Appartenere.
Si chiedeva perché; perché si era lasciato convincere a partecipare ad una festa così caotica, o meglio, imbucarsi ad una festa così caotica!; ma poi, alla fine, il piano era stato suo, come anche l'iniziativa; era abitudine per lui imbucarsi alle feste per mangiare a scrocco. Per lo più, ormai dava per dispersi i compagni di "avventura" che aveva spinto a tanto, anche se loro non gli avevano dato l'impressione di persone a cui importava delle conseguenze, mai stati; avevano accettato tutti subito ed ora erano tutti lì, dispersi ma erano lì. E non sapeva come fare ad andarsene, non poteva, non senza di loro; né sapeva come rintracciarli, in quel posto, in mezzo a tutta quella marmaglia che rappresentavano i corsi del biennio dell'università. Soprattutto, non poteva abbandonarli alla festa perché, tra i cinque membri che erano, lui era l'unico con la patente e la macchina. Fuori era buio e faceva freddo, il solito gelo che accompagnava l'inverno; andarsene senza di loro sarebbe stato davvero vile e da traditori in quel momento, e di certo non poteva lasciare lì Luffy senza la sua supervisione, per quanto sensata fosse al momento visto che, dopo cinque bicchieri di birra, l'alcool aveva già iniziato a sopraffarlo sulla ragione. E poi, non poteva andarsene solo perché non si sentiva a suo agio nello stare in mezzo alla gente; mai che si dica che Portgas D. Ace abbia paura di una semplice festa, non sia mai! Se qualcuno gli è lo avrebbe rinfacciato, avrebbe ribattuto affermando: "Che bazzecola, io mi ci imbuco anche!", ovviamente con tono e postura fiera, forse non troppo da lui.
Ma a dirla tutta, forse colpa dell'alcool ingerito, si annoiava; e aveva anche sonno, ma questo era dettato più dalla narcolessia che possedeva da quando era entrato nella fascia d'età adolescenziale. Scuoté il capo, guardandosi attorno e lasciando il bancone, dimenticandosi del quinto bicchiere, semi-vuoto, di birra che aveva ordinato poco fa, e che il gentile ragazzo dai baffi lunghi, con le punte che drizzavano, dopo una curva, verso l'alto, e il cappello a cilindro, blu scuro, o forse nero, o forse di un altro colore, gli aveva versato; non lo capiva nemmeno lui il colore visto il buio, interrotto solo dalle scie di mille sfumature e forme delle luci che invadevano l'enorme sala, che pareva così piccola in mezzo a quelle persone tutte messe insieme, sembrava essere ad un concerto, e la musica alta che usciva dagli stereo aiutava a dare sempre di più quell'idea.
Camminò, o forse barcollò, non distingueva più nemmeno i suoi movimenti; cercando di farsi spazio per passare in mezzo a quei ragazzi, che in quelle ore non si erano accorte di avere degli intrusi, ma magari potevano essersi infiltrati anche altri ragazzi di altre sezioni, o che, come loro, non c'entravano proprio niente con l'università; chi poteva dirlo con certezza dentro quella marmaglia così caotica e movimentata?
