Capitolo 33
Prima di diventare genitori sono mille gli interrogativi che ci poniamo, siamo spaventati o addirittura terrorizzati; ci chiediamo se saremo capaci, se sapremo riconoscere i bisogni di un piccolo che ancora non sa parlare, se saremo in grado di distinguere un tipo di lamento da un altro, se tutto ciò che gli diremo sarà giusto o minerà la sua educazione e futuro. C'è una cosa, però, che si impara immediatamente: il pianto di un bambino affamato. È talmente unico e particolare che è impossibile non riconoscerlo, è uno sfogo disperato che non cessa mai fino a che non trova soddisfazione; si possono provare tutte le coccole, posizioni, o parole di conforto del mondo ma niente placherà un figlio come il latte della madre.
Gli strilli mattutini di Ted che svegliarono di soprassalto i genitori, erano di sicuro di questo tipo; erano bastati pochi giorni e i timpani di Dora e Remus avevano già capito quando era il momento di correre per interrompere quella sofferenza.
L'uomo si alzò per primo e si diresse verso la culla per prendere il cucciolo tra le braccia:
«Buongiorno, siamo affamati eh?!» Gli disse mentre gli accarezzava il viso con dolcezza, «Sei proprio come la mamma, anche a lei i capelli diventano rosso fuoco quando è costretta a aspettare per mangiare.»
«Ehi, non è vero!!!» Protestò la donna che nel frattempo si era messa a sedere sul letto.
«Diciamo che l'unica differenza è che tu non inizi a strillare così», continuò a prenderla in giro, poi le diede un bacio sulla fronte e le passò Ted.
«Spiritoso, Lupin, come sempre», gli fece la linguaccia e offrì il seno al figlio che cessò immediatamente di protestare.
«Gli stai già insegnando le tue buffe smorfie?» Le domandò prendendo posto accanto a loro.
«Mi pare ovvio, così saprà rispondere a dovere a chi se lo merita.»
«Beh devo ammettere di aver sempre adorato il tuo spirito, spero che Teddy prenda da te», la guardò con intensità nel pronunciare quelle sillabe; era la verità, aveva sempre amato il suo modo di sdrammatizzare e di ridere e si augurava con tutto il cuore che il piccolo lo ereditasse da lei, di sicuro gli sarebbe stato utile per affrontare le difficoltà della vita.
«D'accordo, allora io gli spiegherò il significato di ottimismo e tu come essere saggi e riflessivi. Ah, ovviamente ometti la parte in cui ti sei comportato da sciocco, è bene che non diventi così ottuso», scherzò lei e entrambi scoppiarono a ridere.
«Hai ragione, rimarrà il nostro segreto», si interruppe per un istante e poi riprese, «Nonché dei Weasley naturalmente», le fece l'occhiolino e poi la baciò.
Si allontanò leggermente quando il piccolo si lamentò per quell'intrusione, come se volesse tutta per sé l'attenzione della madre.
«Scusami, amore, non volevo disturbarti ma la tua mamma è irresistibile.»
Dora lo osservò nell'esternare quella confessione e sentì il cuore scoppiare di gioia; chiuse gli occhi come se potesse farsi avvolgere dal calore di quella scena familiare che mai aveva azzardato a sognare.
La sua testa aveva tentato, in varie occasioni, di mostrarle fantasie simili ma il suo istinto di sopravvivenza le aveva invece imposto di non lasciarsi andare. Il marito l'aveva rifiutata così tante volte che non voleva autoinfliggersi del dolore immaginando un futuro che sembrava impossibile da raggiungere.
«Sei stanca?» Le domandò il compagno.
«No, mi sto godendo il momento, ho finalmente tutto ciò che ho sempre desiderato al tuo fianco», ritirò sù le palpebre per incatenare i propri occhi con quelli di lui. Era proprio in attimi come quelli che le pareva di riuscire davvero a fermare il tempo, che la terra avesse smesso di girare e che il sole non fosse intenzionato a nascondersi per lasciare spazio alla luna. Avrebbe voluto avere costantemente in mano una macchina fotografica per immortalare quegli istanti di felicità, ma sapeva anche che la cosa migliore era bearsi di quel dono che la vita le aveva fatto senza preoccuparsi di creare un ricordo fisico. Ne era certa, non le sarebbe servito un album per rammentare quella gioia, l'avrebbe racchiusa nei battiti che risuonavano nel suo petto, nel sangue che le scorreva nelle vene, in ogni centimetro della sua pelle, nelle iridi e ciocche che ancora non avevano deciso a quale colore corrispondesse quell'infinita soddisfazione; si sarebbe portata dietro tutto ciò per sempre, come un bagaglio e, proprio come quella volta in cui l'avevano fatto con la valigia di Harry, lo avrebbe per sempre condiviso con Lupin, una maniglia per uno.
