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23. BALLO AL BUIO

«Non sono un esperto di moda, ma non credo che ad Edric piacciano le paillettes».

Eileen scocca un'occhiata di rimprovero a Klaus, reggendo in mano il lungo abito scintillante con uno spacco laterale sulla coscia e sottili spalline in raso.

«Prima prendo qualcosa per me» spiega con naturalezza. «Poi il regalo per Edric».

Mi abbandono sul divanetto accanto ad un manichino che, avvolto in un vestito maculato, sembra porgermi la mano. «Questa è la fine».

Meno di una settimana fa, avevo deciso di rompere ogni legame con gli Hallander. Eppure mi sono lasciata trascinare al Vanity, un lussuoso negozio di abbigliamento delle dimensioni di una piccola città.
L'unica condizione che ho posto è stata quella di poter guidare io, dato che sapevo -purtroppo- di non avere nessuna possibilità di convincerli a non prendere l'auto, senza dover fornire scomode spiegazioni. Per il resto, non ho protestato, pur sapendo che mi sarei annoiata a morte.
Inoltre, non sono neanche sicura di aver perdonato Eileen per le sue parole o Simon per le sue bugie.

Per quanto riguarda Klaus, invece, ormai ho rinunciato a capire cosa provo nei suoi confronti.
A volte sono certa di detestarlo, ma ogni suo sguardo demolisce le mie barriere. E, senza volerlo, mi ritrovo a fissarlo di nascosto o a riflettere su quanto sia bello il suono del mio nome pronunciato dal suo accento inglese.

«E il mio scopo sarebbe fare da attaccapanni vivente?» chiede Klaus ironico.

«Ovvio, ma non solo». Eileen solleva la gruccia in modo che l'abito le aderisca al corpo. «Devi fare il giudice. Quanto sono sexy da uno a dieci con questo?»

«Sei mia sorella. La mia opinione non sarebbe obiettiva».

«Perché per te sono sempre bellissima?»

Klaus le rivolge un sorrisetto impertinente. «No, perché per me sei orrenda con qualsiasi cosa».

«Sei un bastardo».

«Lo so».

Eileen scuote la testa, divertita, ed entra nel camerino per cambiarsi, sparendo dietro l'ondeggiante cortina cremisi.

Klaus appoggia la spalla ad una colonna, gli occhi grigi screziati di blu puntati su di me. «Cosa ti ricordi di ieri sera?»

Sebbene la sua espressione trasmetta pacata indifferenza, percepisco una nota di apprensione nella sua voce.

Passata la nausea e affievolitosi l'emicrania, alcuni dettagli che avevo rimosso hanno cominciato a riaffiorare.
Ad esempio, il viscido tentativo di Jack di sedurmi... a tal proposito, mi sono appuntata mentalmente di riservargli lo stesso gentile trattamento di suo fratello Rafael.

«Non molto. Hai scoperto chi ti ha mandato il messaggio?»

Alquanto soddisfatto della mia risposta, Klaus fa segno di diniego con il capo. «Magari è stato solo uno stupido scherzo di Jacob».

Chissà perché, ma ne dubito!

«Hai provato a richiamare il numero?»

«Che idea geniale!» esclama in tono di esagerata enfasi. «Non ci avevo proprio pensato!»

Afferro una delle sciarpe dai bordi sfrangiati appese e gliela scaglio in faccia, facendolo ridacchiare.

«Ti ho già detto che ti odio, biondino?»

«Anch'io» annuisce. «Comunque, il numero non risulta più attivo».

«Telefono usa e getta?»

«Forse».

Quando Eileen scosta le tende, non posso che rimanere colpita dalla sua bellezza.
Il rosso acceso dei suoi boccoli, che oscillano selvaggi sulla sua schiena, gioca un meraviglioso contrasto con le sfavillanti paillettes del vestito, facendola risplendere di riflessi platinati. La scollatura abbastanza profonda e il tessuto aderente mettono in risalto le curve del suo seno generoso.
Se non fosse per il volto raggiante, la sua somiglianza con Alizée sarebbe impeccabile, in questo momento.

Le mostro il pollice all'insù. «Dieci».

«No. Troppo scollato» sentenzia Klaus.

