65. INCIDENTI PT.2
La pioggia continua a martellare contro le finestre della luminosa sala d'attesa, le gocce che si rincorrono giù per il vetro come serpenti d'acqua attorcigliati l'uno con l'altro. Ogni tanto, un bagliore accecante squarcia la cortina di nubi nere e si rifrange sulle piastrelle bianche o sul pavimento di linoleum, seguito da un gorgoglio prolungato che riecheggia nella notte.
Dal mio arrivo alla villa, mi è successo spesso di sentirmi un'intrusa. Quando la cucciolata ha accolto il ritorno del padre, ad esempio, oppure durante i litigi dei loro genitori, o talvolta persino nelle serate passate a mangiare pizza e parlare di stupidaggini. Ma niente è paragonabile alla sensazione che sto provando adesso nel violare il dolore di una famiglia spezzata.
Perché davvero non esiste una parola più appropriata per descrivere gli Hallander al momento, se non questa: spezzati.
Liam è l'unico in piedi, le mani infilate nelle tasche dei pantaloni e uno sguardo assente sul viso. Da più di un'ora sta osservando immobile il panorama offerto dalla vetrata che si affaccia al terrazzo coperto, rianimandosi solo per controllare il telefono con insolita frequenza per poi ripiombare nel suo stato di trance.
Su un divanetto di pelle, Eileen è accoccolata contro il petto del gemello e lo stringe in un abbraccio carico di bisogno mentre Simon le accarezza distrattamente la schiena, districandole i nodi dei ricci con le dita. Kal si è abbandonato per terra accanto a un tavolino con un vaso pieno di fiori bianchi, intento a sfogliare uno dei suoi fumetti. A giudicare dal modo in cui gira le pagine, scorrendo a malapena le vignette, non credo stia badando troppo alla lettura.
Toby, invece, sta riposando con la testa posata sulla spalla di Carol, così raggomitolato sulle sue gambe da sembrare ancora più piccolo di quanto sia in realtà. Lei è stata l'unica a riuscire a farlo smettere di piangere, cullandolo dolcemente fino a che non le si è addormentato in grembo; cosa che ha irritato non poco Jacqueline, che dalla sua poltrona ancora sta scoccando occhiate velenose alla donna.
E poi ci sono io che li guardo a uno a uno, in disparte, cercando di capire cosa dovrei provare.
Non sono affezionata ad Alizée e non nutro particolare simpatia per Ian, ma neanche per un secondo ho sperato che capitasse loro qualcosa di brutto. Perdere una madre non è molto meglio di non averne mai avuta una, e conosco la sensazione di dire addio al proprio padre. Nessuno lo meriterebbe, di sicuro non gli Hallander.
Per Edric, invece, è diverso.
Anche se non abbiamo trascorso molto tempo insieme, non posso negare che una parte di me ha cominciato a considerarlo un amico. Escluso Klaus, nessuno meglio di lui sa quanto sia logorante la paura di non essere accettati per quello che si è, o peggio ancora a non stare bene con noi stessi. Forse per questo, quando origliavamo la discussione tra i suoi genitori e sua nonna, entrambi abbiamo avvertito l'istinto di proteggerci a vicenda.
Un rumore secco infrange il silenzio, provocando un sussulto generale.
«Scusate» farfuglia Kal, mettendo via il giornalino che ha appena chiuso di scatto. Si tira su e, dopo essersi spolverato il retro dei pantaloncini, si incammina verso la porta.
Eileen si raddrizza. «Dove vai?»
«Alla macchinetta. Ho fame».
«Vuoi che ti accompagni, tesoro?» mormora Carol in tono ansioso, sistemando meglio il bambino in braccio.
Kal scuote il capo e sparisce dietro la porta.
Mi sollevo, faccio cenno a Simon di non preoccuparsi ed esco nel corridoio. Essendo tardi e trovandoci in un'ala riservata, l'ospedale – che sarebbe una clinica privata – è piuttosto tranquillo. In giro c'è solo qualche manciata di infermieri che vanno in tutte le direzioni e dottori in camice bianco che confabulano tra loro, quindi è piuttosto facile distinguere un ragazzo con una spirale di colori sgargianti sulla maglietta.
Quando lo raggiungo, si volta a guardarmi con la fronte aggrottata. «Che c'è, hai paura che mi perda?»
«No. Ho paura di perdermi io». Faccio spallucce. «Pessimo senso dell'orientamento».
Svoltiamo l'angolo, superiamo i bagni e raggiungiamo una serie di distributori automatici posti a pochi metri di distanza dall'ascensore.
Kal si ferma davanti a quello degli snack, infila una banconota e digita un numero sul tastierino. La molla inizia a ruotare, spingendo in avanti la barretta ai cereali, ma a metà operazione si blocca. «Mi prendi in giro?» borbotta, e sferra un calcio allo sportello.
«Potresti...»
Non ho il tempo di concludere la frase che ha già cominciato a riempire di pugni la macchinetta con una foga tale da attirare l'attenzione persino dell'inserviente che sta svuotando il cestino dei rifiuti.
«Okay, basta!» Afferro un lembo della sua t-shirt e lo strattono. «Non vorrai ridurla come Apollo Creed nel quarto film di Rocky».
Kal si libera bruscamente dalla mia presa. Apre la bocca per dire qualcosa, ma poi la richiude subito e si abbandona su una panca addossata al muro. Con i gomiti sulle ginocchia, affonda il volto tra le mani.