Si dice che la sofferenza si alleggerisca se spartita con un amico, la felicità invece, di sicuro, si moltiplica e splende con forza sempre maggiore.
Chissà quanto si sarebbero divertiti i Malandrini nel vedere quella scena, avrebbero preso in giro Lunastorta per essere cascato nella trappola dell'amore, ma sarebbero stati anche così fieri e orgogliosi di loro per aver combattuto e dato alla luce una tenera creatura in un periodo così buio. James e Lily probabilmente si sarebbero riscoperti affini a loro; due poli opposti, due persone con, all'apparenza, niente in comune ma che si erano presto dimenticati dei pregiudizi o degli ostacoli e avevano trovato il loro equilibrio, esattamente come Remus e Ninfadora. Proprio come la coppia avevano lottato per amore, un mondo migliore e la nascita di colui che sarebbe diventato, a loro insaputa, il prescelto.
Sirius, l'eterno giocherellone, avrebbe viziato Ted il più possibile e fatto ridere a crepapelle con quella sua maniera speciale e unica di scherzare, ma in fondo così simile alla cugina.
Sarebbero stati un gruppo meraviglioso, affiatato e battagliero; ora l'aldilà era, in tutta sicurezza, arricchito dai sorrisi dei vecchi amici e inondato dalle loro lacrime di commozione, non era loro concesso essere presenti fisicamente, ma i loro spiriti non si sarebbero mai persi uno spettacolo del genere.
Tonks scese dal letto, posò la testa di Ted sulla sua spalla e prese a picchiettarlo sulla schiena, con dolcezza, per farlo digerire. Le era difficile descrivere l'emozione che le regalava quel contatto così stretto e intimo; cercava di trasmettergli sicurezza, affetto, ma era come se entrambi si scambiassero delle energie positive capaci di riscaldare e rasserenare tutti e due.
Lupin li guardava con una tale dolcezza e profondità che, anche a distanza, era capace di prender parte a quella sinergia; se anni addietro gli avessero detto che un giorno avrebbe potuto assistere a un qualcosa del genere non ci avrebbe creduto, avrebbe risposto che era "impossibile". Invece quei due meravigliosi essere umani che avevano il potere di mutare e trovare una propria congeniale identità, li avevano insegnato che si può arrivare ovunque, basta crederci e provarci.
Teddy, cullato dalla mamma che aveva iniziato a intonare una soave ninna nanna, si era di nuovo addormentato; la giovane lo posò sotto le lenzuola, gli sfiorò la fronte e rimase incantata a guardarlo.
Il marito la raggiunse, l'abbracciò da dietro e si perse come lei davanti a quella tenera visione:
«Adoro quando muove la bocca a quel modo e quelle manine strette a pugno.»
«E vogliamo parlare di quelle guance da morsi?»
«Ah sì, quelle sono come le tue», le rispose chinandosi a prenderle una gota tra le labbra.
«Quindi anche io sarei paffutella?» Gli chiese girandosi verso di lui con un sopracciglio alzato dubbioso.
«Mmm... » Remus finse di pensarci sù, poi continuò, «Assolutamente sì!»
Scappò verso la sala per non dar fastidio al piccolo e Dora iniziò a rincorrerlo:
«Remus John Lupin, non puoi sfuggirmi!»
«Tu dici?!»
Si posizionarono ai lati del divano e ogni volta che lui scattava da un lato e lei provava a partire per prenderlo, ritornava subito al suo posto. Quando finalmente decideva di muoversi cominciavano a girare intorno al sofà, ma riusciva a mantenere sempre il vantaggio e a non farsi acchiappare. Tutto ciò accompagnato da risate e sbuffi e, per quanto potesse apparire sciocco, la verità era che nessuno dei due aveva davvero voglia di smettere quel gioco che facevano spesso.
