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Non parlare.

Mattina, che bello; pensò ironico, Ace, sentendo i muscoli intorpiditi da nuove percosse nel provare a muoversi. E anche Luffy gli è lo ricordò con la sua voce: gridandolo ai quattro venti che il giorno fosse giunto e il sole sorto.

-Sì, ho capito, ho capito...- mormorò impastato e con fare ovattato, con il muso contro il cuscino, strizzando gli occhi e borbottando tra sé e sé su quanto fosse fastidiosa la sua sveglia.

-Forza!-

Ma perché urlava?, rifletté con i nervi sfiniti mentre il suo cervello lo informò che fosse martedì, e che quindi Marco non sarebbe venuto all'università... solo di pomeriggio. Che tristezza, mugugnò tirandosi in piedi e percorrendo, scalzo, il pavimento fino al bagno, a lavarsi.



Iniziava ad essere un po' troppo monotono questo suo modo di fare, di vivere, e di pensare sempre a Marco a ogni ora del giorno..., rifletté affranto quando, ormai vestitosi, e con il suo fidato cappello da cowboy arancione in testa scese in soggiorno; soprattutto dispiaciuto perché non avrebbe potuto godere della sua presenza per quel giorno, con Luffy che saltellava ovunque con fare energico al contrario suo che ondeggiava le braccia a destra e sinistra con le spalle ingobbite, e con una faccia da zombie.

-Forza, forza! Oggi è un giorno speciale!-

-D'accordo!- sbottò cercando di calmarlo, mettendosi dritto prima di fermarsi con una faccia confusa. -Speciale?- chiese scettico.

-Oggi vai ad una festa, ed io farò una cosa speciale! Ma non posso dirti niente. È un segreto! Ma lo scoprirai!- affermò, senza togliere dalle labbra quel dito indice che insinuava il significato di un sigillo profondo e celato.

-Okay...- non aveva voglia di approfondire, lo avrebbe scoperto quando sarebbe stato più sveglio, decise. Cingendo poi una mano attorno alle spalle del minore se lo portò più vicino con fare amichevole, avviandosi dalla cucina a verso la porta principale mentre lui mangiucchiava un cosciotto di carne succulenta.

-Mhf dcrf!-

-Sì, capisco.- annuì, chiedendosi se davvero avesse compreso per bene quelle sillabe a caso, entrando in macchina per avviarsi scattante verso il liceo. Stranamente si sentì sereno, e lasciò che quel sentimento persistette per molto mentre guardò il fratellino, accanto a lui, leccarsi le dita, deliziato e ripetere:

-Cucini bene, fratellone!-

-Già... Dove l'ho trovato il tempo, mi chiedo...- farfugliò, parcheggiando e inserendo il freno a mano che cigolò forte, aprendo poi in sequenza la portiera e mettendo un piede fuori, pronto ad alzarsi per sgranchirsi un po'. E così fece, ascoltando il venticello fresco e puro venirgli addosso, in quella strada dove solo un'altra macchina decise di passargli accanto per poi continuare dritto per la propria strada, mentre Luffy era già al cancello.

-Ace!- arrivarono scattanti, Franky e gli altri, lasciando più stupito del solito il lentigginoso.

-Sì?-

-Per una volta, Luffy non ha parlato.- mormorò sottovoce, Nami, con sguardo però, abbastanza diffidente, ed occhi socchiusi; con il diretto interessato che saltellava contento, urlando ad Usop la sua felicità, insieme a Chopper.

-Magari la sorpresa riuscirà.- sorrise tranquilla, Robin, entrambe cercando di fare piano per non farsi sentire.

-Super!- esclamò l'omone dalla capigliatura azzurra e passandosi un pettine tra la chioma tenuta alta sulla testa. -Oggi è un giorno speciale! Devi essere più allegro!-

-Okay...- mormorò cauto e perplesso, ma continuava a non capire: forse doveva farsi dare delle informazioni più chiare.

-Avanti, Ace! Sei in ritardo, ora vai. E dobbiamo andare anche noi.- scattò la ragazza dai capelli arancio, capendo i suoi intenti; determinata come sempre e con le mani sui fianchi, dando un cenno agli altri di entrare nell'istituto appena vide Zoro arrivare, pacato, sbadigliando.

-Allora a dopo, Luffy.- salutò il lentigginoso, rientrando in macchina e dirigendosi, con il sole nel cielo limpido, all'università, con la gioia che scomparve in un'attimo. -Mi manca Marco...- mormorò, sicuro di non essere sentito da voci indiscrete in quel posto, ora solitario, ma arrossendo comunque a quell'affermazione, troppo sconveniente ed esplicita.



-Buongiorno.-

-Oh! ... Buongiorno, signor Lucci.- scattò nonostante fosse stato il piccione a parlare, irrigidendosi e osservando come studiasse ogni particolare del locale, peccato che Ace fosse appena arrivato e non avesse pulito, né messo in ordine i tavoli fuori...

-Beh, mi sembra tutto nella norma.- cinguettò il volatile, sbattendo le ali un paio di volte da sopra quella spalla di quel padrone, perennemente elegante; come se il suo padrone credesse che Ace fosse solo tornato dal bagno. -Continua così, ma mi raccomando, devi segnare le scorte di cibo, anche se fai il turno di mattina: non voglio problemi.- si limitò a dire con Lucci che si diresse alla porta, e, dallo sguardo non sembrava davvero pensare che Ace fosse giunto solo in quel momento, che ancora si chiedeva cosa fosse successo. O meglio, pensò; cosa stava accadendo a tutti! Erano forse impazziti in contemporanea?

-Certo.- mormorò, accondiscendo senza chiedere spiegazioni, preferendo così dentro di sé, e quando quel tipo con il cappello nero a cilindro andò via, si diresse alla sua postazione con un sospiro, che raggiunse in fretta, così guardò quella sedia senza schienale attenderlo come ogni altro giorno.

-Ciao.-

Ace si fermò per poi balzare indietro di scatto dopo essersi voltato in fretta per lo spavento, cadendo sul pavimento subito dopo e portandosi dietro anche lo sgabello, finendoci, rovinosamente, con il deretano sopra prima di scivolare giù, con il trespolo che rotolò parallelo, seguendolo fino a sfiorargli il busto con la base in alto. Strizzò un occhio, mugugnando poi infastidito mentre guardò a terra, ma almeno non sembravano esserci danni ai bicchieri o altro di altrettanto fragile e prezioso, ma forse, per Lucci, era tutto prezioso in quel posto; ci teneva anche troppo, rifletté il lentigginoso con una smorfia di dissenso.

-Ahio...- si concesse allora di esprimere, con un tono di voce innocente e fin troppo buffa, il suo dolore per essere finito a terra in quel modo così brusco prima di alzare lo sguardo e raggelare insieme al cuore nel trovarsi il volto del biondo ad un centimetro dal suo naso.

-C-cosa...?-

-Tutto bene?- chiese invece Marco, prendendogli una mano con dolcezza e aiutandolo a tirarsi su, anche se Ace rimase tanto inerme da quella presenza che nel venire alzato in piedi sembrò un bambolotto succube di ogni mossa del ragazzo più grande, e così finì per sbattere contro il suo petto.

Sgranò maggiormente gli occhi, staccandosi di botto e iniziando a borbottare delle scuse così farfugliate e intricate che il biondo lo guardò interrogativo per un po' prima di sorridere e provare a tranquillizzarlo, ma il maggiore nell'adagiare una mano sulla sua spalla con fare amichevole lo rese una statua di pietra, che Medusa in confronto lo avrebbe invidiato.

-Ehi, non ti sei fatto male, vero?-

-N-n-n-n-n-n-n-n...- balbettò senza fine, diminuendo il tono sempre di più, così rosso da sembrare un pomodoro maturo. -o.-

-Possibile che ti spavento sempre?- affermò ironico, lasciando pure che parlasse senza riuscire a tenere legate le parole tra loro, trovandolo così adorabile in quel contesto, come anche in tutto.

-No...-

Tossicchiò il moro, riprendendosi e decidendo di rimettere in piedi lo sgabello per poi avvicinarsi al lavello per sorseggiare un po' d'acqua da un bicchiere che prese senza esitazioni dalla credenza sul muro dietro, e cercando di allontanarsi da quell'essere che era riuscito quasi a ucciderlo..., o forse era lui quello imbranato?

-Ho sistemato io il locale. Non voglio nemmeno io che tu perda il lavoro, anche se è impossibile.- affermò il biondo, con un sorriso mentre avanzò tranquillo, come se non capisse quello che avrebbe causato al moro, che arrossì anche per quelle parole.

-Oh... Grazie... Ma, perché sei qui? Pensavo ti toccasse il pomeriggio oggi.- farfugliò, distanziandosi fino a toccare la fine del bancone, con, dietro di sé, il terrazzo che illuminava il locale; e lasciando che una mano ci si adagiasse sopra di esso, ascoltando il freddo che trasmetteva il marmo mentre evitò di scrutare il biondo, troppo in imbarazzo per quel contatto di prima: perché era riuscito a sentire il suo respiro su di sé, e il suo tocco contro il proprio naso; e lo ricordava vivamente come se lo stesse facendo ancora.

-Lo so, proprio per questo ho pensato di venire a farti compagni adesso, che è mattina.-

-È... È stato molto gentile da parte tua.- mormorò, cercando di accumulare, pian piano, respiro, ma lo sentiva sempre meno, e Marco non sembrava intenzionato ad allontanarsi, e anche se questa prospettiva gli piaceva, ne era stranamente ed enormemente, spaventato.

-L'ho fatto volentieri. Oggi ti aiuto, va bene?- chiese lui, guardando poi quei lividi che il giorno prima non aveva, scoperti lievemente dalla camicia che indossava, e aperta sopra, all'altezza del petto; con rammarico. Perfino sulle braccia, anche se con sopra dei piccoli cerotti, era ben evidente il contrasto di colore dei lividi mal celati: da rosa a violaceo.

-Mhm, se non ti crea disturbo...-

-Stare con te è tutto, tranne disturbo.- affermò prontamente, ridendo e allontanandosi per prendersi un caffè, preparando la macchina; e così Ace si rilassò un po' di più, incamminandosi di qualche passo in avanti per non sentirsi prigioniero contro quell'angolo.

