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Il ricordo che precipita.

Certo che era davvero straziante, davvero, davvero, davvero straziante. Svegliarsi con quel mal di testa tremendo era davvero un qualcosa di orribile, tanto da desiderare di non essersi mai svegliato, per non parlare dei vari dolori che percorrevano il suo corpo come scosse ad ogni suo movimento, anche respirare risultava arduo. E giurò che; cioè, lui adorava Luffy, ma in quel momento, e in quello stato, desiderava solo non sentire quella voce squillante e incoraggiante che chiamava il suo nome fino allo sfinimento, scuotendolo di poco, il giusto da fargli capire che era vivo ed era mattino, e che lui si ritrovava, disteso di petto, nel proprio letto, su quel materasso di spugna e con le coperte a coprirlo e a nasconderlo quasi del tutto; magari proprio perché era stato il suo caro fratello a portarlo lì, un po' come da qualche anno a quella parte. Non sapeva se doveva o meno rimpiangere i tempi del liceo, ma forse no, perché non era mai stato bravo a studiare, e probabilmente il diploma lo aveva preso solo perché i docenti interni erano stanchi di lui. Strizzò gli occhi, ma senza aprirli, e pensò soltanto che gli è l'avrebbe fatta pagare a quel vecchiaccio, ma in realtà, non faceva che perdere contro di lui; quel maledetto, pensò con odio e stizza, con gli occhi che vibrarono e brillavano di quel sentimento così negativo nel pensare a quell'uomo che li tormentava.

-Avanti, è giorno. Lui è uscito, e io devo andare a scuola, mentre tu a lavoro. E' il tuo primo giorno, non puoi fare tardi!- continuò a scuoterlo, Luffy, intendendo con quel 'lui', quell'essere che avevano come 'padre'.

Sgranò gli occhi Ace nel realizzare quelle parole, alzando giusto solo la fronte dal cuscino, e stringendo i pugni sotto di esso nel pensare che: "Caz... E' vero, oggi inizio a lavorare... Perché ho bevuto così tanto? Maledizione!". Ma nel pensarlo, un'altra fitta alle tempie lo colpì fino a sentirsi morire, davvero, e preferì tornare con la testa sul cuscino, guardando il fratellino solo di sottecchi.

-Mhm... Mshì, orgmha mdi aldfczo.- provò a formulare una frase compiuta, invano ovviamente. Dopo una serata come quella sarebbe stato già tanto se riusciva a dare l'ordine alle sue gambe di muoversi, e sarebbe stato un miracolo se esse lo avrebbero accontentato; e poi, la voce uscì ovattata e confusa anche per il fatto di avere il muso piantato contro la stoffa del suo cuscino, così soffice e caldo che lasciarlo sarebbe stato proprio una pugnalata, per entrambi.

-C'è la fai?- chiese apprensivo, il suo fratellino che si scompigliò i capelli con una mano, o almeno era questo che immaginava dal suono di sfrigolio che sentì visto che era tornato a chiudere gli occhi per pochi secondi.

Sospirò e si tirò su, ignorando come le sue braccia, distese, tremassero; un po' come tutto il suo corpo. Ignorò ogni cosa, il dolore, la stanchezza, la voglia di morire e la depressione, per mettersi in piedi e guardare il più piccolo che sembrava stanco quanto lui, con gli occhi semi-chiusi, la bocca che sbadigliava ad ogni secondo, e una mano che sfregava, con sempre meno voglia, la sua chioma corta, corvina e sbarazzina che teneva.

-Sì, c'è la faccio.- rispose, sorridendo piano.

-Okay, mi accompagni a scuola?- chiese allora, lui, mugugnando.

-In pigiama?- domandò il maggiore, indicando gli indumenti che aveva lo studente, un po' trasandati e dai colori giallo-verde, per poi guardare i propri e rendersi conto che, come al solito, era già vestito. Purtroppo puzzava di alcool, gli toccava cambiarsi e lavarsi.

-Oh! Hai ragione!- scattò verso quel bagno interamente candido, seguito a ruota dal più grande; come sempre si sarebbero lavati insieme.

Sbuffando piano superò il fratellino alla sua sinistra, e la lavatrice bianca alla sua destra, dove sul ripiano vi era una padella, cosa che non comprese e non volle comprendere al momento con il mal di testa che aveva. Guardò il minore che si era impossessato del lavandino e che si stava lavando i denti, guardandosi allo specchio con una faccia curiosa, come se quello nel riflesso non fosse lui, o non lo avesse mai visto prima d'ora; però, Luffy era sempre così: con quegli occhi neri grandi e profondi, quella voglia di vivere e di scoprire. Riusciva sempre a rallegrare l'animo tormentato del maggiore, che, terminato di spogliarsi, entrò nella cabina, dai vetri trasparenti della doccia, saltando sul posto nel sentire sulla pelle quanto fosse gelida come il ghiaccio, facendo però ridere il minore che rischiò di sputare tutto il dentifricio sullo specchio, o forse lo fece per poi pulire in fretta il disastro prima che se ne rendesse conto il maggiore. Ma era troppo stanco, Ace, per capire ogni cosa. Almeno, l'acqua così gelida lo aveva aiutato a risvegliarsi, anche se aveva aumentato il mal di testa in un modo incredibile; aveva rischiato anche di scivolare per quel balzo. Preferì cercare di resistere, sia al fastidio alle tempie, che al freddo, e afferrò la spugna.