Rimango paralizzata per un istante, senza avere la minima idea di come aiutarlo. Persino i medici hanno evitato di sbilanciarsi per ora, limitandosi a riferire le dinamiche dell'incidente.
L'impatto è avvenuto dalla fiancata del conducente e di conseguenza Ian, che era sul lato passeggero, ha subito danni minori rispetto alla moglie, ma non abbastanza da escludere possibili lesioni interne. Ad aggravare la situazione, la Maserati è stata sbalzata contro un palo che, pur avendo impedito il ribaltamento, ha coinvolto la parte posteriore del veicolo dove si trovava Edric.
Dovrei mentirgli e rassicurarlo che andrà tutto bene, che i suoi genitori e suo fratello si riprenderanno, quando non ho nessuna certezza che sia vero?
Alla fine, capisco cosa devo fare: quello che Alan ha fatto per me dopo il mio, di incidente.
Stargli vicino, nient'altro.
Mi siedo al suo fianco, gli cingo la schiena e lo attiro verso di me. «Tranquillo» sibilo, dandogli delle pacche impacciate.
«Li faccio...» ansima Kal con il respiro affannato. «Li faccio sempre arrabbiare».
«Non è vero».
«Sì, invece». Quando una lacrima gli scivola sulla guancia, si affretta ad asciugarla con un gesto furtivo. «Ma gli voglio bene».
Gli scanso una ciocca scura dalla fronte, poi mi ritraggo e mi lascio ricadere contro lo schienale. Fissando un punto vuoto in lontananza, mormoro: «L'ultima cosa che ho detto a mia zia è stata che la odiavo».
Kal si gira di scatto. «Davvero?»
«Già. E ti assicuro che con lei mi comportavo cento volte peggio di te con i tuoi, o con Edric». Abbozzo un sorriso ironico. «Eppure è stata la cosa più simile a una madre che io abbia avuto in vita mia e mi piace pensare che lo sapesse». Conficco le mie iridi ambrate nelle sue, di un nero limpido. «E lo sanno anche loro, okay? Ne sono sicura».
Kal annuisce. Rovescia il capo all'indietro con un sospiro, restando in silenzio per qualche minuto, infine chiede timidamente: «Tu quando credi che... arriverà?»
Una fitta mi attraversa il petto. Per fortuna, proprio in questo momento le porte dell'ascensore si aprono, salvandomi dall'obbligo di decidere se rispondere con una bugia o con una verità che potrebbe solo farlo stare più male.
Un lampo di delusione balena sul volto di Kal. È ovvio che aveva sperato si trattasse di Klaus. «Ciao, zio».
Matt si avvicina incespicando e dà un buffetto sulla nuca al nipote. Indossa un giacchetto di pelle bagnato che, malgrado la pioggia, ancora emana un intenso odore di acqua di colonia. I capelli castani sono fradici, il volto pallido e gli occhi arrossati. «Ehi, che fate qui?»
«La macchinetta ci ha fregati» rispondo.
Un'espressione confusa gli spunta sulla faccia, fissandomi come se gli avessi parlato in klingon. «Ah sì, la macchinetta. Certo. Aspettate».
Avanza fino al distributore e gli dà una gomitata, o meglio ci si butta praticamente addosso. Si china per raccogliere la barretta e la lancia a Kal.
«Wow, grazie» commenta quest'ultimo, afferrandola al volo.
«Essere incazzati aiuta». L'uomo estrae delle monete dalla tasca, le inserisce nella fessura e prende una lattina di Dr Pepper. «A te serve niente, Keeley?»
Mi alzo sbuffando. «Se non c'è il bourbon tra le opzioni, no. Sono a posto».
Mentre ripercorriamo il corridoio, noto che Matt barcolla leggermente e continua a grattarsi il collo o le braccia. Non sembra molto preoccupato, solo nervoso, ma immagino che sia uno degli effetti di qualsiasi sostanza abbia assunto.
Non che io, mezza ubriaca e con lo stomaco in subbuglio per il gin, sia in uno stato migliore...
Davanti a me, Kal si paralizza così all'improvviso che gli finisco addosso. Ne capisco la ragione un istante dopo, quando vedo un dottore attempato che sta uscendo dalla sala d'attesa; accorgendosi di noi, abbozza un sorriso di cortesia e si scansa per permetterci di passare.
«Novità?» domando, entrando per prima.
Dentro regna un'atmosfera piuttosto tesa. Eileen sta macinando passi avanti e indietro, i boccoli rossi che le rimbalzano sulle spalle. Carol si copre la bocca con la mano per soffocare i singhiozzi, anche se trema così forte che è un miracolo che Toby non si sia svegliato.
Simon si è tolto gli occhiali e si massaggia le tempie, ma al suono della mia voce solleva subito lo sguardo. Nei suoi grandi smeraldi leggo un bisogno disperato che mi spinge ad andare a sedermi al suo fianco, sul divanetto.
«Nostro padre sta bene» esordisce Liam, appena Kal varca la soglia. Si sfila la pochette dal taschino della giacca e la porge a Carol.
Lei gli dà un buffetto sulla guancia e sibila: «G-grazie, caro».
«Anche Edric è fuori pericolo. Ancora dorme, ma dicono che potremo vederlo tra...»