«D'accordo, non mi lasci altra scelta», annunciò Dora con serietà, «Bacchette!» Le evocarono entrambi, si barricarono dietro a due poltrone e fu la donna per prima a tentare di colpirlo.
Non era la prima volta che si dilettavano così, un po' per scaricare la tensione, per divertirsi e dare una svolta diversa alla monotonia, o semplicemente perché non esisteva miglior modo di sfidarsi per due esperti delle Arti Oscure.
Non utilizzavano incantesimi particolarmente potenti ma, talvolta, cornici, soprammobili o vasi avevano bisogno di essere riparati. Dora non aveva ancora ripreso completamente la sua forza fisica ma non per questo era meno scattante, era abituata a combattere nelle situazioni più difficili e disparate, non si faceva quindi spaventare da un banale duello come quello. Alcuni lampi di luce finirono dritti contro le pareti provocando dei leggeri squarci, uno addirittura tagliò di netto lo stemma di Tassorosso che vi era appeso.
«Questa me la paghi, Lupin!» Gli urlò agguerrita pronta a non farsi intimorire.
Perseverarono per un po' finché Tonks, approfittando di un fugace attimo in cui l'avversario era spuntato fuori dal suo nascondiglio, riuscì finalmente nel suo intento:
«Incarceramus!»
Si avvicinò all'uomo che era disteso per terra legato da una serie di corde luminose e, squadrandolo dall'alto in basso, gli chiese:
«Qualcosa da dire a tua discolpa?»
«Se mi liberi potrei mostrartelo», le rispose con un esplicito tono malizioso.
«Credi di potermi corrompere così? Sono un Auror!»
«Non l'ho dimenticato, ho sposato il più sexy di tutto il Ministero», impossibile non interpretare lo sguardo lascivo che le lanciò, «E poi non avresti dovuto combattere con quella camicia da notte che sai quanto mi fa impazzire.»
Ninfadora, senza interrompere il contatto con gli occhi, si sedette a cavalcioni sopra di lui, si avvicinò al suo orecchio e gli sussurro:
«Sai, forse ci ho ripensato. Magari dovremmo sfruttare al meglio il sonnellino di Teddy, poi dovrò dedicarmi solo a lui.»
«Sapevo che ti avrei convinta», affermò e, mentre lei lo liberava, lui le catturò le labbra per sprigionare tutta la passione trattenuta fino a quel momento.
Trascorsero i giorni senza ricevere dal mondo esterno notizie e, anche se gli pareva strano quel silenzio, i coniugi furono talmente impegnati da non farci troppo caso. Una nuova routine li aveva coinvolti e assorbiti ma, nonostante la fatica, erano felici. Adoravano prendersi cura del piccolo, coccolarlo, fargli il bagnetto, allattarlo, osservarlo mentre dormiva e, quando era possibile, si ricavano dei momenti tutti loro per parlare, raccontarsi come erano sempre stati soliti fare, bere una cioccolata calda o fare l'amore permettendo così di dar voce anche ai loro corpi.
Era un tardo pomeriggio di Maggio e erano tutti e tre seduti sul divano, Dora teneva il piccolo in braccio e Remus agitava un sonaglino che aveva incantato e cambiava colore ogni qualvolta lo facevano anche i capelli di Teddy. Produceva dei leggeri suoni che attiravano la sua attenzione e la mamma e il papà si divertivano un sacco nell'osservare le sue espressioni buffe e ancora incerte da lattante.
A un tratto si fermò, non gesticolava più, le ciocche si erano arrestate su una tonalità verde speranza e la bocca serrata; i Lupin si guardarono preoccupati davanti a quell'espressione concentrata del bambino, come se avesse captato un qualcosa che loro non era in grado di capire. Poi tutto passò, come se niente fosse successo e il piccolo riprese a muoversi come prima; Tonks tirò un sospiro di sollievo, gli tastò il pannolino e esclamò:
«Ecco che cosa stavi combinando, signorino! Sei bello pieno, eh? Andiamo a cambiarci prima che anche il mio vestito diventi un quadro di Picasso!» Si alzò dal sofà per dirigersi in camera al fasciatoio ma senza notare una luce blu che era appena apparsa nella stanza.