E questo particolare riguardante l'acqua gli ricordò di essersi dimenticato di pagare la bolletta; nonostante la loro caldaia guasta non li permettesse di fare una doccia calda doveva comunque pagarla per non rimanere senza; motivo in più per congratularsi con se stesso per aver deciso di lavorare, oltre che per pagare il liceo a Luffy poteva occuparsi delle bollette e del cibo. Fino ad adesso erano andati avanti con i soldi che aveva lasciato a loro la madre, morta tanti anni fa; ma ora che stavano per finire, e il 'padre' non voleva contribuire ai loro fabbisogni personali, gli toccava essere ancora una volta lui quello responsabile, quello forte e quello a dover essere uomo prima del tempo. Ma lui era sempre stato così, non gli era mai stato concesso di essere un bambino; troppi problemi, troppo dolore, troppe responsabilità.

Scrollò il capo, guardando il soffitto con una smorfia, a proposito di ricordare, la sua mente continuava ad essere vuota rispetto a quello che era accaduto l'altra sera dal momento in cui si era svegliato; e la cosa peggiore: non sapeva cosa doveva ricordare, però sentiva che era importante. Ma anche se non lo fosse stato sentiva che doveva ricordare, doveva e basta. Peccato che risultasse tremendamente e fastidiosamente complicato riuscirci.

Con il corpo che tremava, e i denti che stridevano per non far uscire nemmeno un mugugno di fastidio per quel freddo, decise che si era insaponato e risciacquato abbastanza, ed uscì in fretta, tanto che un corridore in procinto a fare lo scatto d'inizio lo avrebbe invidiato. Scuoté il capo, tremando come un pulcino bagnato, e rendendosi conto che il fratellino se ne fosse andato da un pezzo decise di sbrigarsi; afferrò un asciugamano, riscaldandosi e scrollandosi l'acqua di dosso, e con i piedi sul tappetino viola umido, difronte al lavandino, si lavò i denti. Sfregando in fretta lo spazzolino sulle gengive osservò il proprio riflesso nello specchio, il suo volto chiaro e tempestato di una spruzzata di leggere lentiggini sotto agli occhi fini e dalla forma vagamente a parallelogramma, questi ultimi così neri e lontani; le labbra sottili, e poi quei capelli folti e corvini, con alcune ciocche ondulate e bagnate che ricadevano da davanti agli occhi, arrivando quasi fino a toccare la punta del naso, con l'acqua che gocciolava a ritmo, a terra. Risciacquò la bocca un paio di volte e chiuse il rubinetto prima di recarsi in stanza per rivestirsi; e purtroppo gli toccava indossare quella divisa, sembrava così scomoda e irritante alla vista; lì, appesa dentro quell'armadio vecchio e malandato, in quella stanza dove risiedevano due letti ed una scrivania. La sua casa non era male, non era enorme, ma neanche troppo piccola, come si vedeva da quella stanza, dall'impressione vasta per mancanza di oggetti all'interno, e con una finestra che illuminava e rendeva vivibile quella stanza grazie ai raggi del sole. L'unico problema della casa era la mancata manutenzione e la poca cura, e che aveva giusto mobili come letto, tavolo e divano; ma non era mai stato un problema.

-Io sono pronto.-

Si voltò verso Luffy che stava sul proprio letto, con la camicia rossa ed i pantaloncini blu come suo solito, e immancabilmente possedeva quel sorriso sul volto, così raggiante e fantastico; e non poteva mancare il cappello di paglia con la fascia rossa sulla base, un regalo prezioso della loro madre. Sorrise e gli annuì, passandosi una mano su quelle ciocche fradice che ricadevano sulla sua fronte per portarsele indietro mentre poteva ascoltare delle gocce scorrere lungo la schiena e sul petto, e il gelo invadergli il corpo, fino a dentro la spina dorsale, fino a fargli sentire freddo e brividi che avrebbero fatto battere i denti a chiunque, ma non ad Ace, resistente come pochi. Volse il capo verso l'indumento, asciugandosi meglio con il tessuto bianco apposito, compreso i capelli prima di affrontare quel completo, davvero non da lui che preferiva tenere camice aperte a maniche corte e pantaloncini che arrivavano fin sopra i ginocchi; e anche il fatto che con quel vestito nell'armadio non poteva indossare il suo scaldamuscoli, che teneva sempre sul gomito sinistro, lo lasciava vuoto, come continuava a sentirsi da quando si era svegliato. Ma perché non si ricordava di... di qualunque cosa fosse quella cosa di cui si era dimenticato?, pensò con un lieve barlume di angoscia negli occhi.

-Aspettami in soggiorno: fai colazione.-

Ovviamente, all'ultima parola, il minore scappò via affamato. Sospirò ancora, tornando cupo in assenza della presenza del fratello, ma c'era qualcos'altro. Oggi continuava davvero a sentire di aver perso qualcosa di importante, forse un oggetto, un pensiero, o magari un ricordo, ma era difficile dirlo con certezza, poteva anche trattarsi dei postumi della sbornia; e comunque non voleva pensarci, le tempie dolevano troppo, e non riusciva ancora a credere che le gambe lo stessero reggendo ancora in piedi mentre si infilava i pantaloni neri ed eleganti del completo che gli avevano dato il giorno quando lo avevano assunto, insieme alle scarpe. Indolenzite com'erano, e come sentiva quegli arti era difficile muoverle; comunque doveva riuscire a non fare figuracce, non il primo giorno. Doveva davvero tenersi concentrato su oggi, anche se quel vuoto era davvero insopportabile, tanto che se avesse avuto tempo e avesse avuto la mente lucida si sarebbe scervellato nella ricerca, andando anche nei più antichi meandri del suo cervello per ritrovare quel pezzo di puzzle perduto che gli offuscava la vista e gli impediva di far battere il cuore correttamente; peccato però che aveva un'emicrania così forte, indescrivibile e tormentosa che lo costringeva a strizzare gli occhi ad ogni pensiero. Voleva solo tornare a letto; eppure, al tempo stesso desiderava tanto sapere che cosa fosse quella cosa di cui si era dimenticato. Ma perché teneva tutta quell'ansia? Era sicuro non fosse nulla di importante, e non era la prima volta che capitava di dimenticare qualcosa, soprattutto dopo una bevuta a quanto sembrava.