«Non indorare la pillola, William!» Eileen si ferma e ci guarda con un'espressione cupa. «Ha rischiato di perdere un braccio e...» Fa una pausa per inspirare profondamente, quindi prosegue: «Non sanno se tornerà ad averne una piena mobilità».
«Ma sono ottimisti» aggiunge Simon, aggiustandosi gli occhiali sul naso.
Aggrotto le sopracciglia. «E vostra madre?»
Nella stanza cala un silenzio pesante come una scure. Un fascio di luce sfolgorante esplode nell'aria e il boato assordante di un tuono mi trapassa i timpani.
Liam estrae lo smartphone dai pantaloni, sbircia lo schermo per un secondo e, accigliato, lo rimette via. «La stanno operando. Nostra madre». Malgrado il tono fermo, la rigidità con cui si allenta il nodo della cravatta smentisce la sua maschera priva di emozioni. «Ha subito un trauma cranico che ha coinvolto l'area motoria del cervello. Se ce la farà, potrebbe comunque non camminare mai più o peggio».
«Ce la farà». Matt appoggia il gomito allo stipite della porta. «È una Blackwood. Hanno la pellaccia dura».
Jacqueline gli dedica un sorriso che le accentua le rughe attorno alle labbra. «Ha ragione. Il mio Jonathan è sopravvissuto a un tumore al pancreas e ben due infarti. Non fosse stato per quell'ictus, sarebbe ancora tra noi» annuisce, facendosi il segno della croce.
Sono quasi sul punto di ribattere – con il mio solito tatto – che il nonnino Blackwood vivo e vegeto è l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno, ma vengo distratta dal telefono che mi vibra nella tasca. Lo prendo di nascosto, cercando di non disturbare i presenti. Non rimango sorpresa nel riconoscere il numero del direttore Okri, ma il contenuto del suo messaggio mi coglie alla sprovvista. Lo rileggo più volte, incredula.
L'ho rintracciato.
Il tuo pick-up è molto lontano, in Louisiana. Per mia sicurezza non posso essere più preciso, ma credo tu sappia dov'è diretto o chi ci sia alla guida.
Ricorda che abbiamo un accordo, piccola Storm.
Louisiana può significare solo New Orleans, e questo vuol dire che...
Mio padre sta tornando a casa.
«PAPINO!» grida una vocetta stridula, riportandomi alla realtà.
Ian è comparso da una delle entrate laterali. Zoppica e ha un aspetto piuttosto malconcio, con il viso coperto di graffi, la fronte fasciata da una benda e un colorito giallognolo che spicca nel contrasto con una rovinata canotta nera.
Sfuggito alla presa di Carol, Toby sfreccia verso di lui e si getta tra le sue braccia con un salto, facendogli emettere un gemito di dolore. Anche Eileen gli corre incontro per abbracciarlo e gli posa la testa nell'incavo del collo, sussurrando qualcosa che non riesco a cogliere.
Ian le dà un bacio sulla nuca. «Anch'io ti voglio bene, frugola».
Simon si alza, guardandolo preoccupato. «Come stai?»
«Non un granché. Stanno praticamente finendo di ucciderlo» ridacchia Kal, lasciando che il padre gli scompigli i capelli.
«Sono così felice che tu stia bene. Ho pregato il Signore per tutti e tre».
«Grazie, Jacqueline» borbotta Ian con forzata gentilezza. Deposita a terra Toby, che gli si avvinghia alla gamba come una scimmietta, e rivolge uno sguardo affettuoso a Liam. «Grazie di aver badato ai tuoi fratelli».
Lui risponde con un mezzo sorriso.
«Hai saputo della mamma? E di Ed?» chiede Eileen, staccandosi con riluttanza.
A quelle parole, Carol esplode in un altro pianto e si soffia il naso sul fazzoletto ormai ridotto a brandelli. Ian si siede accanto alla donna e la circonda gentilmente con un braccio mentre Toby gli si arrampica sulle ginocchia. In un attimo, il resto della cucciolata si stringe attorno a loro.
Questa volta, mi rendo conto che non provo nessuna invidia a vederli essere una vera famiglia, uniti da un legame più profondo del sangue: quell'amore indissolubile che per me è soltanto un ricordo sfumato. Anzi, non posso fare a meno di provare un moto di tenerezza.
Forse mi sono affezionata agli Hallander più di quanto credessi.
Il rumore della linguetta di una lattina ci fa voltare di scatto e tutti gli sguardi si puntano su Matt, ancora in piedi sulla porta, che sta tranquillamente sorseggiando la sua Dr Pepper. «Sapevo che non mi sarei liberato di te, fratellone».
«Bentornato, hot Dante».
Edric solleva lentamente le palpebre. È sdraiato su un morbido lettino con le lenzuola bianche tirate su fino al petto e il camice da ospedale addosso, in un'ampia stanza dotata di un televisore al plasma, un bagno privato e una vetrata con una magnifica panoramica sul fiume di Sunset Hills. Il ritmico pigolio del macchinario che monitora i suoi segni vitali si alterna al ticchettio della pioggia sulla grondaia, simile a una musica che accompagna i battiti lenti e regolari del suo cuore.
«Dove sono?» biascica frastornato. È così pallido da farmi pensare che potrebbe svenire da un momento all'altro. «Che è successo?»
«Ehi, fratellino». Eileen gli posa una mano sulla spalla. «Avete avuto un incidente. Siamo in ospedale».
