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Intermezzo- La maledizione del sangue

Nella foto: Leila Addams prima della trasformazione


Questo è un piccolo intermezzo per spiegare bene tutte le piccole lacune della storia. Narra della trasformazione di Alexander e del ruolo di Leila nella sua vita, visto che alcune di voi non ricorderanno l'accenno che ne ho fatto all'inizio della storia. Spero vi piaccia.


INGHILTERRA, 1634

"Voglio la bambola. Voglio la bambola. VOGLIO LA BAMBOLA!"

"Jennifer, sto per farti molto male." Minaccio senza vergogna la bambina aggrappala alla manica bianca della mia giacca, che mi lascia, mettendo il broncio e incrociando le braccia. Alzo gli occhi al cielo, cercando mille modi diversi per far fuori Genevieve. Come ha potuto lasciarmi queste due ragazzine? Non sarei dovuto uscire per vedere Leila, ieri, o almeno non mi sarei dovuto far beccare da quella serpe.

"Alex, mi porti a vedere le scarpe? Sono in quella bancarella lì infondo." Sbuffo e mi volto verso la quindicenne con il vestito blu. Rose si scosta un boccolo nero dalla spalla, guardandomi dal basso. Prendo Safaa in braccio e annuisco, un po' stufo di girare per il mercato del mio paese.

"Solo se la smetti di chiamarmi Alex." Lei alza un sopracciglio, aprendosi in un sorriso.

"Preferisci che ti chiami Christop..."

"Non lo dire! Sai che odio quel nome assurdo." La blocco, mettendole una mano davanti alla bocca. Lei scoppia a ridere e la toglie, correndo verso le scarpe. Alcune donne del villaggio la guardano cercare tra le scarpette, ammirando la fattura orientale del vestito. D'istinto la confronto con i loro grembiuli vecchi, e non posso fare a meno di pensare che si stiano corrodendo dall'invidia.

"Alexander, mi lasci? Voglio vedere le scarpe con Rose."

"Non ti allontanare da tua sorella." La rimbecco, e lei scuote la testa, assumendo una faccia seria che mi fa ridere. La lascio andare e la vedo muoversi a fatica in tutta quella organza rossa e oro che mia madre le fa indossare. Oggi ho dovuto aspettare due ore prima che finissero di acconciarle i capelli. Mi passo una mano tra i miei, lunghi fino alle spalle e neri, come quelli delle mie sorelle. Mi specchio in una pozza davanti a me, rivedendo l'immagine più giovane di mio padre. No. Ci metto un piede sopra, offuscando l'immagine con il movimento dell'acqua. Non voglio essere come lui. Non voglio vendere tappeti. A me piace il mondo. Voglio uscire dall'Inghilterra e conoscere gente, paesi, luoghi, invece sono obbligato a rimanere qui e ad occuparmi degli affari di famiglia.

"Ehi, bel giovane." Alzo lo sguardo e mi volto, incontrando il tessuto stravagante e colorato di una bancarella di zingari. Si sono piazzati qui qualche mese fa. Da quello che mi ha detto Rodrick vengono dall'oriente. L'aveva chiamata Transeligia... Transocania.... Transilvania. Non ricordo bene, però mi è sembrato un bel posto, pieno di miti e leggende su esseri sovrannaturali e super potenti. Mi piacerebbe visitarla, un giorno, magari senza portarmi dietro i tappeti.

"Dice a me?" chiedo, tornando alla realtà. La donna che mi sta parlando è abbastanza anziana, con lunghi capelli bianchi e occhi azzurro ghiaccio. Alza un dito ossuto e dalle unghie enormi e affilate, dicendomi di avvicinarmi. Lancio un'occhiata alle mie sorelle, che sono ancora attaccate alle scarpe. Ma sì. Potrei farle qualche domanda mentre aspetto. Mi avvicino lentamente e la donna mi squadra da capo a piedi.

"Salve, tu sei il figlio di lord Flinnegan." Sbarro gli occhi. Come fa a saperlo? La vecchia deve aver avvertito il mio disagio, perché scoppia a ridere, riempendomi le orecchie con voce stridula. "Non spaventarti, ragazzo. Io sono una veggente. So anche dell'ultima volta che hai rubato il cavallo a tuo padre per andare da quella ragazza bionda. La figlia di lord Addams." Okay, adesso mi ha convinto.

