Capitolo 22
Il 1° settembre, per i maghi e le streghe, era, da secoli, un giorno molto particolare; ognuno lo viveva a modo suo, i più piccoli erano di sicuro impauriti oltre che ansiosi di cominciare, i grandi invece non vedevano l'ora di incontrarsi di nuovo e di ripercorrere i familiari e amati corridoi di Hogwarts. Ciò che di sicuro accomunava tutti era l'estremo stato di eccitazione con cui affrontavano l'attesa dell'Espresso, al binario 9 e ¾ di King Cross.
Sembrava di assistere ad una grande festa, genitori che incitavano i propri figli a sbrigarsi, carrelli spinti alla velocità della luce come se fossero macchine autoscontro babbane, bauli stracolmi che riuscivano a rimanere chiusi grazie al supporto della magia; la baraonda era accompagnato da urla, risate, pianti di commozioni e abbracci lunghi un'eternità.
C'era però qualcuno, che quel giorno, non riusciva a viverlo come era stato solito fare per sette anni.
Dora era posizionata vicino ad una colonna della stazione in modo da non trovarsi in mezzo alla calca e avere una chiara visuale della situazione. Sperava di non essere notata da chi la conosceva e, probabilmente, grazie alla sua trasformazione, nessuno lo avrebbe fatto.
Un cambiamento dettato, non da una delle sue metamorfosi, ma da un sentimento che continuava a logorarla sempre di più e a cibarsi delle sue energie e positività. L'amore era la causa del grigio definito dei suoi capelli, del suo dimagrimento e pallore.
Se prima era come una candela appena accesa, splendente e forte, ora la cera si era completamente sciolta, portando via con sé tutto il calore che era capace di irradiare e lasciando solo un piccolo moccolo annerito.
Non c'era più il rosa, il sorriso che riusciva a contagiare chiunque si trovasse al suo fianco, la carica con cui affrontava ogni dì, anche il più duro; la lontananza da Remus e il suo rifiuto le avevano rubato tutto. Si sentiva come se avesse affidato la sua anima all'uomo che amava e, mano a mano che il tempo passava, la luce che lui manteneva viva, si affievoliva con maggior prepotenza.
Non era in grado di partecipare alla gioia collettiva che la circondava, percepiva la confusione in maniera ovattata, come protetta da una bolla di sapone; l'unica parte di sé che manteneva vigile erano gli occhi.
Aveva un dovere da compiere: verificare che non ci fossero intoppi e accertarsi che gli studenti prendessero quel treno senza essere ostacolati.
Il dolore la stava distruggendo, non poteva né voleva negarlo, ma era un Auror e niente avrebbe mai potuto impedirle di adempiere ai suoi obblighi; nonostante stesse vivendo una sofferenza mai provata prima, non si sarebbe lasciata sopraffare al punto di non poter più lavorare.
Non era a suo agio in quella situazione, faticava a respirare in maniera naturale e desiderava solo poter fuggire e non essere più così esposta.
Pochi minuti dopo, finalmente, il mezzo, con a bordo tutti i ragazzi, partì e Dora buttò fuori l'eccesso d'aria trattenuto nel suo corpo, insieme al vapore seguito dal suo tipico fischio.
Qualche ora dopo, aveva già preso posizione ad Hogsmeade, pronta a verificare che gli allievi si dirigessero verso Hogwarts.
Di nuovo si piazzò in un punto non molto visibile, ai giovani sarebbe parso strano vedere un estraneo a sorvegliarli; spettava a Silente il compito di avvisarli della presenza sua e dei colleghi alla scuola.
Vide passare Hermione, Ron, Ginny, i gemelli e alcuni dei loro amici che conosceva solo per nomea, ma si accorse subito della mancanza di Harry. Notò come il gruppo si guardava intorno, alla ricerca di qualcuno, sicuramente di lui, ma non poteva richiamare la loro attenzione per porre delle domande. Avrebbe dovuto cavarsela da sola e tentare di capire che cosa fosse successo.
Un senso crescente d'ansia iniziò a impadronirsi di lei, stringendole lo stomaco in una morsa; non appena il binario fu sgombro, Tonks cominciò a percorrerlo a passo svelto, con la bacchetta sollevata, pronta per qualsiasi evenienza.
Si accorse di un vagone che stonava con gli altri, perché le tendine non erano state tirate su, difficilmente c'era chi volesse dormire durante il viaggio; l'adrenalina, di solito, impediva a chiunque di rilassarsi.
Salì sul treno che appariva tranquillo, ma soprattutto, vuoto. Sentì la classica vibrazione di accensione del motore e, senza indugi, pronunciò:
«Homenum Revelio.»