Assottiglia le palpebre e guarda in cagnesco due ragazzi poco lontani, che si sono imbambolati ad ammirarla.

«Sparite se non volete che faccia il giocoliere con i vostri bulbi oculari» ordina minaccioso, facendoli scappare via.

«Non mi davano fastidio» commenta Eileen compiaciuta.

«A me sì. E poi sono tuo fratello maggiore: proteggerti è nel contratto».

«Sì ma, se dipendesse da te, dovrei mettermi solo il saio dei monaci».

«Meglio di no». Klaus ammicca scherzoso. «Il marrone non ti si addice».

All'improvviso, un lampo furioso congela lo sguardo di Eileen, proiettato verso un punto oltre di me, e sibila rabbiosa: «Non ci credo!»

Ecco, adesso è identica a sua madre!

«Che diavolo vuoi ancora?» urla furibonda, attirando l'attenzione di molte delle persone nei paraggi.

Klaus si ammutolisce e contrae la mascella mentre le sue dita sfiorano il polso dove prima c'era il braccialetto in un gesto quasi meccanico.

Mi giro a mia volta e vedo Jonas che si sta avvicinando a noi con una smorfia infastidita sul viso.
Il suo aspetto è più curato e formale del solito: i capelli corvini pettinati all'indietro, una camicia bianca sotto una giacca scura e lucidi mocassini neri.

Eileen avanza e gli posa una mano sul petto, fermandolo ad un paio di metri da Klaus.
«So che stai soffrendo, ma giuro che se fai del male a mio fratello...»

«Nella tua famiglia avete tutti delle manie di protagonismo, eh?» ribatte acido.

«E nella tua siete tutti degli emeriti idioti, eh

«Non sono qui per quel bastardo». Jonas le scansa il braccio con fermezza. «Sto lavorando».

«Non è vero! Tu fai il cameriere al Lucky House!»

«E, nei giorni liberi, faccio il commesso. Qui».

A quel punto, Eileen inizia a calmarsi e aggrotta la fronte, sorpresa. «Hai due lavori?»

«Già, e mi servono entrambi. Quindi ti sarei grato se non mi facessi licenziare con le tue scenate».

«E quando studi?» domando confusa.

Ignorandomi, Jonas supera il divanetto e si china per raccogliere qualcosa ai piedi di Klaus, spiandolo di sbieco come se si aspettasse che lo colpisca.

Invece, lui rimane immobile, i muscoli rigidi, scrutandolo riappendere al suo posto la sciarpa che avevo lanciato.

Eileen si schiarisce la gola, imbarazzata. «Ehm, mi dispiace per averti urlato...»

«Lascia stare» taglia corto Jonas scontroso.

Si allontana di alcuni passi, ma poi si volta e la fissa intensamente per un secondo, le striature dorate che sfavillano nei suoi occhi verdi.

«Il vestito è perfetto, comunque» borbotta.

Per la prima volta da quando la conosco, Eileen rimane senza parole, avvampando in un modo che mi ricorda Simon, e segue Jonas con lo sguardo fino a che non sparisce tra la folla.

«Ah! Visto che avevo ragione?» rinfaccio a Klaus, che ha assunto un'aria piuttosto torva. «Keeley Storm non sbaglia mai!»

«Non lo posso prendere!» esclama Eileen sconvolta. «Se stasera mi vede con questo, penserà che l'ho fatto perché piaceva a lui!»

Sbatto le palpebre, interrogativa. «Stasera?»

«Per la festa di Halloween organizzata a scuola» spiega lei, quasi fosse la cosa più ovvia al mondo. «Ci andiamo tutti, a parte Liam che preferisce rimanere a casa per studiare. Secondo me, vuole restare da solo con Arianne».

«Anche io ed Ed faremmo volentieri a meno di venire». Klaus emette un sospiro rassegnato. «Ma sappiamo che ci trascinerai contro la nostra volontà».

«Ed ha bisogno di distrarsi. Tra il nuoto e lo studio, la mamma lo sta soffocando». Eileen torna nel camerino e la sua voce ci giunge ovattata attraverso le tende. «Per una volta che non lo porta con sé a quelle stupide cene, voglio che si diverta».

«E perché devo esserci anch'io?» insiste Klaus.

«Stai benissimo in smoking».

