Abbracci d'addio.
Ace sogghignò, portandosi più vicino il minore dopo aver avvolto un braccio attorno alle sue spalle, dandogli un paio di pacche e sorridendo felice per poi portare ad adagiare il mento sulla sua chioma, annusando il suo sapore perché, lui, era vivo. E stava bene! Sperava solo che Akainu non gli avesse fatto niente in quei giorni, ma, da ciò che aveva capito, il suo fratellino non aveva lasciato l'ospedale da quanto gli era toccato tornarci per portarlo, e questo lo rincuorava: figurati se Akainu sarebbe venuto a controllare se erano vivi. Però, restando in quella posizione confortevole e che non sembrava dispiacere al minore, che ridacchiava annusando l'aria e muovendo a tempo, a destra e a sinistra, i piedi dentro i suoi soliti sandali, si fece cupo: temeva che chiedere sarebbe stato troppo, ma non riusciva ad aspettare oltre; doveva sapere:
-Ascolta fratellino, io... Davvero, non ricordo... Forse per te non sarà facile, ma vorrei sapere cosa mi è successo la sera che siamo tornati a casa...- sussurrò per poi staccarsi per guardarlo, e vide il suo sorriso spegnersi di botto, e chinarsi a terra con lo sguardo, ed Ace ebbe l'impulso di cambiare discorso, dandosi dell'idiota per quello che aveva appena fatto, ma lui cominciò a parlare:
-Niente di nuovo, ecco... Solo che, Akainu sembrava aspettare gente: era sul divano e guardava la porta. Ci ha visto e ci siamo allontanati in fretta per andare a dormire; stavamo per salire le scale ma poi è entrato uno con una sciarpa, tutto coperto; la voce era seria, ma non ricordo altro... Solo... Akainu aveva un'arma. Non l'ho vista bene perché era buio, come sempre, ma appena si è alzato per raggiungere il tizio, ti ha colpito con quella alla testa. Stava per attaccare anche me, però tu ti sei rialzato e hai fatto da scudo. Quel tipo strambo invece era fermo e ci guardava... Sei stato colpito così tante volte...- piagnucolò, tirando su il naso mentre poteva ancora vedere ogni cosa come se fosse davanti ai suoi occhi proprio in quel momento, e lui invece, come un codardo, fermo con le spalle al muro di quella ignobile casa. -E quando non ti sei rialzato più se n'è andato via con l'insciarpato. Non so dove e non mi interessa. Però, ecco... Ho visto tutto quel sangue e... Ti chiedo scusa, Ace! Non ho fatto niente per aiutarti!- urlò, pieno di rimorsi per poi cadere nell'abbraccio che gli offrì il maggiore, adagiando la testa contro il suo petto e stringendolo forte con le mani attorno alla schiena, le stesse che avevano cambiato colore quella sera nell'avvicinarsi al corpo del fratello, quasi defunto; tingendosi di rosso e macchiandolo ovunque, come a dare prova della sua vigliaccheria.
-Ehi, no, non è vero. E poi, sono stato io a dirti di non intervenire prima di entrare, no?- asserì pacato, ancora incredulo dal racconto forte e tenebroso, accarezzando poi la spina dorsale del minore che continuava a singhiozzare e pregare in silenzio che quello non fosse un sogno e che Ace fosse davvero sveglio. Restò a guardare il fratellino con occhi attenti e il respiro lento di chi ancora faticava a mettere insieme i pezzi di un puzzle confuso e rotto, maciullato insieme al suo animo nel sentire cotanto dolore in quel resoconto. Gli erano venuti i brividi nel sapere quello che a Luffy era toccato vedere, per colpa sua; eppure, non ricordava. Sentiva che era vero, che l'aveva provato sulla pelle quello scenario, ma niente, solo vaghi flash di ombre veloci e tanto rumore, e tante risate macabre mischiate a una voce che chiamava il suo nome e gli scongiurava di non morire, perché gli è lo aveva promesso. E, osservando davanti a sé il cielo blu che cercava di migliorare il loro animo; esaminandolo e cercando di capire se quello che era entrato in casa era davvero il "capo" a cui portava i soldi, mentre iniziò, con poco fiato in gola, a consolare il minore, a tenerlo stretto, andò dentro la propria testa per cercare un perché a tutto quello: aveva sbagliato qualcosa? Non aveva portato la giusta somma di denaro o di droga? O erano soltanto pazzi che ci godevano nel torturarlo in ogni modo? Di certo, Akainu, sì. Almeno adesso sapeva di chi era quella macchina, così appostata in disparte, di quella notte; l'unica cosa tangibile che riusciva a sentire nella mente prima del vuoto del caos.
-S-sono solo un debole...- continuò lui, stringendosi di più a quel calore familiare e ristoratore, che lasciava un senso di sonnolenza pacifica e forte speranza.
-No, questo non me lo devi dire. Hai capito? Guardami.- gli alzò il mento, fissandolo deciso. -Facciamo così: la prossima volta che vediamo Akainu, gli dai un bel pugno, eh? Magari anche più di uno. Sono sicuro che lo vuoi picchiare, anzi, è praticamente ovvio. Ti sentirai meglio, e così capirai che non sei un codardo, né un debole. Perché sei il mio fratellino, e so che sei il più forte: sei imbattibile.- ghignò, e in quel momento, con quelle parole, decise di ignorare per un po' quell'altra promessa fatta, perché Luffy ne aveva più bisogno: aveva bisogno di lui. E non contava nient'altro.
-Davvero? Certo! Gli farò vedere io! E poi sarà lui a finire all'ospedale!- scattò impavido, annuendo con convinzione e alzandosi in piedi, scrutando l'orizzonte come un eroe, e gonfiando anche il petto prima di ridere.
-Ecco, così ti voglio.- gioì Ace, che restò seduto a gambe incrociate, e il minore annuì, continuando a sghignazzare e a stringere i pugni, fremendo dalla voglia di punire quell'essere così abominevole e crudele. Se lo meritava, si dissero nel pensiero, entrambi, anche se con diverse intonazioni: Luffy più vendicativo, ed Ace un po' più arrendevole.
-Comunque, ascolta Ace. In questi giorni mi sono fatto prestare il telefono da Zoro e ho chiamato Sabo; pensavo che avesse il diritto di sapere in che condizioni ti trovavi... E poi avevo bisogno di sentirlo. Mi ha aiutato molto, e forse, dovresti chiamarlo per dirgli che stai bene. Ma se non vuoi lo faccio io.- e sorrise con piacere prima di aggiungere. -Oh, Marco e gli altri ti cercavano; non ho detto a nessuno dov'eri, però credo sia meglio ritornare in stanza. Sarebbero capaci di avvertire le autorità della tua scomparsa se servisse a trovarti.- e rise vivace, ed Ace lo adorava proprio così, anche se la notizia sull'altro fratello lo aveva lasciato scosso e vivamente inquieto.
-Va bene, tu vai avanti. Digli che arrivo se proprio chiedono.- mormorò con un ghigno, guardandolo fare un cenno affermativo per poi correre via, urlando di avere fame.
Ace scuoté il capo: era incorreggibile, ma adorava troppo suo fratello. E nessuno avrebbe mai dovuto osare spezzargli quella voglia di vivere che lo caratterizzava; anche se, questa volta, era stata solo colpa sua... Sospirò amaro prima di sorridere: Luffy era la cosa più bella e preziosa che potesse mai avere e che gli potesse mai capitare: doveva proteggerlo. Ma si fece serio, volgendo lo sguardo in avanti a rimirare il confine fra cielo e terra, così distante in quel momento dal luogo in cui era appostato, che era quasi davvero una linea sottile, con i palazzi e le strade piene di gente e macchine sotto che davano tanto rumore; e i batufoli di nuvole bianche e la sfera infuocata che era il sole, sopra. Quel sole che brillava così intensamente da bruciare gli occhi, e così caldo; il tutto a ricordargli la forza e la volontà di vivere libero che aveva proprio lui: Sabo... Quanto tempo era che non lo vedeva? Tre anni? Chissà quanto era cresciuto...
E pensare che, se si concentrava; addirittura se chiudeva gli occhi, poteva ancora, oltre a rivedere il suo volto, rivivere anche ogni minuto del loro addio...
Ace osservò il fratello con cui si dividevano tre mesi di differenza, anche se non condividevano lo stesso sangue, guardarlo furioso e stanco, quasi pronto a esplodere per quanta fosse la rabbia che aveva in corpo, e per come gli ruggisse contro.