Sospirò d'un tratto, fermo a capo chino, guardando le sue scarpe nere, ingoiando amaramente le gomitate o le spinte che le persone affianco gli gettavano di tanto in tanto nel ballare come fossennati. Capitava, a lui, di avere questi momenti di depressione improvvisa; non sapeva gestirla, non capiva da dove nascesse anche se ne conosceva il perché, però non poteva impedirla, ma magari non ci aveva nemmeno mai provato. Ma magari, quella volta era dettato tutto dall'alcool, in fondo non era abituato a bere, la prima volta che si era ubriacato era stata al suo diciottesimo compleanno, se solo si ricordasse cosa fosse accaduto; ed era passato tanto da allora, forse qualche mese; visto che erano a Settembre anche più di 'qualche'. Si sfregò il capo con energia, cercando di infondersi un po' di lucidità in quel modo, ma forse servì a farlo di più il fatto che cascò con il fondoschiena a terra di botto, spinto da un ragazzo spinto a sua volta da un altro, formando così la reazione a catena del domino; forse litigavano. Strizzò gli occhi, aprendoli poco dopo e accorgendosi amaramente che tutti i ragazzi intorno avessero formato un cerchio e che li stavano osservando curiosi, mentre il DJ aveva abbassato il volume della musica, magari anche lui curioso. Ma la cosa che lo lasciò più spiazzato fu l'accorgersi che lui era finito a terra proprio al centro di quel fantomatico cerchio, con sul grembo il ragazzo che lo aveva fatto cadere, mentre l'artefice di quella caduta a domino era in piedi, che sbuffava prima di fare un mezzo ghigno, fiero dell'operato. Ora, lui, non sapeva se sgattaiolare via prima che a farlo sarebbero stati gli organizzatori stessi della festa, o se dare di matto visto che colui che gli era piombato sopra non era altro che il biondo Sanji, uno dei membri della sua combriccola, e, a far cadere quest'ultimo era stato ovviamente il 'geniale' Zoro, quella testa di alga, come amava chiamarlo il cuoco per la chioma verde smeraldo che aveva, e che infatti usò proprio tale termine mentre si issò in piedi, abbastanza irritato; sistemandosi la camicia bianca e la cravatta prima di fiondarsi contro il verde, inclinandosi con il busto, e con una giravolta lo colpì, tenendo ben alzata la gamba sinistra, ma che venne parata dalle mani robuste dell'altro, che indietreggiò di poco. Ovviamente, lo avevano bellamente ignorato; nemmeno a chiedergli scusa. La litigata che stavano intrattenendo era più importante, e lo pensavano anche gli altri visto come gli acclamavano, tifando o per l'uno o per l'altro. Beh, almeno nessuno si era accorto che non erano invitati, o forse poco gli importava visto il teatrino che stavano dilungando, o forse era merito anche dell'alcool: che gli elettrizzava per poco, e lasciava le cose di poco conto alle spalle.
Alzò gli occhi al cielo, rimirando un attimo il soffitto pieno di piccole stelle create grazie ai riflettori di luce; erano davvero belle in mezzo a quel buio, se solo si degnava di darci attenzione. Scrollò le spalle, decidendo di alzarsi, e così fece: con una piccola spinta dei palmi delle mani si tirò in piedi, sistemandosi meglio la camicia a maniche corte e aperta, che dava a vedere i suoi muscoli e i suoi bicipiti ben scolpiti, anche se non lo erano esageratamente: il giusto. Borbottò qualcosa contro quei cosiddetti "buoni" amici che si ritrovava, anche se alla fine erano più amici di suo fratello, lui ci passava giusto le giornate quando si annoiava: erano simpatici. E a pensarci, si rese conto che almeno, loro gli aveva ritrovati, o magari era il contrario; ora mancavano solo gli altri due; ovvero: suo fratello e il nasone, meglio conosciuto come Usop. Però, anche se aveva trovato il cuoco e lo spadaccino, non aveva voglia di rimproverarli o altro; la missione principale che lo aveva spinto a imbucarsi là dentro non era stata ancora compiuta, ed era giunto il momento ormai: mangiare a scrocco; sempre sperando che l'alcool ingerito non lo spingesse a rimettere tutto da un momento all'altro, soprattutto dopo quella brutta caduta che gli aveva scombussolato mente e stomaco, ma non abbastanza da ammutolire i gorgoglii di protesta di quest'ultimo che pretendeva cibo. Doveva solo trovare il buffet.