«Mamma e papà stanno bene?»
«Sì, papà lo abbiamo visto poco fa. Presto dovrebbe finire di fare gli ultimi controlli» interviene Liam, attaccando la giacca all'appendiabiti nell'angolo. «Nostra madre è in sala operatoria».
Edric dardeggia lo sguardo da noi al suo braccio destro, interamente gessato. I suoi lineamenti si contraggono, ma alla fine riesce a piegare le dita in maniera appena percettibile. «Faccio fatica a muoverlo».
«Lo sappiamo. Non sforzarti, tesoro». Carol gli accarezza la guancia con fare apprensivo. «Ti serve qualcosa? Un bicchiere d'acqua? Un tè caldo?» Prima che possa rispondere, si è già diretta verso la porta. «Vado ad avvisare vostro padre che sei sveglio. Se non è un problema per i medici, ti prendo anche una bevanda calda, eh? Sì sì».
«Si è spaventata a morte» spiega Simon con un sorriso bonario, dopo che la donna è uscita. «Sarà iperprotettiva per parecchio, mi sa».
Eileen fa una risatina, tornando sul divanetto su cui si trova il gemello. «Come minimo, ci metterà agli arresti domiciliari».
«E vi farà venire il diabete a forza di cioccolatini» aggiungo, appollaiata in fondo al letto.
Camminando a piccoli passi, Kal prende posto sulla sedia davanti al comodino. «Ehm, dovrei dirti una cosa, Ed». Comincia ad attorcigliare i laccetti dei pantaloncini e farfuglia a fil di voce: «Scusa se ti do sempre fastidio. Non lo faccio apposta. O meglio sì, ma non... non per cattiveria, ecco».
«Ti sei sul serio scusato?» replica Edric, stupito. «Non è che gli antidolorifici possono dare allucinazioni, vero?»
Quando però si accorge che il fratello è scosso da singulti sommessi, dopo essere rimasto interdetto per un secondo, allunga il braccio sano per dargli un colpetto affettuoso. «No, dai. È tutto okay. Sei un rompiscatole, ma non ce l'ho con te».
Il viso di Kal si illumina, speranzoso.
«Ti lascerò in pace, lo prometto. Basta scherzi».
Faccio un verso sarcastico. «Per favore, non ti crederebbe neanche lo scoiattolo che viveva sul mio davanzale, a Clayton».
«Beh, basta scherzi finché non si sarà ripreso». Kal si stringe nelle spalle. «Era sottinteso quello».
Sentiamo un cigolio alle nostre spalle e la porta si dischiude, permettendo a una figura alta e possente di scivolare dentro la camera. Il nuovo arrivato ha un giubbotto fradicio ripiegato sull'avambraccio e la camicia di chiffon, già quasi trasparente, gli fascia il corpo come una seconda pelle.
«Ric!» esclama Eileen sorpresa.
Liam fa per aprire bocca, ma Alaric lo zittisce con un cenno. «Se stai per dirmi che non dovrei essere qui, sappi che non me ne frega un accidenti». Si volta verso Edric e di colpo tutta la sua determinazione si dissipa. «A meno che sia tu a non volermi. In tal caso me ne andrò senza protestare» aggiunge esitante.
«No» sussurra lui con un sorriso fragile. «Rimani».
Reprimendo un sospiro di sollievo, Alaric getta sul pavimento il giubbotto e si avvicina fino a sedersi sul bordo del materasso. «Sai, cucciolo. Se volevi attirare la mia attenzione, potevi ricorrere a metodi un po' meno drastici».
Anche se non lo sta nemmeno sfiorando, il respiro di Edric si appesantisce e il monitor a cui è collegato segnala un lieve aumento del battito cardiaco. «Mi sembrava un'idea originale» risponde in tono flebile.
«Tanto per curiosità». Inarco un sopracciglio. «Non hai lasciato il nostro Tarzan domestico e miss Cenerentola nel soggiorno, vero?»
Liam si siede su una poltrona, proprio accanto alla porta d'ingresso. «Arianne è tornata a casa in taxi. Me ne sono accertato».
«E Jonas è nel mio bagagliaio» commenta Alaric con leggerezza.
Eileen sussulta. «COSA?»
«Scherzo! L'ho lasciato sui sedili posteriori con il finestrino aperto».
Edric, che ci ha ascoltati con un'espressione stranita, scoppia in una risatina. Ma appena il suo sguardo incontra quello del ragazzo, abbassa subito la testa. Almeno quanto gli consente il collare cervicale che ha attorno alla gola.
«Dovresti smettere di farlo». Sporgendosi in avanti, Alaric gli posa l'indice sotto il mento e lo costringe a guardarlo. I suoi movimenti sono cauti e attenti, quasi stesse maneggiando qualcosa di così delicato che ha il terrore di poterlo rompere. «I tuoi occhi sono troppo belli per nasconderli».
Nonostante il volto di Edric sia bianco come alabastro, tranne per il grande livido violaceo lungo tutto uno zigomo, a quelle parole le guance gli si tingono di un rossore acceso. Prova a parlare, ma ne esce solo una sequenza non ben definita di vocali e consonanti.
«Forse dovremmo andare a controllare se ci sono novità sulla mamma» propone Eileen.
Simon scuote il capo. «È ancora troppo presto. E comunque verrebbero ad avvisarci, no?»