Remus non poteva crederci, non era così stupido da pensare che quel giorno non sarebbe mai arrivato, ma in quel momento proprio non se lo aspettava. Suo figlio era nato da poco, non aveva avuto neanche un po' di tempo per goderselo davvero; la notizia ricevuta lo aveva travolto, preso in pieno petto e mozzato il fiato. Ora capiva come si era sentito James, indeciso tra la lotta e il restare a fianco della propria famiglia per cercare di proteggerla; credeva di essersi trovato davanti alla decisione più difficile della sua vita quando aveva scelto di sposare Dora. Si era illuso, non c'era niente di peggio del dover scegliere tra il nascondersi a casa con sua moglie e il combattere la battaglia finale, rischiando di perdere la vita. Chinò la testa che gli scoppiava tra le mani, come se il contatto potesse donargli pace e estraniarlo dal mondo; ma il tumulto era dentro di lui, non fuori e nessuno avrebbe potuto compiere quel passo per lui. Non duellava realmente da mesi, non era in forma, non sapeva se sarebbe stato in grado di reggere lo scontro con dei Mangiamorte assetati di sangue e vendetta.
Le vene delle tempie gli pulsavano con forza, messe sotto pressione dai troppi pensieri che gli vorticavano nella mente e pronte a esplodere da un momento all'altro; come una diga messa a dura prova dalla potenza e corrente dell'acqua. Si sentiva esattamente così, il suo corpo sembrava incapace di reggere quel conflitto interiore e cercava in tutti i modi di farglielo comprendere.
«Rem, che succede? Ti senti male?» La voce della moglie gli giunse alle orecchie come un eco lontano; si voltò a guardarla e non gli sfuggì la sua espressione preoccupata. Non aveva neanche il coraggio di dirglielo.
«Dov'è Ted?»
«Era stanco e si è addormentato, vuoi dirmi perché hai quella faccia?» Insistette sempre più nervosa.
«Mi ha mandato un patronus Minerva...» Tentò di recuperare il fiato necessario per finire la frase, «Harry è a Hogwarts, si sta preparando allo scontro...»
«Dobbiamo andare!»
«Cosa?» Le domandò con fare confuso, non capiva come potesse esserne così sicura.
«Stai pensando di non farlo? Di rimanere qui?»
«Sto riflettendo se andare io e di certo non noi...» Le confessò preparandosi alle sue rimostranze.
«Vuoi combattere da solo e lasciarmi qui?» Gli chiese con le lacrime che le minacciavano di uscirle dagli occhi. Lupin le si avvicinò e le prese le mani:
«Lotterei con Voldemort in persona al tuo fianco, mi ergerei a muraglia contro i Mangiamorte con te, morirei con te, amore. Perché senza di te non valgo neanche la metà in confronto a quando ho te accanto, ma non posso permettertelo. Teddy ha bisogno di te, di sua mamma, lui non può capire una tua assenza, io sì e l'adulto sono io, non sarebbe giusto, è mio compito sacrificarmi non il suo», pronunciò quelle parole senza avere la forza di non piangere.
«Allora resta, non gli basterei solo io, ha bisogno anche del papà», lo pregò, ma furono proprio quelle sillabe a rendere tutto chiaro a Remus, senza volerlo lei gli aveva fornito la chiave per la soluzione.
«Sai vero che questa non sei tu a parlare?»
«Che intendi?» Gli chiese confusa.
«La Dora che conosco non metterebbe mai i propri sentimenti davanti al bene comune, hai lottato sempre fino allo stremo per ciò in cui credi e contro il male, sia come Auror che come membro dell'Ordine. Sai perfettamente che non possiamo permetterci di pensare solo a noi, è nostro dovere combattere, per Harry, per tutti, per un futuro migliore e perché nostro figlio possa vivere in un mondo pacifico», le sollevò il mento per non permetterle di chinare la testa, «Non vergognarti, non sentirti in colpa per la tua richiesta, fino a un attimo fa ero afflitto dagli stessi dubbi e guidato dal medesimo desiderio, ma tu mi hai fatto capire che non agiremmo per il giusto e ciò di certo non ci renderebbe più tranquilli.» Lei provò a interromperlo ma lui l'anticipò, «Allo stesso tempo Teddy necessita di sicurezza e serenità e tu sei la persona più indicata per questo; dobbiamo lottare ma separatamente.»