Andando a slalom tra quei ragazzi, venendo anche sballottato tal volta per colpa delle movenze a suono di musica molto ritmata finì per andare incontro a tre ragazzi, piombando a terra con loro, e comprese che per lui, quello, era il giorno delle cadute. Sbuffò stanco, mettendosi a cavalcioni per capire la situazione, sopra uno dei tre che scuoteva il capo per riprendersi. Si mise subito in piedi, nemmeno un soldato, e si chinò per chiedere scusa, anche se forse la voce si perse con la musica.
-Non preoccuparti.- affermò quello su cui era caduto, grassottello e dalla pelle scura, con i capelli ricci e neri mentre si rimetteva in piedi, inquadrando Ace, e nel vederlo meglio, quel sorriso scomparve; e il più giovane lo guardò allontanarsi, confuso, prima che la folla lo inghiottì.
-Ciao.-
Voltò il capo, guardando il ragazzo biondo davanti a lui che sorrideva, ma c'era troppo buio e casino per poter distinguere ogni particolare con attenzione, sempre se aveva la forza e la voglia di darci, effettivamente, attenzione; e d'istinto si chinò di nuovo, chiedendo scusa anche a lui e al ragazzo dalla stazza grossa accanto che si era appena rialzato, mentre il primo fece cenno che non era successo nulla di grave con la mano, l'altro rimase con uno sguardo indifferente. Nel rimettersi dritto temette che quello di prima avesse capito che non era stato invitato, e magari era andato a chiamare qualche body-guard; e il biondo lo stava trattenendo per non farlo fuggire; l'altro invece non sembrava dare cenni di vita, pareva più una statua immobile, un soldato in attesa di ordini.
-Non ti conosco, non sei della nostra stessa università.-
Peccato che quella affermazione si perse nella musica che cambiò di colpo in una più lenta e tranquilla, o forse era Ace che non voleva rispondere per non essere scoperto. Si dimenticò per un attimo del cibo, e scrutò con più attenzione quel ragazzo biondo che continuava a sorridergli gentile nonostante lo avesse buttato giù a terra come un birillo.
Passo dopo passo, sbadiglio dopo sbadiglio, coperto sempre dalla propria mano; e con la musica nelle orecchie riuscì a trovare la meta desiderata, e sorrise vittorioso, illuminandosi nel constatare quanti dolci fossero presenti; dai mignon alle crostate, dai muffin alle torte. E nello spostare lo sguardo notò che fosse presente perfino il reparto salati, con patatine, pizze, pop corn e molto altro. Ridacchiando festoso, proprio come si addiceva di essere ad una festa raccattò due o più piattini di plastica, mettendoci tutto quello che voleva e poteva entrare in quei piatti, e di entrambi i reparti di cibo; ignorando un gruppo di ragazze, che, nel guardarlo commentavano chissà cosa, forse disgustate, o divertite.
-Ehi, se continui così finirai per lasciare gli altri a bocca asciutta.- commentò una voce allegra e sconosciuta dietro di lui che lo fece irrigidire di scatto e voltarsi alla stessa velocità simultaneamente per poter inquadrare un ragazzo un po' più alto di lui e con una cresta marrone chiara con lo stile Pompadour in testa, con la barba nera e sottile di una forma abbastanza bizzarra che ricordava delle piccole corna, ed un pizzetto che usciva fuori; possedeva anche una cicatrice attorno all'occhio sinistro, forse di sei punti, o più. Era vestito con jeans e camicia, entrambe bianche, e, a tratti, dava ad Ace l'idea di essere un cuoco con quell'abbigliamento, e visto che non era una festa in maschera, optò per l'idea che lo fosse veramente.
-Mhmh mhm...- iniziò a dire, ma appena si accorse di avere la bocca piena e le guance gonfie per il cibo che teneva dentro, ingoiò tutto di colpo, rischiando anche di strozzarti, per poi parlare apertamente con quella persona, lasciando momentaneamente i piatti pieni sopra il ripiano del buffet. -Chiedo scusa, non era mia intenzione arrecare disturbo.-
-Ah, ma figurati. Mi fa piacere vedere come il mio cibo venga spazzato via con tanta enfasi, lo apprezzo molto: devi essere un buon gustaio.- ridacchiò lui, facendogli così capire che aveva avuto ragione sul fatto che fosse lui il cuoco. In fondo, l'alcool non aveva annebbiato troppo la sua testa.