-Smettila Ace! Finiscila! Non tollero più tutto questo!- urlò il biondo, anche se sperava di portarsi via tutto quello a cui teneva con il gesto che stava per compiere quella notte stessa.
-E quindi?- chiese, con quegli occhi vuoti, quasi da far cadere in un abisso senza fine, e così freddi da costringerti a sfregarti le braccia per riscaldarti anche se non eri ancora caduto dentro quelle pupille così distanti e morte; consapevoli della risposta che avrebbe cambiato ogni cosa, se non tutto.
-Me ne vado!- asserì irremovibile, nel buio di quel corridoio e, con alle spalle del biondo la porta mentre, dietro di Ace vi erano le scale, quelle che ogni volta percorreva strisciando, portato con forza e disperazione da Sabo, di nuovo verso la propria camera, ascoltando il suo dolore e quello del fratello, e cercando di capire come fare per prenderselo, per lasciarlo felice, mentre Luffy attendeva vigile nella sua stanza.
-Va bene.- annuì, consapevole della sua voglia di libertà. Ma non era solo quello, non c'è la faceva più a vivere in un tormento del genere: era un incubo, e lui voleva svegliarsi finalmente.
-Va bene? Va bene, va bene, va bene...- lo scimmiottò, prima di sospirare nervoso e con una smorfia sulle labbra. -Solo questo sai dire?- scattò, avanzando intimidatorio e con un pugno alzato, ma non lo colpì, non poteva. Un conto era allenarsi, l'altro la rabbia. -Senti, io me ne vado, ma mi porto via anche Luffy.-
-Sì, capisco.- sussurrò cupo, e, per un attimo aveva avuto, e tutt'ora l'aveva, l'esigenza di riceverlo quel pugno. Se lo meritava.
-Perfetto.- esclamò piano, anche se lievemente infastidito, cercando di non adirarsi ancora per quella risposta così vuota e da marionetta che non sapeva neanche imporsi contro qualcuno; contento però per quel traguardo ma senza dimostrarlo apertamente: non poteva godere di una cosa così davanti ad Ace, sapendo che da ora in poi sarebbe rimasto completamente solo. Se ne rammaricava, tanto; ma lui non voleva venire con loro, non sembrava volere la libertà che si promettevano da bambini... Sembrava morto. E non poteva discutere con un defunto, anche se respirava e ascoltava.
Non dissero più niente, solo sguardi in quel funebre luogo spregevole, pieno di inganni e tristezza; e si incamminarono nel silenzio oscuro e freddo di quella casa insieme, per l'ultima volta; salendo le scale dove, sempre, era stato costretto a trascinarci il fratello più grande, guardando scorrere il suo sangue su quei gradini e temendo sempre di essere arrivato tardi finché non scopriva, distendendolo nel suo letto, che gemeva e il cuore batteva; e a quel punto, con Luffy che decideva di dormire avvinghiato al maggiore dopo che lo ebbero medicato, lui sospirava e piangeva, liberandosi di tutta quella preoccupazione, ma non del dolore che lo tormentava. Arrivarono davanti alla stanza dove, il loro fratellino di tredici anni dormiva tranquillo, senza sapere la drastica decisione appena presa da Sabo, che si sentiva però, più libero di chiunque altro in quel momento, perché poteva andarsene da quell'antro di malvagità che lo stava, man mano spegnendo; e purtroppo, non era riuscito a rendersi conto che era la stessa cosa che stava accadendo ad Ace, ma, ormai, quella scintilla di fiamme era ormai un dolce e amaro ricordo; spenta da chissà quanti anni dalla crudeltà delle persone, e, il colpo di grazia, di Akainu.
-Ehi, Luffy.- si avvicinarono dopo aver varcato la soglia, e il biondo si chinò, accarezzandogli un fianco, scoperto per via che il lenzuolo con cui si copriva era finito a terra per i suoi continui movimenti: non stava mai fermo nemmeno di notte; e aspettando che aprisse i suoi occhi al mondo nero e lercio di quella camera.
-Mhm? Che succede?- mormorò dopo aver sbadigliato, mettendosi un po' più su, ma ancora con il petto contro il materasso mentre si strizzava un occhio, assonato.
-C'è ne andiamo per sempre.- sorrise Sabo, e maggiormente nel vedere la luminosità di Luffy che lo abbracciò di scatto.
-Che bello!- urlò estasiato, quasi mettendosi a piangere per la commozione e la forte amozione che sentiva dentro, quasi da poter esplodere dentro, perché, anche lui, adesso, poteva percepire il sapore della libertà, chiaro e forte dentro gli occhi e nel cuore.
-Già.- mormorò il biondo, accarezzandogli la schiena, prima di rimproverarlo, intimorendogli dolcemente di non urlare.
Si staccarono, sempre e solo con un grande sorriso sulle labbra, e lo stesso valeva per Ace, anche se, più distante, non sembrava essersene accorto nessuno. Ma era felice, perché ora loro sarebbero stati al sicuro, e lui avrebbe potuto cessare di vivere. Tutto bene, no?, rifletté, anche se con un lieve rammarico di non poter più mantenere la promessa fatta al suo adorato fratellino.
-Andiamo!- scattò giù, senza prendere niente se non il cappello, e poi, tenendo per mano Sabo, lo condusse giù di botto alla fine delle scale. Senza valigie, senza nessun'oggetto da portar via, perché, in quella casa ormai c'era la parola fine, e lui adesso aveva un nuovo inizio: avrebbero ricominciato. Lo avrebbero fatto tutti e tre! Finalmente Liberi!
Eppure qualcosa lo spinse a fermarsi, lasciando la presa sull'arto di Sabo che era, ormai, giunto sulla porta ringraziando ogni santo per non aver destato il sonno di Akainu, ma forse, nemmeno c'era quella sera, si disse, con troppa felicità che sembrava che niente potesse farla svanire vista la vita che li attendeva. Andava tutto a suo favore, pensò... o quasi, si ricredette nel voltarsi verso il minore che lo guardava spaesato, come se avesse capito solo ora ogni cosa e gli sembrava una grande pazzia.
-Non vuoi fuggire?- sussurrò confuso. -La libertà ci aspetta.- sorrise poi, volendo ostinatamente scoprirla. Era stanco di quella gabbia invisibile ma ben tangibile al suo cuore.
-Ma... Ace?- e Luffy si voltò con rammarico, scrutando il maggiore che li guardava dalla cima delle scale, in attesa di vederli scomparire. Aveva uno sguardo così assorto, non sembrava essere deluso o triste di quella decisione, ma, quelle pupille, a Luffy, davano un senso di nostalgia, un senso sconosciuto ma sbagliato che gli attanagliava il cuore, come se, girandosi e voltandogli le spalle, non lo avrebbe più rivisto, mai più. Sentiva che, abbandonarlo, lo avrebbe ucciso, e non poteva sapere che non solo in senso figurale.
-Ace ha fatto la sua scelta, noi la nostra.- spiegò severo ma non verso il minore, verso la persona che ancora aspettava che andassero via. Quanto avrebbe voluto sapere il vero motivo per il quale era cambiato tanto, però, non gli è lo avrebbe mai detto, e forse, anche lui stava sbagliando qualcosa in quel momento, in cui, la voglia di vivere era così tanta da spegnere ogni altro sentimento, lealtà e fratellanza compresa.
-Lo abbandoniamo così? Ma...- mormorò il più piccolo, sempre più confuso e più in colpa di aver dato la precedenza a qualcosa di così futile e importante al tempo stesso, da dimenticarsi di suo fratello maggiore. -No, io non lo lascio solo!- esclamò deciso, correndo a salire le scale fino a tenerlo stretto in un forte abbraccio, senza dar conto, nella sua mente, che ad Ace, queste cose non piacessero, ma lo lasciò fare; lasciò che lo avvolgesse e lo stringesse con quelle braccia mentre rimase rigido e irremovibile.
-Luffy...- mormorò il lentigginoso, sentitamente colpito da quel gesto. Sentì l'impulso di cacciarlo via, di spingerlo indietro e rimandarlo tra le braccia, più sicure, di Sabo, ma non lo fece, non ci riuscì. Non gli sembrò né giusto, né opportuno farlo, perché, oltre che la decisione appartenesse a Luffy, capiva di non potercela fare da solo.