-Tutto?- domandò Ace, non capendo appieno cosa volesse intendere.

-Tutto. Come gioia, o felicità, tutto di tutte le più improbabili e bei sentimenti esistenti, e tutto quello che possa essere meraviglioso nel mondo.-

Ace lo scrutò negli occhi, leggermente confuso perché si era perso alla prima parola, ma era comunque contento, con un calore cocente e pieno di ardore nel cuore che aveva saputo cogliere bene ogni piccola bellezza di quella frase. Era così carino, così bello, pensò sereno, e avrebbe tanto voluto aprire la bocca e chiedergli un semplice e innocuo: Mi baci?

-Come, puoi ripetere?- chiese il biondo, portandosi la tazza alla bocca mentre scrutò il volto del moro che sgranò gli occhi nel capire che lo avesse detto per davvero, o meglio, farfugliato.

-N-nulla!- urlò in imbarazzo, portando in avanti le mani e sventolandole con furia mentre sperò, pregò, che non lo avesse sentito.

-Okay.- acconsentì, Marco, ghignando sotto i baffi dopo aver scoperto le labbra, abbassando quel pezzo di ceramica che aveva tra le dita; e poi si avvicinò a lui che indietreggiò di scatto, continuando in fretta fino a sbattere contro la fine del bancone, un'altra volta.

-C-che c'è?- balbettò Ace, cercando una via d'uscita, ma, o saltava, o passava sotto come i soldati che si addestravano; e non sarebbe stato dignitoso in nessuno dei due modi, agli occhi di Marco.

-Devo lavare la tazza. Non ti ho chiesto se volevi anche tu il caffè, scusami.-

-N-no... Non mi piace...- mormorò, guardandolo destreggiarsi in quel lavaggio dopo aver aperto il lavello; così, piegandosi sulle ginocchia di qualche centimetro e appiattendosi contro il davanzale, quasi ad assomigliare a un granchio, senza riuscirci; e sentendo il muro alle spalle e la luce arrivargli di lato, del terrazzo, cercò di non sfiorare il fondoschiena del biondo con il suo stomaco dato il luogo stretto in cui si trovava per via della presenza di quella persona, che lo scrutava curioso di sottecchi, ma Ace riuscì prontamente ad uscire da quella situazione, rimettendosi dritto e sospirando, rilassando le spalle prima di incamminarsi verso lo sgabuzzino senza un motivo preciso, e chiudendocisi dentro.

Perfetto...: sono un'idiota, e se sto ancora con lui farò di certo la figura del deficiente imbranato!; annuì nel pensiero, guardando quegli scatoloni e l'armadio delle scope. Che stanchezza, mormorò riflessivo, lasciando che le mani dondolassero oltre i fianchi, come abbandonate al vento.

Sospirò, chiudendo gli occhi e sbadigliando prima di voltarsi verso la maniglia, aprire la serratura ma bloccandosi nel vederla piegarsi verso il basso da sola.

-Ace? Ah! Ace!- affermò Marco nel prenderlo di scatto tra le braccia mentre gli cadde addosso a peso morto, ma poi si rilassò, tranquillizzandosi nel constatare che si fosse solo addormentato, portandolo subito dopo, di nuovo, all'interno del locale, andando alla ricerca, con lo sguardo di un comodo giaciglio; ma a pensare all'ultima idea, se lo portò maggiormente contro di sé, in quell'abbraccio denso.

-Oggi è vuoto, eh?- sbucò fuori, da oltre la porta principale, la testa di Thatch che sorrise bonario. -Ma come sei tenero Marco: questo sì che è vero amore!- ridacchiò.

-Da quando sei lì a origliare?- sbottò lui, in risposta, con una smorfia.

-Beh, questo non ha importanza.- esclamò, entrando con aria soddisfatta e felice. -Ohw, bravo, tienilo stretto. Approfitta di questo momento: bacialo.- affermò divertito, schivando in tempo un calcio da parte di Marco che quasi lo colpiva in faccia; sulla sua bellissima e stupenda faccia, aggiunse nel pensiero il castano.

-Idiota...- farfugliò Marco, ma in modo che quello lo sentisse.

-Mhm, quindi mi stai dicendo che non lo ami? Guarda che ho le prove che lo dimostrano.- esclamò fiero, avvicinandosi giulivo, oltrepassandolo per arrivare al bancone.

-Ah, sì? Avanti, sentiamole.- borbottò, il biondo, sfidandolo con un'occhiata, certo della menzogna.

-Primo: lo stai tenendo in braccio come se fosse la tua sposa; non ti va proprio di lasciarlo su una di queste scomode e tristi sedie, eh?- affermò, brontolando poi contro gli oggetti del locale in modo scherzoso, elencando, nel mentre, le sue parole sulle dita: -Secondo: Tu, proprio tu che ami studiare sei qui a fargli compagnia, e non in camera tua sui libri.- terminò, gongolando fiero.

-Questo non vuol dire proprio nulla. Potrei anche tenerlo perché è vero che le sedie sono scomode, e magari non avevo da studiare.- contestò pacato.

-Tu? Tu che non avevi niente da studiare? Leggeresti un libro perfino venti volte.-

Marco alzò gli occhi al cielo, scuotendo il capo per poi sorridere nel, riabbassandolo, rincontrare quel volto così rilassato tra le proprie braccia.

-Awww!- commentò il castano, allungando il collo per intromettersi di poco nella visuale dell'altro, ridendo subito dopo all'occhiataccia del biondo amico.

-Comunque.- si riprese, mettendosi seduto sullo sgabello e guardando da lontano, il biondo fare altrettanto ma su una sedia che gli permettesse di tenere Ace con sé un altro po'. -Gli è l'hai detto di chi è la festa?-

-No.- rispose calmo.

-No? Perché? In fondo lo hai visto mentre teneva il biglietto, dovresti dirgli chi è il festeggiato.- esclamò tranquillo ma con sguardo confuso verso l'amico mentre iniziò a mangiare le noccioline sopra quel davanzale di legno.

-Sarà divertente quando lo vedrà da sé, e poi, temo che, se gli è lo dico, non venga più.-

-Oh, divertente. E da quando hai il senso dell'umorismo? Beh, in effetti da poco hai anche il senso dell'amore.- ridacchiò, smettendo all'occhiataccia cupa di Marco che lo fece rabbrividire di un lieve terrore di poter ricevere un altro calcio. -Però, almeno digli che ti piace. Questa sera stessa. Questa è la sera perfetta: c'è una festa! Quale occasione migliore? Diglielo! Digli che ti piace, alla festa. E invitalo a ballare.- affermò con un sorriso, voltandosi e inquadrando entrambi, con il biondo che si fermò a pensarci su, quasi sembrando accondiscendere.

-Mhm...- sbadigliò mugugnando, poco dopo, Ace, socchiudendo gli occhi e scrutandosi attorno. -Uho!- cascò a terra volontariamente nel capire dove fosse adagiato e chi lo tenesse, scosso mentre Marco gli sorrise, dandogli una mano e aiutandolo a rialzarsi mentre si mise in piedi dalla sedia anche lui.

-Ben svegliato!-

-Mhmm...- sussurrò, abbassando gli occhi da quelli di Marco prima di udire quella voce e voltarsi. -Oh, ciao Thatch.-

-Stasera?- ricordò euforico, con occhi vivi, riferendosi alla festa.

-Che? Ah, sì. Mhm...- sbadigliò, raggiungendolo e mettendosi seduto. -Ma era un segreto.- sussurrò, senza sapere che il biondo lo avesse raggiunto, seguendolo passo passo.

-Tranquillo, Marco non lo sa.-

-Oh, va bene.-

-Cosa non so?- volle tenersi al gioco, accarezzando i capelli al moro.

-Niente, fidati.- assicurò il cuoco, facendogli segno di allontanarsi con il dorso di una mano; così, scuotendo il capo pensando che fosse incorreggibile, Marco lo accontentò, andando dietro il bancone. -Così resti anche da me; me l'hai promesso che saresti rimasto una di queste sere: è il momento di mantenere la parola.- continuò a bisbigliare, con il più giovane che annuì, anche se assorto completamente nei suoi pensieri.

-Ma non c'è?- si avvicinò, sporgendosi per raggiungere a sua volta l'orecchio del castano, Ace.

-Chi?- sussurrò anche lui, Thatch, ridendo sotto i baffi, volendo una chiarezza che già sapeva di conoscere.

-Marco. Non c'è alla festa?-

-Mhm, no, mi spiace. Penso che studierà.-

-Oh.- si allontanò mogio, allora, alzandosi per tornare a stare dietro al bancone con una smorfia e abbassando il capo mentre il castano ne approfittò per mandare un cenno al biondo come: "Visto? Ace è cotto di te!".

-Si batte la fiacca, eh?-

Ace si voltò di scatto, ancora al centro della sala; guardando il piccione che lo fissava male, insieme al padrone che si sistemava la cravatta bianca, avvicinandosi con quelle scarpe lucide e nere, medesimo colore di quasi tutto il completo come sempre; tornato per la seconda volta e in meno di qualche minuto: forse per controllare qualcosa a cui era sfuggito prima. No, impossibile: era troppo pignolo; si disse il moro, ancora lievemente con il sonno negli occhi. Forse, semplicemente, passava di lì e aveva deciso di fermarsi per dare un'ultima occhiata.

-Ecco...- mormorò lui, perso nella sua confusione, che sia per il risveglio recente dalla narcolessia, o la tristezza che la notizia della mancanza di Marco a quella celebrazione di quella sera portava.

-Sei tu che lavori qui, non Marco.- rimproverò severo, la voce squillante del pennuto; guardandolo male, e maggiormente visto che non si stesse atteggiando in segno di rispetto verso di lui, bensì con occhi socchiusi, quasi in procinto di addormentarsi, o osare sbadigliargli in faccia. -Devo ricominciare a rivalutarti, ragazzino.-

-Oh, ma non faccia così Signor. Lucci e piccione!- si alzò Thatch, lasciando più perplesso il lentigginoso mentre Marco scrutava le mosse del castano, finendo di mettere in ordine la macchina del caffè attaccata al muro. -Che poi, oggi non c'è proprio nessuno di vivo che entri in questo locale.-

-Voi due non lavorate in questo posto, ergo, se siete qui siete considerati clienti.- obbiettò il pennuto bianco, con Lucci che scrutava il barista con un tono senza sentimenti, e senza aprir bocca, quasi come se stesse progettando di ucciderlo, venendo ricambiato con uno sguardo nuovamente assopito e perso.