-Grazie, in effetti è tutto davvero buonissimo.- confermò annuendo, scrutando quel ragazzo attentamente, perché sembrava troppo giovane e poteva rivelarsi essere uno della scuola; non voleva essere cacciato via dalla festa proprio quando aveva iniziato a mangiare tutte quelle leccornie, però, a pensarci bene non aveva l'aria di uno che da un momento all'altro lo avrebbe sbattuto fuori, sembrava più speranzoso che continuasse ad apprezzare il suo buon cibo, e non poté che accontentarlo, tornando a mangiare con un sorriso.
-Io sono Thatch, comunque. Non mi sembra di averti mai visto da queste parti, sei un nuovo imbucato?- nonostante lo avesse detto come la cosa più normale del mondo, Ace rischiò di strozzarsi nel sentire di essere stato scoperto.
-Beh... ecco, sì.- tossicchiò piano, afferrando il primo bicchiere di plastica e facendosi versare da quel ragazzo un buon sorso di birra che tracannò tutto d'un fiato. Però, a pensarci bene, non pensava che fosse un'abitudine per loro, che la gente si imbucasse alle loro feste, e non dicevano niente per lo più.
-Nome?- domandò, sempre affabile e gentile; passandogli poi un tovagliolo, indicandogli con l'altra mano le guance, di certo sporche di briciole.
-Ace.- rispose, con tono ovattato per colpa del pezzo di carta che si era portato alla bocca per pulirsi.
-Felice di aver fatto la tua conoscenza.- rise, porgendogli una mano che il moro strinse con piacere, sorridendogli prima che il nome di quel ragazzo venne chiamato ripetutamente da un piccolo gruppo di due persone più distanti, che alzarono le mani come a volersi far vedere. -Perdonami, mi devo assentare; così almeno ti lascio mangiare.- esclamò, salutandolo e allontanandosi.
Ricambiò quel cenno con la mano, voltandosi poi e tornando a rimirare i suoi cinque piattini, tutti pieni, e a cui rivolse particolare attenzione fino all'ultima briciola, prendendo nel mentre anche qualcos'altro; poi, pieno, se ne andò con un sorriso gaio, deciso adesso di cercare i suoi amici, se mai gli avesse trovati. Di certo l'impresa risultò più ardua del previsto, tanto che alla fine ne rinunciò; in fondo: era sazio, era un po' ubriaco, era sereno; non poteva che dirsi soddisfatto della serata. Adocchiò un tavolo vuoto, giusto con tre paia di bicchieri vuoti, così si sedette tra i divani comodi e confortevoli, dal tessuto bianco e leggero, e con due o tre cuscini. Sbadigliò, accorgendosi poi che insieme ai bicchieri ci fosse anche una bottiglia mezza piena; senza sapere che si trattasse di liquore, visto che ancora non conosceva bene i vari tipi di bevande alcoliche, se ne versò un sorso, approvando quel gusto così buono, leggermente amaro e che lasciava un pizzichio sulla lingua, ne perse un altro, e poi un altro; fino a ritrovarsi disteso e nel mondo dei sogni su quel divanetto.
