire per il viaggio di nozze, sussurrò:

-Divertitevi.-

-M-ma che blateri, T-Thatch? Non scherzare!- scattò rosso, deviando lo sguardo sia da lui che dalla persona che lo teneva, e che, ormai, disse con amarezza la sua testa, lo aveva portato in quel luogo piccolo e caldo. -C-che vuoi fare?- mormorò, a tratti impaurito anche se non voleva dimostrarlo; sapeva che voleva aiutarlo, ma forse gli avrebbe riservato una bella ramanzina.

-Dammi la mano.- si chinò, dopo aver preso la cassetta medica, e tenendogli la mano ferita con dolcezza dopo averlo fatto sedere su un ripiano in legno. Gli sorrise, guardandolo dolcemente per tranquillizzarlo, ed Ace abbassò il capo, mordendosi il labbro inferiore, ma non per il dolore, per l'amarezza mentre lo sentì togliergli quelle bende, sospirando poi deluso nel vedere quello spettacolo: il suo arto era rosso, coperto ancora da qualche pezzo di sangue indurito, e pieno, denso, di tagli che erano ben evidenti come se fossero stati appena fatti, soprattutto, e ovunque, sul palmo.

-Mi dispiace...- mormorò con tristezza, con Marco che negò con il capo.

-Sono io che non riesco a mantenere la parola che ti ho dato: continuano a farti del male. Sono io che ti chiedo scusa.-

-Non è colpa tua...-

-Sì? Potevo fare qualcosa, sai?- esclamò, aprendo la cassetta e iniziando a prendere tutto il necessario, coprendo la mano con il disinfettante e guardandolo fremere, perché bruciava come se gli avesse appena dato fuoco a quel punto preciso. Così, dolcemente, gli donò un bacio sulla guancia, accarezzandogliela subito dopo mentre, lui, evitò di ricambiare lo sguardo, demoralizzato, e sempre più rosso in volto. -Ma tu non vuoi...-

Iniziò a pulire le ferite, riportando il suo sguardo su di esse; e delicatamente, togliendo quelle crosticine e buttandole all'interno del cestino più vicino. Accarezzando l'arto con la punta delle dita, lasciandole camminare là sopra con tenerezza iniziò a fasciarlo, e infine ci adagiò le labbra sul dorso in un'elegante baciamano.

-Mhm!- scattò spaventato, sgranando gli occhi e guardandolo sorpreso, e boccheggiando alla ricerca di un rimprovero per quell'avventatezza che non riuscì a tirare fuori.

-Ora occupiamoci di questo.- sussurrò, portando un arto sotto la maglia del moro, e alzando le dita dell'altra mano all'altezza della spalla per tastare veloce dove vedeva il cerotto: aveva capito, sin da quando Ace aveva aperto bocca la prima volta, entrando lì, che era stata la solita e odiosa persona e fargli tutto quello.

-Ah!- si lasciò sfuggire, anche se abbastanza piano, provando poi a prendere il polso del ragazzo per fermarlo ma, prima che ci riuscisse, gli aveva già tolto la maglia con un gesto secco lasciandolo con gli occhi sgranati e l'incredulità che fosse successo veramente e con così tanta sveltezza. -E... Eh?- scattò imbarazzato nell'avere quegli occhi sul suo corpo tonico, e cercò di allontanarlo con le mani con una spinta di imbarazzo contro i suoi pettorali, però non riuscì nell'intento e continuò ad avvampare.

-Ace... Calmo, davvero.- gli sorrise ancora, tenendoci molto a consolarlo, per poi, usando le dita con estrema cura, togliergli quel cerotto quadrato su quel punto tra spalla e collo, lentamente prima di incupirsi in un lampo, come se un nuvolone nero fosse piombato sopra la sua testa; con il volto scuro nel vedere una ferita diversa: c'erano delle bollicine, come se fosse stato abbrustolito, e poi, era una parte più scura rispetto al resto. -... Ti ha bruciato?- sibilò severo, quasi in modo raccapricciante, e forse lo era, Ace era solo troppo assopito per concepire, quelle parole veritiere e dolorose, con quale tono adirato furono pronunciato.

-E-ecco...- deviò il capo, sentendo gli occhi pizzicare per tutto quello: era uno schifo, ora lo avrebbe capito anche Marco; se non c'era già arrivato prima...

Il biondo lo scrutò, sentendosi dispiaciuto per quanto fosse demolito, e quegli occhi disperati, ma subito decise di concedersi alla lesione. I nervi non erano compromessi, realizzò subito, e cacciò aria dalle labbra in un fiato, lasciando che una mano scorresse dal petto al fianco nudo come una carezza, volendo trasmetterli tutto l'amore che provava mentre l'altra rimase ad analizzare quella scottatura, davvero, e purtroppo, seria.

-Okay. Mettiamoci una pezza bagnata prima...- annuì, recandosi fuori per prendere l'occorrente dato che non la ritrovò dentro la scatolina di emergenza, ed Ace approfittò di quell'assenza per tastarsi la parte in cui Marco aveva fatto scivolare tutto l'arto, con un rossore più che vivo sulle gote, raffreddato dalle poche lacrime che stava versando sul viso; ascoltando poi Thatch che chiedeva della sua salute si rincuorò maggiormente, e si trattenne dal ridere quando Marco lo accusò di origliare e di come il castano cercò di negare, in evidente menzogna. Se lo immaginò alzato a sventolare le mani davanti a sé, compreso la testa, intanto che udì comunque il biondo spiegargli che lo stava ancora medicando, e sperava che fosse in tempo per la spalla, il che lo costrinse a spegnere il sorriso nato spontaneo, a portare di nuovo gli occhi a terra che asciugò con il polso della mano buona; e perdendo di vista la porta lasciata socchiusa, e da cui non si vedeva comunque l'immagine di nessuno dei due. Ascoltò i passi del ragazzo alto, la porta chiudersi, e sospirò mentre percepì anche l'acqua gocciolante colare a terra un po' alla volta sul pavimento dalle piastrelle arancio, avvolta dentro a un panno grigio che venne lasciato sulla sua spalla come una coperta, ma senza farla restare là per davvero, iniziando invece a tastare lentamente la parte di pelle compromessa con attenzione.