«Stando nascosta qui sarò inutile, non darò alcun contributo alla battaglia, l'hai detto tu stesso, sono un Auror, come posso tirarmi indietro?!» Ninfadora si stava agitando sempre di più, non avrebbe mai voluto ritrovarsi in una situazione del genere; aveva finalmente conquistato suo marito e già rischiava di perderlo di nuovo. Quante volte aveva vissuto la sensazione che il suo cuore si frantumasse in mille pezzi, ora era ancora peggio. Non era più il tempo di scherzare, tergiversare, era il momento di essere razionali, di non farsi prendere dal panico o dall'egoismo; c'erano cose più grandi di loro da cui non potevano fuggire, o tutto ciò che avevano fatto fino ad allora sarebbe stato vano.
«Amore, ascoltami, posso capire come ti senti, sai perfettamente ciò che ho pensato a ogni luna piena quando non ero in grado di prendere parte alle missioni. Ti ricordi cosa mi dicevi?»
«Che di sicuro ci sarebbero state altre occasioni o modi per essere utile alla causa...» Rispose in un sussurro.
«Appunto, sei sempre stata tu a incoraggiarmi a ascoltare il mio cuore e a seguirlo», sollevò una mano e gliela posò sul cuore, «Che cosa sta dicendo ora il tuo?»
Dora si prese un secondo, tirò un respiro profondo e poi si decise a parlare:
«Che ti amo, che potrei morirne se dovessi perderti, ma che sarei ingiusta se ti fermassi.»
«Ecco», le prese la mano e se la posò all'altezza del petto, «Ora senti il mio, sta pronunciando le stesse identiche cose. Combatteremo ognuno a modo suo, con un compito diverso, ma entrambi siamo consci del fatto che niente davvero potrà mai separarci, ti porto qui e nella mia testa ogni istante, anche se dovessi essere lontano chilometri...»
«E io te...»
«Mi accompagni a salutare Teddy?» Dora annuì, non aveva la forza di pronunciare quelle due lettere, era sempre più sopraffatta dall'angoscia.
Si diressero in camera e per quanto fosse difficile Remus cercò di salutare il figlio, lo prese in braccio consapevole che avrebbe potuto trattarsi dell'ultima volta:
«Teddy, porto un peso addosso sin da piccolo e ho fatto tanti errori nella mia vita, ma la tua mamma mi ha guardato con occhi diversi, ha visto oltre, dentro di me e mi ha dato non una, ma più possibilità, se c'è qualcuno che può insegnarti cosa significa ascoltare, amare e come aprire le braccia all'accoglienza, è lei. Papà ora deve andare, ma sono certo di lasciarti con la persona migliore del mondo, spero con tutto il cuore di essere di ritorno tra qualche ora ma...»
«Non dirlo, Remus... Ti prego...» Lo interruppe Dora, scossa dai singhiozzi, lui la osservò per un istante e poi continuò:
«Se così non dovesse essere, sappi che tutto ciò che io e la mamma abbiamo fatto è stato pensato per te, con la speranza che tu possa vivere in una realtà più giusta e serena di quella di ora... Ti voglio bene, piccolo mio, mi raccomando non farla ammattire, quando si arrabbia è davvero brava a urlare, forse anche più di te.» Tonks si lasciò scappare un sorriso di fronte a quell'ultima frase e, dopo che Lupin ebbe baciato il piccolo e rimesso a dormire, lo seguì alla porta.
«Oh, Rem...» Gli gettò le braccia al collo e lo strinse come non mai, «Promettimi che farai di tutto per tornare da noi, io davvero non so se posso farcela senza di te...»
«Certo che puoi, la roccia sei tu tra i due, lo sei sempre stata... »
«Ma con te è decisamente meglio... Non azzardarti a farmi scherzi, Lupin!»