E poi lo vide staccarsi, guardarlo pieno di determinazione come mai e abbandonarlo, scendendo di fretta le scale per raggiungere la porta e Sabo che la teneva aperta, e che sembrò rinsavire, fremendo di gioia nel vederlo di nuovo tornare. Sapeva che non era una sfida, non era: chi preferisci Luffy? Me, o Ace?; e infatti lo sapeva, perché in quel momento era tutto: Libertà, o schiavitù?; Ma Luffy sembrava averla presa più come: Vivere, o tradire?, e sapeva già bene chi vinceva. Quindi non si stupì di riaverlo tra le sue braccia in un muto e triste abbraccio da addio.
-So che per te va bene così Sabo, ma capisci, se andiamo insieme, noi staremo bene... Tu starai bene, ma lui no.- esclamò, ommettendo che non lo sarebbe stato nemmeno lui stesso nel sapere di aver rotto la lealtà che Ace riponeva in lui, con qualcosa che poteva benissimo aspettare, cioè la libertà: non scappava mica, si disse divertito; per Sabo andava bene così, ed era okay: l'importante era essere fratelli in qualsiasi luogo sarebbero stati e in qualsiasi cosa sarebbe loro successa anche se divisi. -Ma ti raggiungeremo. Aspettaci però, perché, conoscendo Ace, ci vorrà un po'.- e ridacchiò, sotto lo sguardo del maggiore dietro di lui che ancora non si era mosso, attendeva l'esito di quella battaglia in silenzio, curioso se sarebbe dovuto morire o meno.
-Già, è molto testardo. Prenditene cura, promesso?-
Lo vide annuire, con decisione e orgoglio, ma Sabo sapeva meglio di chiunque altro che sarebbe stato sempre più il contrario, e così, guardando Luffy tornare a stringere e a tranquillizzare Ace con un gesto così denso come era avvolgere le braccia attorno al suo busto; lo vide con una scintilla di qualcosa che non seppe ben riconoscere negli occhi, con Luffy sorridente a tenerlo in quel gesto che diceva quanto amore c'era nel suo cuore e che sempre avrebbe riservato per i suoi fratelli; e scomparì oltre l'uscio principale più soddisfatto di sapere comunque che, entrambi, fossero in buone mani, tenendo però ben in mente solo una cosa: non sarebbe più tornato indietro. E sorrise.
Ovviamente, Ace non aveva mai potuto capire e sentire cosa si fossero detti quella sera, e se lo continuava a chiedere mentre, rimpiangeva di non aver potuto dire a Sabo, almeno una volta, quella volta: ti voglio bene, fratello!
E purtroppo, da allora non si erano più sentiti; certo, Luffy ci parlava perché Zoro possedeva il suo numero, e, da quello che gli diceva, stava bene. Sorrise, stava bene! Ed era libero! Però... Ace continuava a rimanere in disparte, non se la sentiva di parlargli. Ci aveva provato anche, una volta... Lo ricordava vividamente... Era una mattina, Zoro si era perso al Baratie ma aveva lasciato katana e telefono accanto ai boccali dove era seduto; ne aveva approfittato: si era appropriato di quell'oggetto, rifugiandosi in bagno e dandosi dell'idiota per non aver avuto il coraggio di farlo prima. Aveva composto il numero, grazie anche al fatto che fosse salvato con il nome proprio del fratello, e mise anche un prefisso che sapeva per non far apparire, al destinatario, il nome del mittente; e aveva avviato la chiamata, portandosi il cellulare all'orecchio.
-Pronto?-
Solo questo era riuscito a udire, perché poi era rimasto in silenzio; la bocca spalancata e boccheggiante di chi non riusciva nemmeno a produrre una sillaba. E se ne vergognava tanto; perché avrebbe voluto chiedergli tante cose, troppe; e di tutti i tipi, anche le più stupide come "Hai mangiato?" "Dormi bene?" Hai una vita, e sei felice?"
Ma rimase fermo nel vuoto, immobile e bloccato nella statua che era il suo corpo, e poi udì il tipico suono del riaggancio; triste e non voluto. Forse aveva persino capito che era lui...
Aveva imprecato, e per poco non aveva lanciato il telefono dalla finestra del bagno, tra l'altro anche aperta: l'aveva preso per un segno del destino; ma non gli apparteneva quel cellulare, e non poteva farsi scoprire così da Zoro, a chiamare di nascosto e rubare le cose degli altri. Si era controllato, ed era tornato prima dello spadaccino; che, tra l'altro, sembrò essersi perso nei meandri dell'inferno, o del paradiso, visto che non tornò se non verso le undici di sera; ovviamente deriso da Sanji, e così nacque la solita guerra. Sospirò, sfregandosi la chioma nera con forza e dispiacere: perché era così... così... Così idiota a volte?
-Dovresti riposare, e non stare qui al freddo.-
Udì distintamente la voce calda di qualcuno dietro di lui, e, per un attimo, la collegò a Sabo; ma poi si diede dell'idiota: non poteva essere lì. Così, pensando fosse un altro scherzo della sua mente, negando con il capo, si chiuse a guscio, portandosi vicino le gambe e avvolgendole con le braccia mentre ci si nascose il volto prima di irrigidirsi, trasalendo di scatto. Eppure... quello che sentiva avere sulle spalle era un indumento, messo a mo' di coperta per riscaldarlo. Ma non aveva voglia di voltarsi: possedeva delle illusioni tali che poteva essersi sognato anche quello.
-Ti piace questo posto?-
Oh, e no! E ora basta con queste visioni!: ma che si fumava per averle? O che gli avevano dato i medici, per averle? Si voltò di scatto e imbronciato come pronto a mandare a quel paese chiunque si fosse immaginato in quel momento, ma si bloccò nel riconoscere quella figura... Non poteva essere vero... No, e dai! Anche lì doveva essere quello?, pensò.
-Che vuoi?- scattò con una smorfia, pensava di averlo mollato con gli altri. Beh, in effetti, Luffy gli aveva detto che lo stavano cercando tutti; ma proprio lui doveva venire lì adesso?
-Ero preoccupato, Ace. Beh, forse in confronto al dottor Chopper è nulla... Pensa, ha voluto fare una ricerca di massa per tutto l'istituto.-
-Chi se ne frega, Marco. Lasciami in pace, davvero.-
-E perché ti ho preso per mano che te ne sei andato?-
-Sei tu quello che se n'è andato se non ricordo male... Pensavo non tornassi più.- brontolò all'ultimo, un po' dispiaciuto per quello, e anche di tenere un tono così acerbo con lui, ma non ne poteva fare a meno; ma allora, perché Marco lo aveva coperto con la sua camicia, preferendo soffrire il freddo invece che farlo sentire a lui?
-Avevo bisogno di un po' di tempo per pensare... Credo di aver capito un po' chi potrebbe essere il tuo carceriere.-
-Eh?- scattò e, avanzando e dandosi la spinta con le gambe, d'istinto lo atterrò, mettendosi a cavalcioni sopra di lui e tenendolo per le spalle mentre lo vide fissarlo sorpreso e confuso per brevi attimi. -Che diamine vuoi da me!-
-Che tu stia bene.- espose in tutta calma, e, di nuovo, con uno sguardo pacato sul volto.
Ace restò muto, trattenendo il fiato ed esaminandolo attentamente e con occhi sgranati. Cosa?, rifletté prima di riprendersi.
-E allora pensa alla tua vita! La mia va benissimo così!- si staccò, gettando a terra quella camicia con sdegno anche se la fitta al cuore che ebbe lo costrinse a pentirsene per un'istante, sia per l'indumento che per come aveva trattato il ragazzo; prima di allontanarsi per tornare nella sua camera, il più in fretta possibile. Maledetto!, pensò. Già aveva i suoi problemi, e ora se ne usciva lui! Che cavolo voleva? Perché ora se n'era uscito con: "Credo di aver capito..." Bla, bla, bla! Ma poi, quale carceriere?, rifletté prima di scottarsi al pensiero, e cambiarlo subito: non lo voleva ammette, ma non era poi così falso chiamare così Akainu... Ma perché non si faceva i fatti suoi!
-Ace! Ace, fermati.- cercò di raggiungerlo, ma, nel chiamarlo e chiarire le sue intenzioni, il moro aumentò il passo fino a correre per le scale, nonostante fosse costretto a zoppicare visto il polpaccio fasciato e dolente; deviando ogni persona o dottore, e deciso ad andarsene via. Non ci voleva più rimanere lì, troppi ricordi, troppe angosce... Troppo tutto! Non c'è la faceva più e non c'è l'avrebbe mai fatta! Ma basta! Doveva andarsene!