"Cosa vuole?" chiedo, cercando di essere il più educato possibile. La donna sorride e mi indica una sedia davanti a lei.

"Un giovane affascinante come te deve avere per forza un futuro radioso. Non ti piacerebbe conoscerlo?" Un futuro radioso? Per poco non scoppio a riderle in faccia.

"Signora, con tutto il rispetto, ma credo che lei si stia sbagliando."

"Oh, ragazzo. Impara. Io non sbaglio mai. Ora, scegli cinque carte." Da dove è sbucato fuori quel mazzo? Apre le carte a testa in giù e me le mostra. Alzo le spalle, cominciando a divertirmi per questo gioco da ciarlatani. Ne prendo cinque a caso, chiudendo gli occhi perché accusato di barare. Quando finisco la vecchia mette da parte il resto del mazzo e apre ad una ad una le carte che ho scelto. La prima rappresenta tre esserini in procinto di ballare. "Wow. La magia sarà presente nel tuo futuro. Questo può essere un buon segno, lo sai?" Pff, ne dubito. Con la mia fortuna, finirò folgorato da una strega. La seconda carta è un sole che sta nascendo. "L'alba rappresenta la rinascita. Forse qualcosa in te cambierà." Magari finalmente mi crescerà la barba! La maga mi guarda di sottecchi, poi gira la terza carta. Questa è una mano con un taglio nel mezzo. Sotto una parola rinchiusa in un rettangolino giallo. Sangue. "Curioso, davvero curioso." Dice fra sé e sé, e io allungo il collo per capirci qualcosa. Lei sembra più presa e gira la quarta carta. Sono delle persone che si abbracciano. "Amicizia. Un clan." Ormai non sta parlando più con me, ed io sento l'inquietudine crescere dentro di me. Mi volto verso Rose e Jennifer, che hanno lasciato prendere le scarpe e adesso stanno guardando la bancarella accanto. La donna fissa prima me, poi l'ultima carta, ancora girata. La vedo avvicinare una mano tremante e mostrarla tutta d'un colpo. Quando la guarda balza in piedi e si mette ad urlare. "Tu, sei maledetto!" Mi alzo in piedi, terrorizzato.

"Come si permette? È stata lei ad attirarmi qui!"

"La morte e il sangue sono presenti nel tuo futuro. La maledizione del sangue ti ricade sulla testa, e tra poco ti cadrà addosso, schiacciandoti. Non ti rimane molto tempo. Scappa finché puoi."

"Ma di cosa sta parlando?" D'istinto guardo l'ultima carta, caduta sul tavolo. È uno scheletro con un manto nero e una falce in mano. Morte. La donna continua ad indicarmi e gridare.

"Vampiro! Vampiro!" Ma cos'è un vampiro? Non capisco.

"Alexander, che stai facendo?" Corro verso Jennifer e la prendo in braccio, afferrando anche la mano di Rose.

"Andiamo via di qui, è tardi." dico sbrigativamente, sentendo gli occhi di tutti addosso. Stupida vecchia. La sento ancora gridare, e mia sorella mi tira per un braccio.

"Alex, ce l'ha con te?" chiede, ma io la sento a malapena. "Cos'è un vampiro? È un insulto?"

"Lasciala perdere. È pazza." Lo sto dicendo più a me stesso che a lei, ma la mia sorellina sembra aver capito il concetto, perché rimane in silenzio e continua a camminare, finché non raggiungiamo la carrozza.

"Signorine Flinnegan. Padron Flinnegan." Jonathan, il nostro chauffeur, si toglie il cilindro, continuando a tenere le redini dei cavalli neri.

"Salve Jonathan. Scusi se l'abbiamo fatta aspettare." dice Rose, salendo per prima. Le passo Jennifer e poi chiudo, andandomi a sedere al mio posto preferito, accanto al ragazzo biondo.

"Padron Flinnegan."

"Andiamo, Jo. Mi conosci da quando avevo quattro anni. Tanto sai che rimarrò qui sopra, e smettila di chiamarmi come chiami mio padre."

"Alexander, dovresti iniziare ad essere più responsabile e a curare la tua vita sociale. Tra poco sarai tu a gestire gli affari e..."