Sul pavimento, coperto dal Mantello dell'Invisibilità, c'era proprio Potter, ricoperto di sangue e immobile come una statua.
«Ciao», gli disse prima di scongelarlo, in modo da permettergli di sedersi e ritrovare stabilità.
«Che cosa ci fai qui?» Era oltremodo stupito di vederla, ma anche grato, se non fosse stato per lei nessuno lo avrebbe soccorso.
«Silente ha richiesto la presenza degli Auror per proteggere la scuola, quindi ora sono distaccata qui.»
Lo aiutò a rialzarsi e si offrì di sistemargli il naso e, nonostante il ragazzo non fosse del tutto fiducioso, glielo permise. Aveva avuto brutte esperienze in passato, ma Dora era stata addestrata per riparare danni lievi, senza il bisogno di ricorrere ad un medico esperto.
«Non perdiamo tempo, dobbiamo scendere, il banchetto di benvenuto ti aspetta», disse in un tono molto diverso da quello abituale.
Saltarono giù dalla locomotiva che ancora non aveva preso velocità e si avviarono verso la scuola; la donna lo invitò ad indossare il suo magico indumento, così da non correre rischi inutili ed inviò un Patronus ad Hagrid per avvisarlo del suo ritardo, di sicuro si sarebbero preoccupati non vedendo arrivare il ragazzo.
Percorsero i metri che li separavano dalla loro destinazione in silenzio, era inevitabile notare lo stato di apatia con cui si presentava Ninfadora, Harry presupponeva che dipendesse dalla recente scomparsa di Sirius, ma non riusciva a trovare parole di consolazione adatte. Non era mai stato bravo in certe cose e sperava di potersi separare da lei quanto prima; quella nuova versione di lei lo rendeva nervoso e lo metteva a disagio, più di quando era una grande chiacchierona curiosa, sempre pronta a fare domande.
Arrivarono ai cancelli, ma non potevano varcarli senza il supporto di qualcuno a conoscenza degli incantesimi di protezione, che vi erano stati lanciati. Attesero pochi minuti quando videro apparire la luce d'una lanterna:
«Guarda, qualcuno sta venendo a prenderti», esclamò Dora, in cuor suo contenta di poter concludere quella giornata; aveva temuto di essere costretta a passare la notte con il prescelto e, avere compagnia, era l'ultima cosa che bramava.
Rimase sorpresa quando identificò la persona, che prese subito a parlare:
«Potter, che onore, pensavo che quest'anno non volessi degnarci della tua presenza», Piton lo scrutò dall'alto in basso e poi proseguì, «Niente divisa? Vuoi dare il via ad una nuova tradizione? Immagino che speri di trovare nuovi accoliti entusiasti della tua idea di indossare abiti babbani.» Non gli diede il tempo di replicare e si rivolse a Tonks:
«Non è necessario che lo aspetti Ninfadora, ovviamente il ragazzo è in buone mani», aggiunse lanciandogli un'occhiata di disgusto.
«Il mio messaggio era per Hagrid, in realtà», rispose non senza rabbrividire all'udire il suo nome.
«Credevi davvero che mi sarei potuto perdere la novità?»
Harry li guardò confuso, senza capire a che cosa si riferisse, ma non si lasciò sfuggire lo sguardo truce che la ragazza lanciò all'uomo.
«Sono rimasto deluso sai, quello di prima era più potente e luminoso, ora direi che è alquanto...come dire...palliduccio, ma d'altra parte non potrebbe essere altrimenti, rispecchia perfettamente l'aspetto del suo primo proprietario.»
L'Auror si sentì gelare di fronte all'acidità di quelle parole, non solo per il tono che Severus aveva usato, ma anche per la supponenza con cui l'aveva osservata; come se provasse un profondo ribrezzo; lui, che invece, di cuori infranti ne sapeva più di chiunque altro.
Preferì non avviare una discussione ma salutare il ragazzo che, nel frattempo, aveva affiancato il suo insegnante pronto a seguirlo e sempre più allibito da ciò che era stato detto in maniera, per lui, incomprensibile.
Si avviò di nuovo verso il paese, per mettere quanta più distanza possibile da ciò che aveva appena sentito, come se l'alone di negatività emanato da quel discorso la stesse rincorrendo.
Non era da molto che il suo Patronus era mutato assumendo la forma di un lupo, come quello di Remus e doveva ammettere di esserne rimasta alquanto sorpresa.
Sapeva che potevano subire cambiamenti, ma non si aspettava di certo che succedesse a lei.