-Ace!- venne raggiunto e bloccato, e si maledisse di essere così debole in quel momento. -Va tutto bene...- cercò di rassicurarlo, in quel corridoio dove, i pazienti gli osservarono curiosi, almeno quelli fuori dalle loro stanze.
-No!- protestò, divincolandosi e cercando di assestargli una gomitata mentre risentì il sapore di un groppo in gola e gli occhi pizzicare. -Non va tutto bene! Per niente!- imprecò, strizzando le palpebre e mordendosi le labbra per non piangere, e per non parlare più: aveva già far trapelato troppo.
-Lo so. Ma lascia che ti aiuti.- supplicò serio, avvolgendo meglio le braccia attorno al suo busto per non fargli allentare la presa, sentendo come tremasse dentro.
-Scordatelo!- fremette prima di gemere l'istante dopo, con una scossa che gli avvolse la tempia che lo fece desistere e costringere a respirare piano, così si costrinse a calmarsi pur di non sentire altro dolore alla testa. -Mettimi giù...- chiese in un sussurro, guardando a terra, e Marco esaudì a quelle parole, limitandosi a fargli adagiare i piedi scalzi sul pavimento gelido, senza però staccarsi da quella specie di abbraccio.
-Ace...-
Quanto poteva amare il suo nome se era lui a pronunciarlo?, si chiese, pur di non pensare ad altro; ma quello continuò a parlare.
-Tu non stai bene, e io non tollero di vederti così. Vieni con me?-
Soffiò piano dalle narici, sempre di più fino a spegnersi. Decise di non rifletterci proprio per niente, sapeva già cosa dire... Ma tutto quello... Non lo accettava! Non ci riusciva. Perché gli è lo rinfacciava che stava male? Lo capiva benissimo da solo!
Ed era così difficile ammettere che era senza libertà... Uno schiavo con catene invisibili... Eppure, tutte le avevano notate, quelle catene...
-No.-
Figurarsi se poteva accettarla dopo anni che l'aveva ripudiata, la libertà... E poi... non la meritava. Forse Luffy... ma come convincerlo ad andare senza di lui? Aveva preferito lui a Sabo: scelta più sbagliata del mondo, fratellino, davvero. Sarebbe stato tutto così diverso se, quella notte, Luffy non si sarebbe voltato indietro, e forse, le cose sarebbero stato più tragiche, con lui morto e i fratelli con i sensi di colpa a ucciderli e a impedirgli di vivere quella libertà che meritavano; o in meglio, con lui che moriva e i fratelli felici di non avere più quel peso... Non avrebbe nemmeno conosciuto Marco e Thatch, o Nami... Se solo Luffy non si fosse voltato indietro.
-Perché?- si limitò a chiedere, Marco, dopo un sospiro di rassegnazione. Ma non voleva demordere, in un modo o nell'altro, lo avrebbe aiutato.
Ace, invece di rispondere, si limitò a districarsi da quelle mani fino a dividersi da esse, e, voltandosi senza volere, costretto più dalla spinta fatta per lasciarlo, lo guardò con un misto di odio e rimorso per quell'ultima domanda prima di girarsi ancora e correre, correre, correre e correre. Sperava solo di non incontrare nessuno, e invece, fortuna volle che, girando alla prima curva, quasi andò contro a Nami e Robin che discutevano, forse su di lui visto che era 'ricercato', con un vecchietto, paziente dell'ospedale.
-Ma... Ace!- fece sorpresa, come anche Robin; la ragazza dai capelli arancioni, che lo fissò delusa nel capire che stesse fuggendo.
Non si fermò, era di poco conto. E poi, non gli interessava parlare con nessuno in quel momento: scappare, fare questo e basta, punto. Era deciso solo in quello.
Maledizione, maledizione e maledizione! Quella corsa era servita solo a peggiorare le sue, già pessime, condizioni. Però, non sapeva come, era riuscito a raggiungere "casa". Quasi crollò disteso sul marciapiede, ma resistette, con le gambe piegate e tremolanti, e le mani adagiate sulle ginocchia come a reggersi, aggrapparsi a qualcosa che, però, faticavano più di loro a resistere. Con l'affanno e le palpebre che si socchiudevano, avanzò con i piedi gelidi e sporchi, fremente e zoppicante mentre, udiva un gemito uscire dalla sua bocca ogni qualvolta, il suo polpaccio dolente, sentiva l'impatto del tallone sul cemento duro di quel rialzamento della strada.
Riuscì comunque a trascinarsi fino alla porta, che aprì con disinteresse, e poi la chiuse a chiavi, scivolando a terra e decidendo che nessuno, nemmeno Luffy, sarebbe più dovuto entrarci. Solo Akainu, per punirlo. Perché se lo meritava, se lo meritava... se lo meritava!
... Affannò, con le lacrime che bagnavano le sue pupille, e alzò lo sguardo al soffitto sporco e nero... Se lo meritava?, si chiese piano, con la voce tremante che sospirava per riprendersi, e che, Ace udiva essere così rotta e spezzata, pronta a sfinire in un pianto senza fine. Ma si trattenne, ascoltando il suo cuore pulsare e fare male, muoversi a scatti e, ad ognuno, lanciare una scossa che giungeva al cervello, e alla gola, inebriandole di un calore anomalo e stringente, un bruciore che, propagandosi, dava l'istinto di dover urlare e chiedere pietà per quel dolore! Faceva male! Tanto! O troppo da uccidere... Perché non poteva morire? Sarebbe stato così semplice, e sarebbe stato meno doloroso... Tutto sarebbe andato bene, poi. Forse... Almeno, bene per lui... Non lo sapeva neanche più...
Non voleva far soffrire Luffy, e nemmeno Sabo; o Nami, Marco e gli altri... Però voleva farla finita, senza che per gli altri fosse un dolore... Oh, ma perché la gente amava vivere! Era così insopportabile, così odiosa, così, così... Così vita! Era troppo complicata e difficile...
E allora perché voleva sentire ancora le risate di Luffy? O vederlo mangiare e ballare insieme? O i consigli di Nami: ascoltarli, capirli... E assaggiare mille e mille volte il cibo di Sanji! E Magari fare a gara con quello di Thatch mentre mangiava noccioline e gli scompigliava i capelli! O le bevute con Zoro! Quelle erano mitiche! A volte, valeva davvero la pena vivere... E poi voleva Marco. Voleva che gli mettesse, ancora una volta, la sua camicia addosso... E desiderava che fosse proprio lì accanto a lui, seduti, insieme, a dargli felicità. A dargli speranza... Ma perché voleva tutto questo? Perché era bello?
-E perché continuo a tornare in questo posto di merda? Perché?- gridò, con le corde vocali che, pulsando e tremando, fecero uscire un urlo rauco e sofferente che gli fece male da odiarsi di più; solo un pezzo di più da ripugnare di sé stesso... Era così debole...
-Perché continuo a vivere?- sussurrò esausto, lasciando crollare a terra le braccia come fece sua madre, tempo fa, per spirare.
-Perché non muoio?- singhiozzò, con il tono e il corpo, dando poi una testata al portone; incredibile, non si crepò, ma fu lui a sentire il colpo, che gli provocò una smorfia di spasimo.
-Io... Non ne posso più di questa vita...- ammise, ignorando tutti quei bei ricordi e le voci allegre dei suoi amici; chiudendo gli occhi e attendendo invece l'esito di quella giornata; sperando anche in Akainu: forse sarebbe stato così misericordioso da dargli il colpo di grazia... no?
E allora perché, qualcosa dentro di lui lo negava con tutto sé stesso e con tutto il cuore, e che invece desiderasse solo che Akainu sparisse per sempre?
Si ridestò, sentendosi più stanco di prima se possibile, e tremò, ma, più che altro, era il portone che fremeva con fare furioso, contro la sua schiena che, fredda, sembrava bruciare e anche tormentata. Trattenne il fiato, strizzando gli occhi e spingendosi in piedi dandosi la spinta con la mano, e poi, guardando le scale e poi la chiave nella serratura, capì che non c'è l'avrebbe fatta: o apriva, o scappava in camera in attesa che buttasse giù la porta. Lasciare che si adirasse maggiormente non era l'idea migliore, e poi, nessuno gli assicurava di riuscire a raggiungere la stanza visto che le gambe pizzicavano, con il senso di latte alle ginocchia mentre il polpaccio doleva e bruciava; sembrava che l'osso fosse continuamente inflitto da dei chiodi... Non cambiava niente comunque..., decise, avanzando con la mano lentamente.