"No, ti prego, risparmiami." Mi metto un braccio sugli occhi e mi appoggio alla carrozza, godendomi il dondolio dei cavali sullo sterrato. Jo non dice una parola per il resto del viaggio, ed io rimango solo con i miei pensieri. Continuo a rivedere l'immagine di quella donna che mi urla contro, e la carta della morte che ho pescato. Naaah. Sono tutte cazzate. Non ho bisogno di altri grattacapi.

"Jo, cosa sono i vampiri?" Tolgo il braccio ed apro un occhi, sentendolo rimanere in silenzio. La carrozza inizia la salita, dondolando tranquilla sulla strada che va a strapiombo sul bosco sotto di noi. Non so perché mio padre abbia deciso di costruire la tenuta estiva così in alto. Deliri di onnipotenza, forse. "Jo?" lo chiamo, tirandogli una pacca dietro al collo. Lui si riprende e si volta.

"Scusa, pensavo. Comunque non ne so molto. Dicono che siano creature del demonio, che vivono al buio e si nutrono di sangue umano. Roba da brivido, eh?" Sbarro gli occhi e deglutisco, ritornando con la schiena dritta. Creature del demonio? Perché quella vecchia non poteva paragonarmi a dei teneri pony? Porto il viso tra le mani e lo strofino per riprendermi. "Perché me lo chiedi?"

"Nulla. Semplice curiosità." Gli sorrido e poi guardo lo strapiombo dalla mia parte. La carrozza inizia a muoversi di più ed io mi volto, sbarrando gli occhi. La mia sorellina ha praticamente mezzo busto fuori dalla portantina e sta sbirciando gli alberi sottostanti.

"Jennifer, non sporgerti in questo modo." In tutta risposta lei mi guarda e mi fa la linguaccia. Cerco di arrivare a lei con il braccio e spingerla dentro, mentre sento Rose tirare dall'altra parte. Jennifer si aggrappa al legno con le mani.

"No, voglio vedere gli alberi."

"E' pericoloso. Rischi di..." All'improvviso vedo Jo tirare le redini e i cavalli impennarsi spaventati. Rose viene sbalzata dall'altra parte della carrozza e perde la presa. Sento la mano di Jo che mi afferra la camicia, ma Jennifer non è così fortunata. La scena si svolge come a rallentatore: le sue manine perdono la presa sulla carrozza. Il suo busto si inclina sempre di più in avanti, finché non la vedo precipitare al suolo.

"JENNIFER!" Rose urla e io mi libero dalla presa del mio amico.

"Alexander, fermo!" Non lo ascolto e in un impeto di follia mi butto nel burrone, coprendo il corpo in caduta libera di lei con il mio. Chiudo gli occhi, aspettando la caduta. Stringo di più la presa quando la prima roccia mi colpisce, fracassandomi la schiena.

Apro gli occhi lentamente, sentendo il mio corpo appoggiato sopra qualcosa di morbido. Sono morto? Wow. Il paradiso assomiglia molto al mio letto. Mi metto seduto, non sentendo alcun dolore. Strano. Ricordo perfettamente di essere caduto da un burrone per salvare... Jennifer! Mi guardo intorno, improvvisamente in preda al panico. La porta si spalanca improvvisamente ed io vedo entrare mia madre, seguita dal medico di famiglia. Ma cosa sta succedendo? Mamma si porta le mani alla bocca e gli occhi le diventano lucidi, mentre mi stringe in un abbraccio soffocante.

"Alexander. Oddio, è un miracolo!" Il tessuto del suo vestito mi impedisce di respirare, ma non mi dispiace questo abbraccio. Ricambio titubante, staccandola un po' da me.

"Madre, io sto bene. Dov'è Jennifer?"

"Tua sorella sta bene. Jonathan mi ha raccontato tutto l'accaduto. Sei stato bravissimo." Mi sono bloccato alle prime quattro parole. Tua sorella sta bene. Sospiro di sollievo e mi appoggio al cuscino, rilassandomi.

"Cosa mi è successo?" chiedo, leggermente frastornato. Il dottore baffuto mi avvicina uno strano aggeggio al petto, ed io rabbrividisco per quanto è freddo. Sta in ascolto per un paio di minuti, chiedendomi ogni tanto di respirare. Dopo un po' ripone l'aggeggio infernale nella borsa e annuisce, sconcertato.