-Allora, continuo un po' così, e dopo qualche minuto ti darò un gel per scottature; lo metteremo per un paio di giorni, poi dovrebbe passare.- spiegò speranzoso. -Altrimenti, andiamo subito da...-

-Non c'è la faccio...- ammise in un sussurro singhiozzante, a capo chino, con le mani di Marco che tamponavano continuamente la parte ustionata con attenzione, cercando di fare il più possibile per bagnarla visto come si fosse, ormai, seccata.

-Ace...- mormorò mogio, triste per quella voce tremolante; continuando a prendersi cura della sua pelle, guardandolo poi e cercando di vedere i suoi occhi, nascosti dalle ciocche ondulate e scure. Allora si premurò di afferrare la bottiglietta di gel di cui aveva parlato e la passò sopra lo strato di pelle compromesso appena vide che poteva, sperando che invece continuasse con quel discorso di sfogo: non poteva forzarlo, testardo com'era.

-I-io... non so se riesco più ad andare avanti, Marco... Ti prego...- balbettò stremato, tremando e tirando su il naso mentre si portò due dita, che si muovevano convulsamente, ad asciugare un occhio. -S-so di non doverlo chiedere, di non meritarlo... però... ecco... puoi... p-puoi aiuta...- farfugliò, sentendosi poi accarezzare la chioma, piano e da fargli trattenere il fiato.

-Sì, che voglio aiutarti, Ace. Me lo concedi? Dimmi chi è.-

-A... A...-

-Allora, dov'è Ace? Non ditemi che sta ancora male.- sentirono tutti la voce del pennuto, con Thatch che subito iniziò ad improvvisare, e il moro scattò in piedi, ascoltando come la pelle assorbiva lentamente il gel, dandogli un leggero senso di pizzico, ma resistette alla tentazione di strofinare, e così, afferrando e indossando in fretta la maglia, si diresse fuori.

-Ohm, avanti Lucci! Non faccia così! Sempre serio è lei! Lo faccia un sorriso, che il gatto non si mangia mica il suo pennuto.- il senso di quella frase, solo Thatch poteva capirla.

-Sono qui.- annuì, facendosi vivo dopo aver appurato che i suoi occhi fossero ben celati. -Scusi, controllavo le scorte.- mormorò, sistemandosi al meglio la maglia e ignorando e trattenendo i mugugni di fastidio, del tessuto che sfregava contro la pelle scoperta e più sensibile.

-Bene. Spero che ti sia divertito abbastanza... Suo padre lo sa che frequenta questo ragazzo, signorino Marco?- domandò il piccione, con tutta quella frase che era diretta solo e unicamente in direzione del biondo che era andato dietro al lentigginoso, e facendo trasalire quest'ultimo che pensò: No, dai. Anche Lucci no! Bastava Thatch per certi commenti!

-Sì, mio padre lo sa che non deve preoccuparsi di chi si occupa del bar, anche perché, gli ho detto già io che è dedito al lavoro come nessun'altro.- esclamò, cercando di non scomporsi come sempre, anche perché sarebbe stata una prova inconfutabile per quello che non stavano facendo, ma che quel direttore aveva pensato con disinteresse. Però sentiva il fremito di strappare un pugno a pennuto e padrone! Ace gli è lo stava per dire; mancava pochissimo!

-Perfetto.- disse, guardando poi fuori e trovando, con una faccia incredula da parte di Ace, tutti i tavoli e le sedie in ordine. -Continua così, Ace.-

Thatch a quel punto si voltò, facendogli l'occhiolino complice mentre Lucci prendeva il volo; ovvero uscì da dove era entrato dopo la sua solita ispezione severa e silenziosa. Il moro mugugnò, chinando il capo, ancora, e, se possibile, più stanco di prima.

-Ace... Vieni, devo finire la medicazione.- mormorò Marco, prendendogli la mano e portandolo di nuovo nello sgabuzzino senza attendere proteste o risposte, anzi, trasportandolo abbastanza facilmente, quasi come fosse un bambolotto; richiudendo poi la porta alle sue spalle mentre Thatch si offrì di fare lui da guardia e da barista. Sperava che avrebbe continuato quella rivelazione, poi lo avrebbe portato a riposarsi un po'.

-Ehm... N-non c'è n... n'è b-bisogno...- farfugliò imbarazzato, e anche con un capo giro enorme che quasi gli sembrò di volteggiare e crollare, ma non lo fece, restando in piedi duramente; forse stava peggiorando... O forse doveva solo dormire... Ma non avrebbe accettato più nulla da Marco, perché avrebbe significato che sarebbe stato costretto a togliersi la maglia, e non voleva farsi vedere senza quell'indumento da lui. Respirò a fatica, socchiudendo gli occhi a stento, con l'impressione di star sudando, forse troppo... Sentiva caldo, troppo. Volse uno sguardo al biondo, e pensò che fosse davvero tanto vicino; quasi sospirò di piacere nell'avvertire il tocco di quelle mani sui suoi fianchi, ma forse voleva solo togliergli la maglia. Chiuse gli occhi comunque, cercando di imprimersi il ricordo di quel gesto, e, avendolo davanti, ne approfittò per adagiarsi contro di lui, petto contro petto; osservandolo in volto dalla spalla su cui era adagiato prima di allungarsi nel chiedere in un ennesimo sussurro, e avendo, da sé, un bacio sulle labbra, assaggiandole piano e sentendo quando fossero succose, tornando a tenere le palpebre celate prima di perdere i sensi senza accorgersene, quasi più come se si stesse addormentando, tra quelle braccia che lo ressero stretto e con amore, facendolo sorridere interiormente.




Ah, doveva smettere di fare sogni così strampalati! Baciare Marco, davvero? Era troppo anche per lui! ..., sospirò, posizionando i palmi delle mani sui suoi occhi, e sentendone una coperta di bende a contatto sulla pelle, mugolò, per poi mettersi seduto, aiutandosi con gli arti, sentendo la consistenza del materasso più denso e comodo del proprio... Già aveva provato un letto così, rifletté socchiudendo gli occhi e ritrovandosi in una camera azzurra e scura, dalle tapparelle abbassate, che lo rese più sbigottito e incredulo mentre ripeté più volte un senso di negazione nella mente, e poi rivelandone uno a voce.