Se ne era accorta una mattina, per l'ennesima volta non era riuscita a dormire e le si era presentato il bisogno di avvertire Kingsley del suo ritardo. Aveva fatto vari tentativi ma inutili, la sua depressione non le permetteva di lanciare l'incantesimo in maniera adeguata; dalla bacchetta uscivano solo piccole e deboli scintille luminose. Non poteva certo dire di non possedere ricordi felici, ogni momento passato accanto a Lupin lo era, ma anche il pensiero del loro primo bacio sembrava aver perso intensità, come se fosse un segno premonitore del fallimento di una relazione tra di loro.
Non aveva perso la fede, avrebbe sprecato fino all'ultimo misero rimasuglio di fiato per tentare di fargli cambiare idea; il non averlo vicino le impediva, però, di portare avanti la sua battaglia e questo la tormentava, ogni istante, in maniera più potente. Si sentiva come uno scoglio che viene eroso, ogni giorno con maggiore intensità, dalla potenza del mare; le sembrava di essere una di quelle rocce che tenta in tutti i modi di resistere, ma che non può fuggire all'inevitabile sgretolarsi, causato dalla forza dell'acqua. L'uomo era paragonabile a quell'elemento: aveva la capacità di dissetarla e di soddisfare i suoi desideri e, allo stesso tempo, di scontrarsi contro di lei e distruggerla.
Rammentava perfettamente che si era lasciata andare ad un fiume di lacrime, come l'avevano sconquassata i singhiozzi, davanti a quel nuovo segno di debolezza. Aveva perso i suoi poteri di Metamorfomago, non poteva permettersi di smarrire anche la potenza degli incantesimi; lo doveva a se stessa, a quanto aveva duramente studiato per diventare un Auror, a chi si affidava a lei per portare avanti la guerra contro il male.
Aveva cercato di ritrovare la calma, sussurrando e chiedendosi:
«Remus che cosa mi hai fatto...»
Nonostante le uniche testimoni di quello sfogo fossero le pareti spoglie della sua nuova stanza a Hogsmeade, qualcuno sembrò ascoltarla; forse quell'unico barlume di lucentezza che le pulsava nel petto. Con suo enorme stupore aveva visto la propria bacchetta dare forma ad un animale diverso dal suo coniglio; le bastò un secondo per appurarne la somiglianza con quello della persona che le aveva rubato ogni parte di sé.
Impossibile dimenticare quel momento, era rimasta incantata davanti a quel lupo che, ai suoi occhi, appariva fiero e splendente come non mai; probabilmente perché a lei non aveva mai dato fastidio il problema di Lupin, forse perché l'aveva sempre vista come un qualcosa di affrontabile.
Non aveva bisogno di conferme, conosceva benissimo l'intensità del suo sentimento, sia per quanto riguardava i risvolti negativi, sia i positivi; era stupita, però, dal constatare in prima persona quanto, anche la magia, fosse influenzata dalle emozioni.
Per la prima volta non aveva più modo di trasformarsi e assisteva ad un mutamento sostanziale del suo fedele messaggero; per la prima volta aveva scoperto quanto l'amore possa travolgerti, trasformarti, modificare ogni prospettiva, indirizzare i pensieri; farti rabbrividire per un semplice tocco, incendiare ogni fibra del tuo essere, farti piangere come mai avresti creduto possibile o sfiorare il cielo senza necessariamente volare, cavalcando una scopa.
Con quell'ulteriore novità Dora aveva davvero compreso che non c'è niente che possa fermare un cuore che batte incessantemente, non più solo per la propria sopravvivenza, ma anche per adeguarsi al ritmo del suo gemello che tanto ha faticato per trovare.
Se il rifiuto aveva reso possibile tutto ciò, la donna nutriva sempre di più la speranza che, il vivere ciò che li legava, avrebbe potuto irradiare di luce vera il loro mondo, quello che si affannavano a proteggere.
Non avrebbe concesso a Piton, o a nessun altro come lui, di fermarla; le occhiate di disapprovazione non potevano cancellare un sentimento come quello, anzi solo infuocarlo ancora di più e, se c'era una cosa che Tonks aveva giurato a se stessa, era che mai avrebbe smesso di mostrare a Remus quanto meritasse di restare al suo fianco. Non aveva importanza la quantità di tempo necessaria, lei era certa che prima o poi sarebbe riuscita a farlo capitolare.
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L'estate per Remus era trascorsa in maniera relativamente tranquilla, non aveva ricevuto particolari pressioni da parte di Greyback e aveva cercato di avvicinarsi a Luke. Era un ragazzo socievole, se lo si conosceva meglio, spiritoso e, soprattutto, desideroso di imparare cose nuove.