-E lui chi è?-
-Ah boh, però ci ha finito il liquore.-
-Sì è finito l'intera bottiglia, wow. Non mi aspettavo che la matricola fosse un bevitore.-
-Non era piena. Lo conosci, Thatch?-
-Sì, si chiama Ace. E' simpatico.-
Troppe voci, troppe. Erano così rumorose e opache, così sbiadite e forti, e insieme alla musica non facevano un bell'accordo. Sbuffò, sentendo un piccolo conato venire fuori ma che rimandò giù, ignorandolo insieme alla saliva, senza nemmeno accorgersene; forse colpa dell'ubriachezza e della sonnolenza. Si mise seduto lentamente, issandosi sulle braccia e aprendo gli occhi, e tutto ciò come se pesasse una tonnellata; e si sentiva quasi schiacciare disteso verso il divano nonostante fosse ormai adagiato contro lo schienale.
-Ehi, tutto bene?-
-Io non penso, Thatch.-
-Non fare il pessimista, Vista.-
-Non sono pessimista: si vede che sta male, secondo me deve rimettere.-
La cosa più incredibile a cui Ace stava pensando, non era a come si sentisse, o a dove si trovava, o perché era lì, a che fine avessero fatto i suoi amici, a perché aveva bevuto visto che doveva guidare, o chi cavolo erano quelle persone. No, lui stava pensando a come fosse plausibile che riuscisse a sentire quello che dicevano con tutto quel baccano intorno, e con il mal di testa che aveva dentro insieme al subbuglio del suo stomaco. Ma forse era perché loro stavano praticamente urlando tra di loro per farsi sentire, e lo avevano circondato.
-Lo porti in bagno?-
-Perché?-
-Perché è chiaro che deve rimettere, Haruta.-
-Intendo, perché io?-
-Ci vado da solo... Aspetta, dov'è che devo andare?- domandò confuso il diretto interessato, ormai in piedi anche se barcollante, ma lo intuì da solo quando un secondo e più forte conato gli salì in gola, così iniziò a camminare in fretta nella direzione del bagno, ringraziando il fatto che c'era stato prima e che quindi sapeva dove si trovasse, anche se era complicato da raggiungere, intasato com'era in mezzo a quei ragazzi ammassati l'uno sull'altro tra mille balli, in mezzo alla pista.
Certo, attraversare la folla trattenendo il vomito con una mano piantata sulla bocca e l'altra che spingeva le persone per passare era abbastanza complicato, ma ad un tratto tutta quella marmaglia di persone si divisero in due, come se qualcuno gli avesse impartito quell'ordine, e magari era così; mettendosi in modo da costruire una strada in mezzo che permise ad Ace di correre verso l'agognata meta senza problemi, e piantarsi davanti al water a rimettere tutto quello che aveva mangiato e bevuto.
-Tranquillo, qui puliscono bene: puoi appoggiarti contro la tavoletta.-
Omettendo che lo avesse già fatto, si chiese chi fosse quella persona che era entrata poco dopo di lui, e che gli aveva parlato chiudendo la porta per poi raggiungerlo con calma fino alla cabina del bagno in cui si trovava, chinandosi poi al suo fianco e dandogli una pacca sulla schiena, senza però toglierla da lì. Poteva essere Stact, Sharc... Satch, Tacht, o come si chiamava lui; la testa faceva troppo male per ragionarci sopra adeguatamente, però la voce non sembrava la stessa, era seria rispetto a quella gentile del cuoco dalla capigliatura marrone.