-Ace! Brutto idiota!-
Cadde rovinosamente a terra: aveva aperto la porta, e se l'era ritrovata sbarrata addosso come un bisonte imbizzarrito. Sbatté le palpebre, confuso e intontito prima di scrutare la figura rabbiosa e con i pugni, lungo i fianchi, rigorosamente chiusi.
-Osi davvero lasciarmi fuori da casa mia?- protestò, come se il moccioso davanti non fosse stato via per tanto tempo per questioni di vita e di morte; alzando l'arto, pronto a infliggergli la sua punizione.
Vide quel pugno avvicinarsi sempre di più, e non si mosse, rimase lì per terra, con un unico pensiero: se lo meritava. Se lo meritava, se lo meritava; continuò a dirselo come un forsennato, angosciato dall'essere lì, e di essere dannatamente vivo, nonostante tutti i ricordi che si sovrapposero nella testa, tutti allegri e tutti così vivi. Attutì il colpo contro il petto con sforzo, cercando di non aprire la bocca per urlare dal dolore, sgranando invece gli occhi e rantolando con difficoltà, voltandosi poco dopo aver ricevuto un calcio alle gambe, si resse su con un gomito tra la tosse bloccata in gola che gli impediva di respirare prima di spalancare la mascella e sputare saliva mista a quel liquido vermiglio che tanto conosceva, percependo la scossa aumentare come se fosse stato colpito da un fulmine che si scaricava tutto su di lui, senza lasciarlo andare per un secondo. Scivolò con l'arto fino a cadere disteso di petto, tossicchiando nel sentirsi strozzare dal suo stesso miscuglio di globuli rossi per un attimo, prima di prendere enormi boccate d'aria, ringraziando che Akainu si fosse diretto in soggiorno, e così si rannicchiò su sé stesso, lasciando fuoriuscire un filo d'aria tremolante ad occhi chiusi. In quel momento, avrebbe voluto davvero Marco lì con lui, più di ogni altra cosa, e non come illusione; ma si diede dello stupido nell'averci pensato, preferendo, dunque, allungare il busto e le braccia, sforzandosi su quest'ultime per recarsi verso le scale, come faceva prima che Luffy prendesse il posto di Sabo dopo un po' di tempo che se ne fu andato. Decise però di usufruire solo di una gamba, l'altra bendata non riusciva più a muoverla, e, a tratti, né a sentirla; forse il secondo colpo, per quanto violento, era stato troppo dopo tutta la fatica che gli aveva fatto fare.
Fece uno scalino alla volta, sentendo l'estremità pungere contro il suo petto, coperto da quel pezzo di carta di vestaglia fastidioso e rigido, e salì, con un gemito e una smorfia, continuando e dandosi forza sui bicipiti, tenendosi e proseguendo, con una gamba cadente, e l'altra che spingeva, portando energia dalle dita dei piedi mentre poteva udire quel mostro ridere nel guardare i suoi stupidi programmi in tv, o forse era solo drogato. Maledetto; imprecò a denti stretti, giungendo al termine di quella rampa di gradini e rilassandosi, respirando piano mentre teneva ancora il resto del busto sopra le ultime scale. Ma poi si issò di nuovo con gli arti, con le mani che si reggevano con vigore al pavimento, e poi si spinse, mugugnando per quanto fosse dura, facendosi pressione sulle falangi, e anche con il piede, e poi si ritrovò sul pavimento del secondo piano, completamente, e guardò in lontananza la sua stanza. Sembrava così irraggiungibile, pensò arrendevole e corrugando le sopracciglia esausto.
Ma non poteva farsi trovare così, né da Akainu, né da Luffy, se mai fosse tornato; e così si allungò, strisciando e posizionando i gomiti a terra, avanzando come i militari nei tunnel, e poi, finalmente, raggiunse la stanza. Ringraziò anche che la porta fosse sempre aperta e poi andò, il più in fretta possibile, verso il proprio letto, scrutando, tra le travi di legno, i soldi e la droga che ancora erano lì nascosti; preferì afferrare con presa ferrea il materasso come a volerlo strappare, ma se ne servì per mettersi in piedi su una gamba, e poi crollarci sopra per riposare dopo aver mugolato a palpebre strette e sospirato lentamente, in sequenza, con la schiena inarcata all'infuori e calmandola piano, rilassandola con moderazione, come se, farlo con più velocità avrebbe causato un dolore come adagiarsi contro una lastra acuminata.
Si rilassò, tranquillizzandosi e calmando i polmoni, eppure volò, la mente, in direzione di quella polvere magica. Trattenne poi il respiro, guardando il soffitto e domandandosi se fosse giusto quello a cui stava pensando, se potesse davvero osare a prendere quella polvere di cocaina e fumarsela; insomma: gli avrebbe tolto il dolore, lo avrebbe fatto stare bene, per poco, ma almeno si sarebbe sentito meglio in quel lasso di tempo.
No, non poteva, non doveva. O sarebbe morto ancora, avrebbe perso un altro pezzo di sé; e forse, non sarebbe più tornato indietro. Però voleva, la desiderava. Chissà com'era... Era buona? Che effetti causava? Gli sarebbe piaciuta?, tanti quesiti, ma uno su tutti volle vincere: e se, nel provarla, invece di morire, sarebbe rinato?
Socchiuse gli occhi, assopendosi, e poi si voltò, infilando una mano sotto il cuscino ad afferrare e stringere tra due dita, dolcemente, lo stelo del fiore, del suo fiore; quello che Marco gli aveva donato: quel fiordaliso blu, dall'esplosione di petali che ricordava i fuochi d'artificio. Lo cacciò fuori e se lo portò, tra le dita, al naso, annusandolo e preferendo quella di droga. E tirò comunque un sospiro di sollievo: il fiore aveva resistito, stava bene e profumava, e, cosa più importante, era ancora lì. Ridacchiò senza volere, ma sincero, e se lo portò al petto: era un fiore importante, il primo che qualcuno gli avesse mai regalato, e poi, Marco, lo aveva, alla fine, conquistato. Peccato che lui non volesse più tutto questo, eppure si avvicinava. Perché? Era scemo!, si diede la risposta, convinto, posando poi il fiore sotto il cuscino, con troppa cura per i suoi gusti prima di sospirare.
-Ancora qui sei? Perché?-
-Eh?- si voltò confuso e spaventato, temendo in Akainu, che lo avesse raggiunto, ma sgranò gli occhi, tentennando e tremando. Perché? Ma...
-M-M-Marco?- balbettò, preso dal panico mentre cercò di mettersi seduto, ma ci rinunciò subito, sia per la gamba cadente, e sia perché quella presenta lo fece risentire in un modo da togliergli il battito e, tanto da far cedere anche il cervello, quasi.
-...Ti riporto in ospedale. Mi hai capito?- si premurò, ma, nel dirlo, si chinò verso di lui con fare fin troppo sagace.
Ace trasalì, cercando di indietreggiare quel tanto che gli consentiva il cuscino, o di sporgersi verso l'estremità destra del letto, dove c'era la finestra, ma quello fu più agile di lui, e adagiò le sue labbra contro le proprie, lasciandolo sempre più confuso e spaesato.
Percepì nuove scosse che si moltiplicarono sempre di più, e poi un brivido, ma erano diversi, erano piacevoli e tutte che viaggiarono nella sua schiena, togliendogli il fiato e immobilizzandolo per quell'emozione. Ma sgranò maggiormente le palpebre nel sentirlo entrare senza preavviso.
Stava... Stava usando la lingua?, scattò, preso alla sprovvista prima che realizzasse ogni cosa.
Sbatté più volte le palpebre, confuso da quel gesto nuovo e inaspettato, e poi, si rese conto, che Marco svanì nel nulla com'era apparso. Un'altra illusione.
Stava impazzendo.
Eppure, poteva percepire ancora forti i battiti del cuore, e il rossore sulle gote. La realtà era così orribile che la sua immaginazione gli giocava brutti scherzi per farlo stare meglio, o forse, voleva fargli capire che doveva stare meglio, in un mondo migliore. No, no!, scuoté il capo, voltandosi su un lato e chiudendo gli occhi con rabbia; non voleva.
