Capitolo 5 : L'Attico
La testa mi scoppia, quasi avessi un rullo compressore alle tempie. Delle martellate dritte sui testicoli sarebbero meno dolorose. Percepisco gli occhi irritati. Ho sicuramente delle borse più grosse di un bombolone ripieno di crema rancida. L'ora proiettata dalla sveglia sul comò m'infastidisce ad ogni minuto passato, sembra che il tempo abbia deciso di rallentare. Se almeno riuscissi a dormire, eviterei questo patimento.
La bionda al mio fianco non fa altro che ronfare come un coyote col cimurro. Mi chiedo come faccia quel suo piccolo ed innocente naso all'insù a produrre suoni tanto molesti. Il che diventa ancora più irritante, dal momento che questa riesce a risposare. E' come se mi sbattesse in faccia la sua quiete. La invidio.
Pensavo che con un po' di prolungato esercizio fisico sul materasso sarei riuscito a stancarmi a tal punto da crollare. Invece, si è rivelata una scopata inutile. Uno spreco ulteriore di energie.
Mi alzo, ormai incazzato, badando a fare più rumore possibile. Voglio che si svegli. Voglio che raccolga le sue cose e che se ne vada. Scalcio le bottiglie di rum, ormai completamente asciutte, dal parquet coi piedi. L'appartamento è un vero disastro. Scorgo la rossa sul divano in pelle a pancia in giù.
Mi avvicino e le scosto una ciocca dal volto, notando il trucco sbafato. Abbasso le palpebre, fingendo per qualche secondo di aver di fronte la coccinella, e faccio scivolare il dito medio sul suo bianco collo, le scapole e lungo la spina dorsale, fino ad imbattermi in qualche centimetro di stoffa, di pizzo nero. Il brivido da me scaturitele la sveglia, costringendola in uno sbadiglio affatto contenuto. Si solleva, stropicciandosi gli occhi, giusto per spargere quel poco di eyeliner rimasto. Mi squadra ancora affamata dalla testa ai piedi, stirandosi per mettere in bella mostra il seno. E' tutto, fuorché eccitante.
-Vuoi fare un altro giro? – ammicca, ravvivandosi i capelli ramati.
E questo da cosa l'hai dedotto? Sono completamente nudo e non mi hai fatto alzare un bel niente. Tira le somme. Le prendo il mento fra due dita, avvicinando le labbra al suo lobo.
-Voglio che tu e la tua amichetta laggiù ve ne andiate all'istante.
A quelle parole, si scosta risentita. Non vedo perché dovrei essere gentile. Raccata i vestiti dal tappetto e si dirige in bagno, senza evitare di sculettare.
-E' off-limits. – istruisco, accendendomi una sigaretta.
La biondina mi guarda sconcertata, mentre cerca di agganciare il reggiseno. Figuriamoci se dò loro il permesso di usufruire del mio attico. Non è mica una stanza d'albergo. Questa roba è mia. Mi è costata. Due sciacquette del genere non riuscirebbero a permettersi niente di tutto questo nemmeno dopo quarant'anni di duro lavoro.
-Vuoi negarci una doccia?
Non ricordo nemmeno il vostro nome, perché diavolo dovrei concedervela? Dopotutto, siete due sconosciute nella mia camera da letto.
-Avrete una casa vostra, no? – ribatto con tono fermo.
Borbottano fra loro, rivestendosi in fretta. Hanno due minuti prima che la sigaretta sia finita. Hanno due minuti per uscire dalla porta sulle proprie gambe.
Appoggio la fronte alla fredda vetrata, ritrovandomi a fissare l'intera città. E' sempre viva, in movimento. Come lei, io non dormo mai. Il cerchio alla testa peggiora al passare dei secondi. Bene, sono sbronzo, stanco e la giornata non è ancora terminata.
Appena spengo la cicca al posacenere in cristallo, odo la porta sbattere. Beh, almeno se ne sono andate senza rompere i coglioni. Sbuffo, componendo il numero di quello svitato di Vinci. Soprannome che lui stesso si è affibbiato. Non che la gente che bazzico abbia nomignoli migliori, compreso il mio. Al secondo squillo, risponde.
-Cerbero, bello mio. Cominciavo ad essere preoccupato, pensavo che le due mignotte ti avessero prosciugato.
Deficiente. Le aveva passate come ottima merce, ma si erano rivelate niente di speciale. Dovevo smetterla di seguire i suoi suggerimenti. Mai una volta che mi fosse andata bene, che ne fossi uscito soddisfatto.
-L'unica cosa che hanno prosciugato è la mia riserva d'alcool. – noto con dispiacere.
Non invidio affatto la colf che dovrà sistemare questo inferno domattina.
-Sei troppo esigente, Walker.
-Obiettivo, Vinci. E' diverso.
Il sesso è una forma d'arte. Bisogna saperci fare, sapersi muovere. Altrimenti basta un buco nel materasso e via, il gioco è fatto.
-Sarà, ma ti consiglio di smettere di fare queste considerazioni con gli altri. Sai, cominciano a girare certe voci.