"Signora Flinnegan, suo figlio è la prova che Dio esiste. Le lesioni sono praticamente sparite. Il ragazzo gode di ottima salute e il battito del suo cuore e regolarissimo." Mia madre mi guarda felice ed accompagna il dottore fuori, lasciandomi da solo nella stanza. Finalmente un po' di pace. Raccolgo gli ultimi avvenimenti del giorno, ricordando a malapena la caduta e ancora meno quello che è avvenuto dopo. Sento in bocca un sapore metallico, come di sangue, e questo mi preoccupa. Potrei avere qualche emorragia interna.

"Alex!" Jennifer entra nella mia stanza, gridando e piangendo. Un toccasana per la mia testa. Mi metto di nuovo seduto e apro le braccia, sentendola cadere pesante su di me e stringermi il collo. "Scusami. Non volevo farti male. Non odiarmi. Non lo faccio più, lo giuro." Rido e le passo una mano sui capelli morbidi, accarezzandoli piano.

"Ehi, io non ti odio. Chi ti ha detto una cosa del genere?"

"Nessuno, ma io non ti ho ascoltato e tu sei caduto. Sembravi morto."

"Jenny, guardami." Mia sorella alza gli occhi verso di me, tirando su con il naso. "Sono ancora qui, visto? Non sono morto, e non morirò mai." mento, ma tanto è solo una bambina. Un giorno capirà da sola che tutti prima o poi lasciano questo mondo.

"Me lo prometti?" Deglutisco e sorrido, prendendole la mano e appoggiandola sul mio cuore, per farle sentire che ci sono ancora.

"Promesso."

Scendo dalla finestra e guardo soddisfatto la pianta che mi ha aiutato a raggiungere il giardino senza essere visto. A riposo un corno! Io mi sento benissimo, e voglio vedere la mia ragazza. Corro veloce verso le stalle e cerco finché non trovo il mio cavallo. Perfetto! Jo ha lasciato il cancello aperto, così come gli avevo chiesto. È già bardato e a me basta prenderlo e mettermi in sella. Nessuno mi ha visto. Sono un genio.

"Alexander Cristopher Flinnegan, stupido incosciente." Chiudo gli occhi e mi volto piano, cercando di ritardare il più possibile l'inevitabile.

"Ciao, Genevieve." Alzo una mano per salutare, maledicendo mentalmente mia sorella maggiore. Cosa ci fa fuori dalle sue stanze a quest'ora?

"Non mi dire ciao Genevieve come se nulla fosse. Scendi da quel maledetto cavallo o avverto le guardie di non lasciarti passare." Alzo gli occhi al cielo di fronte all'iperprotettività di mia sorella maggiore. Ha solo pochi anni più di me e crede di essere mia madre.

"Dai, sorellona. Sto bene, e anche Leila deve saperlo. Jo mi ha detto che la notizia della caduta si è sparsa per tutto il paese e io devo andare a rassicurarla. Ti prego." Detesto scendere così in basso, ma è necessario. Spalanco gli occhi e sporgo un po' il labbro inferiore, sperando di intenerirla. Genevieve mi guarda per un po' con occhi socchiusi, poi li alza al cielo e lascia andare le braccia lungo i fianchi.

"Va bene, vai pure, ma vedi di non farti scoprire da nostro padre." Sorriso e scendo velocemente da cavallo, dandole un bacio sulla guancia e facendole l'occhiolino.

"Sei la migliore, sorellona."

"Cerca di essere prudente. Sei ancora in convalescenza."