Socchiuse gli occhi, osservando la finestra sigillata con malinconia. Era davvero così morto? Così senza vita da cambiare l'impostazione da "non poteva" a "non voleva"?
Quella consapevolezza... fece particolarmente male, più di tutto, più delle ferite e più del colpo nuovo subito poco fa, che ancora sentiva bruciare sul petto e sulla gamba, un dolore pieno di aculei, ma mai quanto quella nuova cognizione nella testa.
-Ohi! Ace! Ace! Ace! Ace! Ace! Ace! Ace! Ace!-
Incredibile come, anche dal secondo piano, la sua voce aumentasse tonalità fino all'inverosimile. E non la smetteva!
-E basta, Luffy! Stavo dormendo!- gli venne il nervoso, ma non voleva prendersela con lui. Però, il dolore, Marco, Akainu, la droga, un risveglio turbolento... tutto nell'insieme, lo fece adirare senza volontà.
-Scusa. Ma volevo essere sicuro ci fossi.- sorrise, arrivando in camera dal piano inferiore come un razzo; sicuro e tranquillo perché sapeva che suo fratello era forte, quindi se la cavava sempre. Certo, la paura di averlo trovato quasi senza vita e pieno di sangue era ancora viva dentro di lui da terrorizzarlo a morte, come l'immagine dell'aver avuto tra le mani quel colore vermiglio e liquido, però ora Ace era lì, e parlava, e respirava, e sorrideva. -Comunque, c'è Chopper. Vuole controllarti.-
Chopper? Ma se c'era Akainu, in casa...; pensò senza curarsene tanto, troppa la voglia di stare lì ad aspettare qualcosa, magari la fine. Beh, forse no: poteva anche essere uscito; aveva dormito molto, lui, in fondo.
-E Marco?- mormorò, maledicendosi subito dopo prima di sospirare e aiutarsi, con le mani, a mettersi seduto; almeno riusciva a muoversi di nuovo. Però, rifletté con un sorriso ironico interiore; che stupido chiedere di lui: dopo essere scappato e averlo trattato con così tanto odio e ripudio per il suo volerlo aiutare, figurarsi se si sarebbe più fatto vivo.
-Mhm. Voleva venire anche lui, ma ho pensato che non avresti voluto, così gli ho detto di no.- alzò le spalle, incurante mentre, ancora sulla soglia, una sagoma familiare e adirata scavalcò il minore per arrivare fino al letto.
-Idiota!- scattò la ragazza, dando un ponderoso pugno all'amico nel letto, con Chopper che saltellò preoccupato.
-No, Nami! Non ferire il mio paziente!-
Ace mugugnò, strizzando un occhio e guardando la ragazza con un misto di scetticismo e dispiacere, e poi, a sentire le parole del fratello, si sentì più triste di prima, chiudendosi dentro: voleva Marco lì, e invece lui non era venuto; colpa anche sua visto che Luffy gli aveva detto no perché lui non lo avrebbe accettato. Ma almeno, voleva ancora stare con lui: era una cosa positiva. Sospirò, scrollando le spalle e tornando serio, in fondo era meglio così.
-Perché te ne sei andato dall'ospedale? E in queste condizioni! Sei forse impazzito?-
-Ah, non sono in vena di parlarne, Nami. Lasciami in pace.- brontolò, deviando lo sguardo verso il muro e gonfiando una guancia.
-Oh! Ace! Sabo vuole parlarti!- sorrise dopo essersi ravvivato, il fratello, trotterellando fino a lui, con Nami che, con una smorfia adirata, come pronta a colpirlo ancora, decise di lasciare la stanza per lasciargli un po' di intimità, ma non sarebbe finita lì, si disse.
-Ti visito dopo, allora.- la seguì, la renna, dopo avergli sorriso sereno e avergli messo una benda sul punto in cui era stato colpito.
-Okay.- mormorò, per poi guardare il fratello che gli porse il telefono di Zoro: la chiamata era stata messa in attesa. Osservò attentamente il pulsante che avrebbe fatto ripartire la telefonata, e sospirò duramente prima di mettersi seduto sul materasso, incrociando le ginocchia, una con più lentezza dell'altra per evitare una scossa di dolore.
-Pronto?- rispose vacuo, portandoselo all'orecchio, cercando di essere il più freddo possibile, facendolo più per istinto, perché lui era fatto così alla fine, ed era suo quotidiano esserlo, eppure in quel momento avrebbe desiderato essere meno rigido, per una volta.
-Ciao Ace.-
La risposta che ricevette, però, fu quasi come la sua. Ma percepiva un senso di preoccupazione nell'altro che continuava a reggere e ad aggredirlo, assillandolo e tormentandolo dentro. Povero Sabo, pensò tristemente; aveva fatto soffrire anche lui.
-Sto bene, tranquillo. Non c'era bisogno di chiamarmi.-
-Sono anche venuto da te, fino a pochi giorni fa.- precisò, come a capire, nonostante la voce neutra del maggiore, che Ace fosse rimasto risentito che suo fratello non avesse nemmeno lasciato ciò che stava facendo per lui.
-Non ti ho visto.- ironizzò con un ghigno mentre lanciò uno sguardo a Luffy che si era messo seduto su una sedia, penzolando con le gambe e guardandosi le mani che reggevano il proprio cappello di paglia, annoiato.
-Beh, magari perché eri in coma farmaceutico.- se la rise, fingendo fosse una battuta, ma smise subito e sospirò con una lieve nota di singhiozzio nella voce, lasciando intercettare quanto avesse sofferto in quel momento, proprio come Luffy.
-Mi dispiace avervi fatto stare in pensiero.- volle informare tutti e due i fratelli, con quello oltre la cornetta che emise un verso sprezzante.
-Certo, solo questo sai dire. Andare via di là e terminare così le tue sofferente, quelle di entrambi, no, eh?- specificò, e mise in mezzo al discorso anche il minore prima di continuare, senza dare il tempo ad Ace di replicare in nessun modo.
-Tu lo sai quello che abbiamo patito mentre tu faticavi a respirare; che non aprivi gli occhi, e non tornavi a vivere?- rimproverò, giusto per farlo sentire più uno schifo, anche se non poteva saperlo.
Ace si limitò a rimanere in silenzio ora, guardando il vuoto, ma ascoltando ancora, non potendo fare altro in quel momento.
-Lo sai che Luffy stava per avere un crollo psicologico? Stava per morire insieme a te! Ed io ero lì, come uno scemo, e non potevo fare niente se non guardarvi lasciarmi solo... Guardarvi morire! Questo legame, il fatto che siamo fratelli, per me è prezioso, è come un tesoro. Ma vedo che per te non è lo stesso. Luffy invece continua a voler rimanere con te, non ti lascerà mai. Sai, piangeva. Non la smetteva, ed io ho creduto che tu stavi per smettere di lottare. Mi sono detto che no, era impossibile; mi ripetevo che c'era sempre Luffy, e che non avresti mai potuto lasciarlo da solo. Poi ci sono stati giorni in cui la consapevolezza di un'idea tremenda mi raggiungeva: forse volevi lasciarti andare perché potevi. Perché tanto Luffy sarebbe rimasto con me, al sicuro. Ma io non volevo questo e scacciavo pesantemente quel pensiero, che tornava a farmi visita ad ogni ora del giorno, e mi distruggeva. Mi distruggeva, Ace! Ho cercato di essere forte, di rassicurare Luffy, ma lui non verrà mai con me finché ci sarai tu. A me va bene, fa soffrire che debba sopportare tutto questo, ma va bene se va bene a lui... Ma tu? Tutto questo è per colpa tua! Non vuoi finirla di sentire dolore, non vuoi la libertà! Ed io sono preoccupato, cazzo! Quando i dottori mi hanno detto che i tuoi parametri vitali erano nella norma, e che ti stavi riprendendo, sono tornato qui, a casa mia, per risistemare alcuni documenti; mi sono sentito in colpa di lasciare Luffy da solo, ma c'erano i suoi amici con lui, e questo mi ha aiutato. Ora devo giusto terminare alcuni fattori, e dopo verrò da voi! Vi aiuterò, perché Luffy, il nostro fratellino, non merita tutto questo! ...E nemmeno tu. Soprattutto tu.- terminò quello sfogo, fremente e con il ricordo di ogni momento passato in quell'ospedale, vivido nella mente, come se fosse ieri. -Sono felice, comunque, che tu stia bene.- e lo disse in un modo che pareva dire, ironicamente: "Felice che tu lo dica, visto quello che stai passando."
