3. INCONTRO CON HARRY WEASLEY
Dopo un attimo di intontimento, mi accorgo di essere distesa per terra con il cappuccio sulla faccia.
Dopo un volo d'angelo di mezzo metro, la mia valigia si schianta contro il muro e si apre, riversando fuori parte del suo contenuto.
«Ma che cavolo di problemi ti affliggono?» urlo, massaggiandomi la spalla.
«Mi... mi dispiace. Stavo... cercando mio fratello» si affretta a dire il ragazzo che mi ha appena investita, porgendomi la mano.
«Servono dei cartelli stradali, oltre che Google Maps, per muoversi in sicurezza in questo posto!» esclamò scocciata.
Lo ignoro e mi rialzo da sola, storcendo il naso per la fitta all'osso sacro.
«Tutto bene?» mi chiede in tono preoccupato, aggiustandosi gli occhiali storti sul naso.
Placo la mia furia per un minuto e mi concedo di dare una rapida occhiata al ragazzo di fronte a me.
Il suo volto, appena spruzzato di lentiggini, presenta dei lineamenti marcati e precisi, ciocche ribelli di capelli rossi gli ricadono sulla fronte e due profondi occhi verde oliva scintillano dietro le lenti.
Ha un fisico slanciato e mingherlino, ma le sue spalle sono larghe e deve avere anche dei pettorali niente male sotto il maglione.
Tutto sommato, devo ammettere che è davvero attraente.
Ma questo non giustifica il suo tentato omicidio nei miei confronti.
«Chiedilo al mio prezioso sedere, Harry Weasley».
Alla parola "sedere", le guance del ragazzo diventano paonazze.
Poi corruga la fronte e mi fissa senza capire. «Harry Weasley?»
«Capelli rossi e imbranato, occhi verdi e occhiali» spiego in tono sbrigativo. «Non puoi che essere il figlio illegittimo di Harry Potter e Ron Weasley. Harry Weasley».
Lo sguardo spaesato che affiora sul suo viso è una delle cose più tenere che io abbia mai visto.
Ma è un panda o una persona?
«Beh, ehm, io sono Simon Hallander» si presenta, riprendendosi un poco dall'imbarazzo.
«Ma allora voi Hallander siete davvero la famiglia Weasley!» affermo scioccata.
Poi mi guardo un attimo intorno e aggiungo: «Conto in banca a parte».
Ed ecco di nuovo quello sguardo confuso da panda coccoloso.
Posso usare questo ragazzo come cuscino?
«Tu devi essere Mira» balbetta Simon. Malgrado il lieve sorriso, è ancora visibilmente a disagio. «La nuova cuoca».
Mi porto una mano al cuore, sfoderando un'espressione ammirata.
«Ma come hai fatto ad indovinare?» strepito, aggiungendoci anche un urletto emozionato per renderlo più teatrale.
Lo so, sono crudele... ma in qualche modo devo vendicarmi. E lui me l'ha servita su un piatto d'argento.
Simon rimane in silenzio, interdetto per la mia reazione esagerata.
«Lo chef mi ha mandata proprio a cercare te o un altro dei tuoi fratelli».
«Ma la chef è una donna, non un uomo» obietta stranito.
«Ah sì» mi correggo, facendo una smorfia sbadata. «I baffetti che ha sotto il naso mi hanno mandata in confusione».
«Ma non ha dei...»
«Comunque» proseguo, parlando forte per coprire la sua voce. «La nostra chef donna con i baffetti vorrebbe sapere cosa preferiresti mangiare per cena tra... ».
«Ma è nostra madre che decide cosa...»
«Scusami, signorino Weasley, ma sei pregato di non interrompermi. Hai idea del lavoro che deve fare una sguattera da cucina come me?»
«Sì, cioè no, scusa» dice Simon, sempre più disorientato.
«Avevamo in mente di fare delle palle di toro. A te e ai tuoi fratelli piacciono?»
Simon avvampa fino alle punte delle orecchie. «Se mi piacciono le... le...» La sua voce si smorza per l'imbarazzo.
«Palle di toro» ribadisco. «Sono molto gustose e belle grosse. Usiamo solo quelle dei tori più dotati. Se non ci credi, posso mostrarti delle foto... »
«No no» afferma precipitosamente. «Ti credo».
«Se non ti piacciono, abbiamo anche dei prelibati cazzetti di opossum così grandi che non crederesti mai che animaletti così piccoli possano avere...»
«Va bene, basta, basta».
«Sicuro che non vuoi sentire anche dei testicoli di elefante in salamoia?»
Simon si passa una mano sul volto, che ormai ha assunto lo stesso colore dei suoi capelli. «Non sei la nuova cuoca, vero?»
«Per il bene degli organi genitali di tori ed elefanti, no».
«Bene, perché stavo già per valutare l'ipotesi di diventare vegetariano» afferma con un sospiro di sollievo. «Ma allora chi sei?»
«La tua nuova sorella plebea».
«Ah». Simon si sofferma a fissare i miei capelli blu e la mia felpa al contrario, tentando di mascherare il suo stupore senza troppo successo. «Sei... ehm...»
«Fantastica?» suggerisco. «Lo so».
«... in anticipo» completa lui. «Mia madre aveva detto che saresti arrivata domani mattina».