-No...- mormorò, capendo: non era stato un sogno.

-Ehi.-

Oh, grazie al cielo c'era Marco e stava sorridendo... Sì, okay, la stanchezza lo faceva impazzire, pensò con sufficienza. Perché era contento che ci fosse Marco!, sbottò, lasciando che le sue gote si colorassero di rosso, ancora.

-Hai dormito tutta la mattina, sai? Ora come ti senti? La scottatura, comunque, è migliorata.-

Lo disse con una nota davvero euforica nella voce anche se sempre pacato, seduto alla base del materasso accanto a lui; come se, il fatto che ora stesse meglio, lo facesse felice, ed Ace non ne capì il motivo, guardandolo strano, ancora da sotto le coperte mentre si rese conto che ci fossero solo loro due, oltre il pappagallo, nella stanza. Ma forse era felice per altro, non per forza perché stava bene... Magari aveva superato un esame a pieni voti... In fondo, lui non era importante per Marco, no? E allora perché quel sorriso così luminoso che rendeva quel volto così raggiante, così sereno di quella notizia che gli aveva dato? Quasi volesse illuminare la stanza buia, o il suo animo che sembrò rinnovarsi, come se stesse per esplodere per quell'emozione strana che provava a contatto con lui, o il suo cuore che iniziò a battere frenetico, deciso a non rallentare per nulla al mondo davanti a Marco, come a esibirsi di quanto potesse correre se c'era lui vicino. Temette per un attimo che potesse sentirlo, dato il silenzio che li circondava, ma decise di sorvolare sul particolare, concentrandosi invece su quello che aveva detto.

-I-io... Dormito tutta la mattina? Ma... E... E tu sei rimasto qui?- arrossì di più nel chiederlo per davvero, sussurrandolo e chinando il mento leggermente, accorgendosi poi di essere senza maglia, di nuovo, e con una fasciatura decente alla spalla che si annodava sul bicipite, però allentata come a voler far respirare le pelle ferita.

-Dovevo studiare, quindi sì.- annuì.

-Oh...- mormorò impacciato, troppo confuso dalla tranquillità del ragazzo: non si erano baciati? O meglio, non lo aveva baciato?, disse con rimorso e risentimento, addolorato per aver osato tanto in un momento di cotanta debolezza mentre poteva udire tutto il suo volto accaldato e prendere fuoco assieme ad un battito accelerato che chiedeva ancora più scosse e brividi date da quel contatto di labbra. Lo aveva baciato!, urlò nella testa, trattenendosi dal nascondersi sotto le coperte e portando invece più vicino a sé le ginocchia.

-Vuoi mangiare qualcosa?- si premurò alzandosi, prima di assicurargli: -Thatch ha preso il tuo posto, oggi. Tranquillo. Gli hai fatto un favore.- ridacchiò, conoscendo l'amico, anche se con sguardo serio visto che si trattava sempre della salute di Ace per quel cambio di piani.

Già, non era tornato nemmeno da due giorni, ed era subito crollato, ancora... E lo aveva anche ammesso, a Marco, che non c'è la faceva più. Che vergogna, ora lo avrebbe ritenuto un debole...

-Pensi che io non sia forte abbastanza?- chiese piano, stritolando la coperta tra le mani, e ignorando la fitta che produsse quella riempita di tagli; con occhi cupi e addolorati, afflitti dall'aver chiesto una cosa così imbarazzante: lui doveva essere forte.

-Come?- domandò confuso, tornando a guardarlo e fermandosi dal procedere verso l'uscita.

-Cioè, io ti ho detto che... che non c'è la faccio più a sopportare tutto questo... S-ono fragile...- confessò con oltraggio, e una smorfia di stizza nei propri confronti, chinando di più il capo verso terra, con odio.

-No. Sei tenace, perché hai ammesso le tue debolezze, Ace. E non c'è nulla di male, in questo. Okay?- tornò da lui, sedendosi e accarezzandogli il volto, e portandolo a osservarlo, ma non gli sembrò convinto, con le pupille che deviarono le sue.

-C...- mugugnò, fermandosi, per poi sospirare e cambiare argomento. -Che posso mangiare?-

-Quello che vuoi.- gli sorrise.

-Oh... Un po' di carne?- volle chiedere, guardandolo curioso.

-Certo. Altro?- ridacchiò, desiderando fargli capire che poteva esigere tutto.

-U... Mhm... Un po' di pasta? E un dolce? ...Torta? Però, ecco... Cioè, se non creo disturbo, tanto vale che pranzo c-c-on t...-

-Se vuoi, per me va bene. Devo solo avvisarli.- annuì, senza lasciarlo finire perché aveva già capito con chi volesse rimanere, lì e in quella stanza; e questo lo fece ancora più felice. Proprio come lo aveva fatto sentire ricevere quel dolce gesto d'amore prima che svenisse.

-Sì, però... Posso dirti una cosa?- farfugliò, e quello rimase ad attendere, così il più giovane si decise a parlare. -Voglio pranzare qui perché non mi va di scendere... Magari c'è anche Teach... E vorrei solo prenderlo a pugni, sinceramente. Scusa.- spiegò, omettendo che non volesse parlare o essere studiato da quel Barbabianca del cavolo dato che ricordava ancora bene la sua missione che scacciò via dalla mente con odio.

-Non chiedere scusa per quello. Ma, questo è perfetto... Allora facciamo così: io vado e informo i cuochi che pranziamo qui. Cosa ne dici?- domandò, e lo vide sorridere all'idea di fare un pranzetto con i fiocchi con lui, così lo prese per un sì. Gli disse di aspettarlo e poi si incamminò fuori dopo aver alzato le tapparelle, permettendo alla luce di entrare almeno un po', con il suo pappagallo che, destandosi e alzando la testolina; con un inchino grato, tornò ad ammirare il paesaggio che tanto amava.