-Nah, noi siamo clienti così fissi che non siamo più clienti, almeno, così non ci consideriamo. Ma se ci pensa bene, io nemmeno vengo qui per prendere qualcosa, mai. Invece, Marco, la prende solo come scorciatoia. Quindi, tanto clienti non siamo, né siamo mai stati, però, frequentiamo questo posto molto e per così tanti altri motivi, da definirci non clienti. Ci sono tante variabili. Ma il punto è: cliente, barista, o Lucci? Non c'è differenza. ...O piccione?- spiegò tranquillo, sorridente e divertito, trattenendosi dallo scoppiare a ridere da solo mentre Lucci decise di spostare lo sguardo per degnarlo, ma sempre pacato, con il piccione che lo scrutava, invece confuso.

-Dovrebbe finirla con queste pagliacciate e dedicarsi al suo studio, signorino Thatch.- affermò il volatile bianco, annuendo e sbattendo le ali, oltraggiato dopo essersi ripreso dalla confusione che quel discorso "filosofico" aveva portato. -E tu Marco, fai fare il mestiere a chi ci lavora per davvero in questo locale, altrimenti può anche dimettersi.- esclamò infine, con il tizio dal cappello a cilindro che si voltò per poi svanire oltre la soglia.

-Wow.- borbottò Thatch prima di ridacchiare. -Credevo che si sarebbe messo a parlare lui per la mia grande maestria nel fare discorsi di un certo calibro, invece sempre il piccione!-

-Però ha ragione...- mormorò Ace, tornando finalmente al suo posto. -Scusa Marco, ma sono io il barista.- mugugnò, senza incrociare i suoi occhi o non sarebbe riuscito a parlargli e poi sospirò, guardandolo andare via dopo aver annuito, e sedersi oltre il bancone, senza andarsene.

-Però puoi stare tranquillo, a me non areca alcun inconveniente aiutarti.-

-E nemmeno a me.- sorrise Thatch, tornando sullo sgabello e adagiando i gomiti sul davanzale.

-Mhm... Ho fame, che dite posso prendere qualcosa o è contro la politica del locale?- sussurrò, non avendo tanta voglia di parlare in quel momento mentre si adagiò sulla solita sedia, all'interno della postazione. Voleva fare un po' di colazione, poco importava se quei due lo avrebbero guardato mangiare, tanto..., pensò, sbadigliando e sbattendo le palpebre un paio di volte.

-Oh!- scattò in piedi il castano, facendo trasalire il lentigginoso che lo scrutò interrogativo. -Allora devo assolutamente prepararti qualcosa! Vieni!-

-Va bene.- lo seguì, alzandosi in fretta e aumentando l'andatura, anche se non aveva poi così tanta voglia di muoversi al momento, però il brontolio prominente invase la stanza tanto da farlo arrossire mentre arrivarono tutti e tre in cucina. -Scusate.-

-Questa è musica per le mie orecchie: significa che hai molta fame, e quindi io ti sfamerò.- esclamò, già con un mescolo in mano mentre andò nel luogo che per lui era casa.

-Vieni.- fece cenno, Marco, toccandogli la spalla con un dito e indicando con l'altro del secondo arto uno tra i tanti tavoli rotondi ed eleganti, grigi, sovrastati tutti da una tovaglia fine e candida, le posate d'argento, e i bicchieri sofisticati e di cristallo; apparecchiata in ogni minimo particolare come se fosse un ristorante.

-Oh.- mormorò, non aspettandosi così tanto in quel luogo, anche le sedie in legno erano fatte in un modo raffinato e leggiadro. Okay, dove era capitato: tra dei nobili forse?, si chiese, con la mente che scrutava tutto con fare sorpreso, ed Ace lo pensava perché si sentiva inadeguato in quel luogo troppo distinto.

-Siediti.- sorrise il biondo, indicando la sedia davanti a lui; che già aveva preso posto.

Ace, fermo! Ragiona! Quello è un tavolo a due, e tu stai per mangiare, e c'è Marco davanti a te. Non farlo! È una trappola!, lo convinse il cervello; peccato che il moro si fosse già accomodato dopo che il biondo aveva aperto bocca.

-Ecco a voi!- tornò allegro, con i vassoi in mano, e lasciandoli sopra la tovaglia con un sorriso.

-Wow! Grazie!- sorrise, leccandosi le labbra e afferrando un cosciotto di carne, addentandolo mentre i suoi occhi scintillarono vivaci, sotto lo sguardo compiaciuto di Marco che si teneva il mento con una mano, restando con il gomito sopra il ripiano.

-Come va a casa?- si apprestò a chiedere, Thatch, sedendosi dopo aver raccattato un posto da un tavolino vicino, e adagiandosi di petto contro lo schienale, mettendosi in mezzo ai due; parlando su ciò solo dopo attimi di silenzio, interrotti unicamente dal suono del cibo che veniva afferrato.

-C-che?- quasi si strozzò alla domanda del castano, ed Ace iniziò a colpirsi piano al petto per riprendersi prima di guardarlo strano. -Perché?-

-Così, per fare conversazione.- rispose spiccio, posizionandosi con le braccia incrociate.

-Mhm, okay... Sì, beh, bene, come sempre.- mormorò, guardando con occhi vacui, poi il cibo nel piatto e ticchettando leggermente, nell'aria il terzo cosciotto che teneva in mano.

-Hai dei nuovi lividi.- decise allora di intromettersi, Marco, con voce dura e calma, ed uno sguardo perentorio e serio.

-Oh...- sussurrò, finendo di mangiare, sentendo la pancia piena davanti a tutti quei piatti bianchi. Decise comunque di ringraziare il cuoco, che, nel fissarlo preoccupato, gli concesse un sorriso da amico; e poi, alzandosi si diresse, in fretta, di nuovo nel proprio locale, non volendo rispondere a Marco; e poi non era nemmeno una domanda. Anche se gli sembrò maleducato atteggiarsi in quel modo.

Percorse la sala, allungando poi una mano di scatto per adagiarla con il palmo sbarrato; semi aprendo una delle due ante della mensa ma venne preso per il polso dal biondo che lo raggiunse veloce, frenando i suoi movimenti.

-Il bar può aspettare.- insinuò, con il moro che nemmeno si voltò a fissarlo, costretto fermo nell'avere il braccio alzato, portato leggermente indietro e bloccato da quella figura.

-No.- rispose secco, staccandosi bruscamente, spingendo il proprio arto in avanti, e tornando ad incamminarsi, più veloce. -H-ho già trascurato abbastanza il mio lavoro...- balbettò, con i passi di Marco, dietro, che lo seguivano.

-Oggi non si farà vivo nessuno al bar.- disse invece, lui, allungando una mano per afferrarlo, ma Ace riuscì a deviarlo in tempo, continuando a guardare e indirizzarsi dritto.

-Tu non puoi esserne sicuro.- brontolò, andando alla sua postazione e sedendosi sullo sgabello, voltando poi il capo verso la terrazza luminosa e bella: dava sullo spettacolo del giardino come sempre, e questo rendeva tutto davvero incredibile. Quasi sembrava volergli far invidiare la libertà che non aveva di correre e distendersi in quel verde prato fresco e tranquillo, a prendere un sole magnifico sotto un cielo limpido e azzurro: che bel mese era Ottobre con quel tempo.

-Oggi hanno gli esami, saranno ovunque fuorché qui.- spiegò passandosi una mano tra i biondi capelli, sedendosi dopo averlo raggiunto con uno sgabello, mettendosi al suo fianco.

-E perché tu e Thatch non li avete?- mormorò, alzando di poco il capo per guardare il davanzale davanti a lui, ma non Marco.

-Perché io c'è l'ho domani, e Thatch la settimana prossima.-

-Allora anche le vostre classi, no? Quindi possono venire...- mormorò.

-Non solo le nostre, anche altri hanno gli esami in giorni differenti dal nostro, e così hanno optato di non venire e di svagarsi un po', in giro per la città.- fece notare, controllando poi l'ora. -Avanti, chiudo il bar prima così possiamo...-

-No.-

-Fai così solo perché ti ho chiesto delle tue ferite?-

-Così come?- farfugliò imbronciato, gonfiando una guancia per qualche istante, e poi stringendo tra le dita la base di quella sedia senza schienario, quasi volendo lasciare il segno di quel legno.

-Distaccato.-

Ace chinò il capo, nascondendosi tra le ciocche e mugugnando, scuotendo il capo mentre si udirono i passi e la voce allegra di Thatch arrivare, magari dopo aver sparecchiato e pulito il suo regno; credendo forse che avessero risolto. Abbassò le spalle, il lentigginoso, sentendo le loro voci che si alternavano e che parlavano tra di loro, o magari discutevano con lui, ma non aveva voglia, non aveva davvero la volontà di ascoltarli; forse non sarebbe andato nemmeno alla festa visto quanto fosse senza vitalità in quel momento...

-Ehi, Ace.- lo chiamò con dolcezza, chinandosi sulle ginocchia, il castano, per farsi guardare. -Noi ti vogliamo bene, lo sai questo, vero?- gli chiese apprensivo mentre il moro si domandava quanto fosse arrivato lì davanti senza che se ne fosse accorto.

-Io... Mhm, sì, sì, lo so, siamo amici...- mugugnò senza dare peso alle parole che affermava, ma dicendole più per farli contenti, e forse si notò.

-No, eh?- disse quello allora, senza mai smettere di sorridere, anche se ne sembrava uno cupo e spento, dispiaciuto per quella frase.

-Avanti, chiudo il bar. Inutile che provi a dire di no.- sbottò con un sospiro scocciato, Marco, avviandosi con le mani in tasca mentre andava a sistemare, presto aiutato da Thatch che lo rincorse, mettendo i tavoli in ordine, da fuori a dentro, prima di chiudere la porta del terrazzo; il tutto nel silenzio e nella immobilità di Ace.