-Fatto.- si abbottonò l'ultimo bottone della camicia bianca, attillata ma che gli stava davvero da modello insieme alla giacca e alla cravatta nera. Sorrise nel guardarsi e si chinò, piano per evitare capogiri o altro, e si allacciò le scarpe, rialzandosi con altrettanta cura per poi recarsi giù, ignorando l'aria angusta e cupa del corridoio, e di come fosse piccolo il soggiorno, ma vuoto da farlo sembrare enorme, con solo un divano e una tv; e poi la cucina, stretta e piena di accessori un po' logorati dal tempo, però era attrezzata. Quella casa era piena solo perché, per Ace, c'era Luffy, lui la riempiva di gioa, altrimenti non sarebbe stata una casa, ma lo scenario di un cimitero, per il silenzio, l'inquietudine e l'oscurità che lasciava dietro. Ignorò i suoi stessi pensieri, anche perché gli procuravano solo tanto mal di testa, sorridendo al minore e uscendo insieme per poi entrare in quella piccola macchina rossa, una 500, comprata di seconda mano; se ieri c'erano entrati tutti e cinque, data la loro corporazione, era perché si erano fatti stretti.


Giunti a destinazione della scuola di Luffy, scese con lui per poi incamminarsi verso il gruppo di amici di ieri, con in aggiunta quattro persone in più. Salutarono tutti in modo caloroso entrambi, a parte Franky che aveva un modo tutto suo di farlo: con quella sua statura possente decise di mettersi in una sua posa tipica per festeggiare il loro arrivo e il primo giorno di scuola: con una gamba piegata e le braccia in alto, tutto sorridente. Ace osservò anche le due ragazze, con quella dalla capigliatura arancione che protestò per il fatto che Zoro non fosse ancora arrivato e che li toccava aspettarlo; di sicuro si era perso, era una sua prerogativa perdersi anche nelle vie più facili. Mentre lo scheletro Brook si deprimeva con le sue stesse battute, e la piccola renna, Chopper, tenendo in spalla un zainetto blu, lo consolava come poteva e in quel modo così dolce che lo caratterizzava.

-Oh, Ace. Hai sbagliato... Lascia fare a me.- scattò Nami nel notare il problema nel vestito, che stava turbando il moro quasi quanto il fatto che non capisse cosa avesse dimenticato: visto che non era riuscito a sistemare al meglio la cravatta l'aveva lasciata snodata, attorno al suo collo, a penzolare. E la ragazza, portandosi indietro una ciocca di quella chioma arancione, che le ricadeva sulle spalle, dietro l'orecchio, gli si avvicinò con fare tipico di una sorella paziente. -Oggi è il tuo primo giorno, cerca di fare bella figura.-

-Grazie.- affermò, lasciando che quelle delicate e dolci mani manipolassero e armeggiassero con quel nodo, mettendoglielo come di dovere, mentre Sanji urlava frasi sconnesse e disperate, dicendo che in quel momento invidiasse Ace per avere quelle leggiadre mani su di sé. Ace lo ignorò, osservandosi e concretizzando che in quei vestiti si sentiva troppo prigioniero: non facevano per lui.

Sospirò e tornò in macchina dopo aver ringraziato Nami e salutato gli altri che rimasero davanti al grande ed enorme cancello, e partì nel momento stesso in cui lo spadaccino tanto atteso arrivò, camminando tranquillo come se non fosse in un abnorme ritardo, quasi quanto Ace. Osservò gli amici di suo fratello entrare, alcuni parlando tra di loro, altri scherzando, e altri che rimproveravano e litigavano con Zoro che contrattaccò solo verso Sanji, ignorando Nami che sospirò sconsolata, entrando e, forse parlottando che quei due non sarebbero mai cambiati, lasciando che Robin ridesse mentre teneva stretto al petto uno dei tanti libri che amava leggere.



Entrò nel bar di corsa, arrivando quando ancora non c'era anima viva; e si sentì di crollare a terra svenuto, sia per le gambe che tremavano, e sia per la testa che sembrava voler cedere da un momento all'altro. Riprese fiato, chino sulle ginocchia e sospirò, grato che il datore di lavoro non fosse nei paraggi; doveva anche ringraziare che l'università fosse vicina, perché il posto dove lavorava era proprio all'interno di quest'ultimo, adibito per gli studenti quando arrivavano la mattina presto, o durante le pause, o anche dopo le lezioni per parlare e svagarsi tra loro. A volte anche i prof. si facevano vivi per un caffè, almeno questo gli aveva spiegato il suo datore, datore che era anche il rettore dell'istituto da ciò che aveva capito; e che, purtroppo per lui, non era chissà dove come si immaginava, bensì stava sistemando i tavoli fuori dalla terrazza. Nel constatare ciò, Ace ingoiò un amaro groppo di saliva, avvicinandosi a lui per salutarlo come si conviene e per dargli una mano a sistemare.

-Buongiorno Signor Lucci.- si chinò in modo rispettoso con il busto quando arrivò dinanzi a quell'uomo vestito sempre in modo elegante e raffinato, proprio come il suo portamento; con un cilindro nero sul capo che si abbinava al completo del medesimo colore, omettendo la cravatta bianca; e poi con un piccione bianco dalla cravatta rossa, sulla spalla del proprio padrone e che serviva, per lo più, a parlare a nome di quell'uomo; in effetti, il signor Lucci in passato era stato un ventriloquo da ciò che aveva sentito dire, ma non aveva approfondito l'argomento, anche perché non gli interessava granché saperlo.

