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Capitolo 2 : Il Corvo


Il ritratto non è finito. Sono lenta, come sempre. Se solo la smettessi di acchiappare soggetti che devono scendere alle prime fermate della corsa. Ma non è colpa mia, sono loro ad essere interessanti.

Quando vengo in metropolitana, non ho come scopo quello di raffigurare individui che abbracciano i canoni della bellezza ideale odierna, lascio fare all'istinto. A volte è soltanto un piccolo dettaglio a catturare la mia attenzione. Ho bisogno di fare pratica, per questo quando ne ho il tempo scelgo sempre posti affollati. Tram, centri commerciali, bar al mattino e locali notturni. Ecco perché adesso mi trovo su questo vagone.

Non ho una meta precisa. Appena sarà giunto al capolinea, prenderò il prossimo per tornarmene alla mia tana. Non sarà il modo più divertente per passare un pomeriggio, ma questa sono io. Vita semplice, noiosa a detta di alcuni, e ben organizzata. Ho i miei schemi, i miei orari, e difficilmente non mi attengo ad essi. Giro la pagina, accarezzandone una immacolata. Chissà quale sarà il mio prossimo modello.

Passo lo sguardo sul vetro in cerca di un riflesso accattivante. Non mi piace fissare le persone, farmi notare troppo. Osservo in modo passivo, silenzioso, sfruttando specchi, finestre e bicchieri. Tutto ciò che mi permette di scrutare un'immagine proiettata di un soggetto. Trovo il particolare più intrigante, significativo. E' come se inchiostrassi l'altra faccia della medaglia, come se rubassi un piccolo frammento della loro essenza. Non è un problema se il loro doppione è più scuro, meno saturato a causa della superficie in cui è riflesso. Dopotutto i miei schizzi non sono ritratti completamente fedeli.

Non cerco la perfezione. Lascio che sia la penna a guidarmi, a tracciare le linee, a rendere astratto qualche dettaglio di un volto. Rigorosamente con una bic nera. Zero bozzetto. L'esercizio mi è stato assegnato dal mio insegnante d'arte, nel corso a cui partecipo. Dice sia utile per prendere confidenza con se stessi. Non si ha la possibilità di fare correzioni, bisogna disegnare senza timore di fare un errore, senza avere un controllo assoluto sull'opera finale. Non nego quanto sia stato difficile per me all'inizio.

Comunque, non trovando nessuno poi tanto coinvolgente, scendo di fretta prima che le porte si chiudano. L'aria afosa e pregna di smog mi investe con poca delicatezza. Fresno rappresenta la mia seconda occasione, la possibilità di una rinascita. Sono sola, completamente autonoma. Rimbalzo da un lavoretto part-time all'altro soltanto per permettermi di pagare le lezioni d'arte e la camera di qualche motel. Ne cambio una ogni due mesi circa. Gli appartamenti in città costano troppo e sinceramente me ne farei di poco, visto che passo più tempo all'aperto che sotto un tetto. Mi bastano un letto e una doccia per sentirmi a casa. Ma non è questo il punto.

Che vada a farsi benedire l'alto tasso di criminalità, che si fottano i ragazzini che mi hanno taccheggiato l'altro ieri per spillarmi qualche banconota, che se ne vadano a quel paese i turisti con la puzza sotto al naso. Fresno è libertà, città dell'anarchia e delle mille occasioni. C'è un posto per tutti, se vuoi restare, basta saper dove cercare.

Salgo con un balzo su un muretto a fianco di una stradina secondaria e vi cammino tentando di mantenere l'equilibrio, nonostante la suola rovinata degli anfibi. Allargo le braccia e respiro a pieni polmoni la vita. Qui non ho nessuno, eppure non mi sento sola. Al contrario, vivo ogni giorno come se fossi circondata, come se fosse la città stessa ad infondermi l'affetto.

La gente 'per bene' che passa mi fissa con espressione sconcertata o si limita ad un leggero movimento di testa, come a negare la mia ipotetica intelligenza. Non sarò più una bambina, ma posso ancora permettermi di giocare. Gli adulti passano troppo tempo ad ingabbiare il loro animo fanciullesco, quando dovrebbero almeno lasciargli qualche ora di libertà ogni tanto. Male di certo non fa. Chi sa coltivare il proprio io bambino, vive di più e meglio.

A me non interessano le loro occhiatacce, le quali non si limitano a giudicare solo i miei salti e le linguacce che rivolgo loro, né mi feriscono i commenti sul mio abbigliamento trasandato o total black. Sono l'anti femmina e ne vado fiera. Borse? Zaino per tutta la vita. Tacchi? Non so cosa siano. Gonne? Perché devo perdere tempo a depilarmi per farmi fissare la gambe da qualche depravato. Non voglio passare ogni settimana a lavorare di lametta o a incerottarmi taglietti sulle ginocchia, né voglio spendere i pochi quattrini sudati per pagare una vichinga repressa che mi strapperebbe peli e pelle con cera bollente. No grazie. Questo non vuol dire che sia uno yeti là sotto, intendiamoci. Soltanto che non capisco queste donne che se ne vanno a giro con le chiappe all'aria in pieno inverno.