Un fremito mi attraversa la spina dorsale all'immagine di lui con addosso un completo.
«A me sembra una valida ragione» concordo.

«So di essere incredibilmente attraente, ma non mi trasformerete in Liam».

Un dubbio improvviso mi assale e mi tiro a sedere sul divanetto. «Ma Crudelia sa che andremo alla festa?»

Klaus sfodera uno dei suoi sorrisetti che gli formano le formano le fossette agli angoli della bocca.

«No, ficcanaso... e dobbiamo sperare che non lo scopra».

***

L'altezzosa imperatrice, ammantata d'argento, si staglia in un pacifico cielo blu scuro che domina sull'immensa sala circolare. Un novero di stelle traccia una scia dorata che solca la buia cappa della notte, e i loro tenui riverberi si fondono in un dispettoso intreccio con i vetri istoriati del soffitto a cupola.
Il risultato è un meraviglioso turbinio di colori freddi: un connubio di verde, azzurro e viola che crea un'atmosfera mistica e spettrale, coronata dalle ombre in agguato sulle pareti.

Sorvegliati dagli occhi luminosi delle zucche intagliate in perfide smorfie, si radunano centinaia di ragazzi che mangiano ai tavoli imbanditi, bevono al bancone del bar o danzano in pista sotto le note di Thriller, il terrificante capolavoro di Michael Jackson.
Altri, invece, giocano a basket in giardino o si rilassano sulle sedie fuori dai chioschi allestiti per l'occasione, immuni all'aria gelida e pungente che fa stormire le fronde degli alberi.
La maggior parte di loro è travestita da personaggi spaventosi di varie saghe letterarie o televisive, offrendo spettacoli di bizzarre compagnie, come Lord Voldemort che scappa da Darth Fener, il quale lo insegue con la sua spada laser.

«Non dovevo lasciarmi convincere» si lamenta Edric, tappandosi le orecchie per proteggersi dalla confusione.

Il suo fascino tenebroso è accentuato dalla camicia nera con gemelli, inconsciamente sbottonata sul petto, e le ciocche nerissime lasciate ribelli sulla fronte.
Al collo porta il nostro regalo: una catenella in oro bianco da cui pende il ciondolo di platino di un tridente su cui sono incisi simboli greci, con un piccolo zaffiro incastonato sulla punta di ciascuno dei tre rebbi.

Né io né Klaus siamo riusciti a capire la ragione della scelta di Eileen ma, appena ha trovato quella meraviglia, ha deciso che fosse il dono perfetto per lui.
Dal canto mio, quando ho visto il prezzo a quattro cifre, ho chiesto se non superasse il budget a nostra disposizione.
E la prevedibile risposta è stata: “Siamo Hallander”.

Kal schiva un ragazzo camuffato da troll brillo che barcolla in giro, cantando con l'ausilio di una clava, e stringe Edric per una spalla.

«Sarà il compleanno più epico della tua vita, fratello!» grida infervorato, dopo avergli scansato le mani per liberargli i timpani.

Sebbene prima di uscire dalla villa si sia liberato del trucco, il suo aspetto non è meno intrigante, grazie al costume da Conte Dracula: cerone sul viso per dare la carnagione cadaverica, dentiera con i canini sporgenti, unghie finte simili ad artigli e un mantello nero e rosso dal colletto rialzato.

Eileen continua a guardarsi attorno con circospezione. «Mi raccomando, ragazzi, se...»

«Se troviamo Jonas, dobbiamo avvisarti così puoi nasconderti in bagno» completo annoiata. «Lo sappiamo».

Nonostante abbia trascorso due ore al Vanity a provare altri abiti splendidi e sfarzosi, sottoponendo me e Klaus ad una tortura atroce, nessuno di questi era riuscito a soddisfarla.
Alla fine si è arresa e ha acquistato il primo con il chiaro proposito di non farlo sapere a Jonas.

«Non mi nascondo». Eileen gonfia il petto, orgogliosa. «Me ne vado con eleganza ad incipriarmi il naso».

«Dove sono Ric e Klaus?» chiede Kal, voltando la testa da una parte all'altra. «Dovevano arrivare insieme».

Simon rotea gli occhi da dietro le lenti. «Non lo so e non mi interessa» dice in tono seccato.