-Dai, non fare così. Sii più gentile.- sussurrò il cuoco, passandosi il pettine tra i capelli prima di guardare il biondo recarsi verso il moro senza dargli alcuna rassicurazione dal tono in cui si poneva con i passi.

-D'accordo.- asserì allora, Ace, rispondendo alle parole di prima del biondo; un po' troppo tardi. Come se avesse ascoltato e capito solo in quel momento che il bar era stato chiuso. -Io vado.- farfugliò, avvicinandosi all'uscita, voltandosi poi verso sinistra e uscendo dal locale dalla porta principale, ritrovandosi nel corridoio.

-Ehi, aspetta!- lo richiamò, Thatch, correndogli dietro mentre Marco gli seguì senza fretta, chiudendo poi l'entrata dopo essersi assicurato che fosse tutto nella norma e nessun macchinario fosse acceso.

-Che c'è Thatch?- borbottò, stringendosi nelle spalle.

-La festa; ci vediamo lì?- sorrise, con il biondo che ormai era dietro di loro.

-Non lo so.- cercò di raddrizzarsi un po' con la schiena, scrutando fuori dalle finestre e notando poi, un certo Lucci che amministrava con lo sguardo, ogni cosa nel giardino; o almeno, quei pochi ragazzi che aveva trovato a ripassare sui libri all'interno di quel bel paesaggio.

-Che hai?- rallentò l'allegria, il castano, ma Ace si limitò ad aumentare il passo e ad uscire.

-Mi sento strano...- sussurrò, con occhi limpidi, come se fossero in procinto di piangere quando fu, ormai solo, mentre inserì la chiave nella macchina, raggiungendo il parcheggio. Non si poteva dare una spiegazione ai sentimenti, concesse nella mente, sospirando.

-Okay, ora torno a casa e... e cercherò di fare qualcosa, magari prima faccio la spesa...- cercò di tirarsi su, inserendo la marcia dopo aver chiuso lo sportello ma si fermò quando il rumore di un'altra portiera si udì all'interno dell'auto.

-Parli da solo?- domandò curioso e bonario, Teach, ridendo maligno.

-Eh?- fece confuso, guardandolo per un attimo prima di illuminarsi nella mente, arrivando alla conclusione di quella visita sgradita e inaspettata nell'incrociare i suoi occhi. Così si affrettò di cacciare fuori, dalla piccola borsetta azzurra attaccata dalla solita cinta del medesimo colore, alla base delle bermuda, la roba che tanto desiderava quel tipo, lanciandogliela con disprezzo, ma anche con discrezione, anche se lì non c'era nessuno oltre a loro; tra le sue mani e aspettando il suo reddito che posò nelle tasche superiori dei pantaloni, aspettando di vederlo uscire tra quelle grosse risate che stava già emanando.

-Come sei sbrigativo, mi piaci.- sorrise, ma restando fermo su quel sedile.

-Tu no.- esclamò velocemente, facendogli cenno di afferrare la maniglia prima che lo sbattesse fuori lui, ma a calci. Non era di buon umore in presenza di quell'essere, e più cercava un perché, più non lo trovava.

Teach rise, forte e a bocca aperta, diretto verso il soffitto; con la pancia grossa che traballava, e la giacca nera che svolazzava a tempo. Si passò una mano tra la bandana legata sui capelli, continuando a ridere ma tornando a guardarlo.

-Ho un'altra offerta da farti, una cosa divertente che ti piacerà.-

-Mhm? Questa droga non ti gusta più?- sbottò Ace, contrariato di dovere altro a quel tipo, e che forse nemmeno aveva.

-Questa roba non è delle migliori, ma fa sballare sempre e comunque. Quello che voglio da te, è che fai delle corse.-

-Eh?- mormorò scettico, iniziando a non capire sempre di più.

-Sì, sai... A te servono soldi, e lo stesso vale per me; con la differenza che io so come guadagnarmeli: basta solo che guidi scommettendo.-

-Cose illegali, eh?- chiese retorico, immaginandoselo con sufficienza.

-Ovviamente.- rise sguaiato, alzando il capo e scrutando il tettuccio dal tessuto grigio, e soffice alla vista; con un sorriso soddisfatto, come se il moro avesse già accettato quella proposta per lui.

-Perché io?-

-Perché mi farai vincere: sei un tipo così.-

-Vattene.- affermò, assottigliando gli occhi minacciosi. Se solo non fosse stato seduto, gli avrebbe concesso uno dei suoi migliori pugni, ma non voleva infrangere il finestrino dell'auto con quella faccia orribile che si ritrovava quell'essere, quindi evitò.

-Vuoi pensarci su, d'accordo. Te lo riconosco.- senza smettere di ridere uscì, sbattendo la portiera e andandosene tra i medesimi e noiosi versi allegri e sguaiati mentre si teneva la grossa pancia scoperta, dalla pelle scura e pelosa; con la mano dove portava diversi bracciali dorati sul polso.

-Uff...- sbuffò. È questa è fatta, pensò mentre sorrideva, contento di averla avuta con sé la droga, altrimenti gli sarebbe toccato portarlo a casa sua, e non voleva davvero la sua compagnia in quel lungo tragitto. In più, rifletté, aveva ricavato soldi maggiori, quindi poteva approfittarne nella spesa, più per se stesso visto che aveva ancora fame, e poi perché Luffy sarebbe andato al Baratie; invece lui...

-Ci vado alla festa?-

Mise la retromarcia, uscendo dal parcheggio e imboccando la strada verso la propria dimora, optando per quella più lunga, che portava anche al supermercato mentre intravide la sagoma cupa di Marco, posta sul portone dove li aveva lasciati, parlare con Thatch che lo salutò con enfasi, scuotendo il braccio, sorridente appena lo vide.

-Va bene, magari ci vado.- mormorò nel vedere quanto fosse contento e incoraggiante il castano; in fondo, gli è lo doveva, pensò: era suo amico.




Doveva mettersi qualcosa di elegante? Magari il completo da barista che ancora aveva? Mhm, nah. Era inutile, Marco non c'era. E poi, perché farsi bello per lui? No, aspetta; chi ha detto che era per lui che si vestiva bene? E comunque, anche com'era vestito di solito era da vestito bene. ...No?, cercò di essere chiaro, almeno nella sua mente, ma si intricò solo di più.

-Ace, a che pensi?- mugugnò Luffy, disteso parallelamente sopra lo schienale del divano, ma lasciando cadere gli arti ai lati e facendogli dondolare.

-A niente... Non dovresti stare lì, lo sai che è solo di Akainu quel posto.-

-Ma lui non c'è.- ridacchiò scaltro, il minore.

-Lo so, Marco non c'è...- sussurrò, chiudendo un cassetto di una credenza in cucina, senza nemmeno rendersi conto di aver sbagliato ad attribuire quella frase di Luffy a quella persona.

-Marco non c'è alla festa? Mi dispiace. Però ti divertirai comunque!- esclamò incoraggiante, facendo arrossire il lentigginoso per essere stato scoperto in un punto delicato.

-T-tu sei sempre raggiante, eh? Beh, divertiti anche tu al Baratie. Ci vediamo domani.-

-Domani?- chiese, alzandosi piano e osservandolo curioso.

-Resta a dormire dagli altri, magari io dormo da Thatch.-spiegò, scompigliandogli i capelli con una mano, sorridendo. Perché, pensò, di sicuro il cuoco ne sarebbe stato felice, oltre che gli è l'aveva promesso; e magari ci sarebbe stato anche Marco, quindi forse doveva mettersi qualcosa di elegante... Nah, non voleva andare a una festa vestito con quel completo, rifletté; preferì mettersi il solito indumento. E poi, non voleva vedere Marco.

-Ma dimmi, quella sorpresa?-

-Uh! Va bene! Grazie fratellone! Gli altri saranno felici per te.- esclamò, abbracciandolo prima di correre via, verso il fantomatico e conosciuto ristorante.

-Beh, ecco, non c'è bisogno di dirlo a...- cercò di contestare, ma quello era già scomparso, sbattendo la porta per la troppa enfasi; così forte da farla traballare insieme agli oggetti non fissati dell'ingresso, ma non cascò a terra niente, ed Ace sospirò. -Certo che, se lo va a dire a tutti dove vado... Dovrò sorbirmi Nami che vorrà sapere ogni cosa della festa...-

Però, ora doveva decidere: cosa avrebbe fatto fino all'ora della festa? Magari poteva andare dai suoi amici dell'università, sorrise al pensiero, ma cambiò subito idea: doveva prima mettere in ordine. E poi... Quali amici? Marco non era suo amico, ed era un'affermazione categorica. Thatch invece, lui diceva di esserlo, quindi... Però, non poteva andare: doveva sistemare, e dopo quello che aveva fatto: come se ne era andato... non se la sentiva.




Perfetto: era in fila per entrare, all'interno di aste collegate con delle cordicelle rosse che indicavano la strada da perseguire per l'entrata; da solo, e con i suoi vestiti quotidiani, compreso il suo amato cappello; ed ora? Lo avrebbero fatto entrare? In fondo c'era una specie di guardia lì, alla porta, e lui aveva solo l'invito, ma non era invitato, rifletté amareggiato, abbassando le spalle, depresso. Forse, se sarebbe andato da Thatch, prima, questo problema non ci sarebbe stato.

-E tu? L'invito?- sbottò con voce roca e grossa, quell'omone; ripetendo la stessa frase che aveva detto a tutti fino a quel momento, e che avrebbe continuato ad affermare, vista la fila dietro: tutta l'università era lì. Ma ci sarebbe davvero entrata tutta, in quella specie di magazzino?

-Io... Ehm, sì, ecco.- cacciò dalla tasca quel pezzo di carta, e per quello ringraziò il cielo: si scordava tutto, ma quello, il biglietto per entrare, no. Ne fu orgoglioso.