Sapessi quante ne sento su di te.
-Illuminami.
Apro l'armadio con la mano sinistra, accarezzando uno ad uno i vari completi firmati.
-Che sei frocio.
Certo, mi scopo le più belle e sono finocchio.
-Qualcuna si è mai lamentata delle mie prestazioni?
Afferro un abito blue navy in hopsack, osservandolo alla luce del tramonto. Sarà perfetto per domani, ma stasera mi tocca qualche straccio. Lo attacco all'anta ed apro l'ultimo cassetto, estraendo maglia e felpa nere, e un jeans sdrucito.
-Non torniamo sull'argomento, che Pesto è ancora in paranoia.
-Ehi, mica è colpa mia se non gli si rizza. - non è difficile immaginare chi abbia fatto girare stupide chiacchiere sul mio conto – Comunque, non ti ho chiamato per spettegolare sui nostri uccelli.
-Lo so caro, sei parecchio scontato ultimamente. Per tua sfortuna, Rocco è ancora in ospedale. Lo hanno gonfiato per bene.
Sogghigna divertito. Dopotutto, cosa può saperne? Lui mica deve sporcarsi le mani. E' fuori dal giro. E' soltanto un cliente, un amico. E' libero.
-Doveva essere la mia serata libera.
Il tono mi deve essere sfuggito particolarmente avvilito, data la risposta istantanea.
-Per l'amor di Dio, Cerbero. Non dirmi che sei ancora in fissa con questa ragazzina. Non ha mica la fica d'oro.
Concludo la chiamata, riagganciandogli sul muso. Entro in doccia, girando la manopola finchè l'acqua non erompe bollente. Lizzie Hunt. Coccinella, coccinella. Chissà se stanotte riuscirò ad incontrarti. Vinci si prende gioco di me, ma solo perché non ti ha mai vista. Altro che fica d'oro, sarebbe lui a ricoprirti di denaro pur di averti.
Abbondo con il bagnoschiuma, desidero che l'odore di quelle due baldracche svanisca. Da quando l'ho vista, mi sento sporco dopo ogni copulata. Mi sento di tradirla, come se in qualche modo già mi appartenesse. Il che è alquanto fastidioso. Non posso sentirmi in colpa per ogni serata brava.
Eppure ho come l'impressione di essere costantemente giudicato. Io che non guardo mai in faccia a nessuno, io che ottengo qualsiasi cosa mi passi per la mente, io che sono rinato dalle mie ceneri. Dopotutto, un tempo non ero altro che un sempliciotto, un coglione qualsiasi. Un ragazzino nato, cresciuto, picchiato, drogato e trovato in strada.
Non avevo nessuno, non avevo niente. Abituato a contare solo su me stesso, abituato a sgattaiolare fra i vicoli come un sorcio in cerca di cibo. Abituato a rubare, abituato a passare inosservato. Una vita invisibile. Di quelle che non hanno peso nella società. Non ero niente.
Ma adesso sono qualcuno. Non dimenticherò mai quel giorno, per quanto tragico sia, mi ha permesso di diventare ciò che sono adesso. Devo ringraziare il fato, tutto sommato. Sarò stato pure immerso nella merda fino al collo, sballottolato come un fantoccio vuoto da un marciapiede all'altro, ma non sputerò sul mio passato. Il presente, oh sì, è semplicemente perfetto. O almeno, è quello in cui voglio credere. Forse Liz non sarà mai mia, ma questa sfida mi stimola. Aiuta a tenermi occupata la mente.
Esco di doccia, avvolgendo un asciugamano nero alla vita. Tolgo il vapore in eccesso dallo specchio, essendosi completamente appannato. Ho un aspetto tremendo. La barba comincia ad essere incolta e i capelli hanno bisogno di una spuntatina. Sono troppo lunghi, mi finiscono sugli occhi. Sospiro, tornando in camera per vestirmi. Anche la cura personale può aspettare domani. Per quanto mi piaccia essere ordinato e in tiro, stanotte dovrò lavorare fino a tardi. In sostanza, nessuno per la quale valga la pena fare bella figura.
Lascio le chiavi della moto sul tavolo in cucina ed esco, ho voglia di camminare, di fare qualche passo. Chiamo l'ascensore mentre mi accendo una sigaretta. Mh, il pacchetto è quasi finito. Le porte si aprono, accompagnate da quel distino suono acuto. Premo il bottone e mi appoggio alla parete, fissando i numeri dei piani diminuire poco alla volta. Il portiere all'ingresso mi saluta a gran voce, chissà chi crede che io sia, che lavoro faccia o di cosa mi occupi nel corso della giornata. Lo congedo con un cenno, indicandogli l'orologio al polso. Fingere di essere in ritardo è sempre un modo efficace per sottrarsi da persone logorroiche che tendono ad essere d'intralcio.