«Se qualcuno vuole ubriacarsi, venga con me!» strilla Eileen.

Insieme a Kal, si inoltra verso il cuore della sala, fendendo la calca eterogenea che la invade.
Faccio per seguirli, ma Simon mi sfiora delicatamente il gomito, dunque mi giro per scoccargli un'occhiata incuriosita.

«Possiamo parlare?»

La serietà della sua voce mi coglie alla sprovvista.
Annuisco e gli permetto di accompagnarmi all'esterno verso la piscina, poco lontano da un gruppetto di ragazzi che stanno fumando sigarette o canne.

«Non vorrai farmi la tua dichiarazione, vero?» commento maliziosa.

Simon si aggiusta gli occhiali storti sul naso con un dito tremante. Sembra piuttosto nervoso, ma anche più determinato del solito.

«C'è qualcosa tra te e Klaus?»

Mi avvolgo meglio nella mia felpa al contrario, pentendomi di non aver portato il giubbotto.
Eileen aveva cercato di convincermi a comprare qualcosa di elegante da mettermi, ma mi sono rifiutata. Detesto quel genere di abbigliamento... mi fa sentire maledettamente impacciata e scomoda.

«Sì, una profonda e reciproca antipatia» ribatto con leggerezza. «Perché?»

Dalla sua espressione sospettosa, deduco che non mi abbia creduto e la frase che pronuncia è pregna di cupa ironia.

«Ho notato come lo guardi, Keeley».

Per un secondo, rimango talmente disorientata da non riuscire a dire niente.
Se pensa davvero che possa piacermi Klaus, si sbaglia completamente. È un irritante egocentrico con cui non faccio altro che litigare!

«Forse sono fisicamente attratta da lui perché... beh, è sexy. E il suo accento mi fa...»

Un intenso rossore si propaga sulle sue guance e sussurra, digrignando i denti: «Non voglio saperlo!»

«In ogni caso, non c'è nulla di romantico» concludo con assoluta convinzione.

«Bene». Simon comincia a smuovere l'erba con la punta della scarpa. «Allora... vuoi uscire con me?»

«Noi siamo fuori, carotino» faccio notare.

«No, intendo...» Il suo volto diventa ancora più teso e violaceo. «Un appuntamento».

Un'ovazione sbigottita lascia le mie labbra e impiego almeno un minuto per riprendermi dallo shock.

«Non voglio relazioni» affermo, un po' troppo precipitosamente.

Poi aggiungo, tentando di ricorrere a tutta la scarsa gentilezza che possiedo: «Mi dispiace, ma è meglio per entrambi, fidati».

E soprattutto per te.

Malgrado Simon rimanga in silenzio, quasi paralizzato, il suo dolore è tradito dagli enormi smeraldi, velati dalla tristezza, provocandomi una fitta al cuore.

Non sapendo cos'altro fare, lo supero e mi allontano in cerca di solitudine, dilaniata dal senso di colpa.
Continuo a camminare fino al limitare del piccolo bosco della scuola, animato dai richiami idillici della natura.
Sollevo lo sguardo al cielo e individuo il Lupo bianco che ulula alla luna, occultata in parte da nubi scure.

«Io e te sappiamo soltanto far soffrire le persone, eh, papà?» mormoro avvilita.

Uno scalpiccio frenetico alle mie spalle mi fa sussultare e, d'istinto, mi nascondo dietro il tronco di un pino, portando di scatto la mano al coltellino.

«Per favore, Daniel!» implora una voce famigliare.

Appena la riconosco, mi rilasso un po' e avverto i miei nervi distendersi.
Mi sporgo per sbirciare e vedo Edric che rincorre un ragazzo dal fisico atletico, il quale sta procedendo a passo spedito in direzione opposta.
Quando lo raggiunge, gli afferra un polso e lo costringe a fermarsi.

«Non toccarmi, cazzo!» impreca il ragazzo, liberandosi con uno strattone.

Edric arretra e, anche se il suo viso è immerso nella penombra, scorgo la sua espressione ferita.

«Ti prego. Mi dispiace» ansima in tono disperato. «So che ho sbagliato, scusa».

«Non mi importa». Il ragazzo si scosta rabbiosamente il ciuffo biondo che spicca nel buio. «Stammi lontano».

