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Capitolo 16

Il cielo, quella notte, era nero come la pece; nessuna stella, nessuna traccia di nuvole, solo la luce della luna illuminava il cammino che Jason stava compiendo per chiudere, una volta per tutte, i conti con il suo burrascoso passato.

Nonostante fossimo nel mese di giugno, il ragazzo provò un certo brivido nell'avvicinarsi alla sua destinazione. Non gli erano mai piaciute le minacce, e ad esse aveva sempre reagito in modo bellicoso facendosi valere ogni volta, ma quella notte, qualcosa in lui gli disse che sarebbe stato diverso.
Tom era solo uno stupido scagnozzo ubriacone, ripagato solo della benedizione del suo superiore, ma lui sapeva che dietro quell'uomo se ne nascondeva un altro ben più potente: Samuel.

Quel nome.

Il biondo lo aveva sentito fin troppe volte pronunciare da quel vile di suo padre, ma mai prima d'ora lo aveva incontrato di persona.
Agiva nell'ombra, come se volesse restare nascosto fino a tempo debito e poi sbucare fuori e colpire, per darti il colpo di grazia.
In quel momento, Jason pensò che se suo padre non fosse morto per mano sua, di sicuro sarebbe stato quel Samuel a ridurlo in cibo per i lupi.

Scacciò quei pensieri e continuò il suo percorso nella tiepida notte pre-estiva, guardandosi le spalle di tanto in tanto. Il silenzio regnava, e anche se non aveva paura di nulla, non poteva dire lo stesso della persona da cui stava andando.

Una volta arrivato a destinazione, si fermò ad osservare il capannone scuro di fronte a lui. Sembrava una specie di enorme garage, con il portone in metallo e due piccole finestre sul muro laterale, una era aperta e da essa filtrava una fioca luce violacea.

Jason deglutì e, una volta avvicinatosi a sufficienza, picchiò con energia il palmo della mano contro il portone per farsi aprire.
Dovette aspettare qualche minuto prima che questo si sollevasse automaticamente, lasciando intravedere dapprima due gambe robuste, poi un torace a dir poco muscoloso, e infine una faccia che tirava i cazzotti.

«Chi non muore si rivede, eh McCann?» sputò Tom, una volta constatato chi fosse alla porta.
Jason abbozzò un sorriso per niente veritiero e infilò la mano nella tasca destra del giubbotto, estraendo successivamente quattro bei blocchi di verdoni, legati insieme da un elastico.
«I vostri fottuti soldi», sussurrò il giovane allungando il braccio verso l'uomo in piedi di fronte a lui.
Tom li prese con uno scatto fulmineo e li contò tutti uno ad uno, per essere sicuro che quel teppistello non lo stesse prendendo in giro, mentre dal canto suo, Jason si sorprese nel vedere che un ammasso di stupidità e ignoranza come quello sapesse anche contare.

«Bel lavoro ragazzo, appena in tempo. Il capo stava già caricando le pistole per farti saltare la testa. Ricorda che questa è solo la prima quota», disse Tom ridendo leggermente per la frase appena detta.
Jason non se ne preoccupò più di tanto, anche se doveva ammettere che quel Samuel era davvero un osso duro. Più volte era apparso al telegiornale accusato di plurimo omicidio, spaccio di droga, violenze sessuali su minori e quant'altro. Era uno con cui non si poteva scherzare.
Jason avrebbe fatto quello che gli veniva ordinato, ma solo finchè non avesse trovato un modo per raderlo al tappeto.

In quel momento ripensò a Sienna, a quanto quella ragazza si era data da fare per farlo cambiare, per renderlo un ragazzo migliore. E lui, per l'ennesima volta, la ripagava infrangendo le regole, ma cercò di cacciar via dalla sua mente quel senso di colpa che lo attanagliava. Dopo tutto, quali altre alternative aveva?

«Ti ho messo paura cucciolino? Il gatto ti ha mangiato la lingua?»
La voce dell'uomo lo ridestò dai suoi pensieri.

Paura? Jason McCann? Neanche per sogno.

Il giovane fece un sorriso e scrollò la testa.  «Tu paura a me? Non essere sciocco amico», rispose e si voltò intenzionato ad andarsene da lì e tornare a casa, magari per fare una bella dormita; di seccature ne aveva avute fin troppe per quella sera.
«Ehi! Come osi...»

Ne aveva abbastanza. Era stanco e voleva sdraiarsi sul suo letto senza pensare più a niente fino alla mattina seguente, tornando a quella che stava diventando la sua nuova vita.
Con uno scatto, si voltò nuovamente verso Tom e prima che lui potesse proseguire la frase, gli sferrò un gancio destro in pieno viso che lo costrinse ad accasciarsi a terra dolorante.

Sapeva che probabilmente sarebbe tornato a cercarlo per vendicarsi, ma la soddisfazione di averlo colpito fu così tanta che avrebbe corso quel rischio.

***

La mattina seguente, non furono i raggi del sole che filtravano dalla finestra e tanto meno il borbottare di Carl a svegliarlo dal sonno, bensì il suo fottuto cellulare, che da poco aveva preso a squillare con insistenza.

Con le palpebre ancora abbassate, allungò il braccio verso il pavimento, dove la sera prima aveva lasciato cadere i jeans prima di infilarsi nel letto, e tastò nelle tasche alla ricerca dell'oggetto sonante.
Una volta trovato, sbloccò lo schermo, sempre ad occhi chiusi, e rispose con voce impastata.
«Jason sono io, Sienna!»
Sentendo la voce della rossa, il biondo aprì gli occhi e si mise seduto.
Guardò l'orario: erano solo le 7.00 e il loro turno non sarebbe iniziato prima di due ore.
Come mai, quindi, lo aveva chiamato? E perchè dalla voce sembrava avere un'aria scocciata?
«Ehi, tutto okay rossa?»
La sentì sospirare, che non le piacesse quel nomignolo?
«Senti, devi venire al pub subito, qualcuno stanotte ha rubato circa novecento dollari dall'incasso e Alan vuole fare una riunione».