"Ehi, sono caduto da cinquanta metri e sono ancora qui. Sono invincibile, Genevieve." Rido e do un calcio al fianco dell'animale, che parte correndo verso l'uscita e poi lungo la discesa ripida. Cerco di non guardare in basso come facevo di solito, concentrandomi per vedere la strada anche con il buio della notte. Tiro un sospiro di sollievo quando mi ritrovo nelle strade del paese. Freno le redini quando trovo la piazza in festa. Cavolo, me ne ero completamente dimenticato. È la notte di Ognissanti. Dovrò prendere una via secondaria per evitare la festa paesana. Sbuffo per questo cambio di programma e do uno strattone verso la sinistra, facendo camminare adagio lo stallone nero che mi sta sotto. Detesto le strade strette, ma in fondo sono la via più sicura per arrivare a casa di lord Addams senza essere visto. Un urlo femminile mi riscuote dai miei pensieri. Proviene dalla mia destra. Lancio il cavallo e cerco di trovarne la provenienza, finché non mi ritrovo davanti ad una scena raccapricciante. Una ragazza grida e scalpita, mentre un uomo il doppio di lei cerca di alzarle il vestito. Non appena mi vede grida più forte, chiedendomi aiuto. L'uomo si volta e impreca qualcosa, tirandole uno schiaffo e facendola cadere.

"Vattene via, ragazzo. Non sono affari tuoi." Ringhia, avvicinandosi a me. Puzza terribilmente di alcool, ed è armato. La pistola luccica nella sua mano destra.

"Lascia stare la ragazza e sparisci." Dico, scendendo da cavallo.

"Non fare il principe azzurro. Finirai male." Lo guardo con sfida e porto un piede all'indietro.

"Scommettiamo?" In un lampo lui si avventa su di me, tentando di sferrarmi un pugno in faccia. Lo schivo e gli tiro un gancio destro e un calcio nello stomaco, facendolo piegare su se stesso. Lui si riprende e prova a colpirmi di nuovo. questa volta ci riesce ed io cado a terra, stordito dal pugno sulla mascella. Cazzo! Mi rimarrà il livido. Lo vedo mettersi davanti a me e puntarmi una pistola alla testa.

"Te lo avevo detto che saresti finito male. Riposa in pace, principino." Chiudo gli occhi, guardando la morte in faccia per la seconda volta in un giorno. All'improvviso un lampo rosso mi passa davanti, e vedo la ragazzina che fino a poco prima era stesa a terra che balza al collo taurino dell'uomo, graffiandolo e gridando. L'uomo si muove un po', permettendomi di rialzarmi, poi lancia la ragazza contro il muro. Mi basta questo piccolo lasso di tempo per tirargli un pugno che lo stende definitivamente. Quando è a terra gli tiro un ulteriore calcio nelle tempie, rendendolo inoffensivo. Ho il fiatone e la mascella mi fa male, ma un mugolio proveniente da vicino al muro mi fa dimenticare il resto. Corro verso la ragazza e la aiuto ad alzarsi. È ancora un po' frastornata.

"Tutto bene?" chiedo, lasciandola andare. Lei annuisce, muovendo la lunga chioma rossa e mossa.

"La ringrazio. Se non ci fosse stato lei, quel tizio..."

"Figurati. Almeno ho fatto un po' d'esercizio." Mi massaggio la mascella contusa, e lei continua a scrutarmi con i grandi occhi marroni.

"Fa male?"

"Solo un po', ma sono i rischi del mestiere." Ridacchio, cercando di buttarla sul ridere, e la ragazza sorride. Non saprei. Ha un nonsoché di familiare. "Ci siamo già visti?" domando, inclinando la testa. Lei scuote la testa e si alza la spalla allentata del vestito.

"Non credo. Sono qui da poco con la mia famiglia."

"Beh, spero che non prenda quest'uomo come regalo di benvenuto." Finalmente la vedo ridere, ed io la seguo, più rilassato. "Io sono Alexander." Dico, facendo un breve inchino. Lei mi imita scherzosamente, gonfiando le guance.

"Io mi chiamo Samantha, ma la gente mi chiama Sam."

"Sam? Ma è un nome da uomo."