Ace respirò solo dopo aver sentito anche l'ultima frase; appurò ogni cosa con angoscia e un senso smorzato che gli ordinava di darsi una testata contro il muro. Tutto quello... era stato orribile, e non gli era sembrato un discorso, no: era stato come essere colpito da una mitragliatrice che affondava i suoi colpi nella carne uno dopo l'altro, fino a raggiungere il cuore, tempestarlo di proiettili e martoriarlo; e solo con mille parole, fin troppo veritiere. Era riuscito a rovinare anche la prima telefonata con Sabo dopo anni che non si sentivano; era un completo idiota.
Guardò Luffy; non sembrava aver sentito niente, ma probabilmente lo aveva intuito, e poi chiuse le palpebre, Ace, mordendosi e maciullando l'interno del labbro prima di sussurrare un semplice e inutile:
-Mi dispiace.-
-Wow. Gran discorso, fratello. Davvero. Mi stupisco di te stesso.- rispose prontamente, Sabo, prima di fremere anche se non potevano vederlo. -Possibile che tu sia così... così...?-
-Puoi venire a prendere Luffy.- non gli diede il tempo di finire che lo lasciò a bocca aperta.
-Eh? No, scordatelo!- scattò in piedi, il più piccolo, volendo imporsi.
-Finiscila, Luffy. Non è il momento. E poi, è meglio per tutti.-
-Per te magari, o per meglio dire, è meglio per Sabo. Beh, per me non è meglio. Lo scelgo io il mio meglio, e quindi rimango qui. Sabo può dire quello che vuole, non me ne frega niente!-
-Non andiamo da nessuna parte, così.- sospirò rammaricato, Sabo nel sentire Luffy, e così Ace mise il vivavoce. -Vengo io.-
-Non rinunciare alla tua libertà.- gli rimembrò, Ace, tristemente; sapendo quando ci tenesse.
-Ho già rinunciato ad essa quando vi ho abbandonati. E per quello, sono io ora a chiedervi scusa.- asserì, dispiaciuto e colpevole. -Verrò da voi il più in fretta possibile, aspettatemi, due settimane e sarò lì.-
-Uh! Che bello! Sabo torna!- esclamò il più piccolo, saltando e ridacchiando. -Allora, vedi di correre come un fulmine!-
-Più di un fulmine! Ciao.- esclamò allegro, riattaccando. Aveva atteso anche il saluto di Ace, ma non era arrivato.
Sembrava essere tornato tutto sereno, notò Ace. Fece una smorfia e scrollò il capo; non stava migliorando niente. Ora anche Sabo sarebbe tornato a vivere lo scenario di orrore! E chissà cosa sarebbe accaduto visto che il "capo" era entrato a casa sua, e poteva ricapitare, e non voleva che anche Sabo ci rimettesse... Certo, Luffy neanche sapeva di quella combriccola a cui portava soldi e roba schifosa, però, in alcune cose si era confidato in modo che il minore potesse reagire a tono, come l'andare in ospedale inventandosi una bugia sulle proprie ferite... Sabo invece non sapeva questo, e poteva reagire seguendo la logica e non secondo la sua moderata attenzione... Akainu non poteva finire nei guai, ed era certo che era proprio quello l'intento di Sabo, anche se per il suo bene... Ah! Perché! Maledizione!
-Chopper, vieni.- ridacchiò Luffy, ancora pieno di felicità per la notizia, e infatti: -Vado al Baratie, Ace. Devo dire a tutti che Sabo torna! Loro lo hanno già conosciuto, e gli sono tutti simpatici!-
Ace sorrise, guardandolo correre via come un tornando, e investendo in pieno Nami che rischiò di cadere, ma venne prontamente salvata da Chopper, con quest'ultimo che ascoltò come inveisse contro il suo fratellino con rabbia prima che ritornasse a lui, pronto per controllarlo come un bravo dottore. Era un paziente perfetto, si disse per essere almeno un po' più allegro: aveva anche il camice!
-Che cosa aveva tuo fratello, eh?- chiese Nami, indicando la porta.
-Nulla, è solo felice.- ridacchiò.
-Ha detto che torna Sabo, è vero?- domandò la renna, che gli toglieva alcune bende, per cambiarle.
Ace annuì, sempre sorridente mentre la ragazza comprese; infondo, tutti l'avevano sentito urlare tali parole quando era finito addosso ai suoi amici nel corridoio.
Peccato che non ci fosse Marco.
Si guardò intorno, ormai era il tramonto. Osservò lo steccato bianco che lo separava dalla casa, e da Ace; sospirò, varcando subito poi il cancello, e arrivando a bussare alla porta con fin troppa frenesia, più di quanto immaginasse.
Rimase fermo, sopra l'ultimo gradino e con davanti la porta logora, in attesa; ma forse non c'era. Forse era andato con Luffy al Baratie. Scrollò le spalle, pronto a voltarsi, ma si bloccò nell'udire il suono di passi; poteva percepire fossero stanchi da come andassero piano, quasi si trascinavano a forza, e temette di aver sbagliato. Forse non c'era nessuno, ma Ace sì, e lo stava sforzando ad aprirlo nelle sue condizioni. Che pessima iniziativa, la sua.
-Sì?-
La porta ormai era aperta, e poté vedere il volto del lentigginoso diventare sorpreso mentre si reggeva su una stampella, senza più tante bende, più libero da esse tranne che sugli arti, e il busto, tra cui anche il polpaccio che teneva alzato da terra senza fatica.
-Ma-... Marco, ciao...- mugugnò, chinando il capo.
-Posso entrare?- sorrise invece, l'altro, volendo, in quel modo, tranquillizzarlo.
-Mi dispiace.- si limitò a dire. Oggi è giornata di scuse, neh, Ace?; si disse nel pensiero, quasi con un nuovo rimorso a tale consapevolezza. -Perdonami se, ecco, prima io... Sono scappato...-
Giusto Ace, chiedi venia per questo e non per aver rifiutato il suo aiuto, rifletté tagliante e beffardo. Continua così, si complimentò da solo con ironia, dandosi sempre, e ancora, dell'idiota. Certo che non se lo aspettava però: visto il suo comportamento, trovarselo lì era stranissimo per lui. Quando aveva sentito suonare, aveva pensato fosse Nami, o Luffy con tutta la combriccola, e aveva raccattato la stampella per non far adirare Chopper; e già che ne usasse una delle due, era tanto; però, nessuno era entrato quando si era diretto per le scale, il che era strano. Pensava a qualcosa tipo il postino, ma non Marco!
-Ci tengo a te, Ace. Davvero.-
-Ah?- scattò sorpreso, e imbarazzato; tornando a fissarlo. -B-b-b-eh... S-se vuoi, p-puoi en-entrare.- balbettò, ancora preso nel vivo con quelle parole mentre indietreggiò, deciso a lasciare la presa su quel fastidioso bastone bianco da un momento all'altro: faceva anche male al braccio, ed era quello che stava meglio: era scomodo quell'aggeggio, punto. Però, almeno quel Marco gli stava facendo battere il cuore senza sosta, rendendo il suo volto, forse un po' troppo rosso.
-Grazie.- oltrepassò la soglia, accarezzandogli una guancia mentre richiuse la porta. -Ascolta, se ti do io fastidio, posso anche non presentarmi più lì, ma tu devi tornare in ospedale.-
-No, Chopper ha detto che mi sto ristabilizzando. Devo solo stare a riposo qualche giorno.- continuò a parlare, piano e con gli occhi diretti al suolo. Quel tocco lo aveva mandato in estasi, quasi in paradiso e si maledì di averlo fatto entrare, però voleva passare un po' di tempo con lui... Era così indeciso..., pensò, mordendosi un labbro e lasciandosi sfuggire un lieve: -E poi, non ci voglio stare lì in mezzo a tutti quei fiori...-
-Pensavo fossero i tuoi preferiti.- contestò sorpreso, Marco. Eppure ricordava bene che fossero quelli; gli aveva anche detto come si chiamavano, quella volta al bar. Non poteva essersi sbagliato.
-Ah?- si rianimò, alzando lo sguardo e arrossendo più di prima. -N-n-no! Cioè, sì. Sono quelli i fiori che mi piacciono... Però... erano così tanti, e in quel posto...- mormorò, volgendo gli occhi a terra, e sentendo lo sguardo interrogativo di Marco che non capiva.