-Questo non è l'invito giusto, levati di torno.-

Ace sgranò gli occhi, riprendendo tra le mani quel foglio che l'omone gli aveva gettato con poco garbo: forse prendeva troppo sul serio il suo lavoro; ma Ace non si preoccupò di questo, scoprendo che quello che aveva portato fosse proprio diverso e non quello che aveva creduto essere. Preferì, con amarezza, decidere di fare la cosa giusta mentre si divise dalla fila per andare sul marciapiede, oltre quelle corde rosse che aveva scavalcato: si diede dell'idiota. Per la fretta aveva scambiato, l'invito, con un pezzo di carta qualunque e colorato, e giallo; quindi anche diverso dall'originale. Okay, perfetto, pensò mentalmente, decidendo però, di avviarsi nel retro: le abitudini non cambiavano, e quindi, se non aveva l'accesso dalla porta principale, si sarebbe imbucato come suo solito: si vedeva che la vita preferiva così. E lui non rifiutava mai una sfida: gli è l'avrebbe fatta vedere, che nessuno poteva mettersi contro i suoi obbiettivi.

Guardò l'edificio mentre la gambe seguivano l'impulso del cervello, arrivando nei parcheggi, e alzò il capo scrutando le mille ed enormi finestre del secondo piano, illuminate da diverse luci di vari colori, come in una discoteca, e con, al primo piano solo tanti garage chiusi. Si sfregò il capo, incamminandosi vicino a una conduttura: un tubo che portava sul tetto, ma che passava da una delle tante finestre aperte durante il tragitto fino alla meta, e così iniziò ad arrampicarsi, ridendo tra sé e sé, perché, quella, era una cosa da raccontare a Luffy ad ogni costo; non che fosse la prima volta che entrasse senza permesso in un edificio dove si faceva festa senza usare la porta principale, ma quella era la prima volta che lo faceva in quel modo, e ne aveva usati tanti.

Con un salto balzò all'interno dell'edificio, sfiorando con la schiena, di poco, il davanzale dietro di sé, per poi cadere in ginocchio, ma mettendosi subito dopo in piedi con un saltello trionfante. Ridacchiò, fiero di sé con un sorriso spavaldo ma nessuno lo aveva visto compiere quell'azione da premio dei primati, solo tante persone che si scatenavano ballando e cantando, immersi nella musica come da un'ondata di alta marea; così si limitò a raggiungere il buffet, cercando di farsi strada tra la folla che ballava, in quel miscuglio che era il solito caos: tanta gente che si ammassava tra alcool, cibarie e divertimento.

Borbottando con una smorfia, guardandosi indietro a inquadrare un ragazzo che, con una gomitata lo aveva colpito durante quei movimenti di danza ad un fianco facendogli male, poco fa, continuò l'avanzata tra quei ragazzi ma si bloccò nello sbattere contro il petto di qualcuno; così si affrettò a indietreggiare e posizionare lo sguardo in avanti, chiedendo scusa con sincerità prima di riconoscere lo stemma sul petto come il tatuaggio blu del ragazzo che tanto gli piaceva.

-M... Marco...?- sussurrò, riconoscendolo anche dal volto come ultima e decisiva prova del proprietario di quel disegno che aveva incastonato nella pelle, incamminandosi all'indietro in fretta di un paio di passi e arrossendo di imbarazzo. -P-perdonami...- mugugnò, rosso sulle gote, anche se, in quel contrasto di mille colori non poteva essere chiaro; e chinando il capo verso terra con dispiacere.

-Non ti preoccupare. Sono felice di vederti qui.- ammise, lasciandolo con un sorriso sereno e impacciato per quelle parole, perennemente a capo chino, ma facendo un passo in avanti per non essere travolto da quella gente, dietro, e che aveva lasciato proprio un piccolo spazietto per loro due, anche se stretto.

-C-come mai s-sei qui? N-non dovevi studiare?-

-No. Non il giorno del mio compleanno almeno.-

-Co-compleanno?- alzò lo sguardo, Ace, sgranando gli occhi a tale affermazione del biondo, e accorgendosi solo in quel momento delle decorazioni che portavano il suo nome; con Marco che era oscurato dalla poca luce nella stanza proprio come quegli addobbi, ma illuminati da quella proiettata in lontananza e che vagava, di vari colori accesi.

Quello annuì in risposta, e così, Ace si affrettò, dopo aver boccheggiato un po' dalla sorpresa, a fargli i suoi più sentiti auguri; propendendo poi una mano, a testa bassa per l'indecisione di dargli, sì o no, dei baci sulla guancia come consuetudine. Marco, in tutta risposta, afferrò quell'arto con gentilezza, ringraziando prima di rimanere, momentaneamente sorpreso dal vederlo mettersi in punta di piedi, con quello sguardo che lo rimirava imbarazzato e con le labbra che si mordeva per l'esitazione, ma poi, adagiò quel caldo e soffice pezzo di carne roseo su ognuna delle sue guance, uno alla volta, imprimendole per qualche istante contro la pelle liscia del biondo, con pacatezza e dolcezza.

-Aa-auguri...- sussurrò ancora, vergognandosi a tal punto di tornare ad incamminarsi verso il buffet, perennemente con la fronte abbassata e rivolta al pavimento, e continuando a torturare tra i denti un pezzo della propria bocca con ansia, maledicendosi mentalmente: avrebbe dovuto mettersi qualcosa di più elegante, per lui; anche se, in fondo, era solo un compleanno... Perché avrebbe dovuto mettersi qualcosa di più forbito?, Cercava di consolarsi, sentendosi inadeguato nei riguardi di Marco per aver scelto i soliti vestiti, ignorando che tutti gli altri non avevano fatto caso all'indumento da portare, indossando quello che più gli faceva sentire a loro agio; però, il proprio polso incastrato tra le dita del biondo ragazzo lo fermò appena in tempo, risvegliandolo al tempo stesso dalle sue riflessioni.

-Ehi, ehi... Dove vai? Resta qui a farmi compagnia.- sorrise senza girarsi, portandoselo di nuovo, e lentamente, davanti a sé.

-Ma veramente... Thatch! Devo andare da Thatch, e per questo che sono qui, cioè, ora che ci sei anche tu ne sono felice e desidererei stare, però... No, cioè...- si imbrogliò da solo, guardandolo fino a perdersi, rimanendo a bocca aperta, non sapendo cos'altro dire, e che venne richiusa delicatamente, dall'indice di quel ragazzo che lo aveva incantato; e ne scaturì solo l'effetto di farlo soltanto arrossire di più.

-Grazie.- sussurrò in quel trambusto, in tono sicuro, Marco; molto vicino al suo orecchio perché lo sentisse.

-D-di cosa?- balbettò, ingoiando difficilmente un groppo di saliva per quell'avvicinamento inaspettato e tossicchiando alla ricerca di riavere la voce più sicura: lo aveva accanto!, poteva sentire il suo respiro sul collo e la sensazione calda della loro pelle che, quasi si toccavano; e fremette senza comprenderne il motivo; se paura o piacere, sapendo solo che fosse un sentimento bellissimo.

-Per le tue parole: che sei felice che ci sia; e poi, per essere qui.- spiegò tranquillo. Non voleva tornare al discorso di quella mattina: turbare Ace non era il suo principale pensiero, e poi, desiderava godere di quel contatto fino in fondo. -Volevo invitarti di persona, ma ti avevo visto prendere da te il biglietto, e così...-

Cosa? Lui!, lui lo aveva visto?, scattò nella mente, scettico e impacciato per essersi fatto vedere, ai suoi occhi, come un ladro... Però, Marco non sembrava deluso da questo..., si rese conto, Ace: forse perché si trattava solo di un pezzetto di carta che avrebbe, alla fine, avuto in ogni modo; e guardò gli occhi del biondo davanti a lui continuare a restargli vicino, in modo che la sua voce pacata e seria si sentisse in mezzo a tutto quel frastuono dettato dalla musica, e la confusione che davano le luci intermittenti e arcobaleno. E percepì un delizioso sapore, denso di un brivido percorrergli la schiena nel percepire il suo respiro sul collo, ancora; così caldo e buono che quasi si lasciò sfuggire un mugugno di piacere.

Il lentigginoso continuò ad ispezionare il volto angelico di quel ragazzo anche quando si distaccò, però che restò, con la mano, a tenergli la propria con amore, prima che iniziasse a muoversi con un sorriso, portandolo verso una meta sconosciuta ma che, ben presto, identificò come il suo ricercato buffet; ed Ace rimase un attimo con una smorfia, e gli occhi socchiusi di poco, deluso: aveva quasi sperato in un bacio, ma forse era stato stupido a pensarlo. Scrollò la tristezza, strabuzzando le palpebre di felicità in un attimo nell'ammirare tutto quel cibo, e lo ammirò, da dietro le spalle di Marco, dalla notoria camicia viola; con le pupille che scintillarono.

-Uh!- balzò in avanti, piazzandosi su quella tavola enorme e lunga, e che nessuno stava degnando: preferivano danzare.

Il giovane prese un paio, o più di piattini di plastica, azzurri, lasciandone all'interno di ognuno varie pietanze che, al solo vederle, si leccava i baffi. Ridacchiando contento, addocchiò poi, più lontano, una sedia e se ne appropriò, portandola dove aveva lasciato il proprio cibo.

-Tu non mangi? È la tua festa.- si voltò, scrutando Marco che era rimasto a fissarlo, in silenzio fino a quel momento, seguendo ogni suo movimento con volto sereno, pensando solo a quanto potesse essere meraviglioso averlo accanto anche nel suo giorno.

-Ho già mangiato.- spiegò, cercando poi con gli occhi un'altra sedia.

-Ehi! Ace! Finalmente ti ho trovato!- esclamò contento, il cuoco, arrivando e lasciando una pacca sulla spalla destra del moro che si voltò, salutandolo poi con fare sereno, e afferrando, in sequenza, un pasticcino, iniziando a gustarsi ogni prelibatezza preparata proprio dallo stesso chef.

-Visto? C'è anche Marco! Scusa se non te l'ho detto, volevo farti una sorpresa; anche se poi la festa è sua.- alzò le spalle con fare indifferente, indicando il biondo. -Beh, alla fine ha fatto lo stesso anche lui.-

-Perché?- mormorò Ace, guardandolo curioso mentre gli si avvicinò chinandosi con il capo per inquadrare il suo volto.