Oh merda!

Doveva immaginarlo. Era stato davvero così stupido da non pensare alle conseguenze?
Fece un bel respiro, cercando di mantenere la calma. Doveva solo mostrarsi sereno, essere se stesso e non commettere errori che lo incastrassero.
D'altronde, ora lo ricordava, stupido stupido non lo era stato. Infatti, durante l'illegale atto commesso, indossava ancora i guanti usati per lavare i piatti, perciò nessuno avrebbe potuto risalire a lui in mancanza di impronte digitali che lo identificassero.

«Jason? Sei ancora lì?»
Fece un sospiro di sollievo.
«Sì, ci sono. Arrivo subito».
Detto ciò riattaccò, si vestì velocemente e uscì di casa senza nemmeno preoccuparsi di salutare Carl.

***

Una volta giunto davanti al Delirium, Jason arrestò i suoi passi di colpo. La scena che gli si parava davanti, gli riportava alla mente brutti ricordi.
Due auto della polizia erano parcheggiate davanti all'entrata, mentre tutti i suoi colleghi, Sienna compresa, erano riuniti in semicerchio intorno ad un poliziotto che stava porgendo loro alcune domande.
«Buongiorno, che è successo?» domandò con finta ingenuità una volta sufficientemente vicino al gruppo.
«Jason, sei arrivato finalmente!» lo rimproverò subito Alan. «Ci hanno derubato. L'agente Finn qui presente sostiene che il furto sia avvennuto durante l'orario di lavoro».
Il biondo guardò il poliziotto accanto a lui.
Aveva il viso butterato e ricoperto da una leggera barba incolta, ma curata.
«Sì, come ha detto il gestore, mancano i segni di un'infrazione, nessuno scasso, nè forzature, segno che il colpevole doveva trovarsi già all'interno al momento del colpo».

A questo Jason non aveva pensato. Era ovvio, un ladro comune avrebbe di sicuro sfondato la porta, ma lui...
Cominciò a gelarglisi il sangue nelle vene; non poteva permettersi di essere scoperto e risbattuto in cella un'altra volta. Non adesso che aveva appena riavuto la sua libertà.
«Voi avete notato niente durante il turno?»
La voce del poliziotto gli arrivò atona ed ovattata.
Doveva mantenere la concentrazione.
Fece di no con la testa, come tutti gli altri.

«Quando me ne sono andato, ho controllato l'incasso. I soldi erano molti di più».
Jason voltò il viso verso la fonte di quel suono fastidioso che aveva la voce di Chase.
Quel ragazzo gli avrebbe messo i bastoni tra le ruote con quel suo atteggiamento da santarellino, solo per attirare l'attenzione della rossa.
«E tu Jason? Sei stato l'ultimo ad andartene». Stavolta fu Alan ad incalzarlo a parlare.
«Non ho controllato. Ho solo chiuso il registratore a chiave e me ne sono andato», rispose con voce fortunatamente ferma.

Il quarto grado del poliziotto durò ancora qualche minuto, poi se ne andò insieme ai colleghi, i quali nel mentre avevano perquisito il Delirium in cerca di prove compromettenti.

«Quindi non ne sai niente nemmeno tu?»
Quando si voltò, si trovò faccia a faccia con gli occhi più belli del mondo.
«Già, è quello che ho detto», disse osservando la rossa sedersi accanto a lui sul muretto lì fuori.

«Sicuro?»

Perchè tutte quelle domande? Non si fidava di lui?
Beh, ne aveva tutto il diritto, ma.. Aveva forse lasciato intendere il contrario?

«Ehi, non sono più il Jason che hai conosciuto mesi fa, ricordi? Sono cambiato. Tu, mi hai cambiato».
Sienna sorrise, ma non sembrò del tutto convinta.
«Se sei stato tu, ti prego di dirmelo Jason. Io mi fido di te, ma...»
«Cosa? Ma cosa?»
Lui la guardò serio, non si aspettava il quarto grado anche da lei.
La ragazza sospirò, mordendosi appena il labbro inferiore.
«Sei stato l'ultimo a lasciare il locale e quando ti ho chiesto se volevi un passaggio hai rifiutato. Volevi restare dentro per...»
«No, non è così. Io non ho fatto nulla, chiaro?» la aggredì verbalmente, alzando il tono di voce.
Sienna annuì e fece per andarsene, delusa dal suo atteggiamento, ma lui le afferrò la mano come più volte aveva fatto. Non voleva allontanarla da lui, non adesso che aveva bisogno del suo affetto, di lei.

«Sienna, aspetta. Scusami», sussurrò attirandola più vicino a lui, ancora seduto. «Non è come pensi, ma ti prego ora cambiamo argomento, non mi va di parlare di questo».

La giovane lo guardò negli occhi, quegli occhi così profondi e allo stesso tempo magnetici che la attraevano da morire.
Sfoderò un sorriso malizioso e gli accarezzò la chioma dorata con dolcezza.

«Di cosa vuoi parlare, allora?» sussurrò premendo il suo bacino contro il petto di lui.
«Mmh, perchè invece di parlare non riprendiamo da dove siamo stati interrotti l'altro giorno? Tanto abbiamo ancora un'ora prima di iniziare il turno»,  la provocò.
Alla ragazza quell'idea parve piacere, dato che, con lentezza, posò le labbra su quelle del biondo e ne assaggiò il sapore a lungo, molto a lungo.

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