Con le mani in tasca, avanzo a testa alta osservando tutti i volti che incrocio lungo il cammino. Mi piace osservare la folla nel dettaglio, scorgere particolari degli individui. Ipotizzare le loro storie, le loro vite. Tipo la grassona accanto al semaforo. Ha gli occhi lucidi, il mascara sbafato. Ha pianto, è ovvio. Mi chiedo il motivo. Magari si è vista allo specchio. Magari l'uomo conosciuto online non l'ha accettata, essendo stato ingannato per mesi da foto rubate su facebook di qualche aspirante modella autodidatta. Magari non è riuscita ad entrare in un vestito che le piaceva. O forse il negozio di burrito preferito ha chiuso bottega per sempre. Chi può dirlo.
Oppure il bambino di fronte alla vetrina straripante di dolciumi e leccornie varie, con la madre che lo strattona per il cappuccio. Lei vestita di tutto punto, smartphone d'ultima generazione in borsa, auricolare con una chiamata in corso. Sbraita, fra i colleghi alla cornetta e il figlio ormai a terra in un capriccio da latte alle ginocchia. Lui, un fuscello pelle ed ossa, rileccato dalla testa ai piedi. Avrà una casa enorme, la piscina sul retro, tutte le console di questo mondo, ma riesce comunque a piangere per una caramella. Probabilmente, perché in realtà non ha niente, nemmeno l'affetto dei genitori, troppo occupati a rientrare nell'etichetta. Vive una menzogna, come tutti noi.
I passanti la scansano, chi la colpisce, chi le gira intorno, e solo ora noto uno sguardo smarrito. Forse, tutto sommato, anche lei è stanca delle apparenze. Non è più tanto preoccupata di fare brutta figura per via del bimbo, quanto di non avere la forza per essere una donna in carriera, una madre presente ed una moglie perfetta. Le maschere pesano, anche se ci hai fatto l'abitudine, col tempo gravano sempre più. Ed io lo so bene, purtroppo.
Volenti o meno, nessuno di noi ha intenzione di farsi conoscere al cento per cento. Diffidate da chi col sorriso vi dice di non avere segreti. Diffidate da chi esclama di essere felice. Diffidate da chi ammette di non avere alcun rimpianto. Facciate, strati e strati di balle.
La supero, lasciandomi alle spalle i suoi stupidi problemi, e assaporo un po' di nicotina. Le luci del circondario sono soffocanti. C'è così tanto inquinamento luminoso che riesco a scorgere a malapena la luna. Chissà chi ti sta guardando. Chissà se quella ragazza sta facendo lo stesso. Mh, forse sarà troppo occupata a scarabocchiare qualche derelitto. Essendo arrivato a destinazione, circumnavigo il Night fino a imbattermi nella fatidica porta rossa. Busso tre volte, col ritmo prestabilito. Lo spioncino scorre e due occhi neri incrociano i miei.
-Password?
Spengo la sigaretta al di sopra dell'apertura, come se gliela stessi schiaffando sulla fronte.
-Pesto, non fare il cazzone. - non esiste nessun codice, nessuna password. Non siamo mica in un film mafioso di serie b – Il Grande Capo è in casa?
Ride, permettendomi di entrare.
-Se viene a sapere come lo chiami, ti prende a legnate.
Il locale è silenzioso, calmo e spoglio. Nessuna puttana abbarbicata ai pali come una sanguisuga affamata, nessun coglione ubriaco per la sala, nessuna coppia impegnata sugli scalini, ma soprattutto nessun preservativo usato a terra. Pesto blatera di come gli è andato bene l'ultimo lavoro, di come si è incazzata la sua recente donna per qualche stronzata e di come è figo il dragone tatuato sul collo. Aggrappo qualche parola a caso, ricostruendo una sottospecie di filo logico per permettermi di rispondergli in modo sensato, fingendo di essere interessato ai suoi fatti.
-...al Mamba?
Riemergo appena mi pare di aver udito qualcosa di familiare.
-Biascichi Pesto, non ho capito un cazzo.
Mi tira un pugno sulla spalla, prima di entrare nella stanza del capo.
-Mi domandavo se il nostro Cerbero fosse riuscito a spupazzarsi la tipa del Black Mamba.
Sfodera un sorriso inguardabile, fra i denti marci e quelli laccati in oro.
-Deduco che Vinci ha spifferato i miei segretucci.
Lo dico ridendo, ma in realtà sono incazzato nero. Dovrei smetterla di parlare da sbronzo, finisco col dire troppo. Non voglio che questi screanzati inizino a frequentare il locale per dispetto. Non voglio che altri uomini mettano gli occhi addosso alla coccinella. O che abbiano il coraggio di portarmela via prima che abbia terminato il banchetto.
-Ma sì, già usata. Non era niente di che alla fine. – allego, entrando nell'ufficio.
Ed eccolo lì, nella sua poltrona, nel suo regno. L'uomo a cui devo tutto.
/ spazio autrice /
Uh uh, quanto mi diverto a scrivere i capitoli di Damon. È un po' cinico, vero? 😂 Uno spirito saccente, ma almeno è sincero u.u Scusate se la storia va a rilento, ma ho i miei tempi in queste cose. 👉🏻👈🏻
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