Ace mugugnò, continuando a stare sotto quelle coperte, e arrossendo nel pensare che era nello stesso luogo in cui il biondo dormiva, e sorrise dolce prima di scansarle e alzarsi di botto come disgustato, avvicinandosi poi alla gabbia con cura; inclinando il capo da un lato insieme al pennuto che ora lo guardava e seguiva i suoi movimenti. Chissà qual era il suo nome, si chiese, preferendo distogliere i pensieri da tutto il resto, Marco compreso, e ticchettando un dito contro una sbarra bianca prima di inserirlo e allungarlo verso il piumaggio folto e soffice del pappagallo che, però, sembrava piuttosto infastidito di quell'intrusione, così si ritrasse prima che colpisse, che affondasse quel becco appuntito e duro contro la sua pelle: era già pieno di ferite, non aveva voglia di farsi picchiare anche da un uccello, e per la seconda volta poi.

-Aspetta.-

-Mhm?- si voltò piano, delicato, con il collo, osservando colpito visto quanto in fretta fosse tornato, Marco; e con un carrello coperto! Cioè, cosa...? Forse aveva esagerato... Aspetta... Come aveva portato quel coso dalle scale?, rifletté confuso. C'era un ascensore di cui non sapeva l'esistenza? Possibile?; fece scettico e stupito prima di sospirare: era davvero troppo sconvolto per tutto, tanto che anche i suoi pensieri erano idioti adesso. Di certo, sentiva, c'era lo zampino di Thatch per quella velocità da fulmine..., concretizzò, alla fine. In verità, non sapeva esattamente se era stata una buona cosa mangiare, solo con lui, da soli e in un luogo così appartato... Era meglio se non diceva niente e pranzava in mezzo a tutta quella marmaglia, anche se c'era quell'idiota di Teach; compreso anche Barbabianca... Oh!, sgranò gli occhi, tornando alla gabbia, e respirò affannato, coprendo gli occhi dalle ciocche e provando a regolarizzarsi subito per non farsi scoprire da Marco: doveva uccidere Edward..., si ricordò d'impatto, più sveglio e comprendendo meglio a mente lucida il crimine di cui si stava per macchiare, per sempre, e dal quale non ci sarebbe stato ritorno. Con quello sì che Marco lo avrebbe odiato... Perché? Perché faceva così? Stava davvero cercando di farsi odiare dalla persona più dolce e stupenda che si sia mai ritrovato sulla strada? O stava testando la pazienza che avrebbe avuto il biondo, perché era certo che, sotto sotto, in realtà lo odiasse come tutti? O era pazzo lui? Perché cavolo aveva accettato, diamine!, imprecò forte, maledicendosi, quasi con la tentazione di dare un pugno al muro, ma si trattenne, soprattutto per la voce che sopraggiunse ancora, facendolo ritornare alla realtà e alleggerire i suoi pensieri.

-Si chiama Hawk. Visto che non ti conosce, non si fida, però se gli dai un cracker ti sarà subito amico.- gli sorrise, adagiando una mano sulla spalla di Ace, sentendolo troppo rigido si insospettì mentre aveva lasciato il cibo accanto alla scrivania. Lo scrutò attentamente, e suppose di credere che fosse solo in imbarazzo per essere unicamente con lui, e poi gli porse, dopo averlo preso da un cassetto sotto il tavolo; un biscotto.

-Oh... Che significa Hawk?- mormorò flebile e tremante, guardando la mano di Marco che lo aveva lasciato e poi l'altra che teneva quel pezzo di cibo, guardandolo mentre apriva la gabbietta, e il volatile ne approfittò per, dopo aver sgranchito le ali, volare e accucciarsi sopra la mano del suo padrone.

-Falco.- annuì, dando quel cracker al moro che esitò prima di scrollarsi di dosso ogni residuo dei pensieri negativi che lo attanagliavano: non c'era tempo, e poi, Marco poteva scoprirlo se continuava ad agitarsi, rifletté con preoccupazione; e non poteva far svelare i suoi piani crudeli, fin troppo inumani... Era un mostro.

-Nome fiero per un pappagallo.- ridacchiò felice, o sperando di esserlo nel dare quella prelibatezza, tenuta in mezzo a due dita, al becco del pennuto che si chinò a mangiare dolcemente. -Bello.- sorrise, sospirando dal naso, passando poi, con l'altra mano, un dito fasciato sul petto gonfio e blu del volatile.

-Già.- concordò il biondo, guardando il ragazzo senza dire altro. Peccato che non volesse continuare il discorso di prima, e anche se avesse provato a cominciarlo il moro a modo suo al risveglio, temeva solo di rovinare la giornata, e che sarebbe corso via se avesse provato a tornare sull'argomento. Cavolo! C'era mancato così poco, stava andando così vicino alla risposta... Però, ora almeno aveva un indizio in più: una A. Forse il nome, o il cognome, o forse niente, ma avrebbe cercato, sia quella persona, che delle prove. Poteva aiutarlo Luffy ma non sembrava propenso a dirgli niente senza il consenso di Ace... Che poteva fare?, si scervellò mandando un'occhiata al cielo azzurro e fresco. Ricordava di un certo Sabo, venuto all'ospedale e che affermava di essere il fratello di Ace, e di sicuro lo era; forse proprio lo stesso con cui avevano costruito quella nave, ricordò. Ma se Luffy non aiutava, di certo nemmeno Sabo... E non aveva nemmeno un modo per contattarlo. Poteva provarci... Per Ace... No, era meglio cercare un modo per scovare velocemente A: ora Ace ci aveva ricavato una mano piena di tagli, e una spalla bruciata, ma la prossima volta...

-Ehi, Marco...-

-Dimmi.- lo guardò dolce, con Hawk che decise di volare un po' intorno alla stanza come non faceva da tanto, seminando un lieve venticello che a malapena si sentiva, con le sue piume che battevano veloci e di quel colore sgargiante che lasciava estasiati e persi di aria nei polmoni.

-Uh. Gli piace volare.- realizzò nel perdersi a guardarlo con ammirazione, fare dei giri intorno con eleganza, andare su e giù e disegnare anche un cerchio immaginario in aria, quasi a sfiorare il soffitto bianco con il petto e le zampine. Sorrise Ace; per lui era bello poter vedere la libertà, scrutarla essere così leggere da avere i brividi nel capire che non gli sarebbe mai appartenuta.