Il salotto di quella casa aveva assistito a così tanti momenti tra loro, la prima volta in cui lui si era perso tra i suoi libri e avevano scoperto di possedere una passione in comune, la sera precedente alla partenza per il branco in cui si erano donati l'uno all'altro senza riserve, il dolore di Dora quando era lontana all'amato, i loro momenti di lettura da fidanzati e poi da sposati, la fuga di Remus, le coccole al pancione, gli scherzi, i giochi; semplicemente aveva vissuto loro e ciò che li univa. Ora, se avesse posseduto un cuore, di sicuro la stanza lo avrebbe sentito spezzarsi; quella situazione non avrebbe mai voluto condividerla, ma purtroppo era inumana e gli era impossibile tapparsi le orecchie o chiudere gli occhi.
I coniugi non sapevano davvero dove trovare la forza per staccarsi, si diedero un lungo e disperato bacio, diverso da tutti gli altri, era un addio che sapeva di lacrime, sale, dolore, preoccupazione ma c'era una cosa che non mancava mai. L'amore era il motore che faceva girare il meccanismo, che guidava le loro scelte, ogni movimento e, per loro, sarebbe sempre stata l'unica vera certezza. Si allontanarono a fatica, come due calamite da dover forzare per far sì che si stacchino l'una dall'altra; si guardarono, con una forza e intensità tale da poter spazzare via un'intera foresta di alberi, poi Remus ritrovò la voce:
«Ti porto con me, non dimenticarlo...»
«E io sono con te, in un modo o nell'altro... Ti amo, mio sciocco e adorato marito.»
«E io amo te, mia meravigliosa e pazza metamorfomaga.»
Si lasciarono andare a una risata, si concessero un attimo di leggerezza perché, alla fine, la speranza non la perdevano mai. Sii strinsero un'ultima volta e Remus si smaterializzò.
Ninfadora si sedette sul divano, non voleva continuare a piangere, non sarebbe servito né a lei né al piccolo, ma il dolore la stava letteralmente stritolando, come se mille pugnali la stessero trafiggendo in contemporanea, senza mai smettere. Non era in grado di stare ferma, continuava a alzarsi e rimettersi giù sul sofà; i dubbi iniziarono presto ad assillarla, se fino a quando c'era stato Remus era convinta di aver preso la decisione giusta, ora non lo era più. Non si dava pace, non era in grado di capire che cosa volesse davvero, se rimanere nascosta e proteggere Teddy o correre a supportare il marito.
Così seguì l'istinto, da sola non era capace di comprendere e chiamò, con un patronus, l'unica persona che potesse essere di aiuto a schiarire la mente.
«Mamma...» Disse non appena la vide arrivare pochi secondi dopo.
«Bambina mia, che succede? State bene?» Domandò subito Andromeda preoccupata.
«Sì, ma Remus è dovuto partire, tra poco ci sarà la battaglia finale...»
«E tu non sai che cosa fare, giusto?» Le chiese come se fosse una certezza.
«E tu come lo sai?» Domandò la figlia esterrefatta.
«Perché mi sono sentita esattamente così quando tuo padre è fuggito. Volevo seguirlo ma me lo ha impedito e ora mi torturo giorno e notte perché avrei preferito lottare con lui fino all'ultimo piuttosto che lasciarlo da solo...»
«Quindi mi stai suggerendo di andare?» La interruppe Tonks ancora più allibita.
«Sto dicendo che ogni scelta porta con sé delle conseguenze, sei una donna forte, pratica, incapace di stare ferma e lontana da uno scontro. Sei anche una madre, è vero, ma prima di tutto sei una donna e non devi dimenticare la tua identità e chi sei davvero. A mio nipote posso pensare io, tu puoi combattere e meglio di tanti altri che saranno laggiù», affermò, incoraggiandola.
«Quindi dovrei...»
«Vai, corri da Remus e portate a casa la vittoria!»
«Oh mamma!» Esclamò la giovane abbracciando sua mamma, sapeva che lei avrebbe potuto comprenderla a fondo. Prima di dirigersi verso Hogwarts, si fiondò a salutare Teddy:
«Amore mio, non so se questa sia davvero la soluzione più corretta, ma ho scelto di diventare Auror per schierarmi contro le ingiustizie, per cercare abbattere il male, non posso tirarmi indietro proprio ora. Di sicuro so che lo faccio anche per te, perché un giorno tu non debba vivere in mezzo alle tenebre come ora; so che possiamo sconfiggere Voldemort e lo faremo per tutti quelli come te che ancora, per fortuna, non sanno che cosa stia loro succedendo intorno. Tornerò, farò di tutto perché accada e mi porterò dietro tuo papà: tu, in ogni caso, ricorda quanto ti amo. Sei il regalo più grande che potessi ricevere. Fai il bravo con la nonna, è severa ma ti adora!»