«Sono come un pacco di Amazon. Ti dicono una data ma alla fine te lo consegnano sempre prima» ribatto, mettendomi a raccogliere i miei vestiti che si sono sparpagliati sul pavimento.
Il ragazzo rimane immobile, apparentemente incapace di distogliere i suoi occhi da me.
«Ci siamo già visti, per caso? Hai un'aria... famigliare».
«Sei mai stato a Clayton? O a New Orleans?»
Erano le uniche due città in cui avevo vissuto. A New Orleans con mio padre. A Clayton, non molto distante da qui, Sunset Hills, con mia zia.
Lui scuote la testa.
«Allora non ci siamo mai visti» concludo con semplicità. «Hai intenzione di aiutarmi o resti lì impalato a contemplare la mia magnificenza?»
«Oh certo. Scusa».
Si china e raccoglie dei pantaloni strappati sul ginocchio, iniziando a piegarli.
«Ma cosa fai?» obietto, ficcando alla rinfusa nella valigia una pila di maglie.
«Li piego».
«Non erano piegati neanche prima, tesoro».
Gli strappo dalle mani i pantaloni e li getto insieme alle altre cose.
«Ti posso chiedere perché porti la felpa... insomma, in quel modo» chiede titubante, passandomi tre paia di leggings.
«Certo che puoi. È un Paese libero. Non è che mi passeresti quel reggiseno dietro di te?»
Simon trasalisce come se lo avessi appena minacciato di morte con un coltello.
«Ma non posso... toccare il tuo reggiseno» dice pianissimo.
«Perché no?»
«Perché... non si fa» balbetta, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
«Quando fai sesso con una ragazza non glielo togli tu?»
Simon sbarra gli occhi, diventando di una strana tonalità verdognola. «Io... no... cioè, forse...» boccheggia.
«Se io e te dovessimo fare sesso, me lo toglieresti?»
«Ma... ma...» biascica alcune parole sconnesse come "io" e "cioè".
«Perchè respiri come se stessi per avere un attacco di panico?»
«Perché devi... chiedermi... queste cose?» farnetica, con tutta l'aria di chi vorrebbe evaporare all'istante.
«Curiosità. Le tue abitudini sessuali potrebbero interessarmi in futuro».
Afferro il reggiseno e glielo sventolo davanti alla faccia.
«Basta!» esclama ritraendosi, quasi terrorizzato.
«Così impari a non venirmi contro».
Con un sorriso beffardo, ripongo il reggiseno e faccio per chiudere la valigia.
«No, aspetta. Hai dimenticato una cosa».
Quando mi accorgo di ciò a cui si riferisce, faccio una scatto repentino e grido: «NON TOCCARLO!»
Rifilo una gomitata a Simon per allontanarlo, facendolo cadere all'indietro, e afferro il piccolo scrigno di legno con entrambe le mani, portandolo al petto con fare protettivo.
«Perché diamine l'hai fatto?» esclama lui, toccandosi la pancia nel punto in cui l'ho colpito.
«Non puoi toccarlo» sibilo furente con la voce incrinata.
Sento il cuore che mi martella nel petto, pompando sangue misto ad adrenalina in tutto il mio corpo, tanto che tremo in maniera incontrollabile dalla testa ai piedi.
Gli occhi mi pizzicano, ma so che non sto per piangere. Lo faccio di rado, e mai davanti ad altre persone.
È suo.
È tutto ciò che mi rimane... tutto ciò che ho per ricordare un passato di cui non ho mai fatto parte.
«Posso prendere un tuo reggiseno ma non quella scatola?» commenta perplesso.
«Non. Puoi. Toccarlo» marco bene ogni parola.
Nessuno può.
Solo io. Io e papà, quando ancora c'era...
Simon osserva le mie dita frementi che stringono lo scrigno talmente forte che le unghie sono sbiancate, poi dardeggia gli occhi sul mio viso. Devo avere uno sguardo omicida, in questo momento.
La sua espressione si addolcisce ancora di più e sussurra: «Va bene. Scusa. Non lo sapevo».
Sforzandomi di recuperare la calma, infilo lo scrigno nella valigia e la richiudo bruscamente. Quando mi rialzo, le mie gambe tremano ancora, ma il mio respiro è tornato regolare.
«Se stai cercando la tua camera, è da quella parte» mi avvisa Simon con tono flebile, indicando uno dei corridoi che ho superato.
Torno indietro e osservo il dipinto degli uomini che bevono e fumano.
«Ah... è questo il foyer? Un ritrovo di alcolisti in frac?»
«È il luogo in cui a teatro si raduna il pubblico per intrattenersi negli intervalli dello spettacolo» mi spiega.
«Sì, quello che ho detto io».
«Vuoi che ti porti la valigia?»
«Vuoi ancora poterti masturbare con la mano destra?» rispondo scontrosa, avviandomi lungo il corridoio.
«Comunque benvenuta a casa!» mi grida dietro Simon. «Ma sei proprio sicura che non ci conosciamo?»
Mi fermo davanti alla stanza in fondo, contrassegnata dal numero 8 in ottone. Prima di entrare, mi volto e rivolgo al ragazzo un'occhiataccia.
«Fidati, te ne ricorderesti. Non ci si dimentica di me» rispondo, richiudendo la porta alle mie spalle.
Io ero sicura di non conoscerlo... ma era davvero possibile che lui conoscesse me?
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