-Cosa volevi dirmi?- tornò a chiedere, il biondo, quasi sperando che gli avrebbe rivelato qualcosa di utile per aiutarlo.

-Oh... Beh... Ehm, possiamo mangiare?- ridacchiò nervoso, grattandosi il capo rosso in volto mentre tornò a volto basso, e lo guardò ad occhi chiusi, sincero.

-Sì.- sorrise, accarezzandogli una guancia per poi osservare il suo pappagallo che tornò nella gabbia con fierezza, scrollandosi le penne per poi appollaiarsi sul proprio bastoncino candido; così richiuse la gabbietta, sereno di averlo reso così pieno di vigore.




Okay, era rimasto con uno sguardo onorato: incredibile che, sotto il proprio coperchio aveva trovato ciò che aveva chiesto: un mucchio di carne che quasi il piatto non le conteneva, un primo di pasta immensa da riempire lo stomaco e tre persone, e due fette di torta, che sembravano più le due parti tagliate a metà dello stesso dolce. Ed era stato tutto delizioso e buonissimo!, ridacchiò, disteso di nuovo nel letto di Marco, e con l'ultimo che, invece, terminava le sue patatine fritte, che aveva anche offerto ad Ace visto come le aveva guardate con desiderio poco fa, e infatti ne aveva prese dieci, facendolo ridere di sincera allegria.

-Buono.- ridacchiò soddisfatto, anche perché non aveva mangiato né ieri, né quella mattina. Si voltò, mettendosi a pancia in giù e guardò Marco che ricambiò, terminando il suo cibo e iniziando a sparecchiare dalla scrivania; così distolse gli occhi, preferendo ammirare e annusare il cuscino di lui, che riportava il suo pungente e consistente odore. Bello, era tutto così bello con Marco, pensò con fare assopito, socchiudendo gli occhi a quella consapevolezza, così lontana se si ricordava il dolore e quello che pativa e che avrebbe continuato a subire: ma gli toccava, se lo meritava... Sì? Vero?, fece, guardando poi il nulla con fare scettico.

Perché non lo sapeva più? Era davvero così morto da non riuscire nemmeno a capire se doveva o no, vivere? Oppure non gli è ne importava così tanto? Non lo capiva...

-Ace... Ascolta, riguardo a...-

-Ace! Ti sei svegliato? Dormito bene, o Marco ha deciso di...- aprì di scatto la porta, contento, ma non terminò la frase che un calcio gli arrivò dritto in faccia, facendolo tornare fuori. -Ahio!- scandì con dolore, rimettendosi seduto e fissando torvo l'amico, sulla soglia.

-Non era il momento.- scandì lui, prima di voltarsi e lasciarlo entrare perché, ormai, era destino che non sapesse per quel giorno; e poi non era certo che gli avrebbe risposto. Forse domani, si disse, incoraggiandosi.

-Scusa.- mormorò Thatch, capendo l'errore, però entrò comunque, anche se con un po' di esitazione, e osservò il più giovane che si era messo seduto e lo guardava con un sorriso. -Ciao!- commentò subito, con vitalità.

-Ciao.- ricambiò, con il cuoco che prese posto accanto a lui, chiedendogli se stesse bene adesso, e al suo cenno affermativo, sorridendo enigmatico, gli si avvicinò per sussurrare, approfittando che Marco scendesse a posare il carrello:

-Avete mangiato insieme, eh? E poi, che avete fatto birbantelli?-

-Niente, Thatch, assolutamente niente di quello che pensi.- asserì con sufficienza, come dallo sguardo che gli rivolse, sbuffando e sorvolando con gli occhi al cielo prima di soffermarsi al cuscino e arrossire.

-Oh, peccato. Potevi approfittarne: era un'occasione d'oro!- si lamentò, fintamente offeso che si fosse lasciato perdere tale opportunità.

-Sì, certo...- commentò, distogliendo gli occhi ancora una volta e scrutando la sedia dove poco prima c'era seduto il ragazzo che gli aveva fatto battere il cuore, con le pupille assottigliate e calme; con un sorriso tirato per quella buffa sceneggiata che stava facendo il castano. Aveva torto, concluse tra sé e sé.

-Beh, ora che stai meglio, dimmi... Di che avete parlato?-

-Nulla. Di Hawk, significa Falco!- spiegò per poi finire trionfante, perché contento di ricordarsi la spiegazione di Marco, che sorrise divertito nel rientrare.

-Già.- confermò, prendendo la sedia e mettendosi vicino al gruppetto, seduto.

A quel punto, Thatch fece una faccia tra lo sconforto e il deluso, guardandoli oltraggiato come a dirli che stavano sprecando il loro giovane tempo della loro giovane vita, e facendoli ridere, così si unì a loro, spensierato.



Era bello stare con loro, si disse Ace, contento; di nuovo disteso sul materasso e a guardare e parlare con i due. Era davvero, davvero bello. Si sentiva bene, appagato, e poi Marco gli sorrideva... Gli voleva bene, gli volevano bene. Che cosa fantastica, mormorò nella sua testa, con il cuore davvero sollevato e meno pesante: più leggero da farlo respirare di più. A quanto pare, la droga non era un problema, o forse avevano solo paura di affrontare con lui l'argomento per la sua reazione, ad ogni modo, era felice fossero ancora amici. Ma era sicuro che, se loro non avessero saputo che avrebbe risolto la faccenda di quella brutta storia con quella polvere bianca, ci avrebbero pensato loro... Ed era meglio di no... Comunque, sentiva che, presto o tardi, l'argomento sarebbe risaltato fuori.

Però, stare così, con loro, sorridere e stare bene... Ah, quando sarebbe stato perfetto stare sempre in quel tipo di pace, con loro e con Luffy e i suoi amici..., sorrise ampiamente.

-Allora, Marco... Che dici, questa sera usciamo? Non fa troppo freddo.- esclamò contento. -Magari ceniamo fuori, neh, Ace? Anche se la mia cucina, ovviamente, è insuperabile.-

-Ah? Io che centro?- mormorò, spostando di poco la testa, ancora immersa in quel cuscino che il biondo gli aveva lasciato avere per sé per tutto quel tempo.