«Giusto, allora dovremmo andare a recuperare la nonna».
«Ha detto che accompagnava Toby in bagno. Perché, sul serio ti manca?» obietta Kal confuso.
«No, ma magari si sono persi». Eileen mi scocca un'occhiata eloquente. «Non credi anche tu, Keeley?»
«Noi due non ci parliamo più, ricordi?»
«Grazie per il sottile tentativo di lasciarci soli, ma non serve». Edric emette un violento colpo di tosse. Alaric trasalisce, preoccupato, e gli accarezza la mano sinistra abbandonata sul fianco; prima che possa ritrarla, il ragazzo ha già ricambiato debolmente la stretta, cogliendolo alla sprovvista. «Non pensavo saresti venuto. Non lo merito neanche, visto come ti ho trattato».
«Non importa».
«Sì, invece. Non dovevo evitarti, so che ti ho ferito» mormora Edric contrito, intrecciando le dita sottili alle sue. «E mi dispiace».
Alaric piega la testa di lato, ammorbidito. «Beh, ammetto che non è stato piacevole e avrei preferito ricevere una spiegazione su cosa ho sbagliato, ma ripeto: non importa. Voglio solo che tu stia bene, con o senza di me. Perché posso accettare di essere respinto, ma non mi arrenderò finché non riuscirò a farti capire che è sempre chi odia a sbagliare, mai chi ama».
Kal corruga la fronte, scartando la sua barretta ai cereali. «Mi sono perso. Che è successo?»
«Sicuro che non vuoi che usciamo, Ed?» insiste Eileen premurosa.
Edric si agita sotto le coperte. «Ero innamorato di Daniel» sibila, puntando gli occhi al soffitto. Sono di un azzurro talmente lucido da apparire quasi trasparenti, pieni di una sofferenza molto più profonda di quello fisica. «Quando gliel'ho detto, pensava che lo prendessi in giro ed è stato al gioco, ma poi ho cercato di baciarlo e si è infuriato. Mi ha urlato che gli facevo schifo, che non voleva avere nulla a che fare con un... un frocio e di stargli lontano».
La sua voce si incrina, eppure prosegue senza permettere a nessuno di interromperlo. È come se si stesse liberando di un peso che non riesce più a sopportare, sebbene parlarne gli faccia terribilmente male. «Avrei dovuto ascoltarlo e per un po' l'ho fatto, ma mi mancava. Non volevo perderlo. Allora alla festa a sorpresa per il compleanno di Klaus, l'ho avvicinato e ho cercato di spiegargli che, anche se non ricambiava i miei sentimenti, potevamo comunque rimanere amici, che non sarebbe cambiato nulla. Daniel all'inizio si è arrabbiato, ma poi si è calmato e mi ha chiesto di andare a fare una passeggiata per parlarne da soli. Sembrava tornato gentile come sempre, quindi gli ho creduto».
Eileen si solleva e si mette davanti alla vetrata con aria assorta. Le luci natalizie con cui sono addobbati i palazzi circostanti le gettano riflessi colorati che le sfavillano sulla faccia e sui vestiti. Nonostante il temporale infuri ancora, un drappo di timide stelle ammicca sullo sfondo torbido del cielo, rischiarando il buio profondo della notte.
«Mi ha portato al parco» riprende Edric, tremando sempre più forte. «Sono arrivati dei suoi amici, erano ubriachi e...»
Con la mano libera, Alaric inizia ad accarezzargli i capelli neri e arruffati. La dolcezza dei suoi gesti, però, è in contrasto con l'espressione corrucciata o con la sfumatura minacciosa del suo tono mentre chiede a denti stretti: «Cosa ti hanno fatto?»
«Mi hanno buttato a terra e preso a calci. Ma poi Daniel li ha costretti a smettere perché non voleva rischiare di finire nei guai, se mia madre avesse visto i lividi. Gli altri lo hanno preso in giro, dicendo che secondo loro aveva una cotta per me e per questo ci aveva ripensato. Per dimostrargli che non era vero, lui mi ha immerso la testa nel fiume e mi ci ha tenuto per un po'». Si ammutolisce e rilascia un lungo getto d'aria dalla bocca, come se fosse ancora sott'acqua e avesse di nuovo la sensazione di non respirare. Il solo pensiero mi fa rabbrividire. «Poi è arrivata Leen. Le avevo mandato un messaggio per avvertirla che avevo lasciato la festa, per evitare di farvi preoccupare. Così sono scappati».
Simon si gira verso la gemella, che gli sta dando le spalle, quindi torna a guardare il fratello visibilmente scioccato. «Perché noi non ne sapevamo nulla?»
«Non è colpa di Leen, sono io che non volevo. Se lo avessi raccontato a qualcuno, Daniel ha minacciato di... di...»
Vedendolo in difficoltà, Alaric gli asciuga una lacrima con il pollice e conclude al suo posto: «Di spifferare a tutta la tua famiglia che sei gay. Vero?»
Edric annuisce, premendo il volto sul suo palmo nel tentativo di nascondere che sta piangendo.
«E allora?» Kal spalanca le braccia. «Capisco mamma e papà, ma perché nasconderlo a noi? Insomma, non è che per me sia una tragedia scoprire che di tutte le ragazze sexy che ti scorrazzano dietro non te ne potrebbe fregare di meno. Al massimo ti avremmo aiutato a sbarazzarti del corpo di quel deficiente».