-Sei in ritardo!- scattò il piccione, gesticolando con le sue ali mentre lo adocchiava malamente con quegli occhietti rossi, a differenza del suo padrone che era rimasto in silenzio a bocca chiusa, e con uno sguardo impassibile.

-Mi perdoni, le prometto che non ricapiterà più.- tornò a chinarsi, con le braccia lungo i fianchi mentre si mordeva il labbro inferiore, stressato e in ansia per le conseguenze; anche se era anche abbastanza infastidito: erano le 8:05, aveva ritardato solo di cinque minuti; e si era svegliato anche con l'idea di essere più in ritardo del previsto, invece poteva andare con calma. Ma nel riflettere sulla reazione del signore, o piccione, che aveva davanti ci ripensò su: non poteva tardare nemmeno di un secondo. Non voleva nemmeno chiedere per quale misero errore il suo "precedessore" fosse stato licenziato.

-Sarà meglio. Sistema i restanti tavoli, e poi mettiti dietro al bancone.- affermò quello sbeccato di un piccione prima di calmarsi e appollaiarsi meglio sulla spalla su cui era adagiato, e andarsene con il suo padrone.

Ace per un attimo si chiese se era il piccione a comandare Lucci, o era davvero Lucci che comandava il piccione. Sospirò, avvicinandosi e sistemando, come gli era stato richiesto, i tavoli; ingoiando amaramente ogni fitta, corporea e mentale che fosse ad ogni movimento; e ad ogni trafitta malediceva quel gran pezzo di infame di suo 'padre' per averlo picchiato così tanto. Decise però di non pensarci più per non adirarsi e andò a posizionarsi dietro al bancone, felice che Lucci fosse andato via; ma era certo che ogni mattina si sarebbe assicurato di trovarlo alla sua postazione di lavoro, e forse sarebbe venuto a controllare anche nell'arco della mattinata. Scrollò le spalle: il primo giorno era iniziato, sperava che migliorasse rispetto a come fosse iniziato, e sperava di ricordarsi di quella cosa.

Non c'era ancora nessuno, ma forse si sarebbero fatti vedere a momenti. Però aveva fame, troppa; non aveva fatto colazione. Gonfiò una guancia in modo infantile e si voltò verso gli scaffali, sperando di poter prendere qualcosa di buono da lì, e sorrise nel vedere, tra tanti spuntini dolci e salati, una piccola scatola dove risiedevano delle confezioni di quel cibo a forma di tronco e con delle dune, tutto ricoperto di cioccolato. Lo adocchiò, togliendo la confezione e divorandone due come se non mangiasse da mesi. Sentendosi poi soddisfatto, anche se non troppo, si pulì per bene e buttò nella pattumiera le prove, per poi sedersi su uno sgabello all'interno della sua postazione e aspettare che arrivasse qualche cliente, in fondo mancava circa mezz'ora prima che le lezioni iniziassero.

-Buongiorno.- scattò in piedi nell'intravedere un gruppo di ragazzi farsi avanti ed entrare mentre parlavano tra di loro del più e del meno, avvicinandosi a lui solo per ordinare e poi sedersi in uno dei tavoli all'interno.

Fece un mezzo sorriso, chiedendosi se sarebbe sempre stato così; ma a ricordare quello che Lucci gli aveva detto, gli orari variavano a seconda dei corsi, e visto che gli studenti erano tanti poteva trovarsi strapieno quanto meno se lo aspettasse; e poi, magari qualcuno si sarebbe potuto fermare lì anche per studiare o altro dopo la propria lezione, o schiarendosi le idee con un buon caffè. Borbottando piano tra sé e sé si mise all'opera, preparando e mettendo su un vassoio i due cornetti e i quattro pasticcini, con due cappuccini ed un estathé, arrivando poi al tavolo con un sorriso cordiale, e augurandogli buon appetito.

E la giornata andò avanti così fino a mezzogiorno; e durante quelle ore il locale si era riempito, svuotato e riempito di nuovo causandogli solo tanto da servire, tanto da lavare, tanto da sistemare e tanto da decidere di uccidersi: quei ragazzi erano insopportabili, e forse era più la sua condizione di salute e sonnolenza a dirlo; però facevano un baccano tremendo, capiva che volevano svagarsi dopo o prima dello studio, però lui era stanco... Dopo aver servito i primi venti clienti era già sul punto di lasciare tutto e mandare a quel posto il signor Lucci e università compresa. Ma il pensiero che gli servivano soldi per andare avanti lo avevano trattenuto dal fare danni, anche con i clienti più malfidi e maleducati. E aveva guadagnato davvero molto fino ad ora; con Lucci si era messo d'accordo su quanta percentuale gli spettava, e che lo stipendio lo prendeva quanto voleva; perché lui non se ne intendeva molto di queste cose di pagamenti; Lucci non aveva ribattuto, gli bastava avere la propria percentuale, e così andava bene a tutti. Guardò l'orologio in alto, azzurro, che si intonava alle pareti rosse: mancavano ancora due ore e avrebbe finito il turno; sinceramente ignorava chi sarebbe arrivato a fare il cambio.

-Era ora, cameriere dei miei stivali.- sbottò il ragazzo dai biondi capelli ed un ghigno fastidioso che avrebbe fatto venire solo voglia di dargli un pugno, ed Ace lo avrebbe fatto molto volentieri, anche perché non era il primo insulto che gli dava.

Adagiò le due tazze di caffè per quei due maleducati e tornò alla sua postazione con un sospiro stanco, e forse anche le persone che avrebbero dato un'attenta occhiata al suo aspetto si sarebbero rese conto che fosse molto sciupato e compromesso, ma in fondo non era abituato a tutto quello, al lavoro. Sedendosi sullo sgabello gettò in alto il capo e ripensò al suo letto con fare nostalgico, a quanto gli mancasse in quel momento.