-Allora Ace, hai modo di tornare a casa da solo? Te lo chiedo perché ormai la festa è terminata, infatti i 'comandanti' stanno mandando via tutti, piano piano.-
-S-sì... h-ho la macchina.- si mise dritto, staccandosi dalla tavoletta con le mani e volgendo il capo in direzione del ragazzo accanto per poterlo identificare, capendo che non fosse Satch, o come si pronunciava, gli domandò: -Chi sei?- che gli sembrò la cosa più ovvia da chiedere, anche se con quel casino che aveva in testa non sapeva se era in grado di ricordarselo il giorno dopo, o capirlo nel momento stesso mentre si rese conto che in quel bagno regnasse una calma davvero surreale in confronto al casino a cui era stato partecipe fino a poco fa; ma in fondo era anche perché non c'era nessuno in quel luogo, e la porta chiusa lasciava entrare i suoni ovattati e con meno enfasi; lì dentro poi era tutto illuminato da tutti i neon sul soffitto, e gli occhi di Ace ci misero un po' a riabituarsi dopo il buio che lo aveva circondato l'attimo prima. Ricordava vagamente di esserci entrato dopo essersi imbucato, giusto perché sperava di ritrovare i suoi amici dispersi; era incredibile anche il fatto che gli aveva persi quasi subito, ma dipendeva anche dal fatto che in quella festa c'era molta gente, più di quanto si immaginasse. In quel posto, pieno di piastrelle bianche, pareti del medesimo colore, e dove tutto era lucido e chiaro al contrario dello stesso ragazzo, riuscì a concepire e ad assimilare, un po' per volta, l'immagine del ragazzo che aveva davanti.
-Lascia stare.- disse lui con un mezzo sorriso, così familiare mentre gli passava un tovagliolo, che forse si era portato dietro per lui, sulle labbra per pulirlo; gli sembrava di averlo già visto prima, forse durante la festa...
-Sei in grado di guidare? No, non mi sembra proprio.- constatò piano e pacato, rispondendosi dalla solo dopo qualche secondo visto la mancata risposta da parte del moro, troppo assorto e distante per sentire o recepire qualcosa.
Quel ragazzo era vestito con una camicia bianca, aperta e che lasciava intravedeva il suo fisico scolpito, e forse era sporco, o altro, perché vedeva un qualcosa di blu sul petto, ma la vista era meno vivida del previsto; si concentrò allora sulla capigliatura corta, davvero simpatica perché gli ricordava quella di un'ananas, la faccia un po' allungata, con una spruzzata di barbetta su tutta la base del mento; e gli occhi grandi e dalla forma semi-ovale, così profondi; anche se teneva le palpebre semi-chiuse lo lasciarono assorto in essi per troppi minuti. Era... Era carino, o forse era l'alcool a parlare? Poteva essere anche colpa della vista annebbiata, c'erano tante variabili in gioco.
"Perché si faceva così vicino? Oh no, oh no... Era lui che si stava avvicinando alle labbra del biondo! Perché cavolo lo stava facendo? E perché quello non lo fermava? Cosa stava succedendo?", non poteva smettere di pensare in quel flagrante, e non capiva perché riuscisse a pensare, non immaginava che da ubriaco avrebbe anche solo potuto mettere insieme una frase compiuta. Che casino, le tempie iniziavano a pulsare più di prima; eppure tutto si fermò, tutto si ammutolì di colpo, anche le voci e la musica nell'altra stanza, già più silenziosa per via della porta che divideva la sala. Tutto si affievolì fino ad un muto nulla, vuoto, a contatto con quelle labbra. Erano calde, buone.
Sì staccò, sentendosi rosso in volto, o forse lo era sempre stato per colpa dell'aver bevuto, mentre lo guardava ancora in quegli occhi che però non riusciva a vedere bene, la sua vista era troppo sbiadita, ma stava iniziando a migliorarsi, o forse peggiorarsi; e poi, d'istinto un piccolo ma denso "Scusami." uscì dalle proprie labbra. Sentì un "Aspetta." dette da quelle labbra che aveva voluto possedere per pochi attimi, e poi delle braccia lo aiutarono a mettersi in piedi da solo, reggendolo mentre lo portava di nuovo in mezzo al casino, intanto che la musica tornava pian piano insieme alle voci dei ragazzi.
-Ace!- scattò una voce euforica che lo travolse, letteralmente; e si ritrovò di nuovo per terra, e con un peso sopra il suo grembo mentre il biondo si era salvato miracolosamente da quello scontro. -Finalmente ti ho trovato! Andiamo, torniamo a casa!-
-Ohi, Luffy... Non urlare.- borbottò Ace, davvero stremato e con un'altra fitta alle tempie che lo destabilizzò, quasi allontanandolo dalla realtà mentre la musica intorno gli fece la grazia di terminare definitivamente; si vedeva che la festa era davvero terminata.