-Così.- commentò, sorridendo divertito; celando il significato amoroso che c'era dietro. -Immagino che, quando lo hai visto ne sei rimasto entusiasta! Peccato che non ci fossi ad assistervi.- fece un piccolo broncio, sussurrando all'orecchio quella frase per non farsi udire dal festeggiato in questione che gli osservava, in piedi, curioso; ed Ace invece arrossì, negando quella frase con impeto, scuotendo il capo energico.

-I-io...- si bloccò, non sapendo come proseguire, dovuto anche al fatto che si ammutolì, preferendo osservare alcuni palloncini sopra il ripiano lungo di legno, coperto da una tovaglia celeste, che, nel buio, si confondeva con il nero, e decorata di figure come libri, numeri matematici, o alcuni volatili, soffermandosi più su quest'ultimi nel riconoscerli come disegni di fenice ricamati in un azzurro più luminoso, che si vedeva anche in quella oscurità, più blu che nera.

-Cosa vi dite?- si avvicinò, Marco, adagiando una mano sulla base del tavolo e chinandosi lievemente su un lato, guardando poi il castano diffidente.

-Sto solo vedendo come sta appezzando i miei cibi.- asserì solare, rimettendosi dritto, con il biondo che continuava a studiarlo per carpire i suoi intenti, con fare diffidente.

-Scusa, Marco; ma a te piacciono le fenici?- domandò, Ace, dopo aver indugiato, ma infine deciso, senza però ascoltare i loro discorsi, anche per via del suono rock che aveva iniziato a rimbombare tra i muri.

-Mhm? Sì.- annuì, però non ebbe il tempo di dire altro che Thatch lo precedette, tornando a posizionarsi, chino con il busto, a pochi centimetri dal volto del moro, ma scandendo bene ogni parola:

-Ovviamente! È il suo animale mitologico preferito! E, come puoi notare dalla decorazione, ama il blu. E poi ama leggere, il silenzio, gli scacchi...-

-La finisci?- domandò, con un sorriso tirato e gli occhi assottigliati; ed un lieve tic nervoso all'occhio destro mentre interruppe le parole del castano con una lieve, ma intensa ginocchiata nel fianco, con Ace che lo osservò, un'attimo indeciso.

-Anche a me piace. Però preferisco il rosso, festeggiare e... Non so se ho un gioco da tavolo preferito...- borbottò, pensandoci su, ma non aveva mai avuto il tempo per dedicarsi a questi svaghi; mentre Marco lo osservò, tranquillizzandosi e annuendo, come felice di aver avuto nuove informazioni sul moro.

-Questa è una cosa meravigliosa!- esclamò il cuoco, trattenendosi dal gemere di dolore ma tanto non lo avrebbe sentito nessuno dato il volume generale che si propagava senza sosta mentre si tenne il punto colpito con evidente agonia. -Ad entrambi piacciono le fenici, andate d'accodo allora: parlate pure.- esclamò euforico lasciandoli poi da soli, ridendo mentre si avviava, anche se dolorante.

-Okay...- commentò confuso, Ace; non capendo come combaciassero le cose: solo perché gli piacevano le fenici?, pensò, continuando a riflettere che Thatch avrebbe dovuto smetterla di cercare di avvicinarlo a Marco, tanto non avrebbe funzionato. Certo, forse doveva dirglielo al cuoco, chiarendo così ogni cosa; però, adesso poteva stare con Marco, realizzò e ne sorrise.

-Allora.- tornò in fretta, Marco, dopo aver recuperato una sedia; ed Ace era stato così immerso nei suoi pensieri che non si era accorto di quel particolare, continuando però, nel mentre a mangiare; più come un gesto consueto e non decretato dalla ragione, occupata a elucubrare altro.

-Sì?- sussurrò, voltandosi ed entrando in quelle pupille scure e chiare, limpide.

-Tralasciando Thatch e le sue iniziative, di cosa ti andrebbe di parlare?-

-Mhm... che mi dispiace: non ti ho fatto nemmeno un regalo.- borbottò affranto, facendogli incurvare le labbra, maggiormente, verso l'alto; davvero piacevolmente colpito da quelle tenere parole.

-Oh. Ma vedi, già averti qui è un meraviglioso regalo. Quando te ne sei andato mi eri sembrato molto giù di morale, temevo per te. Non credevo venissi.- esclamò, dal volto tranquillo, e mettendosi più vicino ad Ace che, finito di ripulire i piatti dal cibo, continuava a prenderne ancora, accontentando il suo stomaco, rendendolo felice come lo era il proprietario.

-Sì, non ne ero molto convinto...- confessò mogio, assaporando un pezzo di succosa e vellutata carne, e tenendo l'osso tra le dita, davanti al volto; rimirandolo pensieroso.

-Cos'avevi? Tutto bene a casa?- chiese poi, sospettando che i suoi problemi sorgessero, molto probabilmente, in quel luogo che di solito doveva portare sicurezza.

-Ah? Sì, certo. Ovvio.- scattò annuendo, per poi far vagare gli occhi da tutt'altra parte che non fossero quelli di Marco, perché, anche se era bravo a dire menzogne, temeva che, lui, nel vedere i propri, avrebbe capito e intuito che mentisse anche da un solo e lieve scintillio.

-Ace?- domandò lui, vedendo troppo chiaramente quella bugia, sopratutto dall'atteggiamento, di nuovo distaccato che aveva assunto.

-Ti va di parlare della festa?- mormorò, lasciando vagare, con un dito, il palloncino rosa sopra al tavolo e con impressa l'età del festeggiato: ventuno, un anno in più; sopra il tessuto trasparente, tralasciando qualche piega.

-Non vuoi ancora fidarti...- sussurrò il biondo, assottigliando gli occhi, con la sua voce che si mescolò al trambusto, e così le orecchie del lentigginoso non ebbero la possibilità di udirla. -Okay.- si fece sentire, permettendo che continuasse lui.

-Ohm...- iniziò, senza sapere nemmeno lui perché si trovava in quella situazione: non sapeva cosa dire. Nel chiedere di parlare di quella ricorrenza, Ace aveva solo improvvisato. -È... è molto bella, ecco...- farfugliò, vergognandosi un po' di tirare una cosa così banale all'improvviso, lo avrebbe solo reso più colpevole di aver detto una bugia; però, forse andava bene, pensò per incoraggiarsi.

-Ace...- scrollò il capo, risentito nel capire che gli fosse impossibilitato fare qualcosa, e che il moro gli permettesse solo di vederlo soffrire. -Grazie. Vorresti ballare?- cercò di accondiscendere, decidendo di fargli passare un'allegra serata, almeno sperava che gli è lo concedesse, ma già che stesse sorridendo lo rincuorava un po' di più.

-Eh?- quasi urlò, prolungando di molto la prima vocale e scansandosi a guardarlo a bocca aperta, sconcertato da tali parole, ma anche onorato da esse; ascoltando il suo cuore battere contro il proprio petto, come a voler uscire fuori, dalla frenesia. Per sua fortuna, la musica fu talmente alta che, quel suo urlo, parve solo un tono normale, anche se ben sentito da Marco, data la vicinanza. -I-i-i-i-i-io...-

-Non importa, se non vuoi.- affermò, con occhi seri mentre si adagiò contro lo schienale con un silenzioso sbuffo, temendo di essersi esposto troppo con quel gesto.

-N-no, io voglio.- farfugliò, così piano che nemmeno riuscì a sentirle lui, e credette di averle solo pensate quelle parole mentre il silenzio, tra lui e il biondo si intensificò fin troppo attorno a quei suoni crescenti.

-Scusami, devo un attimo allontanarmi.- si alzò in piedi, adagiando una mano sulla spalla del moro prima di avvicinarsi al gruppo che lo aveva richiamato, facendosi vedere, sventolando gli arti con fare amichevole.

-Mhm.- mugugnò, guardandolo allontanarsi con un senso di pentimento nell'animo. -Ma io... io volevo.-

Forse avrebbe dovuto farsi sentire di più da lui, prima? Però, magari neanche era bravo a ballare, o forse a Marco non sarebbe piaciuto il suo modo di muoversi... Sarebbe stato fin troppo imbarazzante, ecco; si giustificò alla fine, annuendo lievemente e con decisione, tornando a mangiare per smettere di pensarci, fino a crollare dalla narcolessia, con il senso di quella mano sulla spalla che aleggiava dentro di lui, facendolo assopire in modo sereno.



-Mhm...- socchiuse un occhio, per poi aprirli entrambi e sbattere le palpebre un paio di volte, ancora intorpidito, con la mente ed il fisico; sobbalzando e drizzandosi l'istante dopo nel vedere, al suo fianco, Teach, che rideva, in piedi, gustandosi una crostata di ciliegie tra le mani mentre gli porse un boccale di birra.

-Brindiamo, amico.- rise gaio.

-Non sono tuo amico.- brontolò, scrollando il capo e sfregandosi la chioma con una mano, strizzando gli occhi e sbadigliando, ma prendendo comunque quel bicchiere e sorseggiando un po' di quel liquido nel sentirsi lievemente assetato. Adagiandolo, poi, sul tavolo strizzò gli occhi al sapore amaro per poi scrutare di sottocchio l'altro che sembrava esageratamente esaltato; e che, senza smettere di ridere, non voleva stare fermo, ballando a casaccio, più per muoversi che per seguire la musica. Sospirò, inquadrandolo e studiandolo in ogni minimo particolare, seguendo come sudasse, come fosse rumoroso e come paresse fin troppo vulnerabile delle sue emozioni. Si stava allontanando, contento, ma sembrava che anche un non nulla lo facesse adirare; lo dimostrò quando, qualcuno, nel venirgli addosso senza prepotenza, spingendolo, gli rispose con una spinta, uno sguardo maligno ed un imprecazione esagerata.

-È fuori di testa...- mormorò, senza intuire che la causa potesse anche essere dettata da qualche droga o esagerato alcool; non conoscendo bene i sintomi e cosa comportasse quando la si prendeva mentre tornò a bere quella bevanda, afferrando poi un altro cosciotto di carne, sperando nel ritorno del bel biondo dei suoi pensieri.