-Scusa, potrei avere un caffè ristretto?-

-Arriva.- borbottò per poi alzarsi e sfoggiare un altro sorriso, cordiale; era da quella mattina che non faceva altro, e si domandava come faceva Luffy a resistere, visto che sorrideva perennemente e in ogni minuto della giornata: la conformazione delle sue labbra pizzicava e faceva male; le sentiva troppo indolenzite.

In fretta accontentò il cliente, ringraziando, mentalmente, davvero tanto Sanji per le sue lezioni elementari di cucina; gli aveva insegnato bene e tutti i particolari dei segreti per essere un bravo barista; per non parlare della pazienza che aveva avuto durante i suoi crolli di narcolessia o quando gli capitava di sbagliare e rompeva bicchieri e piatti di proprietà del biondo amico. Sbadigliò, osservando la macchina, che doveva essere nuova, fare i soliti sfrigolii e poi versare il liquido nerastro dentro la tazzina bianca in ceramica. Come dalle otto a questa parte in pratica, anche se, di tanto in tanto, si era fermato per lavarla prima di usarla, come gli aveva insegnato Sanji, perché lui non lo beveva il caffè. Sospirando si voltò, cercando di ritrovare il sorriso per essere cordiale, ma non ci riuscì e lo lasciò perdere, restando mogio e cupo nel porgere la tazzina a quel ragazzo che stava per ringraziarlo, o forse lo fece, ma Ace rischiò quasi di far cadere la chicchera nel sobbalzare, più sveglio che mai in quel momento, ma senza sentire più il terreno sotto ai suoi piedi. Solo un senso di vuoto scuro che man mano si riempiva, spingendolo in alto, verso l'azzurro; e trattenne il fiato, ormai immobilizzato e con gli occhi sgranati: si era ricordato. Aveva ricordato cosa, o meglio, chi aveva dimenticato. E rimembrò ogni cosa proprio perché lo rivide, vide nuovamente quel ragazzo biondo dalla capigliatura ad ananas che aveva osato baciare, quello dell'altra sera: era, proprio in quel momento entrato nel bar; e parlava con il cuoco, con quel Thatch che era stato così cordiale con lui. Ignorò il fatto che il cliente servito se ne fosse andato già da un pezzo, magari guardandolo strano per il suo atteggiamento, però aveva lasciato i soldi sul bancone e quindi non vedeva nessun problema.

No, aspetta: eccome se c'era un problema! Non poteva servire quel tipo! Sarebbe stato troppo imbarazzante, no, no... Non voleva, né poteva.

Il locale era mezzo pieno, mancavano ancora un paio d'ore per il cambio del suo turno: non poteva svanire nel nulla così, di punto in bianco. Ragionò, o meglio, attuì il solo piano che gli venne in mente nel constatare che il biondo si stava per voltare verso di lui.

Trattenne il fiato e si tappò la bocca con le mani, cercando di non emettere nemmeno un lieve mugugno; non doveva farsi scoprire, tanto meno riconoscere. "No, no, no, no... Che cosa imbarazzatissima! Come aveva potuto dimenticarsi di lui, che tra l'altro frequentava quella stessa università! Si sentiva svanire, voleva svanire!", pensò, nascosto, lì, sotto il bancone, che per lo scatto veloce fatto si era quasi slogato un piede; accovacciato contro i tiretti di legno, con affianco un piccolo frigorifero dove tenevano alcune bevande.

Senza tornare a respirare, quasi volendo morire, chiuse gli occhi e sperò, pregò che decidesse di non fermarsi per prendere qualcosa, e che se ne andasse con il suo amico, uscendo dal terrazzo; perché molti studenti avevano fatto così: come una scorciatoia erano passati di là per raggiungere il giardino centrale, visto che l'università aveva una forma quadrata, aperto da un lato; e poi incamminarsi dall'altra parte dell'istituto senza fare il giro, e ritrovarsi poi nel proprio corso.

-Perché si è nascosto?- chiese Thatch che non era nemmeno riuscito ad identificare la figura, tanto era stato veloce ad abbassarsi lì dietro. E pensare che desiderava salutarlo e dargli uno dei più calorosi benvenuti in quella famiglia che era l'università di Whitebeard, anche se non era uno studente scelto dallo stesso Edward, che era il 'magnifico rettore' sopra a tutti, nonostante si impegnasse di più agli studenti; i docenti e le persone che venivano assunte, come quel nuovo barista, erano tutti a scapito del signor Lucci, tanto che veniva considerato lui il 'magnifico rettore' dagli stessi assunti, quando invece aveva il solo potere di amministrare e assumere le persone; a licenziarle ci pensava solo ed esclusivamente il "babbo", come voleva essere chiamato dagli alunni, Edward, conosciuto anche come Whitebeard, o meglio, Barbabianca.

-Ah, non lo so.- rispose allora, e con indifferenza, il biondo, che scrutava il bancone come ad attendere che sbucasse il volto del nuovo "acquisto" di Lucci, anche se non gli interessava più di tanto: frequentava poco quel bar, giusto per raggiungere più in fretta le sue lezioni. Ma era da quella mattina che, invece di dedicarsi allo studio pensava, e ripensava a quel moro ragazzino di ieri sera, a quella festa di inizio lezioni; si chiedeva come stava visto quanto avesse bevuto, ma scrollò il capo, decidendo di dedicarsi di più alle lezioni di fisica che lo attendevano; e poi, lui nemmeno sapeva chi fosse, oltre al suo nome, quindi non vedeva sorgere il problema di tanta preoccupazione, come anche il pensiero del bacio che gli aveva dato; lo aveva lasciato fare solo perché aveva alzato troppo il gomito, pensò sicuro. Eppure c'era qualcosa che voleva farlo avvicinare a quel ragazzo, trovarlo e conoscerlo; qualcosa che gli diceva che non era proprio così alla fine, che non lo aveva solamente lasciato fare ma che c'era altro anche. Scrollò il capo, il biondo, dandosi dello stupido; in fondo a lui cosa poteva mai importare di uno che non aveva mai visto se non per due secondi; eppure, eppure... C'era sempre questo 'eppure' che lo perseguitava, come il volto del ragazzo nella sua mente che, sentiva, non avrebbe mai dimenticato completamente.