-Non pensavo appartenessi già a qualcuno, scusa.-
Non lo sentì nemmeno mentre lo diceva, o forse sì; o forse era stato un fattore immaginario della sua mente; poteva anche aver detto altro, magari salutato, e invece la sua testa aveva assimilato e messo in piedi una cosa del genere che non si reggeva su nulla di reale e che nemmeno si ricordava più, colpa anche della voce di Luffy che gli impedì di comprendere appieno le parole del biondo che si allontanò di colpo, senza nemmeno dargli il tempo di salutarlo, fermarlo; perché gli occhi, nel non vedere più quella sagoma se ne dimenticarono completamente, dedicandosi solo alla figura del suo caro e prezioso Luffy; tutta colpa dell'alcool, forse.
-Avanti fratellone! Gli altri sono già in macchina! E Sanji vuole guidare: dice che ti ha visto bere troppo.-
Con tutta sincerità, Ace ormai non capiva più niente di quello che: accadeva, percepiva o gli veniva detto. Si limitò ad alzarsi barcollante, con il minore che gli teneva il polso, e si lasciò semplicemente portare al parcheggio, lasciare nei posti dietro accanto allo spadaccino che dormiva come suo solito, e ad Usop che sembrava stremato quasi quanto lui; e Luffy e Sanji davanti, con quest'ultimo che mise in moto, accompagnando tutti, se stesso, e poi lasciando il posto al moro dopo essersi assicurato che fosse in grado di guidare per qualche chilometro.
-Sì, non ti preoccupare. Ho dormito un po' nel tragitto, ci sono. Grazie.- salutò Ace, guardando il biondo entrare in casa con un po' di incertezza, ma poi si disse che il moro era forte e abile, non avrebbe perso una sfida così da principianti come guidare leggermente brillo.
Parcheggiò la macchina vicino casa, o come la chiama Luffy, 'catapecchia' per l'aspetto misero e un po' decadente; e sospirò, non sapendo nemmeno se fosse uno di sollievo perché Luffy si fosse finalmente zittito, o di rassegnazione per ciò che gli aspettava come ogni giorno. Guardò il fratellino, scrutò ogni suo particolare, a come la sua felicità svaniva nel nulla nell'arrivare in quel posto che gli apparteneva da otto anni, a come i suoi occhi si spegnevano di colpo, e la paura iniziava a prendere posto alla sua allegria. Mentre lui apparteneva a quel luogo da undici anni; resisteva, resistevano insieme.
-Andiamo.- sbottò Ace, e la sua voce uscì così iritata come mai, ma forse era colpa del mal di testa che lo aveva posseduto, e dallo stress che lo aveva colto nell'incrociare lo sguardo con quel portone, logorato dal tempo; un po' come lui, che portava i segni sulla pelle del tempo trascorso in quell'inferno.
-Ace... Grazie per la serata.- disse il più piccolo, di tre anni, quando giunse al suo fianco, stringendo un lembo della camicia del maggiore con fare protettivo.
-No, grazie a te per esistere.- sussurrò senza farsi sentire, consapevole di quelle parole; perché, era ovvio che se non ci fosse stato un fratello così prezioso nella sua vita, lui avrebbe smesso di vivere da molto.
-Ti prenderai la colpa anche oggi?- mugugnò quando arrivarono al portone, che sembrava quasi guardarli penosi. Magari andarsene da lì non sarebbe stata una cattiva idea, sembrava dire; come se non sapesse il motivo per cui Ace aveva deciso di restare, e infatti non lo sapeva, come poteva: era una porta. L'alcool lo aveva davvero rimbambito, non c'era altro da dire.