"Lo so, infatti mia madre continua a rimproverarmi per non correggerli. E'..." Un colpo solo. Dritto e preciso. Il rumore della festa in lontananza scompare, ed io sento solo un immenso bruciore alla schiena. La ragazza sbarra gli occhi marroni, urlando, ed io cado a terra. La vista mi si annebbia ed io vedo solo l'ombra ingigantita dell'uomo che butta la pistola e scappa. La ragazza si china su di me e porta le mani sulla ferita. Mormora qualcosa, ma non sento più nulla. Questa volta sto morendo veramente. La zingara aveva ragione. C'era la morte nel mio futuro, ma non credevo sarebbe arrivata così presto. A diciannove anni. Il mio ultimo pensiero e a quello che ho detto a Jennifer, questo pomeriggio. Le avevo promesso che non me ne sarei andato. Chiudo gli occhi, sentendo qualcosa che mi chiama, attirandomi verso l'alto. Allungo una mano verso la luce bianca, che sembra venire verso di me, avvolgendomi completamente. Decido di lasciarmi andare, imitando gli eroi di cui mia madre mi raccontava quando ero piccolo. All'improvviso però una voce mi sibila nelle orecchie. Qualcosa di fetido e sibilante, ma con un nonsoché di attraente. Non è ancora il tuo momento. Torna in vita e servimi. Sbarro gli occhi e mi metto seduto, prendendo un profondo respiro e tossendo. Mi guardo, tastandomi il petto in cerca di qualcosa. Un buco. Del sangue. Niente. Solo la mia maglietta macchiata dimostra che non ho sognato tutto. sono ancora nel vicolo, e la ragazza è accanto a me, spaventata. "Siete vivo. Oh, grazie al cielo." Sorrido e mi rilasso.

"Si vede che lassù D... D..." Che succede? Perché le parole non mi escono? Mi metto una mano sulla gola, sentendola bruciare. Ho le labbra secche e lo stomaco mi fa male. Ho fame. Forse dovrei tornare a casa. Avvertirò Leila domani mattina. Mi rialzo, barcollando. C'è qualcosa di strano nell'aria. Un odore. È buonissimo, e proviene da questa ragazza. Mi volto verso di mei e sento le gengive farmi malissimo, mentre i crampi aumentano. Il mio cavallo si impenna e nitrisce, scappando via. La rossa arretra, spaventata a morte, ma quando le chiedo spiegazioni scappa via. Chiudo gli occhi per calmarmi, poi sento qualcosa che mi sbatte contro. E' la ragazza. Ma è impossibile. Lei è scappata dall'altra parte. Non posso essere così veloce nella corsa.

"Cosa sei?" mi chiede, mentre lacrime di paura le rigano il viso. Sto per rispondere che sono una persona normale, ma poi all'odore si aggiunge un rumore, come di un fiume in piena. Mi sibila nelle orecchie ed io mi ritrovo a fissarle il collo pallido e ricoperto dai capelli. Mangia, vampiro. Apro la bocca e mordo forte, sentendo il sangue caldo della ragazza che mi scorre dentro, assumendo un sapore gradevole. Ciliegia. Quando è finito lascio la presa e lei cade a terra, con gli occhi sbarrati e due buchi sul collo. Ci metto un po' a capire quello che ho fatto, e allora mi passo una mano sul mento, sentendolo bagnato di sangue. Cosa ho fatto?

"Alexander."

"Jo!" mi volto, terrorizzato. Ho appena ucciso una ragazza. "Avevo fame. Non volevo farlo." Il mio amico non sembra spaventato dalla scena e mi prende per un braccio.

"Vieni con me. È quasi l'alba e oggi il cielo è limpido. Dobbiamo coprirci." Non dico nulla, limitandomi a seguirlo fino ad una vecchia casa abbandonata nella periferia. Mi fa sedere sul letto e mi da dei vestiti puliti. Un paio di braghe larghe con delle bretelle e una camicia bianca. Le indosso senza parlare e rimango seduto, con le gambe appoggiate al petto. Ho ucciso una ragazza. Non mi aveva fatto nulla, ed io l'ho uccisa. Ero morto, ma cammino ancora. D'istinto mi porto una mano al cuore, ma non lo sento. Non batte più, ed io non respiro. Trattengo le lacrime di disperazione e scuoto la testa.

"Cosa mi è successo?" chiedo a Jo, senza guardarlo.

"Non è ovvio? Adesso sei un vampiro." La maledizione del sangue ti ricade sulla testa. Quella vecchia me lo aveva detto. Ecco perché era così spaventata da me.

"Cosa vuol dire? Come è potuto accadere?"

"Quando sei caduto dalla rupe eri ridotto male. Non saresti riuscito ad arrivare a casa tua, così ti ho dato un po' del mio sangue per farti guarire. Purtroppo hai deciso di fare lo spavaldo e sei stato ucciso. Il mio sangue era ancora in circolo ed è entrato in azione, andandosi a sostituire con il tuo. Sei tornato in vita Alexander, e adesso sei uno di noi."