-Vai a chiederglielo, se vuoi.- disse poi per lasciare libera la mente da quei pensieri assurdi, diretto all'amico che decise di cacciare fuori dal taschino quel suo quotidiano pettine nero, lungo e a denti stretti, per sistemarsi per la nona volta quei capelli alla Pompadour, a cui dava, forse, troppa attenzione; più dello studio era sicuro.

-Magari potessi!- quasi urlò, ma si trattenne visto che era rimasto destabilizzato dalle bevute di ieri, al contrario dell'amico che non aveva esagerato sapendo cosa gli riservava il giorno seguente: una mattinata di studio. -Vorrei un caffè, e dargli il benvenuto, ma dobbiamo andare a lezione. E poi, magari si è nascosto perché è timido.-

-E' un barista, deve essere sempre a stretto contatto con le persone; parte male se è timido.- affermò allora, il biondo, calmo come sempre mentre tornava ad incamminarsi, diretto verso la terrazza e poi via, verso la sua classe, insieme all'amico che continuava a parlare, loquace come al solito, nonostante avesse ripetuto più volte di avere mal di testa, senza sapere che il suo amico non lo stava ascoltando, ma che continuava a riflettere su un giudizio, su quel pensiero che lo tormentava dall'altra sera, quel: Eppure, in fondo, gli era piaciuto quel bacio.


Rimase fermo e immobile per un tempo che non seppe determinare, ma alla fine decise, come un povero idiota impaurito, di allungare gli occhi e scrutare oltre il bancone, scoprendo che il biondo non ci fosse più risalì completamente, un po' zoppicante nel sentire la caviglia lievemente risentita dal brusco scatto, ma almeno non era stato visto o riconosciuto da quei due, o almeno, sperava.

Chiuse gli occhi per pochi istanti, calmandosi prima di posare i soldi che erano ancora sul bancone, e anche quelli lasciati sul tavolo da quel ragazzo che era stato così maleducato con lui, chiudendo la porticella della cassa quando tornò alla postazione; sospirò, trascinandosi sullo sgabello per riposare, sia lui che il punto dolente; anche se il locale era mezzo pieno nessuno sembrava intenzionato a chiedergli qualcosa per il momento, e ne approfittò. Osservando alcuni ragazzi giocare a biliardino, o a calcetto, in gruppo e tra mille risate, si chiese se fosse bello avere degli amici, un attimo di pace e di sorriso; certo, frequentava quelli di Luffy, ma erano di Luffy; e poi, con tutti gli impegni che aveva, quando aveva tempo libero lo impiegava nel recuperare il sonno perduto, quindi ci passava, sì e no, pochi attimi insieme, anche quando dovevano imbucarsi da qualche parte, finiva per perderli sempre e per rimanere da solo. Ma si sentiva sempre solo quando era senza la compagnia del suo fidato e allegro fratellino, ma aveva una sua vita, non poteva farci niente, e non poteva costringerlo a stargli attaccato come faceva quando erano bambini, quando ancora c'era Sabo.

Chiuse gli occhi ancora, e riposò, tranquillo perché la cassa aveva una chiusura di sicurezza che solo lui e Lucci potevano aprire. Poteva far riposare gli occhi per qualche istante, giusto per riassaporare meglio gli occhi di quel ragazzo biondo ed il suo sapore sulle labbra.



-Ehi! Guarda che non ti paghiamo per dormire!-

Scattò in piedi con il cuore in gola, facendo rovesciare a terra anche lo sgabello che forse si infranse contro qualche bicchiere; lo ipotizzò nel sentire dei pezzi di vetro rovesciarsi al suolo come una cascata, e pregava solo che non fossero troppi i bicchieri andati perduti, o che Lucci sarebbe stato tanto buono da chiudere un occhio per quella volta. Ma tutta l'ansia e la paura, insieme alla rigidità del suo corpo che si era posizionato fermo e dritto, come un soldato, scomparvero quando incrociò lo sguardo di uno studente che aveva imitato la voce stridula e femminile del piccione e non il volto serio e ombroso, con il pizzetto e i capelli lunghi raccolti in un codino del datore. Strinse un pugno, voglioso di abbatterlo contro il volto del ragazzo che se la stava ridendo come mai in vita sua insieme ai suoi amici, e si trattenne nonostante le valvole nel suo cervello stessero sbuffando e bollendo di rabbia e le mani prudessero. Ma continuò a pensare che non doveva, decise, con molta difficoltà, di resistere e di calmarsi, ripetendosi che gli serviva davvero tanto quel lavoro, così si chinò a terra per raccogliere i cocci di quelli che realizzò essere, soltanto tre bicchieri dell'ultimo scaffale in basso, e sospirò, spazzandoli dentro la paletta che aveva cacciato fuori da sotto il lavello, per poi gettarli nel secchio, posando anche gli attrezzi e rialzando lo sgabello mentre si issò in piedi anche lui, voltandosi di nuovo verso il ragazzo dietro il bancone e sorridendogli cordiale.

-Posso esserti utile?-

-Certo, 'Cenerentola'. Per sbaglio, mentre dormivi, ho sporcato un tavolo di caffè. Dovresti andare a dargli una pulita.- esclamò ridendo, per poi sedersi come se volesse vederlo lavare con i propri occhi; e forse proprio perché poco fa si era chinato a terra per pulire lo aveva soprannominato in quel modo ridicolo.