-Beh, se usciamo in due c'è spazio anche per un terzo.- ridacchiò il castano con tono ovvio. -Puoi venire.-

-Ah.- comprese, con sguardo attento prima di assimilare aria nel naso e poi nei polmoni, rabbuiandosi al pensiero di quello che avrebbe, effettivamente, fatto quella notte. -No, non posso. Mi dispiace.-

-Tutto bene?- chiese Marco, facendosi serio e attento per il cambio d'umore dell'altro.

-Hai da fare?- fece Thatch in contemporanea.

-Mhm. Sì, sto bene. Eh, sì, ho da fare. Comunque... posso chiedervi perché non mi odiate? Vendevo droga...- brontolò, preferendo parlare di quello invece che essere scoperto come prossimo serial killer... A quel pensiero si ricordò, che la sua amicizia con i due era così falsa... Stava per farlo davvero?, si chiese.

-Sì, beh...- ridacchiò per quello che aveva udito. -Esatto, vendevi.- sottolineo, annuendo con orgoglio. -All'inizio eravamo così sopresi e confusi... Non riuscivamo a capire come un ragazzo così a modo come te lo facesse, ma poi abbiamo capito che di certo non lo avresti mai fatto se avessi avuto scelta: Sei troppo simpatico e gentile per fare un lavoro del genere; e sei troppo una brava persona per essere odiato. Noi siamo certi che non lo stavi facendo perché lo volevi. Così ci siamo detti che, se avresti continuato, ti avremmo aiutato a smettere: ci siamo sempre per te, fidati; però hai deciso tu di finirla da te; lo abbiamo sentito forte e chiaro mentre lo dicevi a Teach. Siamo fieri del nostro Ace! Sei grande!- esclamò Thatch, dandogli una pacca sulla schiena e stringendolo poi, portandolo contro di sé, in un forte abbraccio. -Rilassati, noi ci saremo sempre, okay?-

-Oh...- mormorò sorpreso, restando con il muso celato contro la spalla del castano che sembrava volerlo avvolgere fino all'infinito, per fargli capire che non era cambiato nulla tra loro, che c'era. -Davvero, non mi odiate?- ripeté, distaccandosi quando gli è lo permise e mettendosi seduto sulle ginocchia, osservandoli curioso e con perplessità, come se fosse strano trovarsi con gente che gli volesse davvero bene nonostante avessero scoperto i suoi difetti. -E credete in me...? Credete che non ricomincerò?-

-Sicuro!- annuì il castano energico, strizzando un occhio per incoraggiarlo mentre anche il biondo fece cenno sicuro di sì con il capo. -Guarda che tu sei speciale, e non sei una persona che venderebbe quella roba se non ci fosse un motivo... Ma adesso non hai più ragione di continuare: hai un lavoro, hai noi... Hai Marco...- sorrise malizioso all'ultima frase, continuando prima di essere colpito da un pugno o un calcio: dipendeva da chi sarebbe stato più veloce.: -E quindi, se hai bisogno di qualcosa, di una mano, di un aiuto, di un braccio anche! Non farti scrupoli a chiedere: noi siamo qui. Anche se ricomincerai, saremmo qui per aiutarti.- addolcì lo sguardo amichevole, facendolo arrossire il moro mentre cominciò anche a ridacchiare nervoso.

-G-grazie...-

-Siamo amici, ci teniamo a te.- disse ancora, il cuoco, con Marco che si alzò dalla sedia, adagiando poi una mano sulla capigliatura del moro e chinandosi per guardarlo negli occhi appena li fu vicino.

-Devi stare tranquillo, tutti facciamo errori. L'importante è capirli e riparare a essi. Sarai sempre il nostro Ace, qualunque cosa accadrà. Fidati di noi come noi ci fidiamo di te.- espose serio, ricavandone solo una risata genuina e innocente da Ace che lo lasciò confuso, dato che non ne capì il motivo, come anche il castano che stava per parlare e fare una delle sue solite battute ma venne bloccato dal lentigginoso che lo precedette.

-Scusa, ma mi sembri uno di quei cosi saggi che insegnano in quei templi strani... E tipo, ci ti vedo troppo a essere uno di quei cosi.- ridacchiò, facendo emettere gli stessi versi anche a Thatch, che cascò a terra dalla sedia dopo pochi attimi appena comprese tutto, con Marco che chinò il capo a terra di scatto come sconfitto, e anche un po' incupito e addolorato: per una volta che apriva il suo cuore ad Ace, volendo rassicurarlo e tranquillizzarlo con tutta la buona volontà... lui gli rideva in faccia. Ghignò poco dopo, annuendo tra sé e sé: lo aveva fatto sorridere, aveva fatto quello che doveva; ora sentiva solo, nel rialzare il capo e perdersi nei suoi bulbi nocciola scuri, di doversi avvicinare e condividere con lui un denso e lungo bacio che avrebbe, sperava, fatto sbocciare il loro amore. Ma non lo fece...

-Cosi saggi!- ripeté Thatch, disteso a terra e tenendosi la pancia, non riuscendo a respirare per le troppe risate prima di dire, senza fiato e a stento: -Marco! Sei un coso saggio!-

-Va bene, ho capito...- mormorò piano, sospirando e guardando poi Ace, rallegrandosi nel vederlo così felice anche se lo stava, praticamente, prendendo in giro.

-Non ti sei offeso, vero?- mormorò poi, distendendosi di schiena sul letto per riprendere fiato, guardandolo felice anche se in pensiero.

-No, tranquillo. Non potrai mai fare peggio di Thatch con i suoi commenti.-

-Imparerà, imparerà. Sarò il suo coso saggio.- sorrise, restando in tema e puntando il pollice in alto, portandolo davanti al petto.

-No, dai!- ridacchiò ancora, portando le mani all'altezza del petto nudo come a cercare di controllarsi. -Non voglio prendere in giro Marco.- spiegò, continuando ad essere contento, girandosi poi su un lato e osservandolo negli occhi, fin troppo vicino da potergli sfiorare il naso con il proprio.