Quanto era passato?, pensò, decidendo di fermarsi dal mangiare e sorseggiare; anche perché, forse aveva esagerato con queste bevande: si sentiva un po' troppo su di giri, e con le gote rosse anche senza Marco in giro mentre i suoni della musica erano diventati fin troppo ovattati, tanto che gli confonderono la visuale del luogo in cui si trovava. Magari; tornò a riflettere, dieci minuti? No, impossibile; si disse. Trenta minuti? Un'ora?, Possibile; concretizzò amareggiato, sospirando e chinando il capo; ma era possibile anche di più visto che era crollato dal sonno per la narcolessia, non sapeva nemmeno lui più quante volte. Fece una smorfia delusa e solitaria: Marco non era tornato da lui. Singhiozzò per via dell'alcool, sentendo la gola intorpidita e la lingua secca nonostante avesse bevuto più del solito. Magari un altro goccetto, si disse, ignorando la birra dentro le bottiglie in vetro, ormai tutte quasi vuote; e guardando la brocca di punch rosso, senza sapere che fosse anche quello un liquido alcolico, ma rinunciò subito, più per colpa di un colpo di sonno che lo colse inaspettato come sempre, facendolo rimanere, però, con il volto contro il tavolo sotto di sé, mancando per un soffio i bicchieri di plastica; e con le braccia distese lungo i fianchi, a penzolare nel vuoto; con tutte le altre persone, quelle più vicine, che, ormai, sembravano averci fatto il callo dopo le prime cinque volte in cui si erano spaventate per poi vederlo riprendersi l'attimo dopo.

-Vieni, tu.- sbottò una voce irruente, ma anche divertita mentre sollevò il giovane, ponendoselo in spalla e avviandosi ad uno sgabuzzino lì vicino, davvero eccitato dall'idea che lo tormentava e lo sollecitava, senza sapere che, degli occhi scrupolosi e attenti, parlando con i suoi amici, avessero tenuto d'occhio Ace per tutta la serata, oltre che la festa, e che continuassero tutt'ora a controllarlo; e nel vedere ciò preferì accertarsi delle intenzioni di quel ciccione, distaccandosi dal pilastro all'angolo del muro, e seguendolo, facendosi largo tra la folla agilmente, cercando di fare il più in fretta possibile.

-Sarà divertente.- commentò, ridacchiando e chiudendo la tenda viola con la mano libera, dandole le spalle; separando così la luce della festa, colorata interamente di blu come l'interno dell'oceano quando è illuminato dal sole; dalle luci intermittenti che variavano a suono della musica, con il buio di quel ripostiglio, pieno di sedie di riserva e casse che conservavano, forse vivande del locale. Riuscendo comunque a vedere solo grazie alla luminosità, meno intensa e più opaca, che arrivava da là fuori, attraverso quel lieve strato di tessuto.

Ridendo e mostrando quei pochi denti che gli erano rimasti, nonostante Ace fosse ancora sotto l'effetto della narcolessia e non lo potesse vedere, né rispondere a quei gesti; lo puntò contro il muro spoglio, tenendolo in piedi, lasciandogli toccare il pavimento con la punta degli scarponi, e stringendogli la gola nella morsa del suo possente arto ma senza volerlo strangolare; giusto per tenerlo.

Un bagliore diede vita, per un'istante, a quelle pupille nere come la pece, uno di quelli inquietanti e subdoli mentre lasciò scorrere la mano libera all'interno della camicia, palpando la sua pelle soffice e densa di muscoli fino a strappargli i bottoni, aprendogliela con uno scatto secco, non approvando di sentire, sotto di essa, un altro tessuto, che scoprì essere solo delle bende. Grugnì, con un tono rozzo, infastidito da quegli strati bianchi che si affrettò a togliere brutalmente, ignorando anche le cicatrici e posizionando poi, la mano, dentro i pantaloni dopo averli sbottonati e aver slacciato la cinta arancione; abbassandoglielo insieme ai candidi boxer.

-Ma che... Mhm!- aprì le palpebre per poi sgranarle di botto nel vedere quello che Teach gli stava facendo, iniziando a dimenarsi senza sosta dopo che la mano, dal collo, si spostò sulle sue labbra per impedirgli di protestare o urlare; ed Ace sentì un conato salirgli in gola nel percepire quei tocchi orribili e ripugnanti che gli facevano venire brividi viscidi e rivoltevoli. Ma, al tempo stesso, non capiva cosa stesse accadendo, forse per via dell'alcool, forse per via della sonnolenza; ma si sentiva solo incredulo e confuso nell'avvertire, su di sé, quei gesti inadeguati e che, percepiva, troppo, davvero troppo, sporchi da fargli udire nelle orecchie l'ecco della sua, già defunta, autostima, gridargli quanto fosse turpe in quel momento, in cui, nemmeno riusciva a ribellarsi; ma, quella stretta era così forte da mozzargli il fiato, rendendolo debole: ci stava provando con tutto se stesso, davvero; eppure quel Teach continuava a resistere quanto lui per poter divertirsi. Era schifoso, proprio come quelle dita che lo toccavano!

Si stupì di sé, sbarrando le palpebre e con le pupille che vibravano di sorpresa nel percepire le lacrime scorrere sul suo volto, e a bagnargli le guance, dovute probabilmente alla paura, o dalla semplice, quanto atroce realtà di dover sottostare anche a quello dopo tutte le angherie che gli accadevano giornalmente mentre poteva sentire la schiena dolergli leggermente a contatto con quella parete, forse per l'impatto che Teach aveva appena provocato per zittirlo ancora; e poteva anche udire il pizzicchio correre lungo le cicatrici, ovunque, come delle formiche orribili che desideravano divorarlo: Doveva già sopravvivere a tanto, e quel degrado in più non lo sopportava. Provò a boccheggiare, annaspando con occhi supplichevoli; ma scostò lo sguardo, non volendo farsi vedere in quel modo, soprattutto da quel verme così crudele e vile; e così gettò un calcio contro la pancia di quell'essere, affondando la punta dei suoi scarponi in quel grasso corposo e flaccido; e poi ne gettò un altro, e un altro ancora, ricevendo in cambio solo un colpo di parete sulla sua testa, abbastanza duro e inaspettato da farlo tramortire, ma si impose di restare sveglio anche se lievemente intontito e dolorante per l'urto, sospirando e strizzando gli occhi, così confuso che neanche percepì più quella mano orribile nei suoi slip che continuava a toccarlo senza ritegno, o alcuno scrupolo. Però, nonostante l'aver attutito il denso impatto contro la parete, rimase un pensiero che volle dimostrare apertamente e con decisione a quel grezzo essere appena le sue labbra furono, un po' più libere da permettergli di farlo: gli sputò addosso, cercando di mirare all'occhio che, Teach, prontamente richiuse con una smorfia.

-Idiota.- si limitò a definirlo, lui, continuando il suo operato, sentendo ormai quel membro eretto, e pulsante di più attenzioni.

-Mhm! Mollami, bastardo!- si riprese, Ace, sospirando affannato ma tornando a dimenarsi e a fremere, rosso in volto di vergogna; mordendosi il labbro fino a farlo sanguinare appena percepì di non avere più niente addosso, se non la camicia.

E si immobilizzò di colpo, Ace; riconoscendo quella figura avvolta dalle ombre e dalla poca luce che arrivava da dietro quel ciccione mentre teneva la tenda viola, semiaperta, con una mano; il giusto da far vedere solo a lui quello che stava accadendo, e non a quei ragazzi alle sue spalle che continuavano a ballare come se nulla fosse. Il lentigginoso continuò ad affannare, restando con le pupille ridotte a due puntini, osservando la sagoma che gli squadrava con un volto duro e impassibile, sorpreso, a tratti adirato; e sentiva che dentro quegli occhi, stava ribollendo più rabbia di quanto mai si aspettasse da quella persona. Ma non si perse in quei frammenti di momenti, Ace; e, nel ritrovare una via di fuga, si affrettò a boccheggiare e a muovere la testa, a scatti, per chiedere aiuto, tentando di liberarsi dalla mano di quel verme che lo teneva fermo, braccandogli il collo ancora e impedendogli di respirare per davvero, solo fiochi boccate. Non riuscì nell'impresa, così tornò a quella sagoma che stava ferma, lì, a fremere di rabbia mentre Ace tremava di impotenza; e gli sussurrò con gli occhi, un silenzioso ma speranzoso: Marco, aiutami!

In un attimo, senza che se lo aspettasse, Ace vide il ciccione venire sobbalzato e lanciato contro il muro accanto da un calcio in aria; un qualcosa di così veloce che non credette fosse nemmeno reale. E poi, gli occhi del più giovane si scontrarono con quelli del biondo, proprio davanti a lui; e ne rimase incredulo: lo aveva sentito, aveva udito il suo richiamo! O forse era stata quella, sin dal principio, la sua intenzione primaria appena gli aveva visti in quel modo? Ace, a quel punto, si imbarazzò, chinando il capo mentre si rendeva conto di avere finalmente il pieno controllo del suo corpo, che era scivolato, lentamente, a terra, appena la morsa sulla gola fu scomparsa; e così cercò di riprendere fiato, unendo le gambe per cercare di coprirsi, insieme alle braccia lungo il suo busto, fino a davanti all'inguine; strizzando le palpebre, e sentendosi così sconvolto e scosso; vagando, nell'attimo dopo, e frettoloso, le pupille alla ricerca dei propri indumenti che gli erano stati sottratti e poi gettati, e che ritrovò poco distanti da lui; sotto a un tavolino in legno, nascosto da un'altra tenda che portava ad una parete piena di scatoloni, anch'essi celati da quel tessuto, del medesimo colore di quello che si affacciava all'altra sala.

-Teach!-

L'urlo funesto e pieno d'ira sovrastò il caos della musica, riuscendo ad imporsi solo in quello sgabuzzino ma lasciando scosso il lentigginoso che si irrigidì, lì, a gattoni che cercava di raggiungere i propri indumenti; e, con un piccolo scatto finì accanto alla propria cinta. L'afferrò in tutta fretta, insieme ai suoi bermuda e ai suoi boxer; dandosi dello stupido: non si era minimamente accorto delle mosse di quel ciccione che lo aveva spogliato senza pudore, osando toccarlo in quelle parti intime e riservate mentre lui era inconscio. E, poco fa, si dannò di essere stato troppo assorto negli occhi del biondo che fissava quello schifo di essere, e che ora si stava avvicinando ad esso, con le braccia lungo i fianchi, i pugni stretti che fremevano, e lo sguardo, anche se non poteva vederlo visto che gli dava le spalle, direzionato più verso quel ciccione, ancora chino a terra a tastarsi con le mani, gemendo forte e scrollandosi funesto con tutto il corpo il punto dolente, all'altezza del fianco mentre tossì un paio di volte prima di alzare il capo in direzione di quella figura così imponente in quel momento.