-Certo. Comunque, il mio nome è Ace.- affermò, recandosi nel piccolo sgabuzzino accanto alla sua postazione dietro a tutti gli scaffali pieni di bottiglie e bicchieri, e anche pieni di qualche scatola di stuzzichini come brioche, patatine, o altro; e dove, affianco a quella porta scorrevole, a muro, ce ne era un'altra, ma normale, da dove si entrava e si usciva dal locale; e fuori ci si ritrovava, attraversando il corridoio, nella mensa dell'università.

Prese il necessario per pulire, avvicinandosi, tra i tanti tavoli rossi, come le pareti, a quello che era stato marchiato, che si trovava all'interno del bar per fortuna, non voleva rischiare di incontrare il biondo nemmeno per sbaglio; e iniziò a passarci sopra la spugna dopo aver spruzzato su quel legno del detersivo, sfregando forte visto che il liquido si era ormai seccato. Controllò l'orario di sottecchi, sospirando amaro subito dopo: mancavano ancora venti minuti. Sentiva che sarebbero stati lunghissimi.

-Ehi, 'Cenerentola'. Posso avere delle noccioline?- ghignò quel tipo dai capelli ribelli e biondi, con quel ghigno sfacciato.

Sbuffò, davvero indispettito mentre lasciò sopra il tavolino la spugna e il detersivo, avvicinandosi alla postazione si chinò per aprire un tiretto, cacciando fuori il sacchetto del cibo richiesto e versandolo dentro una scodellina; finito la porse al diretto interessato e con un sorriso; e tra l'altro, aveva deciso di non sorridere più per il resto della giornata visto che non c'è la faceva più.

-Ma come sei bravo.- finse di congratularsi per poi gettargli addosso, con l'approvazione degli amici, il contenuto del piattino.

-Maled...- trattenne un'imprecazione, sbuffando e scrollando la testa mentre la sfregava con una mano per far cadere le noccioline dai capelli, sporgendosi sul bancone per non farle cadere a terra.

-Oh, 'Cenerentola' si è arrabbiata.-

-Te lo ripeto un'ultima volta: il mio nome è Ace.- ruggì guardandolo minaccioso, cosa che scaturì soltanto più ilarità in quei tizi idioti mentre gli altri clienti assistevano e si univano alle risate, anche se altri sembravano non voler partecipare. Borbottando decise di andarsene indispettito nello sgabuzzino, prendendo la scopa e tornando per pulire; cosa lo trattenne dal gettargliela in testa non lo seppe nemmeno lui.

Era davvero stanco, mancavano quindici minuti; appena sarebbe tornato a casa non si sarebbe mosso dal letto a vita, o almeno finché un uragano tempestoso di nome Luffy non lo avrebbe costretto ad alzarsi da lì per andare chissà dove, e... Le bollette... Si era dimenticato di pagare le bollette... Bene, quindi, tornato a casa dopo averle pagate avrebbe trovato Luffy, sarebbe uscito, e poi sarebbe rientrato e non si sarebbe più mosso dal letto, arrivo di suo 'padre' a parte, sperando in un nuovo giorno migliore.

Abbassò le spalle, rendendosi conto solo in quel momento che aveva finito di spazzare, e che aveva anche buttato le noccioline dopo averle raccolte con la paletta. Era incredibile come la sua mente, anche quando era sovrappensiero funzionasse. Ma poteva farcela. Respirò a fondo e tornò al tavolo, sfregando energicamente i capelli e mugugnando nervoso per le risate e le parole di quel ragazzo, così superbo e arrogante. Appena sarebbe finito il suo turno gli è l'avrebbe fatta pagare cara, carissima.



-Oh, finalmente.- si distese nell'erba dell'istituto, fregandosene di tutto e anche del ragazzo che aveva baciato; se sarebbe passato e lo avesse individuato, ne era certo Ace, che non sarebbe stato minimamente calcolato da lui. Aveva di meglio da fare che stare dietro ad un'idiota come lui.

-Ehi. 'Cenerentola'. Cos'è? La fatina ti ha aiutato a terminare il turno, ed ora dormi?-

Bene, benissimo. Finalmente. Ora poteva picchiarlo. Temeva che non avrebbe potuto più visto che, quando aveva finito di pulire il tavolo, quello se n'era andato via e mancavano ancora dieci minuti al termine del suo lavoro.

-Okay.- si tirò a sedere, per poi alzarsi con tutta calma e voltarsi verso il suddetto che lo osservò sorpreso. -Senti, te lo ripeterò un'ultima volta: mi chiamo Ace, e vedi di portarmi rispetto.- allungò un braccio di scatto, afferrandolo per il colletto della sua maglia nera e strattonandolo con forza verso di sé con un ghigno minaccioso ed uno sguardo che brillava macabro, voglioso di vendetta, tanto che terrorizzò il malcapitato.

-Ehi, vedi di calmarti.- cercò di dire, sicuro di sé anche se rideva nervoso mentre gli altri studenti si fermarono per assistere a quello che accadeva. -Non penso sia buono per te metterti contro uno della famiglia di Whitebeard... 'Cenerentola'.-

-Me ne frego altamente. Ora, dillo: 'il tuo nome è Ace.'- affermò, alzando un gomito e posizionandolo in modo che scattasse contro il volto del tipo che aveva intrappolato.

-Non oserai.- ghignò quello; peccato per lui, che dopo tutto lo stress e la rabbia di quel giorno nei confronti di tutto il mondo che era stato così ingiusto con lui da sempre, Ace era pronto a questo e ad altro, anche a picchiarlo fino a fargli uscire il sangue dal naso.