-E' sempre mia... E poi, l'idea di andare è stata mia, quindi... Stai dietro di me, e poi corri in camera.- esordì Ace, inserendo la chiave, girandola un paio di volte fino a sentir scattare la serratura, e poi tirare verso il basso la maniglia; il tutto con una lentezza angosciante, come se sperasse che, nel fare meno rumore non lo avrebbe sentito e la punizione sarebbe saltata per una sera; con il fratello che annuì eseguendo ogni passo di quel piccolo piano, lasciando poi il maggiore in balia della figura che gli si parò d'inanzi furiosa appena la porta fu semi-aperta e loro ebbero varcato la soglia; oltraggiata di essere stata presa per i fondelli da due marmocchi.
Ace trattenne il fiato, all'interno dell'oscurità di quel corridoio lungo e stretto dove alla sua destra si trovavano le scale per i piani superiori su cui Luffy si era diretto, e dove, davanti a lui, si intravedeva solo la luce lievemente azzurra, proiettata sul lungo e logoro divano, dalla televisione antica che suo 'padre' stava guardando prima del loro arrivo. E strinse i denti per trattenere un gemito quando venne scaraventato contro il muro dopo aver chiuso la porta, come se quello fosse stato il segnale di inizio; e buttò fuori tutto il fiato appena sentì Luffy salire le scale e chiudere la porta, in fretta. Di sicuro si sentiva in colpa il minore, forse anche un debole per non poterlo aiutare, ma non gli è lo avrebbe mai permesso, ripetendogli all'infinito che era forte, fortissimo; ed era vero. Ma nessuno avrebbe toccato il suo fratellino, e di certo poco gli importava se Luffy desiderava essere partecipe per proteggerlo, ma non sarebbe servito a nulla farsi picchiare entrambi. E poi, era lui il fratello maggiore, lui lo avrebbe difeso, e lui non avrebbe permesso a nessuno di colpire Luffy, mai. Finché avrebbe avuto fiato in corpo, lo avrebbe difeso da tutto e da tutti. Sapeva che suo 'padre' gli aveva ordinato di rimanere a casa, però, a ripensarci disobbedire non era stato mai così bello come ora; era felice di esserci andato, perché aveva fatto qualcosa che sentiva essere meraviglioso, anche se non si ricordava più cosa.
Crollò a terra sotto il peso di quei calci e di qui pugni così densi e rigidi dopo aver gattonato fino in soggiorno, ignorando le parole di quell'essere davanti a lui, e guardando la lieve chiazza rossa di sangue che aveva sputato dalla bocca, mischiata con un po' di saliva. Mugugnando si rannicchiò a terra, e con la propria schiena si mise contro quella del divano; cercando di coprire i punti più vitali con gli arti a suo possesso iniziò a focalizzare, nella vista, delle macchie che si propagavano, vagando per la stanza, quando socchiuse le palpebre, magari colpa dell'alcool, o delle botte. E alla fine, cosa che lo sorprese più che mai, fu che quelle macchie divennero una sagoma, la sagoma di quel ragazzo biondo, quello che aveva baciato e si era lasciato baciare, quello senza nome di cui si era dimenticato senza nemmeno sapere come. Era lì, a braccia distese che sembrava volerlo proteggere mentre gli dava le spalle; dividendo il suo corpo agonizzante da quello furioso e cupo di suo 'padre', in piedi davanti a lui. Sospirò a fatica, cercando poi di accumulare più aria possibile, con il fiatone mentre i pensieri volavano al tocco sulla spalla, al sapore di quel bacio, a quegli occhi, e a quel calore e a quel sorriso. Era così bello lui, così carino; non voleva dimenticarsi più di quel ragazzo, e lo pensò mentre le sue palpebre iniziavano a cedere, pronti a chiudersi per la stanchezza. Un pensiero nacque spontaneo in quel fragrante, pensò che, se l'alcool gli faceva ricordare queste belle emozioni, tanto valeva bere, e continuare.
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