-Che diamine stavi facendo, eh? Cosa cavolo volevi fare, Teach!-

-Avanti, ci stavamo solo divertendo, Marco.-

-Maledetto...- sussurrò a denti stretti, facendosi sentire, a mala pena da quello che doveva chiamare fratello, e che sorrideva maligno, e pieno di malizia. All'inizio aveva tentennato, non sapendo che fare nel vedere quella scena: Ace chiedeva, esigeva aiuto; ma quello era suo fratello! Alla fine aveva ignorato l'ultimo dettaglio, pronto a colpire, e poi, il ragazzo lo aveva guardato, lo aveva supplicato di fare quello che lui, dentro di sé, desiderava ardentemente fare sin dal principio di quello spettacolo senza onore né rispetto; e così era corso con anche maggiore enfasi fino a colpire quello che, decise, non apparteneva più, per lui, alla sua famiglia.

Ace ascoltò quelle prime parole, gridate con così tanto impeto da quel ragazzo che aveva tanto conquistato il suo cuore, all'unisono dei tonfi che si susseguirono, dei colpi che stava dando a quell'essere che aveva osato tanto su di lui; e il lentigginoso guardò come Marco si stesse pronunciando per difenderlo, con il ciccione che provava ad inventarsi scuse che servirono solo a far perdere di più la lucidità al biondo. Ed era sorpreso di cotanta rabbia: non credeva che si sarebbe adirato in quel modo, concretizzò nella mente; la bocca semiaperta e le pupille ampie dallo stupore, prima di darsi un contegno, affermando tra sé e sé che era, semplicemente, dovuto alla festa: di sicuro non voleva, Marco, un atteggiamento simile al suo compleanno, soprattutto da uno che era della "famiglia" di cui faceva parte. Si strinse la camicia senza più i bottoni, sparsi chissà dove in quell'oscurità; contro al petto nudo, con entrambe le mani, mordendosi un labbro, e ormai con i vestiti addosso che lo coprivano da quell'infamia ma non dall'erezione che ancora aveva, mal celata dalla patta dei pantaloni indossati. Pieno di disonore, scattò in piedi nei suoi grandi stivali neri, fremendo per quell'onta a cui, perfino Marco aveva assistito; e questo lo uccideva di più, rendendolo maggiormente inadeguato ai suoi occhi così puri.

-M-m... Mi dispiace, Marco! Perdonami.- esclamò, a gran voce per farsi sentire prima di scappare via, imprecando mentalmente poi per come la sua voce fosse uscita singhiozzante e spezzata; uscendo da quella stanzetta e andando a sbattere tra le tante di quelle persone che danzavano e che lo guardavano sconvolte e oltraggiate di quell'intrusione brusca, con altre che crollarono a terra andando a sbattere contro i più vicini e creando l'effetto domino; visto come corresse andò anche a scontrarsi contro Thatch che lo fermò visto che lo stava proprio cercando, prendendolo per le spalle e guardandolo preoccupato.

-Cosa è successo?- si affrettò a chiedere a notate quelle lacrime che gli solcavano il viso prima che, il più giovane scuotesse, energico il capo.

-Niente, scusami!- si divincolò, senza demordere fino a staccarsi e tornare a correre verso la porta, stritolando i lembi della sua camicia per il nervoso, stretti contro il suo petto scoperto; tra i richiami forti e intensi del cuoco e di Marco che aveva provato a raggiungerlo, dietro di lui.



Thatch sospirò affranto, fermando l'andatura nel vederlo ormai scomparire oltre l'uscita, superando anche la guardia che cercò di afferrarlo senza successo dopo un attimo di sbigottimento; e volse lo sguardo all'amico che stringeva i pugni, pieno di rabbia mentre anche gli altri amici, i più vicini a loro, si erano fermati dal danzare nel vedere quella scena, confusa ai loro occhi.

-Gli è lo hai detto?- chiese, temendo che la reazione di Ace fosse dovuta al fatto che Marco si fosse confessato, ma forse era esagerata; era improbabile che potesse rispondergli scappando e piangendo.

-No.- si limitò a rispondere, il biondo, mostrando una smorfia di rancore prima di voltarsi indietro e avanzare, lentamente, ma deciso, verso il colpevole di tutto; muovendosi scaltro come avrebbe fatto un serial killer. Avrebbe raggiunto dopo Ace; si ripromise, sapeva che aveva bisogno di tempo, adesso: non lo biasimava dopo quello che era successo. E poi, lui aveva ancora un conto in sospeso; si impose di tornare indietro, doveva farlo perché ne sentiva il bisogno: Teach aveva esagerato, aveva superato il limite.

-E allora cosa?- domandò il castano, affrettandosi nel tornare al suo fianco, e facendosi serio ma anche con uno sguardo interrogativo nelle pupille; dubitava fortemente che potesse mai causare dolore ad Ace, Marco: era impossibile. Eppure, quella scintilla sinistra che possedeva non gli è l'aveva mai vista addosso; ed era preoccupato, così lo seguì, frettolosamente.

-Niente, solo un bastardo che ha esagerato per l'ultima volta.- serrò la mandibola, ritornando nello sgabuzzino e scostando la tenda con furia, lasciando che il suono secco si propagasse prima che il tessuto, tornasse alla forma originaria, con Thatch che la scostò con calma, cercando di capire mentre vagò fino a trovare Teach in un angolo della stanza, fermo e con le palpebre socchiuse, a terra; raggomitolato senza ritegno e sporco ci sangue sul volto, coprendosi la pancia come se avesse mal di stomaco, e gemendo nel frattempo.

-Avanti, Marco. Calmati!- ridacchiò, e dalla voce cupa e sciatta, Thatch comprese che avesse approfittato troppo con la droga o con l'alcool, ancora.

-Calmarmi? Maledetto bastardo!- urlò sprezzante, avvicinandosi e prendendolo per un bavero della giacca, con il gomito in posizione per essere sferrato, ed il pugno in attesa di dare una lezione alla faccia disgustosa di quell'essere. -Non me ne importa niente se sei drogato in questo momento, mi hai sentito? Non avresti dovuto toccare Ace!-

Thatch sgranò gli occhi a quella rivelazione, sorpreso e fortemente deluso da parte del fratello, seduto a terra. Non poteva crederci. Non aveva ben compreso in che modo avesse potuto intaccare Ace fino a farlo piangere, ma la reazione di Marco era una prova più che valida per capire che, tali parole erano veritiere. Però, nonostante comprendesse i suoi sentimenti, si affrettò a soccorrere il fratello ferito, braccando il biondo che era riuscito a colpirlo tre o quattro volte, prima di osservare il cuoco, confuso e adirato; stridendo i denti, non accettando quel gesto.

-Che fai?- sbottò, e la rabbia salì maggiormente nel notare, Teach, con la tempia sanguinante, ridere sotto i baffi per essere stato salvato nonostante i suoi gesti che sapeva essere poco virili.

-Fermo!- l'urlo del castano riportò lievemente alla realtà l'altro che lo fissò in attesa di una motivazione che non tardò a pronunciarsi. -D'accordo che non è un fratello modello, ma hai sempre cercato di aiutarlo, non così.-

-Taci Thatch! Ha osato provare a stuprare Ace! Ti rendi conto?- urlò per ripicca, offeso da se stesso per non essere arrivato prima per impedirlo, e disgustato di quella figura che continuava ad essere allegro come nulla fosse accaduto, mentre il cuoco si scandalizzò, a tal punto da allentare la presa sui polsi del ragazzo, lasciando socchiusa la bocca a tale rivelazione.

-Non posso lasciarlo impunito, Thatch!- affermò, portando le braccia lungo i fianchi e stringendo i pugni.

-Lo so, lo capisco. Ma non è picchiandolo che sistemerai la questione.- disse lui, pacato e cercando di riprendersi da quelle informazioni terrificanti, che lo avevano lasciato sporco dentro anche se non era stato lui il colpevole. -Io lo porto a casa, tu va da Ace. Avrà sicuramente bisogno di una figura amica, e di te più di chiunque altro.-

Marco scrollò le spalle, indeciso e rammaricato di dover abbandonare la rabbia, ma l'amico aveva ragione. Così, respirando profondamente, e tornando dentro la sua compostezza, annuì, pronto ad uscire e poi a dirigersi dove aveva visto, prima, Ace fuggire nell'oscurità, con l'ultima frase del castano che lo aveva colpito: non aveva nessun tono scherzoso, ma dubitava che ad Ace avrebbe fatto qualche differenza se, al suo posto, ci fosse stato Thatch; ma ci sperava del contrario.

-Avanti, vieni.- sospirò quando Marco gli diede le spalle; così prese un braccio del fratello a terra portandoselo attorno al collo e tirandolo su dopo averlo ripulito dai rivoli di sangue, che però non sembravano fermarsi. Per il resto, agli altri, vederlo così sarebbe parso fin troppo normale: ormai, non ci facevano più caso. -Ma non ti perdono.- gli sussurrò, vicino al suo orecchio; volendo comunque chiarire che, non avrebbe dimenticato quel fatto, da parte sua.

Marco, a sentire quelle parole sospirò affranto e con un senso di impotenza: avrebbe voluto punirlo di più, fargli provare la stessa paura che aveva intravisto nelle pupille tremanti e supplichevoli di Ace, ma non aveva potuto, e non avrebbe avuto altre occasioni per difendere il suo onore. Non ci pensò più, dando l'impulso alla testa di procedere: doveva raggiungere Ace.

Scrollò il capo, digrignando i denti prima di correre verso l'uscita e andare alla ricerca del suo amico, anche se usare quella definizione era inappropriata visto quello che provava per lui.

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