Così, non ricevendo la risposta voluta, il moro gli mollò un possente gancio destro che lo costrinse ad indietreggiare e cadere di sedere a terra dopo che Ace ebbe lasciato la presa sulla sua maglia. Lo osservò dall'alto in basso, più per le posizioni in cui si trovavano che per sentirsi superiore; ed Ace attese che si rialzasse in modo da poterlo menarlo ancora, o che chiedesse scusa per il suo comportamento nei suoi confronti. Non accadde nessuna delle due cose, bensì quello si mise a gattonare con fare codardo, diretto verso uno di quelli che chiamavano "Comandanti", che era arrivato in quel momento; ovvero: erano come dei rappresentanti, con in cima su tutti un presidente; sapeva solo che erano molto potenti in quanto amministravano tutto in quella scuola, sotto l'approvazione di Whitebeard ovviamente.

-Ti chiedo gentilmente di andartene.- si avvicinò quello con i baffi neri, all'insù ed un cilindro in testa. Aveva un volto familiare, forse era alla festa.

-E' stato lui ad iniziare, bah!- sbuffò Ace, voltando lo sguardo da un'altra parte, notando poi che era praticamente circondato da tutti, o quasi, gli studenti. Cosa cercavano di fare, spaventarlo forse?, pensò, ma tanto era fiero dell'operato raggiunto, aveva fatto quello che aveva voluto e quindi poteva anche andarsene.

-E' vero, non è stato molto cortese nei tuoi confronti. Mi assumo le responsabilità, ma adesso ti chiedo di andare via per non causare altro scompiglio. Il tuo turno è anche finito per oggi.-

Ace osservò quel tipo con il cappello a cilindro, curioso; aveva appena detto che si assumeva le responsabilità per il ragazzo, e forse dopo lo avrebbe rimproverato per bene per il comportamento avuto. Allora era vero quello che si diceva in giro, si trattavano come fratelli in quell'istituto. Almeno, quelle parole che aveva pronunciato, gli ricordavano molto le proprie quando doveva chiedere scusa a nome del suo fratellino. Scrollò il capo e sospirò, era troppo stanco per ribadire, e non c'è ne era nemmeno bisogno da ciò che aveva udito: aveva ricevuto le scuse che gli spettavano; così annuì e girò i tacchi, avviandosi fuori verso la macchina, senza aggiungere altro: era abituato ad essere cacciato via. Poi, il fatto che sapesse anche che lavoro facesse lì lo aveva stupito, ma forse era perché teneva addosso quell'inutile e fastidiosa divisa; infatti era l'unico vestito da cameriere lì in mezzo. Ma trattenne il fiato e si fermò per un'istante; e si maledì, e maledì anche lui per come lo faceva sentire, anche perché lo stava scrutando, fumando una sigaretta tra i denti, con quegli occhi così profondi e seri che gli mandarono uno strano brivido, bello e candido alla schiena. Si accorse anche che era più alto di lui, forse di poco; ma era troppo lontano per esserne certo; e poi notò, ora che vedeva meglio essendo lucido, che quella che aveva sul petto non era una macchia, bensì un tatuaggio a forma di croce e con una luna rovesciata verso l'alto che pendeva da una stecca all'altra, tutto colorato di blu. Lo aveva ritrovato, aveva di nuovo visto il biondo che aveva baciato, e lui aveva visto Ace. "Ma, perché? Perché doveva fare queste figure?", pensò imbarazzato, il moro, tornando a camminare, più in fretta di prima, sentendo però gli occhi di lui sulla sua schiena, sembravano non volerlo lasciare andare.

Ancora rosso infilò le mani in tasca, pensando solo a 'figure': Figure, perché era ovvio che avesse visto tutta la scena violenta. Oh, no. Basta, era stanco; troppo, si disse. Così varcò il portone enorme che anche un gigante avrebbe potuto oltrepassare e si incamminò verso il parcheggio; era stato così assopito in quello sguardo quando lo aveva trovato in mezzo a tutta quella folla di ragazzi che non aveva nemmeno più percepito il mondo attorno: era stato fantastico, una sensazione bellissima che avrebbe voluto riassaggiare, solo lui e quel biondino. Sorrise al pensiero ed entrò nella sua auto, pronto a tornare a casa.



Si tuffò nel letto, sfinito e assonnato, distendendosi di schiena da sopra le lenzuola. Aveva pagato le bollette e fatto la spesa per suo padre, abbastanza in fretta anche, ed era tornato più presto di quanto si immaginava; infatti Luffy non era ancora tornato da scuola, ma visto che erano le 14.25 non mancava molto; aveva detto che finiva le lezioni e cinque, forse si era fermato con i suoi amici; lo sperava. Mugugnò con una smorfia, disteso a braccia aperte in quel letto, forse troppo piccolo visto che dai gomiti in poi ricadevano fuori, ma ci stava tutto se si limitava a stare disteso e non aperto a stella, quindi. Si morse il labbro al pensiero di quegli occhi, e si chiese cosa mai avesse pensato nel vederlo, anche perché quella volta non si era potuto nascondere dalla sua vista in alcun modo, e poi si era accorto solo dopo che era lì. Visto che faceva parte di quell'università, forse penava a tutti come suoi fratelli, e non gli sarà andato giù come aveva picchiato uno di quelli che considerava tale. Sospirò; che casino, pensò. Ma decise di non rifletterci oltre, per quanto potesse riuscirci visto che il suo volto continuava ad apparirgli davanti; cosa davvero frustante e bizzarra per uno che non aveva mai avuto la cotta per qualcuno fino ad ora; e così, chiudendo gli occhi si lasciò avvolgere in quello stato di trans e sonno che lasciava il riposo entrare nei propri polmoni e nella propria mente, insieme alla calma e ai sogni.

Anche se sapeva bene che non sarebbe durata a lungo quella pace.

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