-Grazie.- volle commentare, Marco, unendosi alle risate contagiose dei due, e chinandosi fino a toccare, con il mento, il materasso, avendo davanti la faccia di Ace così serena e che si sfregava contro il suo cuscino. -Sei bellissimo.- sussurrò d'istinto, con lui che sgranò gli occhi, per poi calmarsi e, tornando a respirare, avvicinarsi piano, fino a toccarlo con la punta del suo naso.

-Anche tu.- mormorò, non volendo pensare a cosa comportava tutto quello per il momento, così lasciò un nuovo bacio su di lui, anche se sulla guancia prima di rifugiarsi, con la fronte, contro il suo mento spigoloso.

-Aww! Ma come siete teneri!- esclamò emozionato, Thatch, prima di ridere ancora, facendo solo arrossire all'invero simile Ace che abbassò gli occhi, sorridendo ma non volendo davvero rovinare tutto quello: era così perfetto, sembrava proprio una giornata bellissima, come se niente, nessun dolore lo attanagliasse più...

-Tu invece sei sempre di troppo.- volle affermare, per lo più scherzoso, Marco, distanziandosi nel capire che non si sarebbe sforzato più di tanto, quel ragazzo così complicato e carino, senza capire che gli aveva appena lasciato un angoscia di solitudine e un battito più lento nel petto per quel distacco imprevisto e svelto.




Ormai era pomeriggio inoltrato, quasi le sette e lui era ancora nella stanza con Marco e Thatch, erano venuti anche Haruta e Izou per studiare, e si era divertito con tutti loro, parlando del più e del meno tra una pausa e l'altra, e il resto lo aveva passato a ripetere con loro, concentrandosi in tutti i modi per non fare brutta figura davanti a Marco, che gli sorrideva sempre. Era adorabile che lo facesse sempre, quando andava alla sua ricerca con le pupille, lo rendeva tanto dolce: sorridere. Non voleva farsi vedere a guardarlo, ma a quanto pare veniva scoperto ogni volta.

Adesso erano in cucina, ad aiutare Thatch e gli altri cuochi, e prese la tovaglia e le posate per cominciare ad apparecchiare. Ace si sentiva un po' a disagio a fare una cosa del genere, come se fosse membro di quella famiglia, quando in realtà, era ovvio che non lo fosse. Aiutato da Marco e da altri ragazzi, misero le tovaglie su ogni tavolo, lungo e immenso, in una mensa, con Barbabianca che li guardava, seduto su un altro trono. Quanti ne aveva?, si chiese infastidito.

-Ma gli fa bene bere così tanto?- mormorò ad Haruta, il lentigginoso, cercando di non farsi sentire o vedere dal diretto interessato, e coprendosi la bocca con una mano, dalla parte opposta al ragazzo alla sua destra.

-No, ma non la smette. Tranquillo però, è resistente più di una roccia, il babbo.- esclamò fiero, per poi tornare in cucina per prendere i bicchieri.

-Oh.- commentò, costretto a passargli accanto, e, purtroppo, sembrava tenerlo d'occhio anche se sorrideva; non ne capì il motivo ma proseguì.

-Ceni con noi, vero Ace?- domandò Thatch che mise, dentro un'enorme pentolone, la pasta.

-Come? Ecco... Ma io...-

-Eddai! Me l'avevi promesso, no?-

-Sì, infatti ho cenato con voi alla festa di compleanno di Marco...- inclinò il capo da un lato, non capendo come potesse essersene scordato; però, in fondo, poteva restare... No, no! Non poteva!, si riscosse.

-Quello non conta!- si espresse duramente, il cuoco, protestando sentitamente e con sguardo accigliato.

-Sì, che conta.- borbottò con una smorfia, strizzando un occhio, infastidito da quelle parole: lui l'aveva mantenuta la parola!

-Teach non cena qui, questa sera. È uscito.- gli sussurrò Marco, passandogli al suo fianco e chinandosi verso il suo orecchio per informarlo prima di prendere i bicchieri, disposti sopra quel bancone grigio davanti al più giovane e poi tornare indietro, con Ace che lo esaminò sorpreso e imbarazzato, voltandosi a fissarlo anche quando uscì.

-Che ti ha detto di bello?- gli si avvicinò Thatch, sorridendo complice e malizioso.

-Niente... Che posso anche andarmene.- mentì, gasandosi poi per la sua idea geniale arrivata su due piedi, tra sé e sé.

-Sì, come no. E io sono Re Luigi XVI.- brontolò scherzoso. -Era qualcosa di romantico?- bisbigliò felice.

-Ah, finiscila. Perché dovrebbe? Non mi sembra il momento adatto per cert... Cioè, Marco non direbbe qu... Sì, insomma, finiscila.- il risultato dei borbottii fu solo quello di vederlo ridere, divertito dalla sua faccia rossa.

-Smettila...-

-Allora? Datti una mossa, la cena non si prepara da sola.- sbottò Izou, prendendo un paio di bottiglie di acqua e altre due di vino quando varcò di nuovo la porta della cucina.

-Eh sì, calma, calma...- farfugliò, inaudito di quel commento, per poi preoccuparsi del suo lavoro.

-Okay. Allora, ciao.- si voltò, pronto a fuggire, uscendo dalla cucina e ritrovandosi in corridoio ma la mano di qualcuno, che si impossessò del suo polso gli è lo impedì. -Oh, e dai Thatch, ho detto che...- si voltò con una smorfia prima di rimanere stupito.

-Che cosa devi fare?- chiese Marco, preoccupato: di certo, se voleva andarsene era per un motivo meno piacevole, ipotizzò, e a quel pensiero la presa che aveva sul più giovane aumentò, ma senza ferirlo.

-I-io... Sono stato via tutto il giorno, Luffy sarà preoccupato... e gli devo preparare la cena.- annuì.