Mi porto un ciuffo blu dietro l'orecchio. «Ripropongo l'acido come migliore soluzione».
«Quello che il nostro indelicato fratellino sta cercando di dire», soggiunge Liam serio, «è che noi siamo una famiglia. Rimaniamo uniti e ci proteggiamo a vicenda, a qualsiasi costo: niente può cambiare questo. Insieme, sempre e comunque».
Anche se non ha pronunciato il suo nome, posso leggere nell'intensità del suo sguardo che quel discorso è riferito anche a lui. A Klaus.
Edric si mordicchia l'interno del labbro, lottando contro i tremiti. «Avevo paura che mi avreste... trattato diversamente. Dopo». Gli sfugge un singhiozzo e fissa Alaric con un sorriso triste. «Ora penserai che ti sei innamorato di un tipo debole che non sa neanche difendersi, immagino».
Lui sbatte le palpebre, perplesso. «Non ho mai pensato che tu sia debole».
«Mi chiami cucciolo».
«Certo, perché quando lo faccio arrossisci ed è una cosa adorabile».
Per tutta risposta, Edric avvampa per l'imbarazzo. E devo ammettere che, con le guance che gli si gonfiano leggermente e le schegge di ghiaccio sciolte in un celeste cristallino, suscita davvero un misto di tenerezza e vulnerabilità.
«Ma se vuoi proprio vuoi sapere cosa penso, va bene» dice Alaric, seguendo con un dito il profilo affilato della sua mascella.
Eileen fa un cenno silenzioso a me, Simon e Kal, dunque tutti e tre ci raduniamo dalla parte opposta della stanza insieme agli altri, attorno alla poltrona su cui si trova Liam. Loro cominciano a parlottare a proposito della madre, forse anche per dare una parvenza di privacy. Io al contrario non posso fare a meno di spiare i due piccioncini.
«Penso che tu sia un ragazzo troppo buono, così tanto che perdoneresti anche uno come Daniel. Perché quando tieni a qualcuno, ci tieni con tutto il cuore e gli perdoneresti qualsiasi cosa pur di non perderlo». Alaric sorride, guardandolo adorante. «Ma penso anche che tu abbia un disperato bisogno di imparare che il tuo orientamento è solo una parte di te, non tutto ciò che sei. Non ti definisce, non è un difetto, non puoi cambiarlo e nemmeno devi. La libertà di amare non è un'opinione e nessuno ha il diritto di metterla in discussione, compresi i tuoi genitori». Si china lentamente su di lui, dandogli tutto il tempo per fermarlo. «Puoi essere te stesso, Edric».
Edric si sofferma un attimo sulla camicia ancora bagnata che aderisce al torace del ragazzo, mettendo in rilievo le spalle larghe e la solida muscolatura del suo fisico, e viene percorso da un fremito percettibile. «Non voglio che anche tu mi faccia del male» bisbiglia, così piano che devo rizzare le orecchie per udirlo.
«Non lo farò. Mi odierei, se te ne facessi». Un lampo di desiderio balena sul suo volto, lo sguardo fisso sulle labbra di Edric. Quest'ultimo si solleva un poco dal cuscino con uno sbuffo stremato, ritraendosi appena quando si rende conto che ormai sono così vicini che i loro nasi si toccano.
Il sorriso di Alaric si allarga, gli sfiora il livido sulla guancia con un dito e infine gli deposita un bacio leggero sulla fronte. «Oggi hai rischiato di morire, tua madre è sotto i ferri e hai appena fatto coming out con i tuoi fratelli. Non voglio approfittarmi della situazione» ammicca, prima di raddrizzarsi. «Così ti dimostro anche che puoi fidarti di me. Cucciolo».
«Prima regola. Puoi chiamarmi così esclusivamente quando siamo da soli» borbotta lui paonazzo.
«Significa che c'è qualche possibilità che tu mi dia quella famosa chance?»
«Forse».
Quando la porta si spalanca all'improvviso, le loro mani si lasciano subito e Alaric balza in piedi, più per l'occhiata implorante di Edric che per propria volontà.
«FRATELLONE, CIAO!» Toby gli corre incontro come un razzo e salta sul letto pronto ad abbracciarlo, ma poi si accorge del braccio ricoperto di gesso fin sotto la spalla. I suoi occhioni diventano due grandi biglie verdi. «Scusa, scusa. Ti fa tanto male?»
«No, tranquillo».
«Aspetta». Il bambino gli posa un bacino sulla fasciatura, per poi stendersi al suo fianco tutto fiducioso. «Ora va meglio, vero?»
Edric sorride. «Molto meglio. Grazie, fratellino» sussurra, avvolgendolo con l'altro braccio.
«Ciao, Ric!» esclama il piccolo. «C'è anche Klaus con te?»
«Ehi, campione». Alaric gli batte il cinque, senza rispondere alla domanda. Si volta e, ignorando l'espressione orripilata di Jacqueline, le porge educatamente la mano. «Salve, signora. È un vero piacere conoscerla di persona, finalmente».
Io e Kal ci guardiamo per un secondo, abbastanza per capire che ha avuto il mio stesso identico pensiero: accidenti, che bravo bugiardo!
«Già, già» gracchia lei irritata, rifiutandosi di prenderla. «Tu perché sei qui? Dov'è Klaus?» Il suo tono è sospettoso, quasi lo stesse accusando di avergli fatto chissà cosa.
