Prologo.
Trasferirsi in una nuova città non era mai facile, soprattutto per una ragazza come Sharon.
Aveva sempre avuto un carattere introverso, non si fidava facilmente delle persone e le persone non si fidavano di lei.
Iniziare l'anno scolastico in un ambiente completamente nuovo la spaventava, e non poco.
Per sua fortuna quel giorno si era svegliata di buon'umore, uscì dalle calde coperte e si stiracchiò aprendo la finestra per poi venire colpita dalla fresca brezza mattutina.
Ispirò a pieni polmoni e, istintivamente, sorrise.
Era l'occasione giusta per iniziare una nuova vita, nonostante ne avesse ancora paura era determinata a farlo.
Aprì l'armadio per trovare l'outfit più adatto: non voleva sembrare snob, troia, secchiona.
Voleva essere giusta.
Non si era mai sentita giusta, sentiva sempre di avere qualcosa di sbagliato in se ed era ostinata a cambiare quest'atteggiamento.
Optò per un paio di Jeans stretti che modellavano perfettamente le sue gambe e una camicia nera semitrasparente, ovviamente con una maglia sotto che impedisse la vista della sua pelle e del reggiseno.
C'erano due categorie di ragazze in quel paese: quelle con le felpe e quelle con le gonne che lasciavano poco all'immaginazione.
Lei non apparteneva a nessuna di esse.
Si era sempre ritenuta diversa dalla massa, Sharon faceva di testa sua e cercava di essere diversa da tutti.
Ad esempio, se iniziassero ad andare di moda i capelli biondi lei li tingerebbe di nero per essere diversa.
Odiava fare parte di un gruppo tutto uguale.
Pensava che fosse inutile conformarsi al gruppo, era molto meglio avere una propria personalità e non aveva paura di esprimerla.
Pettinò i lunghi capelli biondi che le ricadevano lungo la schiena, mise un po' di mascara e un leggero strato di lucida labbra ed era finalmente pronta.
"Buongiorno, pronta al tuo primo giorno di scuola?" le chiese la madre.
Il suo nome era Marta, era una donna gentile che amava sua figlia, aveva rinunciato a molto pur di renderla felice ma nonostante ciò non se ne pentiva, anzi.
"Buongiorno, sono prontissima" sorrise.
Si sedette al tavolo della cucina bevendo la tazza di thè che le aveva preparato la donna.
"Sei bellissima tesoro, farai strage di cuori" si complimentò, ma a Sharon non interessavano questo tipo di complimenti.
Non aveva un ragazzo da tempo, era stata ferita, derisa e umiliata per colpa del suo ultimo fidanzato e questo l'aveva ferita.
Non sarebbe tornata facilmente a fidarsi dei ragazzi.
"Grazie" si limitò a dire con un leggero sorriso rassicurante poi uscì di casa diretta alla sua nuova scuola.
Si guardò attorno, si sentiva una formica in mezzo a dei giganti.
Gli sguardi puntati su di lei iniziarono a farle credere che forse aveva i capelli messi male, era sporca oppure lo erano i vestiti.
Iniziò a salirle l'ansia.
"Hey, sei nuova?" due ragazze le vennero incontro sorridendo.
"Sì, voi siete?"
"Io sono Caterina e lei è Linda"
Sorrise.
"Io sono Sharon"
Iniziò una lunga chiacchierata fra le tre in cui si fecero le solite domande che si fanno per conoscere una persona, suonò la prima campanella ed entrò in classe.
Fortunatamente anche Caterina e Linda erano nella sua stessa classe.
"Non sederti vicino a quello" disse Linda indicando un ragazzo.
Aveva le cuffie nelle orecchie, il cappuccio in testa e lo sguardo basso mentre era intento a disegnare qualcosa sul banco.
"Perché?" chiese non capendo.
"Lo capirai da sola" spiegò per poi sedersi al suo posto.
Sharon si sedette nell'unico banco in cui ancora non c'era nessuno.
Tutti avevano i banchi a due, il ragazzo di prima no.
Solo ora aveva notato che lui era da solo.
La incuriosiva, e non poco.
Cos'aveva di sbagliato?
Entrò il professore che iniziò a fare l'appello.
Chiamó tutti, uno ad uno, tranne lui.
Non sapeva nemmeno il suo nome.
Si giró verso il suo compagno di banco.
"Perché non ha chiamato lui?" chiese
"Il muto- rise - è inutile chiamarlo, non risponde"
La sua espressione assunse un velo di confusione.
"Non vuole parlare" continuò.
"Qualcuno ci ha mai provato?" Chiese nuovamente e lui scosse la testa in segno di risposta negativa.
Sbuffò, come potevano lamentarsi del fatto che non parlasse se nessuno ci aveva provato?
"Almeno sai come si chiama?"
Scosse di nuovo la testa e Sharon puntò il suo sguardo fuori dalla finestra.
Magari non parlava per un problema avuto sin dalla nascita che glielo impediva, o forse era lui a non volerlo fare.
Non lo sapeva e lei odiava non sapere qualcosa.
Promise che al suono della campanella sarebbe andata a parlargli, non le interessava se le avevano detto di non farlo.
Doveva conoscere quel ragazzo.
Lo guardò meglio, riuscì a notare che portava gli occhiali, aveva i capelli leggermente scompigliati, ma che nonostante ciò gli stavano davvero bene.
La colpì il fatto che avesse lo sguardo triste, assente, come se la sua mente fosse in un luogo diverso rispetto al suo corpo.
Questa era la prima impressione che aveva su di lui, era un ragazzo triste.
Si vedeva che non stava bene, chissà da quanto non sorrideva, probabilmente nessuno gli aveva mai dato un motivo per farlo.
Suonò la campanella e il professore uscì dall'aula salutando.
Tutti si alzarono dai propri posti iniziando a parlare e a fare casino, lui no.
Rimase fermo, si rimise il cappuccio in testa come se volesse nascondersi e prese un quaderno dal suo zaino.
Prese la matita in mano e iniziò a tracciare linee continue nel foglio.
Sharon si avvicinò lentamente, stava disegnando una persona, una ragazza.
I suoi occhi erano nascosti da un'ombra, aveva un ghigno quasi pauroso e dei lunghi capelli mossi.
Vicino ad essa scrisse una frase in inglese 'Nobody wants you'.
Che fosse dedicata a lui?
Si avvicinò ancora e nel farlo urtò l'astuccio di un compagno che cadde facendo cadere anche il contenuto di esso.
Lui sussultò voltandosi e il suo sguardo incrociò per un attimo quello di Sharon.
Quel poco che bastò per vedere che aveva gli occhi lucidi.
Perché stava così male?
Abbassò subito lo sguardo, era evidente che non gli piacessero i contatti con le altre persone, forse era solo spaventato.
Pensò che forse non era il caso di parlargli in quel momento, si voltò tornando lentamente al suo banco con l'immagine dei suoi occhi stampata nella mente.
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