«Io ti ho perdonato per quello che hai fatto. Perché non puoi farlo anche tu? Perché non possiamo tornare amici?»

«I miei amici non cercano di infilarmi la lingua in gola, frocio

L'ultima parola sembra trafiggere Edric come una freccia acuminata. «Io... non...» balbetta, chinando la testa con impotenza.

«Non avvicinarti a me!» Daniel lo scansa con uno spintone e si dirige verso la piscina.

A questo punto, mi torna in mente quello che mi aveva detto Kal e capisco. Edric non ha litigato con il suo migliore amico per aver flirtato con quella Sili, la sua ex... ma perché era innamorato di lui.

«Fanculo!» sibila Edric tra sé, dando un calcio al terreno in un gesto pieno di frustrazione. 

Si lascia cadere e affonda la testa tra le ginocchia portate al petto, infilandosi le mani nei capelli. «Fanculo a tutti!»

Per un attimo, rimango indecisa su come comportarmi. Non voglio che sappia che ho spiato una sua conversazione privata, di nuovo... ma la solidarietà che provo nei suoi confronti mi impedisce di abbandonarlo lì, da solo.

Aspetto cinque minuti, poi percorro il confine estremo del bosco in modo da fargli pensare che io provenga dalla zona della piscina.

«Ehi, ciao!» lo saluto, avvicinandomi.

Edric si volta e, di colpo, il suo sguardo si tramuta in una maschera gelida, reprimendo ogni traccia della sua sofferenza.
Nonostante ciò, io so che c'è.

«Che diavolo vuoi?» domanda freddamente.

Scrollo le spalle e mi getto sul manto verdeggiante, al suo fianco. «Mi sono accorta di non averti ancora augurato buon compleanno. Ma non credo che lo sia, eh?»

«Allora puoi anche andartene adesso».

«La smetti di fare il macho antipatico per un minuto?» sbuffo seccata.

Un silenzio piacevole cala tra di noi, infranto solo dal fruscio delle chiome degli alberi, che sembrano respirare di vita per le carezze lievi del vento.

«Oggi mia madre mi ha chiesto cosa desiderassi come regalo. Ha detto che mi avrebbe preso qualsiasi cosa» sussurra lui all'improvviso, gli occhi di ghiaccio persi nel vuoto. «L'ironia è che la sola cosa che voglio, non si può comprare».

«E che cos'è?»

Edric si rigira il ciondolo del tridente tra le dita, fissandolo con un sorriso spento appena abbozzato. «Poter essere me stesso».

«Io sono sempre me stessa. E, di solito, non piace a nessuno». “Neanche a papà, probabilmente” penso, ma non oso dargli voce. Non ci riuscirei. «La vita fa schifo».

Ci guardiamo e scoppiamo entrambi in una debole risata priva di gioia, quasi cercassimo a vicenda di farci forza.

«Però ha anche un lato positivo». Mi alzo e lo scuoto per spronarlo ad imitarmi. «Si chiama alcol».

Torniamo all'interno della sala principale e ci addentriamo a forza di gomitate nella massa di corpi premuti uno contro l'altro, arrivando al bancone.

Colpisco la superficie piana con il palmo e urlo: «Due bourbon!»

Il barman ci porge due bicchieri pieni fino all'orlo. Ne prendo uno e porgo l'altro ad Edric, che lo vuota subito con una smorfia.

«È... forte» tossisce, strizzando gli occhi.

Bevo un sorso, ignorando lo stomaco che si contorce, ancora reduce dalla serata alla Taverna. «Devi solo abituarti».

«Ed!» esclama Kal ammirato, unendosi a noi. «Ti sei avventurato sulla strada della perdizione?»

Con lui, ci sono anche Eileen ed Alaric che stanno discutendo di qualcosa, tuttavia il frastuono della musica mi impedisce di sentirli. L'unica parola che riesco a cogliere è “Klaus”.

«Non rompere» borbotta Edric.

«Sono fiero di te, in realtà». Kal gli infila uno shottino in mano. «Ecco, vedrai che con questo dimenticherai tutti i tuoi problemi».