«È uscito, ma sono certo che arriverà appena potrà. Io sono venuto solo per...» Alaric raccoglie il giubbotto da terra, sbirciando Edric di sottecchi. «Ero solo preoccupato per il fratello del mio migliore amico».
Jacqueline arriccia il naso in una smorfia. «Mmh, certo. Sei stato molto... gentile. Ma mio nipote deve riposare».
«Certo, tanto me ne stavo andando. Ci tenevo a dirle che mi dispiace molto per sua figlia, spero che si riprenda. Ora vado».
«Vengo con te. Devo sgranchirmi le gambe» dichiaro, seguendolo fuori dalla camera.
In corridoio incontriamo Carol con una tazza fumante di tè bollente, che saluta Alaric con una delle sue carezze materne –per par condicio, ne dà una anche a me– e ovviamente chiede notizie di Klaus. Alla fine, dopo che avergli estorto la promessa che gli dirà di chiamarla, riusciamo ad allontanarci.
«Non che la tua presenza mi dispiaccia» obietta il ragazzo, tirando su la cerniera del giubbotto. «Ma scommetto che non vuoi solo goderti la mia compagnia».
Lo afferro per il gomito. «Tu sapevi quello che stava per fare?»
«Ti pare? L'avrei incatenato al letto, nel caso... okay, non in quel senso».
«Troppo tardi. La mia immaginazione galoppa».
Riprendiamo a camminare fino ad arrivare nella sala d'attesa. Prendo il cappotto che avevo lasciato appeso a un gancio, usciamo in un altro corridoio deserto, ma a metà strada un altro dubbio mi assale e lo blocco di nuovo. «Domanda random. Tra una chiacchierata da amichetti del cuore e un'altra, ti ha accennato a una relazione segreta in stile Romeo e Giulietta con Elizabeth?»
Alaric increspa le sopracciglia, probabilmente cogliendo l'amarezza nelle mie parole. «Ascoltami, Keeley. Quel testone può non essere stato del tutto sincero con te e sì, fa un sacco di cose stupide quando ci sono in gioco i suoi sentimenti. Ma se Klaus ama qualcuno, lo fa in maniera incondizionata. Non ti ha presa in giro, non è nella sua natura».
Uno scalpiccio di passi si leva dal fondo del corridoio e Ian spunta zoppicando da dietro l'angolo. Deve essere stato dimesso da poco, infatti si sta ancora allacciando la camicia con cui ha sostituito la canotta stropicciata. Venendo dalla villa, Carol aveva portato un cambio d'abito, bisognosa di convincersi che fossero tutti abbastanza illesi da poter tornare a casa già in mattinata.
«La pianti di scappare, Superman? Ti si strappano i punti» gli sta urlando Matt spazientito, rincorrendolo. «So che sei arrabbiato, ma...»
«No, perché dovrei? Sei venuto ubriaco al mio matrimonio e adesso vieni fatto in ospedale. Non è colpa tua, ma mia che continuo come un idiota a credere di poter contare su di te». Ian si gira di scatto e gli dà uno spintone rabbioso. Anche da questa distanza, capisco che deve essere furibondo. «Però toglimi una curiosità. Da quanto hai ripreso a drogarti?»
«Mai! Ho chiuso con quella roba, te l'assicuro! Questo è stato un... un evento isolato».
«Un evento isolato, certo. Chissà perché mi suona famigliare questa scusa» replica con un verso sarcastico. «La rifilerai anche alla tua fidanzata?»
«Mi dispiace, fratello».
«Ti dispiace ogni volta. Il problema è che lo rifai comunque. Quindi scusami se preferisco stare con i miei figli che rischiano di perdere la madre, piuttosto che sprecare tempo con te».
Ian fa per andarsene, ma Matt gli si para di fronte per fermarlo. «Mi dispiace anche per lei».
«Risparmiatela».
«Smettila di fingere che sei l'unico a volerla proteggere. Chi se la prende con lei, se la prende con tutti e due». Matt accosta il viso a quello del fratello. «Abbiamo ragioni diverse, ma è così. Lo sai benissimo».
Per un secondo Ian rimane immobile a fissarlo, poi gli sferra un pugno in faccia così violento da farlo indietreggiare. Io e Alaric lo osserviamo percorrere il resto del corridoio a passo spedito, assumendo un atteggiamento da "noi-non-abbiamo-visto-niente", ma Ian ci passa accanto senza neanche notarci e si dirige verso la stanza di Edric.
«Bravo, sfogati! Era da troppo che volevi farlo». Matt si pulisce il sangue sulla manica della giacca di pelle e ci scocca un'occhiata divertita mentre ci avviciniamo. «Ah, le scazzottate tra fratelli. Un classico, vero?»
Premo il tasto per chiamare l'ascensore. «Non per noi. Siamo figli unici».
«Il sogno proibito di Ian». Quando il suo sguardo si sposta su Alaric, ogni traccia di ilarità scompare. «Io e te dobbiamo parlare, ragazzino».
«Davvero?»
«Di mio nipote» insiste Matt serio. «E non sparare cavolate. Sono stato a casa tua, so che non è lì».
«Perfeeetto». Mi tuffo nella cabina metallica e clicco il bottone del pianoterra. «Voi fate amicizia. Io ho bisogno di una boccata d'aria».