-Insomma... In quell'ospedale... Lì è dove ho passato gli ultimi giorni con mia madre, e dove l'ho vista lasciarmi con un sorriso triste... Io le avevo riempito la stanza dei medesimi fiori, e quando mi sono risvegliato e ho visto tutto quello... Non ho fatto altro che pensare a lei, e mi ha rattristato molto ricordare l'ultimo giorno che abbiamo passato insieme...- farfugliò consapevole di essere ascoltato, e visto che Marco attendeva in silenzio, aspettando e rispettando le sue parole, continuò, senza guardarlo negli occhi per il troppo dolore che lo attanagliava in quel momento.
-Sai, quando ho raggiunto il terrazzo volevo cambiare aria. Lì ci passavo il tempo quando ero piccolo e mia madre faceva analisi o operazioni, o altro ancora... Poi mi raggiungeva, e rimanevamo a guardare il cielo.- sorrise piano questa volta, con malinconia. -Poi... troppo stanca, non riusciva più a farmi compagnia in quel posto... Lei mi aveva promesso che non mi avrebbe lasciato, sai?- singhiozzò senza volere, fremendo con le dita lungo i fianchi, e con quella che stringeva convulsamente l'appoggio di quel dannato bastone.
-Invece, una mattina, mi sorrise e chiuse gli occhi... Sono corso in terrazzo e ho pianto tutto il tempo con sopra quel celo che, maledetto, era soleggiato e allegro!- iniziò a tremare sempre di più, immerso in un dolore e in una rabbia nel rivivere davanti e dentro di sé quelle scene; come un codardo, poi, aveva continuato a piangere anche a casa, senza sosta... ma si ricompose giusto il tempo per finire il discorso. -Questa volta invece... quando sono salito lì l'ho fatto in fretta perché mi attanagliavano con forza tutti quei ricordi, e arrivato in terrazzo, c'era ancora un sole e un cielo limpido e spregevole... E, forse sto impazzendo, ma mi è sembrato di vederla per un attimo, proprio come quando ero piccolo. Era lì, mi sorrideva e mi diceva di stare attento perché quei recinti-cosi non erano sicuri! E poi è svanita ancora, è andata via! Perché? Perché devo soffrire così?- urlò senza pudore, stringendo i denti e con le spalle strette a circondargli il capo mentre i pugni si serravano sempre di più, fino a far male ai palmi, e l'altro a lasciare il segno sul cuscinetto della stampella. -Mi odio...- piagnucolò senza ritegno, lasciando uscire le lacrime prima che il suo volto fu celato dal petto possente di Marco che lo strinse a sé in un docile e forte abbraccio consolatore.
-Shh... Va tutto bene, Ace... Tranquillo, sono qui.- gli assicurò, accarezzandogli la schiena, pronto a non lasciarlo più, ma il moro invece, ritornato alla realtà di tutto quello; pensando per un attimo che fosse un'illusione come al solito, ad occhi sgranati si distanziò forzatamente e con difficoltà nel risvegliarsi e capire che fosse vero, zoppicando all'indietro mentre, tirando su il naso si asciugò in fretta le lacrime con il braccio libero. Per una volta che diceva cose insensate, era quello vero, cavolo!
-Sto bene, dimentica tutto questo per favore... Ehm... Co-comunque, i fiori erano davvero belli, grazie per il dono...- sospirò, riacquistando man mano il controllo e cercando di non guardarlo, e di non aggiungere quanto avesse trovato speciale quel così bel gesto pieno di amore, o così amava pensarla. Scollò le spalle: si era reso non solo ridicolo, ma anche debole davanti ai suoi occhi con tutto quello che aveva detto e fatto su sua madre; si maledì subito dopo con angoscia, non trovando davvero un modo per farglielo dimenticare.
-L'ho fatto con piacere. E, se vuoi, possiamo stare in camera tua.- propose Marco, capendo che era meglio divagare, guardando il giovane che, nel ricambiare con indugio, iniziò solo a voler buttarsi addosso a lui per riavere ancora quelle braccia attorno a sé, e magari anche osare baciarlo.
Voleva tanto assaggiare quella labbra, ancora e ancora, fino a perdersi in quel sapore, e magari lui lo avrebbe stretto tra le sue braccia, amandolo e sarebbe andato tutto bene... Però poi tutti lo avrebbero indicato male, gli avrebbero affibbiato nomignoli come "Il fidanzato del criminale", "Anche lui è un drogato." "Dovrebbe vergognarsi." "Meglio non infastidirlo, chissà cosa potrebbe avere."... E poi lo avrebbero messo da parte, evitandolo; e Marco lo avrebbe odiato, lo avrebbe lasciato, tutti lo avrebbero lasciato, abbandonato... Perché non meritava niente, solo di stare solo, di odiarsi, di ripugnarsi, e di uccidersi.
-Ace?- parlò cauto, il biondo, tornando ad adagiare due dita sotto il suo mento e costringerlo a guardarlo. -Tutto bene? A cosa pensi?-
Il moro cercò invece di evitare quel tocco, come anche quegli occhi, ma fu inutile: Marco non voleva demordere. Era così carino..., disse nella sua mente, arrossendo per tutto quello nell'insieme prima di riprendersi e balbettare, ascoltando la sua domanda:
-A-al f-fatto c-che... S-sì po-possiamo andare in camera.- volse lo sguardo alle scale con l'idea di poter fargli vedere come aveva tenuto cura al suo fiore, e magari farsi dire come doveva essere tenuto ma si strinse nelle spalle per poi voltarsi di scatto a vedere la porta: No, Akainu poteva arrivare in qualsiasi momento. -A-an... Anzi, co-cosa ne diresti di uscire un po'?- cambiò programma.
-Ma devi riposare.- gli ricordò apprensivo, inclinando però il capo, non capendo tutto quel mutamento improvviso.
-Ti prego.- sorrise forzatamente, prendendogli la mano e avanzando verso di essa con un saltello.
-Ace, no. Rimaniamo qui, è meglio.- optò invece Marco, ascoltando poi come gli tirasse l'arto ripetutamente, come a scacciarlo da quel luogo, volendo spingerlo a fare come gli aveva detto. -Ma se vuoi, posso andarmene.-
-No! No, ti prego, rimani!- si voltò fulmineo, quasi piombandogli addosso e guardandolo supplichevole. -Non te ne andare.- sussurrò, portando le pupille a fremere verso il terreno.
-Okay.- commentò, rilassandosi. Pensava che facesse così perché non lo volesse lì, ma dopo quel suo modo di agire, era ovvio il contrario. Però era così teso che voleva davvero tornare dopo, o il domani in modo da farlo stare tranquillo senza la sua presenza che lo stava davvero mettendo a disagio; ma era talmente bello che era difficile dirgli di no. E poi, iniziò pian piano a credere e a illuminarsi nel ricordarsi che poteva essere un altro motivo quello che lo stava terrorizzando dal farlo rimanere in casa...
-Grazie.- mormorò, più sicuro e rincuorato, senza lasciare la presa sulla sua mano, anzi, stringendola un po' di più, come se non fosse certo che sarebbe rimasto per davvero.
-Vieni.- lo invitò con un sospirò, allungando l'altro braccio libero e invitandolo, dopo averlo spinto contro di sé, in un caldo abbraccio, tenendolo stretto e con amore mentre adagiò il mento sopra la sua chioma, osservando la porta che aveva davanti, chiusa, con attenzione, non sapendo se sperasse che si aprisse in modo da conoscere la paura di Ace, o che restasse chiusa in modo da prendersi cura di quel ragazzo che era, di certo, così esausto in quel momento. -Allora, se vuoi uscire, useremo la tua macchina. Non ti lascio camminare così. E, ovviamente, guido io.- spiegò, posizionando i suoi occhi socchiusi e seri a guardare il volto dell'altro che annuì, sorridendo sincero e più sicuro.
Quello gli diede una sorta di conferma, almeno se ne convinse, anche se non aveva prove a riguardo: ma Marco aveva capito. Almeno di una cosa era certo: qualunque fosse la cosa, perché chiamarla persona era troppo, che lo feriva, lo uccideva, gli toglieva il respiro e lo terrorizzava, era in quella casa. Ne era sicuro, e avrebbe scoperto il suo nome a qualunque costo.
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