Se avesse prestato maggiore attenzione, forse Edric si sarebbe accorto della luce dispettosa, più fervida che mai, nel suo sguardo.
Invece, si limita a rovesciarne il contenuto in bocca e deglutisce, tossicchiando di nuovo.

«Ciao, Keeley» mi saluta Alaric.

Non ho il tempo di rispondere che Edric ci interrompe, picchiettandogli l'indice sul petto: «Oggi è il mio compleanno».

Io ed Eileen lo fissiamo stranite, invece Kal comincia a sghignazzare.

Alaric corruga la fronte, interdetto. «Ehm, lo so...»

«Non mi hai fatto gli auguri». La voce di Edric è imbronciata, quasi infantile, e ha una cadenza insolita, vibrante di un'energia adrenalinica.

«Scusa, non pensavo ti importasse». Alaric mi lancia un'occhiata perplessa, a cui rispondo con una stretta di spalle. «Buon compleanno, Edric».

«Non lo è, ma grazie del pensiero, Ric».

«Tu non mi chiami mai così...»

«Balliamo!» esclama Edric eccitato, cercando di tirarlo per la manica.

Senza muoversi, Alaric sbatte le palpebre più volte, come se non credesse a quello che sta succedendo. «Qualcuno gli ha dato una botta in testa, per caso?»

«Cosa gli hai messo nel drink, Kal?» replica Eileen diffidente, voltandosi verso il fratello che si sta sbellicando dalle risate.

«Potrei aver messo un pizzico di polverina bianca...»

«L'HAI DROGATO?!» strilla scandalizzata.

«Uffa, voglio ballare!»

Con delicatezza, Alaric scioglie la presa di Edric sulla sua camicia. «Scusa, ma non sono sicuro che tu lo voglia davvero...»

«Oh, tranquillo. Lo volevo anche prima di essere drogato».

«Ric» lo ammonisce Eileen minacciosa. «Ricorda che non è in sé».

«Solo un ballo. Giuro che non farò niente». Alaric si traccia una croce sul cuore e si allontana con un saltellante Edric verso la pista.

«Fantastico» commenta Kal divertito, asciugandosi una lacrima.

Eileen lo fulmina con lo sguardo. «Sei un idiota».

«Dovresti ringraziarmi! Da quanto Ed non era così felice?»

«Non è felice, Kal! È solo... fatto

«Beh sì, se consideri i dettagli».

Probabilmente Eileen lo avrebbe ucciso con un tacco a spillo se non si fosse levata una voce dal palco, amplificata dagli altoparlanti.

«Buona serata dell'orrore, studenti della Black High School!» dice un uomo con il volto coperto da una maschera in stile Jason.

«È Oliver Hale» mi spiega Kal. «La sua famiglia gestisce la scuola per conto della mamma. È lui che finanzia questo evento».

«È arrivato il momento più atteso di tutta la serata!» La notizia viene acclamata da fischi e grida concitate. «IL BALLO AL BUIO!»

«Ancora c'è questa stupida tradizione?» Eileen deve gridare per sovrastare il baccano. «Sono anni che non vengo alla festa di Halloween... pensavo l'avessero tolta».

«Che cosa sarebbe?» le chiedo incuriosita.

«Ai ragazzi vengono dati degli occhiali per la visione notturna. Poi scelgono una ragazza e ballano una canzone con lei, al buio. Alla fine, possono decidere se svelare la loro identità o andarsene prima che ritorni la luce».

«Ma come si può ballare al buio?! È una cosa senza senso!» affermo, per niente allettata da quell'idea.

«Devi sapere che noi ricchi facciamo molte cose senza senso».

«Non sono d'accordo». Kal prende gli occhiali che i bidelli stanno distribuendo per la sala. «È un'ottima occasione per rimorchiare».

Dei pannelli oscuranti iniziano a coprire la cupola di vetro, assorbendo il chiarore della luna, fino a che tutto viene inghiottito dall'oscurità.
Le uniche scarse fonti di illuminazione rimaste sono le zucche lungo la circonferenza, che consentono solo di orientarsi per non schiantarsi contro le pareti.

Un rumore di passi riecheggia nel silenzio, accompagnato dal brusio di risatine e sussurri. Mi accorgo di una presenza accanto a me e un odore pungente di rosmarino, seguito da un versetto stupito da parte di Eileen.