Scarponi, jeans neri sdruciti, maglioni abnormi e felpe decisamente non della mia taglia. Questo è il mio stile. E non sono certamente l'unica ad attenersi a questo look da drogato di strada. Semplicemente, è comodo. Qualche capo buono ce l'ho, comprese magliette aderenti o top, ma dipende dall'umore del momento. E a proposito di umore, non vedo l'ora che arrivi la notte. Manca poco prima che faccia buio. Buio significa alcool e alcool significa gin tonic.

Fortuna che la mia camera si affaccia su una via che porta ad un localino niente male, per tipi senza troppe pretese. Si paga poco, non tanto perché sia economico, quanto perché il barman è sempre così pieno di liquore fino al cervello, da non far caso alle bevute effettive. Spesso mi sono ritrovata a dovermi servire da sola. Oltretutto c'è sempre un'aria movimentata, non manca mai qualche amichevole guazzabuglio. È praticamente perfetto per disegnare, lì trovo la vera faccia della vita di Fresno, la feccia della feccia, come la più golosissima crème de la crème. Oro puro per la mia vena artistica.

Mi accorgo di essere arrivata al mio covo grazie alle tipiche urla dei vicini di stanza. I signori Delgado. Un'amabile coppia, se non fosse per i costanti litigi su chi ha finito l'ennesima bottiglia di tequila e su chi deve provvedere ad acquistarne un'altra. La moglie fa sempre la vittima, ma a giudicare da come barcolla al mattino, sono più che pronta a scommettere che sia lei il cavallo vincente.

Scavo per trovare le chiavi nel fondo dello zaino, le inserisco nella serratura ed eccomi qui, casa dolce casa, se si può dire. Lancio il maglione, restando in canottiera bianca, e lo zainetto sul tavolino nell'angolo, rischiando di far crollare rovinosamente l'abatjour sul pavimento. Anche se fosse accaduto, non mi sarebbe andata male. Niente si sarebbe rotto, data la moquette giallo senape che riveste ogni centimetro di questo anfratto. Che tra l'altro è una vera chicca, un piacere agli occhi. Mi lascio cadere sul materasso cigolante, osservando un piccolo ragnetto nero sul soffitto intento a filare una tela. Bene, un nuovo inquilino. Finchè si mangerà le zanzare, andremo d'accordo.

Rotolo sul letto fino a giungere al comodino. Apro il cassetto, estraendo un plumcake confezionato, e ne mangio un po' canticchiando, mentre aspetto che l'acqua della doccia diventi della temperatura giusta. A volte non lo diventa mai, obbligandomi a vivere il gelo di Redivivo. Ormai scalza, raggiungo il buco nel cartongesso sulla parete sinistra. Mi accuccio e lascio qualche briciola. Nemmeno una manciata di secondi ed ecco arrivare Dalì, un topino tanto in carne quanto egocentrico. L'ho chiamato così a causa dei baffi arricciati e tendenzialmente bruciacchiati. Credo abbia morso qualche cavo sbagliato. Si riempie le guance e mi ringrazia a modo suo, girando intorno ai miei piedi prima di svanire.

Quasi quasi mi duole dover 'traslocare' fra una settimana. Questo posto comincia a piacermi sul serio. Potrei fare un'eccezione. Entro in doccia, ormai rassegnata. L'acqua non è affatto calda, ma almeno è accettabile. Mi insapono con un bagnoschiuma alla menta. Oltre al fatto di aver un ottimo profumo frizzante, tiene alla larga le cimici dei letti dal mio bel corpicino. Ovviamente ho già adottato diverse precauzioni naturali, visto che sono le uniche che posso permettermi. Ovvero: scaglie di sapone sul materasso e spicchi d'aglio negli angoli della stanza. Funziona davvero, provare per credere.

Mi asciugo i capelli passandoci semplicemente sopra un panno, strusciando per rimuovere più acqua possibile. Allo specchio intravedo più un porcospino piuttosto che un taglio elegante. Mi pettino passando le dita fra le ciocche ribelli, nascondo il colore delle mia labbra smorte sotto un bel rosso cupo e sono pronta. Stasera non ho voglia nemmeno di mettere un po' di mascara, tanto non devo fare bella impressione su nessuno. Apro l'anta della cabina armadio scontrandomi coi pochi abiti rimasti. Devo passare al più presto da una tintoria. Afferro un top qualsiasi e lo indosso, riabbinandolo ai jeans di oggi e agli anfibi. L'orologio indica le dieci e mezza. Perfetto, ho tutto il tempo per parlare con Otbert e gustarmi una delle sue delizie, prima di sostare al pub. Prendo qualche scorciatoia, passando per vicoli poco raccomandati, ma ecco che l'odore pungente di tabasco mi allieta il cuore.

-Eccoti qua zaychic moy, ti stavo aspettando.

'Coniglietto' è il soprannome che mi ha gentilmente regalato, suppongo per il fatto che mi veda sempre zampettare allegra qua attorno. Prima che possa rispondere mi viene schiaffato sulle mani un hotdog rovente colmo di salsa piccante speciale, ricetta che viene tramanda da generazioni nella famiglia di Ot. Ne va così fiero che non ho ancora avuto il coraggio di dirgli che me ne basterebbe anche qualche goccia in meno, dato che dopo due morsi ho la bocca completamente anestetizzata.