"Uno di noi? Anche tu sei un...mostro?" Jo ride per il termine e annuisce.

"Sì, il mio vero nome è Vladimir. Vlad, per gli amici. Sono transilvano." Rimango a bocca aperta, facendolo ridere ancora. Mi porge un tovagliolo per pulirmi la faccia e io lo faccio con piacere, evitando di guardarlo dopo. "Non fare quella faccia. Ci sono dei lati positivi. Certo, dovrai rinunciare alle albe e al fish and chips, però adesso sei super veloce, invincibile e immortale." Tutti aggettivi che stuzzicano la mia curiosità.

"Spiegati meglio." J...Vlad alza gli occhi al cielo.

"Mettiamola così. Io ho novantacinque anni."

"Tu COSA?! Ma sembri più giovane di me."

"Appunto, perché quando sono stato trasformato avevo solo diciassette anni. Questo sarà il mio aspetto per tutta l'eternità, o finché un cacciatore non riuscirà a ficcarmi un paletto di legno nel cuore." Scuoto la testa e la prendo fra le mani, sentendo lo stomaco brontolare.

"Perché ho sempre fame?" chiedo, furioso.

"Ci farai l'abitudine. È una sensazione che non ti abbandonerà mai."

"Ma io non voglio uccidere le persone."

"Tranquillo, ci sono altri modi. Certo, ora che hai assaggiato il sangue fresco sarà difficile fartene scordare il sapore, ma potrai iniziare a nutrirti di bestiame e di cadaveri." Mi alzo dal letto.

"Devo vomitare." Vlad scuote la testa e mi fa rimettere seduto, porgendomi una tazza di the alle erbe. Molto inglese.

"E' solo il tuo corpo che rifiuta il cibo umano che hai ancora nello stomaco. Bevi quella. Ti aiuterà." Stringo forte la tazza tra le mani e ci guardo dentro, vedendo la mia immagine riflessa. I canini sono più lunghi e acuminati, e spuntano dal labbro superiore.

"Io non voglio essere così." mormoro, senza alzare gli occhi. Sento Vladimir che si ferma in mezzo alla stanza e sospira, grattandosi la testa bionda. Apre un cassetto e ne estrae qualcosa di appuntito. Un paletto di legno. Lo poggia sulla scrivania e poi mi guarda.

"E' una tua scelta, Alexander. Se deciderai di toglierti la vita, non dovrai far altro che ficcarti questo dritto nel petto, ma se resterai uno di noi dovrai andare via di qui e non rivedere mai più la tua famiglia. Dovranno credere che tu sei morto, perché sarebbe troppo difficile da spiegare. Sappi solo che il mondo là fuori è in continua evoluzione, e tu potrai godertelo tutto. Musica, arte, posti da vedere, donne. È tutto lì fuori per te, ma sarai da solo." Si chiude la porta alle spalle ed io mi alzo, prendendo il paletto in mano. Su quel legno mi passa davanti tutta la mia vita. Mia madre, mio padre, le mie sorelle, Leila, quella ragazza dai capelli rossi e la sensazione di familiarità che ho provato vedendola. Stringo forte la presa e punto il paletto al cuore.

Jenny, guardami. Non sono morto, e non morirò mai.

Me lo prometti?

Promesso.

Scusami sorellina. Non sono stato all'altezza della mia parola.

Sono invincibile, Genevieve.

Faccio un mezzo sorriso e sento gli occhi che bruciano. Adesso lo sono davvero. Sono immortale e ho cambiato il mio destino. Non dovrò invecchiare e fare cose che non mi vanno. Sono libero finalmente, e invincibile. Ripongo il paletto sul tavolo e caccio i canini. Vado verso la porta e la apro, vedendo Vladimir che mi aspetta dietro questa. Quando mi nota sorride, ma io non ricambio.

"Quando si parte?" chiedo, sbrigativo. Vlad storce la bocca.

"Domani, ma ti servirà un nome temporaneo. Diciamo per i prossimi trent'anni." Ci penso su, poi decido.

"Sam. Mi farò chiamare Sam."

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