L'uomo era per lui come un cicerone che lo guidava alla scoperta di tematiche di cui neanche aveva mai sentito parlare; Lupin sperava di riuscire a fargli vedere gli aspetti positivi della magia, le qualità che caratterizzano l'essere umano e non solo i difetti che era abituato a conoscere. Ciò che aveva assimilato vivendo con il branco lo aveva portato ad inaridirsi, ad essere scostante, diffidente con chiunque; ma, il suo nuovo compagno di stanza, lo invitava ogni giorno di più ad aprirsi, a prestare l'orecchio all'ascolto di verità diverse dalle uniche a cui era stato costretto a prestare attenzione.
Nonostante stessero instaurando un rapporto e ciò infondesse speranza nel cuore di Remus, per la buona riuscita della missione, non poteva allontanare, dalla sua testa, le immagini che continuavano ad affacciarvisi.
L'importanza del suo compito era indiscutibile ma, Dora, aveva comunque la priorità nei suoi pensieri e cuore. C'era una frase del romanzo "Persuasione" che continuava a ripresentarsi, come un eco, nella sua mente:
"Non potevano esservi stati altri due cuori così aperti, altri gusti così simili, altri sentimenti così all'unisono, altri volti così amati".
Per quanto fosse sbagliato, pericoloso e ingiusto, trovava perfette quelle parole per ciò che avevano condiviso; perché sebbene sapesse che Tonks meritasse di meglio, credeva che nessuno avrebbe mai potuto amarla di più, era pressoché impossibile; così come aveva la certezza che lei era la sola capace di donarsi a lui, in maniera completa e incondizionata.
Ogni volta che pensava al suo sorriso, gli occhi luminosi, le onde rosa che le ricadevano sulle spalle, il tocco gentile, veniva scosso dai brividi e il petto gli si infiammava; ma, al contempo, una voce dentro di sé, forse quella della sua coscienza, gli rammentava l'essere indegno che era e gli sbagli che aveva commesso.
Ninfadora era per lui croce e delizia e, c'erano dei momenti, in cui si sarebbe buttato a capofitto nelle lingue rosse dell'inferno pur di avere la possibilità di sfiorarla ancora una volta o baciarla fino ad esaurire anche l'ultima briciola d'aria custodita dai polmoni.
Si illudeva di poter occupare le ore parlando e scambiandosi racconti con Luke, ma lei era sempre presente, al pari delle cellule del proprio corpo.
Erano ormai vicini all'equinozio d'autunno quando Greyback ordinò a Lupin di recarsi a Hogwarts a rubare le erbe di cui avevano bisogno. Ovviamente non sarebbe andato da solo ma con il suo giovane nuovo amico; il capo non si fidava ancora del tutto di lui e desiderava che ci fosse qualcuno a sorvegliarlo. Gli era noto l'attaccamento di Remus a quella scuola, nonché al preside che gli aveva concesso di frequentarla; temeva quindi che potesse ingannarlo e non adempiere all'incarico affidatogli.
Lunastorta, approfittando come sempre, di un momento di tranquillità post luna piena, era riuscito ad avvisare Silente dei piani di Fenrir e gli aveva preannunciato ciò che gli serviva e che presto sarebbe andato a prendere.
Albus gli aveva fornito le istruzioni per potere superare i cancelli, così, quella fresca serata settembrina, non gli fu difficile aprirli.
«Accidenti, è stato un gioco da ragazzi!» Esclamò Luke al suo fianco, mentre ispezionavano l'area, controllando che non ci fosse nessuno nei dintorni.
«Non dimenticare che sono stato un professore, ero tenuto a sapere tutto riguardo alla sicurezza», gli rispose sperando di risultare credibile.
«Ora che facciamo?» Domandò mentre fissava incantato le affascinati guglie delle torri dell'edificio. Era la prima volta che le osservava e era impossibile non soffermarsi ad ammmirare come svettavano verso il cielo e davano vita ad un gioco di luci in netto contrasto con il buio della notte.
Lupin si intenerì davanti ai suoi occhi sognanti, era un peccato che non avesse potuto studiarvi, camminare per quei lunghi e interminabili corridoi, diventare matto per i continui spostamenti delle scale o conoscere il vero significato di amicizia. Purtroppo però, non erano lì per un giro turistico e dovevano muoversi.
«La serra si trova da quella parte», gli disse puntando il dito verso l'infinita distesa d'erba, poi proseguì, «Dai andiamo, non abbiamo tempo da perdere.»