«Ma se sta diluviando».
«Allora ho bisogno di una secchiata d'acqua».
Durante il tragitto, accompagnato da una monotona musichetta, ne approfitto per prepararmi. Mi metto il cappotto e lo allaccio fino alla gola, infilo i guanti, controllo di avere ancora in tasca entrambi i coltellini, rileggo il messaggio che mi ha mandato il direttore Okri ed esalo un respiro profondo: sono pronta.
Le porte dell'ascensore si aprono sull'atrio dell'ospedale. Al mio passaggio, l'infermiera dietro il bancone mi grida qualcosa che viene sovrastato dagli ululati del vento. Nell'istante in cui esco, una folata gelida mi strappa via il cappuccio e mi devo sbrigare a risollevarlo. Le strade sono quasi deserte, invase di fango e rigagnoli. Una pioggia impietosa mi si riversa addosso, il freddo che mi penetra fin nelle ossa.
In un attimo sono già fradicia e sto congelando, eppure non posso evitare di guardare in alto e cercare di individuare la nostra costellazione segreta. Dentro di me, mi chiedo se anche Klaus abbia provato a trovare il nostro angelo nero tra le stelle, prima di addormentarsi sotto lo stesso tetto del mostro da cui è terrorizzato da sempre.
Vincent gli avrà fatto del male?
E se gliene stesse facendo proprio ora?
Quando una mano robusta mi stringe la spalla, per poco non caccio un urlo e mi libero con una gomitata, voltandomi.
Solo per ritrovarmi davanti Liam, al riparo sotto l'ombrello. Indossa un pesante impermeabile scuro che lo fa sembrare ancora più imponente. «Sei prevedibile, Keeley».
Devo sforzarmi per riuscire a sentire la sua voce. «E tu sei inquietante».
«So che stai andando a New Orleans. Da mio fratello».
«Sbagliato. Sto andando in un negozio d'antiquariato» ribatto, incamminandomi lungo il marciapiede.
Liam mi affianca e fa del suo meglio per coprirmi con il suo ombrello, malgrado la mia andatura non mi renda particolarmente collaborativa. «Basta giochetti. Posso aiutarti, ma devi essere sincera con me».
«Spilungone, sto andando davvero in un negozio d'antiquariato. Quello del professore, per l'esattezza».
«Perché?»
Stringendomi nel giubbotto, passo davanti alla gradinata della chiesa affacciata sulla piazza. «Perché mi serve un registratore molto vecchio».
Inaspettatamente, Liam richiude l'ombrello e mi spinge con delicata fermezza contro il muro di un negozio. Dato che la tettoia è così sottile da fornire protezione soltanto a me, rivoli d'acqua cominciano a rigargli il viso sospeso a pochi centimetri dal mio, gocciolando dal naso e dal mento.
Sfodero un ghigno malizioso. «E fu così che il triangolo divenne un quadrato».
«Ho giurato a mio fratello di proteggerti e a me non piace infrangere le promesse, Keeley».
«Sei proprio un gran testardo, vero?» sospiro rassegnata.
Liam abbozza un sorriso. «Sono figlio di mia madre».
«Va bene. Sei in squadra, ammasso di muscoli». Mi scanso, rimettendo la giusta distanza tra noi. «Ho avuto una brillante conversazione con quel simpaticone di Vincent e le sue minacce da super cattivo. Comunque, mi ha offerto un accordo molto generoso: io gli porto due cose che vuole e lui mi restituisce il biondino, più o meno. È aperto a una contrattazione».
«E vuole un registratore?» mi incalza corrucciato.
«Non uno qualunque, quello di mia madre. Potrei avergli detto che sapevo dove fosse e invece, allerta spoiler, non ne ho idea».
«Quindi speri di trovarne uno simile nel negozio di Stefan Reed. E poi?» Un lampo gli illumina il volto, mettendone in evidenza il profilo netto e spigoloso. «Che farai quando Vincent vorrà verificare che al suo interno ci sia quello che cerca, qualsiasi cosa sia?»
«Non lo so. È un piano work in progress».
«No, è improvvisazione. Inizio a capire la ragione per cui piaci tanto a mio fratello». Liam si passa una mano nei capelli ormai fradici, esasperato. «Cos'altro vuole, a parte il registratore?»
Sposto il peso da una gamba all'altra, guardandomi attorno. «Beh, ecco, la seconda cosa è un pelino problematica. Ce l'ho e potrei dargliela, ma credo che il biondino ne farebbe una questione morale».
«Che cos'è?»
«Sei tu» rispondo con una scrollata di spalle. «Che ne dici: baratto di Hallander?»
Per la prima volta da quando lo conosco, Liam è completamente spiazzato. Le sue labbra si schiudono in un'espressione di sconcerto, ma rimane in silenzio. Prende il telefono dalla tasca e, sbirciando sullo schermo, vedo la notifica di un messaggio, anche se devo aver sbagliato a leggere il nome del contatto. Di sicuro, non c'è altra spiegazione.
Perché mai lui dovrebbe scrivergli? Non si conoscono neanche!
«D'accordo, allora. Andremo insieme a riprenderci il mio fratellino, ma non da soli. Portiamo con noi un tuo caro amico» afferma Liam pacato, riponendo il telefono. «Se Vincent vuole me, scoprirà che si deve stare molto attenti a ciò che si desidera».
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