-Cena al Baratie.-

-Ah?-

-I suoi amici mi hanno dato il loro numero, e Nami mi ha scritto che puoi restare perché Luffy sta bene e cenerà al ristorante.-

-Che?- sgranò gli occhi, maledicendo poi l'amica mentalmente: perché non si faceva i fatti suoi?, disse, alzando le pupille al cielo con fare sconsolato. -Perché ti hanno dato il loro numero?-

-Abbiamo fatto amicizia, quando eri in ospedale.- e lo disse usando il più tatto possibile, sia per sé stesso, per la paura che aveva avuto, che per lui, per averlo provato di persona e in modo peggiore. -E lei mi ha scritto, anche ieri s'è per questo. Sembra tenerci molto a te, tutti loro, e quindi non devi preoccuparti.-

-Mi stalkerano, e non devo allarmarmi?- improvvisò, ma forse non centrava con tutto quello. -Cioè... Ma chissà che significa stalkerano... Oh, vabbeh... N-non posso restare. Ti prego.- mormorò, tirando verso di sé il proprio arto, e ringraziando non fosse quello ferito. Che poi, improvvisare su una parola fingendo di non saperne il significato dopo averla usata in una frase... Davvero un'ottima figura, Ace..., si complimentò.

-Fermo.- sussurrò, continuando a tenerlo stretto mentre Haruta e Izou passavano senza vederli, o fingendo di non vederli; dentro la cucina, mentre altri salivano o scendevano le scale; forse capendo che dovessero lasciargli il loro spazio. Peccato fossero proprio in una parte ben trafficata del dormitorio, si lagnò il moro con una smorfia.

-Oh, e lasciami.- sbottò, imbarazzato che tutti potessero vederli mentre fece uno strattone più forte, portandosi indietro, liberandosi e correndo subito fino a ritrovarsi fuori, proseguendo poi per la strada, dritta, svoltando subito dopo e poi via così fino a casa.

-No.- lo braccò invece in tempo, raggiungendolo prima che uscisse dal marciapiede per attraversare la strada, e tenendolo stretto, cingendogli il busto. -Non ti lascio andare, non voglio e non permetterò che ti faccia ancora del male.-

-N-No! N-nessuno mi fa del male!- urlò, cercando di scappare, allungandosi con il petto in avanti nel darsi la spinta con le mani contro i polsi dell'altro, consegnandogli calci con le gambe contro le sue senza smetterla. -A me piace!-

Trattenne il fiato, sgranando gli occhi con le pupille che si restrinsero mentre la presa si allentava, senza però lasciarlo. Perché l'aveva detto? Sì, lui voleva soffrire, perché lo meritava, e poi, capiva che era per il suo bene quindi, sì, desiderava che continuasse. Ma perché dirlo a lui? Non lo capì...

-Cosa?- fece Marco, con un lieve tono di disgusto, fuso a del rimprovero; meravigliato a palpebre sgranate da quella frase prima di riacquistare lucidità e tornare a tenerlo a sé con maggiore forza. -Che stai dicendo?- sbottò severo. Non poteva crederci... Aveva di certo capito male, si disse.

-Io me lo merito!- ammise, gemendo e stringendo gli occhi, chinando poi il capo fremente, mordendosi il labbro inferiore. -Dannazione, mollami!-

-Perché?- chiese piano prima di aumentare il tono: -Perché te lo meriteresti? Perché ti piace?-

-L-lasciami...- singhiozzò, dimenandosi ancora per poi gettare indietro il capo e colpirlo in fronte. Atterrò in piedi e si diede a una fuga sfrenata intanto che forse il biondo cadeva di schiena, senza voltarsi indietro nonostante tutto il corpo gli è lo imponesse: Marco stava bene, vero?, voleva sapere, soprattutto il cuore, ma gli occhi non lo accontentarono.



A casa, perfetto. Ora poteva sotterrarsi, o eclissarsi, o morire... L'importante era non uscire di lì, né farsi vedere più da Marco. Ci sarebbe riuscito?, lo sperava ardentemente. No, ma che farneticava! Non poteva lasciare Luffy tra i debiti di suo "padre", né con una pistola in casa che poteva usare Akainu...

-La pistola...- esclamò in un farfuglio sorpreso e spaventato, voltandosi a destra, inquadrando e correndo per le scale, salendole e sperando davvero che quel mostro non l'avesse trovata per caso: quel maledetto incubo lo perseguitava, cavolo!

-Oh, eccola.- sospirò, sedendosi poi a terra, in ginocchio, e adagiandosi contro quella spugna che era il suo materasso; accarezzando in seguito il dolce fiore azzurro con due dita, in bella mostra per aver spostato il cuscino. Ripensò poi a Marco: chissà cosa pensava di lui, ora. Che era pazzo? Probabile..., rifletté, puntando in alto gli occhi, verso la finestra, così sbarrata e chiusa come lui, ma riusciva a vedere le stella da una piccola fessura, e sorrise.

Era meglio non pensare a Marco, doveva sistemare una cosa, e se pensava a lui, non l'avrebbe mai fatta. Si staccò da quel regalo, e tornò a prendere in mano la pistola, era pesante, ed era carica... Non aveva mai sparato prima, però la sicura era stata già tolta, esaminò. Usop era bravo, e avendo un padre cecchino in polizia parlava sempre di lui e conosceva bene queste armi, e gli è ne aveva parlato con molta cura: si era informato da solo perché quel genitore tanto famoso e rispettato non viveva con lui, era partito alla ricerca di qualcosa di più prima che nascesse suo figlio. Quel nasone bugiardo gli voleva ancora bene, ma come poteva? Ace, era certo, che mai e poi mai avrebbe accettato un padre così: preferire abbandonare il proprio figlio per la propria passione. Bah! Proprio come Roger!, pensò con una smorfia disgustata. Barbabianca meritava di morire, perché si prendeva gioco di tutti quei ragazzi chiamandoli figli, quando non lo erano! Decise allora, credendo anche fermamente di avere ragione.

-Devo organizzarmi... Potrei aspettare verso mezzanotte o le una, e poi... Di certo, se dorme, e se dormono tutti, sarà più facile.- mormorò, peccato non avesse il silenziatore: avrebbero sentito tutti lo sparo, quindi doveva tenersi pronto e vicino alla porta per scappare.

-Bene. Sono pronto.- esclamò, per poi osservare l'orologio; mancava ancora un'eternità per il fatidico omicidio.

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