Teddy dormiva profondamente ma, all'improvviso, il colore dei suoi capelli diventò di un rosa acceso, simile a quello che Tonks tanto adorava; era la conferma perfetta di cui aveva bisogno, un segno inequivocabile.
Si asciugò le lacrime che, inevitabilmente, erano scese lungo il suo viso; abbracciò ancora una volta Andromeda e poi sparì.
Arrivata alla scuola iniziò a correre per i corridoi, c'era un gran trambusto tra studenti che avevano iniziato a combattere, professori, volti più o meno noti, figure incappucciate, polvere, nebbia e luci di ogni sfumatura che saltavano da una parete all'altra. Non aveva idea di come avrebbe potuto trovare Remus in quel marasma e sperava con tutto il cuore di non essere giunta troppo tardi.
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Lupin faceva parte di un gruppo di alleati che stava combattendo nei giardini, qualche nemico era già riuscito a entrare ma, per fortuna, la maggior parte era ancora al di fuori di mura e stava tentando, in tutti i modi, di bloccarli.
Si sentiva debole, la mancanza di allenamento aveva rallentato i suoi riflessi e non sapeva per quanto tempo sarebbe stato capace di resistere. C'era solo un'immagine che lo teneva vigile, attivo e temerario: Dora concentrata e con lo sguardo innamorato, intenta a allattare Teddy. Loro erano la sua vera forza, la motivazione per non cadere, per proteggersi dagli attacchi e inviarne quanti più possibile.
La visione di quella dolcezza, del suo dono immenso e la consapevolezza di avere qualcuno da cui tornare, scatenava in lui una luce potentissima, splendente anche più del sole, capace di muovere con velocità la mano che reggeva la bacchetta o i suoi piedi per scansare i colpi. Senza quella non era nulla, sua madre gli aveva dato la vita ma sua moglie un senso che altrimenti non avrebbe mai avuto.
Per un po' riuscì a mantenere quel ritmo, a non farsi sopraffare, ma fu quando vide Antonin Dolohov che iniziò davvero a temere per sé. Sapeva quanto fosse bravo con le Arti Oscure, uno dei migliori Mangiamorte della schiera di Voldemort.
Non voleva pensare al peggio ma, quando iniziarono a duellare, la sensazione che si stesse avvicinando alla fine prese a stringergli il petto in una morsa. Ancora una volta gli occhi teneri di Ninfadora gli si affacciarono alla mente e, con la consapevolezza di non essere solo ma di avere la sua metà lì con lui, non si lasciò intimorire.
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Tonks continuò a correre, cercando di difendersi dagli incantesimi volanti e lanciandone il maggior numero possibile. Riconobbe la figura di Ginny che, stupita dal vedersela davanti, le diede indicazioni per trovare Remus.
La donna non perse tempo, non erano necessarie spiegazioni o ulteriori parole, aveva un solo obiettivo e niente l'avrebbe fermata.
Si diresse fuori e, in lontananza, individuò subito la figura dell'amato, avrebbe potuto riconoscerlo tra milioni di persone ma, soprattutto, notò la sua stanchezza e lentezza, non era il duellante che aveva conosciuto. La paura si impossessò di lei e minacciò di bloccarla ma non era tipo da concederglielo, così si avvicinò sempre di più, colpendo con ferocia chiunque provava a mettersi tra lei e Lupin.
E fu allora, ormai al fianco del marito, che sentì le parole che più odiava e temeva al mondo:
«Ava...»
«Remuuuus!!! Nooooooooo!!!»
Gridò al di sopra del Mangiamorte e poi fu il buio, come quando, a teatro, un sipario cala alla conclusione dell'ultimo atto e lascia lo spettatore con l'incertezza che lo spettacolo sia davvero finito.
Spazio Autrice:
Dico solo una cosa... Ci rivediamo nell'epilogo!
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