Presero a correre, poi Lupin si arrestò e gli indicò il chiostro, dove spesso aveva trascorso i suoi momenti di pausa con i malandrini:
«Tu resta qui, così potrai sorvegliare la zona, io vado a prendere le scorte.»
«D'accordo, fai presto e torna vincente, così facciamo contento il capo», replicò facendogli l'occhiolino.
L'ex professore sperava davvero di fare una buona impressione, era proprio ciò che gli serviva per fornire prove di fiducia a Fenrir. Il gazebo a lui tanto familiare non si trovava molto lontano, ma procedette comunque a passo svelto per non impiegare troppo tempo.
Era quasi giunto a destinazione quando notò la sagoma di una persona camminare nelle vicinanze del tendone, come se stesse facendo una sorta di ronda. il preside gli aveva comunicato dell'aumento della sorveglianza, quindi doveva sicuramente trattarsi di un Auror.
Si appostò dietro ad una grossa quercia, nell'attesa che si spostasse e lui potesse avere il via libera; quando si fermò e mise a fuoco, però, il respiro gli si mozzò in gola e il cuore iniziò a battere all'impazzata.
Era voltata di spalle, ma era impossibile non riconoscere il suo modo di camminare, o come le svolazzava il mantello nero ad ogni movimento; i capelli non erano i suoi o, per lo meno, non del colore che adoravano entrambi, ma lui si era perso a guardarla così tante volte che avrebbe potuto identificarla anche in mezzo alla più opprimente delle calche.
Come succedeva quando si trovava in sua presenza, rischiava di perdere ogni capacità di raziocinio; mentre ogni parte del suo essere gli gridava di raggiungerla, la testa gli imponeva di fermarsi.
Nel frattempo, nel perdurare della sua lotta interiore, non si era accorto del fatto che Tonks, ora, si stesse dirigendo verso di lui; preso alla sprovvista, d'istinto, scattò indietro, come se dovesse fuggire da un nemico. Calpestò una foglia, il cui scricchiolio mise subito in allarme la ragazza.
«Chi c'è?» Chiese sollevando la bacchetta. L'uomo si accorse immediatamente del cambiamento ma, per quanto si presentasse cupa e spenta, per lui era luminosa come il primo giorno che aveva messo piede nella sua miserabile vita. Non voleva spaventarla e, in ogni caso, lo avrebbe trovato, così decise di uscire allo scoperto.
«Sono io...»
«Rem...» Tre lettere faticose da pronunciare e accompagnate da un sussulto di sorpresa.
Neanche un "Petrificus Totalus" avrebbe potuto gelarli più di così, erano immobili, distanti l'uno dall'altro; le braccia abbandonate lungo i fianchi in segno di resa, gli occhi incatenati tra di loro pronti a scrutarsi e perdersi, come erano soliti fare prima di quella separazione forzata, le labbra leggermente socchiuse che non bramavano altro che potersi toccare di nuovo, il petto di entrambi che si alzava e abbassava a ritmo, alla ricerca dell'ossigeno che solo l'altro era in grado di donargli. Come in una danza, tutto era in sincronia; nonostante la lontananza, in un attimo, l'uomo aveva ritrovato la sua prima ballerina, perché non sarebbe bastato un intero corpo di ballo per fargliela dimenticare.
L'amore è così, può farti raggiungere le più alte vette che conducono all'Olimpo o lanciarti nel profondo dirupo fino ai confini della terra; ma solo quando è quello giusto, non smette mai di tenere legate due persone da un filo invisibile e indissolubile, che neanche il tempo e lo spazio possono tagliare.
Remus aveva detto così tante volte a Dora che lo avrebbe dimenticato e trovato qualcuno di migliore, ma come poteva spiegargli che solo con lui era in grado di riconoscersi, di ritrovare il suo vero io che smarriva quando la rifiutava; di respirare, di sorridere e, quella sera, ne aveva avuto l'ennesima conferma.
Cercò di avvicinarsi, ma lui, comprese le sue intenzioni e le disse:
«Non qui», la prese per mano, con fare protettivo e la portò con sé all'interno della serra, non senza essersi prima guardato intorno.
Tonks non attese un secondo di più e si gettò tra le sue braccia, si aggrappò al suo mantello come per constatare che fosse reale e non un'allucinazione, inspirò il suo profumo familiare e si lasciò semplicemente ricomporre. Remus non riuscì a fermarla, ancora una volta la passione ebbe la meglio sulla razionalità; la accolse e dimenticò il resto.
Erano di nuovo a casa.
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