-Questa città sarebbe vuota senza la tua presenza. – dico, prima di addentare quel panino orgasmatico.

Otbert ride fra i folti baffi biondicci mentre riordina il chioschetto ambulante. Ho davanti un vero energumeno, tipico esempio di virilità russa. Tutto muscoli, tatuaggi e testa piccola, squadrata. Un altro ottimo motivo per non trasferirmi da questo quartiere. Ora che ci penso, è anche l'unica persona fino ad oggi che potrei addirittura pensare di chiamare amica.

-Te ne vai al Black Mamba anche stasera? – chiede, asciugandosi le dita al grembiule ocra.

Ormai mi conosce bene, non che le mie abitudini offrano i più svariati scenari.

-Lo sai che mi piace. Dovresti venirci una sera di queste. – mi sporgo, superando il banchetto – Che rimanga fra noi, si beve gratis.

-Ah zaychic moy, credo che ormai tutti lo sappiano.

Ot e l'ironia, due mondi opposti. Non risponde comunque all'invito, affrettandosi a chiudere la baracca. Non mi ha mai detto cosa fa la notte, teme che possa giudicarlo a causa della gente che bazzica, ma sinceramente non mi importa se spacci o meno. Qui, più o meno, sono tutti indaffarati dietro alla droga. Pare una prerogativa. Mi abbraccia in una morsa mortale da anaconda e se ne va facendomi l'occhiolino.

-Dasvidiana Otbert!

Il cellulare indica le ventitrè e dieci. Ot, puntuale come al solito anche alla chiusura. Sette minuti di camminata e sarò al locale. Sì, mi sono cronometrata. A volte lo faccio, un bel divertimento da persona noiosa quale sono. Appena arrivo all'entrata, faccio un respiro profondo.

Adesso devo attivare la maschera da donna fredda e affatto vogliosa di compagnia, da donna potente ed indisponente, distaccata da tutto e tutti. E' la mia tattica che funge da repellente per i maschietti arzilli. Di fatto, mi è utile soprattutto per essere lasciata in pace mentre mi godo il mio drink e disegno. Spingo la porta in legno lavorato ed entro in quel mondo parallelo che solo questo pub sa offrirmi. Chiasso, urla, odore indistinto di fritto ed erba, e il mio fantastico angolino. Non faccio in tempo a sedermi, che subito compare sotto ai miei occhi un bicchiere colmo della mia ambrosia. Ottimo, il tipo ha imparato. Mi fa un cenno e torna ad attaccarsi all'erogatore della birra a doppio malto.

Sospiro, prendendo lo zaino per estrarre il quaderno, ma quella assurda sensazione mi pervade, penetrandomi sotto pelle come ogni diavolo di notte da quando ho messo piede in questo locale. So chi è a procurarmi questa percezione, so a chi appartengono gli occhi che mi accarezzano in attesa di dilaniarmi.

Fino a ieri, conoscevo solo il riflesso di quest'uomo. Lo avevo osservato giorno dopo giorno attraverso un piccolo specchio polveroso posto sulla mensola più alta alle spalle del barman. Ero riuscita ad intravedere pochi e indistinti dettagli sul suo conto, ma niente di concreto. Niente che mi permettesse di creare un singolo schizzo. Infatti, era l'unica persona di cui non ero riuscita a produrre un ritratto dalla sua semplice proiezione. E la cosa mi infastidiva, intensamente.

Ma ieri tutto è cambiato. Ieri ho ceduto alla tentazione di guardarlo in pieno volto. Non che lo avessi evitato per timidezza, quanto per la strana aurea che tutto il suo corpo era solito emanare. E' come se avesse un enorme cartello con su scritto 'pericolo' sulla testa. Più mi dicevo di lasciar perdere e più una parte di me voleva catturare qualcosa di questo sconosciuto. E ieri, ieri la tentazione ha vinto.

Se vi state chiedendo se alla fine sia rimasta soddisfatta della visione, non so come rispondervi. Era un corvo appollaiato al proprio tavolo. Artigli affilati come la miglior katana di Hattori Hanzo. Becco acuminato e sguardo glaciale, tagliente come vetro rotto. Era un corvo, ma maestoso nella sua apparente ferocia. E per quella manciata di secondi in cui gli avevo dato il permesso di guardarmi, mi ero sentita spogliata da tutte le mie corazze. Mi ero sentita invasa. E adesso, per l'ennesima volta, ogni centimetro di me arde dal desiderio di incrociare il suo sguardo. Ed io, non so se ne uscirò da vittoriosa o da vinta.

/angolo autrice/
E qui abbiamo lei, una vita 'povera' ma più felice. Due modi opposti di vedere Fresno, anzi, proprio due modi opposti di vedere il mondo. Diciamo che con l'aumentare dei capitoli, avrete a disposizione più pezzi del puzzle 👅 Che impressioni vi ha dato? Spero di non annoiarvi troppo con questa storiella.

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