All'improvviso, delle dita fredde si intrecciano alle mie e uno strano calore si diffonde nel mio petto. Le mie gambe diventano molli come gelatina mentre mi lascio trasportare lentamente via dal bancone.

Quando una musica lenta e dolce si propaga nell'aria, lui mi attira a sé e mi circonda il fianco con una mano morbida... e tremante.
Accosto il mio viso al suo, il mento che gli sfiora la spalla, e un profumo muschiato mi invade le narici.
Siamo così vicini che il suo respiro accelerato mi deposita baci caldi sulla pelle, facendomi provare un brivido lungo la schiena.
Posso quasi avvertire le ondate di inquieta trepidazione che scaturiscono dal suo corpo, teso e rigido, a pochi centimetri dal mio.

«Pensavo odiassi i balli» sussurro al suo orecchio, sentendolo tremare appena.

«Infatti, li detesto. Ci si deve per forza toccare». L'accento inglese è marcato dalla voce leggermente incrinata per la paura. «Ma volevo ringraziarti, senza che tu mi vedessi».

«Per che cosa?»

«Non dormivo così bene da tanto tempo».

Esito per un secondo. «Hai avuto un incubo».

«Sì». Nonostante le tenebre, percepisco il suo sorriso. «Ma c'eri tu con me».

Il mio cuore compie un balzo, rendendomi conto che ha usato le mie stesse parole. È una coincidenza... o mi ha sentita?

Per sbaglio, qualcuno mi urta la schiena e vengo spinta contro Klaus, il mio seno premuto contro il suo torace e le sue labbra che, per un istante, si posano sulla mia guancia.
Le sue braccia mi stringono per non farmi cadere con un tocco attento e gentile, ma intriso di nervosismo.

«Chi ha inventato questo ballo era uno stupido maschilista» borbotto.

La sua risata, limpida e cristallina, è uno dei suoni più melodiosi che abbia mai sentito. «Sì, Jonathan Blackwood lo era. Ed era anche un bastardo».

Un ricordo riemerge nella mia mente come un'eco.
Una bellissima principessa triste, figlia di un re tiranno.
Un mostro che attacca il castello.
Un bambino nato da uno stupro.

Scuoto la testa, tentando di scacciare quei pensieri vaghi e astratti. «Perché il braccialetto era così importante?»

«Me l'ha regalato una persona» risponde in tono flebile.

Il bambino... morì. Moriva ogni giorno in quella prigione che era la sua casa.

A Baker Street, aveva detto che il luogo in cui si vive, a volte, può essere anche la prigione più spaventosa di tutte.

«Una persona a cui tenevi?»

Si chiedeva come potesse nel mondo esserci del bene, quando lui riceveva solo del male. E l'uomo cattivo gliene faceva molto, ogni giorno.

Alan mi ha raccontato che suo zio lo maltrattava, forse addirittura abusava di lui...

Klaus emette un sospiro e comincia a tremare più forte, spaventato. «Mi ha salvato la vita».

Ma poi un uomo buono lo salvò... e il bambino cominciò a vivere.

«La favola era la tua storia» bisbiglio scioccata. «La principessa era Alizée».

Se fosse dipeso da me, sarebbe morto nel mio grembo diciotto anni fa... lo odia perché è frutto di quella violenza.

«E tu sei il bambino».

Sei qui perché Klaus è nato... il suo vero cognome è Waylatt.
Ho commesso un errore e questo è il prezzo che devo pagare... la principessa ha ucciso il mostro.

«Come si chiamava? Tuo padre?»

All'ultima nota della canzone, Klaus mi fa fare una piroetta e poi torna ad accogliermi in un abbraccio carico di bisogno, di disperazione, di fragilità.

«Michael Waylatt».

Le iniziali scritte dietro la foto dei miei genitori, in fondo alla dedica... M.W.

Dopo alcuni secondi, i pannelli sulla cupola iniziano a ritirarsi e un fascio di luce illumina il volto di Klaus, intessendo fili argentei sui suoi capelli biondi.
I miei occhi si intrecciano ai suoi, le pagliuzze blu che scintillano come zaffiri in una tempesta grigia.

«Klaus, credo che i nostri padri fossero amici».

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