XXI. (parte uno)
Note d'autrice: sono tornata, di nuovo di mercoledì! Ormai, passate le feste, ho deciso che questo è il giorno che mi è più congeniale per l'aggiornamento. Back to the start, insomma. In realtà mancano solo sette capitoli alla fine di Red Flags, quindi non siamo troppo lontani dalla conclusione 👀 Sono curiosa di conoscere le vostre teorie.
Per quanto riguarda questo capitolo... è venuto più lungo del previsto, per cui ho deciso di dividerlo in due parti, e le pubblicherò entrambe oggi.
Buona lettura ❤
XXI.
La pavimentazione del lungomare era ancora bagnata di pioggia, ma il cielo stava schiarendo. Matilde, Simba al guinzaglio, osservava il mare di Napoli oltre la ringhiera e gli scogli, un mare che era di colore blu scuro e intenso, ben diverso da quello sfumato di verde acqua della Croazia. A dire il vero, l'estate non le mancava per niente. La città, la sua città, invece la faceva sentire un po' rincuorata. La familiarità con le persone, con la lingua e i modi di fare l'aveva riportata alla concretezza che sentiva di aver perso. La vita quotidiana, nella sua banalità, meritava di essere lodata.
Ripartire dai gesti semplici era ciò che si era ripromessa di fare al suo ritorno in Italia. Non poteva esserci nulla di più edificante. Una passeggiata con Simba, ad esempio. L'apice della normalità.
La presenza di Yousef, tuttavia, inevitabilmente sconvolgeva l'equilibrio che Matilde stava cercando di creare dentro di sé.
Yousef rappresentava tutto ciò che la tormentava.
Era il ventidue settembre. In un mese non era successo molto. Non era cambiato nulla, e questo la riempiva d'ansia. Era come se quel mese neanche fosse passato, come se fosse eternamente il giorno dopo la vacanza. Matilde finiva sempre per ripensarci. Ieri. Ieri all'ospedale di Makarska. Ieri, in quella villa sulla costa dalmata, dove era rimasto qualcosa di lei. Il tempo non era la giusta medicina, non importava quanto ne fosse trascorso.
Il fatto che tutto fosse rimasto immutato non aiutava a lenire il senso di colpa. Lei e Yousef stavano ancora insieme, agli occhi degli altri. Non sapevano più come gestire la situazione. Perché Clarissa e Francesco non avevano aperto bocca su ciò che avevano scoperto, la sera del falò.
Li tenevano sotto scacco, per motivi che erano ancora ignoti.
Così, lei e Yousef avevano evitato la comitiva il più possibile, con la scusa degli esami. Meno incontravano i loro amici, meno avrebbero rischiato di essere messi in ridicolo davanti a loro da Francesco e Clarissa. Forse loro due aspettavano solo questo: di fare una bella riunione con tutto il gruppo al completo in cui annunciare la Verità. Matilde aveva ancora una difesa plausibile, dalla sua, ma avrebbe rimandato l'incontro con gli amici finché poteva. Rivederli significava dover dare spiegazioni, di qualsiasi tipo.
Perché siete spariti? sarebbe stata di sicuro la domanda più gettonata.
Yousef stava fumando. Era la terza sigaretta che si era acceso nel giro di un'ora. Matilde si era accorta che era più nervoso di lei. Camminavano vicini, ma non troppo, guardando dritto davanti a sé.
Lui aveva un'espressione buia sul volto. Riusciva a sorridere solo quando Simba lo incalzava per giocare, al che gli scompigliava energicamente il pelo sui fianchi e sulla testa. «E che ci tieni!»
Superarono la zona degli alberghi di lusso e il Castel dell'Ovo, che sorgeva dall'acqua incastonato in altri scogli. Come sempre, le persone erano tante e in movimento. Famiglie con bambini, turisti, corridori, coppie, gruppetti di adolescenti. Sembravano tutti avere dei motivi per ridere e sorridere, quel giorno.
Matilde si faceva guidare più da Simba, che dai propri piedi. Proseguì per un bel po' in silenzio. Non ricordava nemmeno perché lei e Yousef avessero deciso di vedersi. Ormai s'incontravano solo una volta a settimana. Uscivano, si facevano qualche foto, parlavano un po' e poi tornavano a casa. Si vedevano poco, ma non riuscivano neanche a smettere del tutto.
Avevano ancora bisogno l'uno dell'altra.
«Allora hai dato l'esame di russo?» domandò lei a un certo punto.
Yousef si rabbuiò ancora di più. «Domanda di riserva?»
«E quell'altro che avevi? Linguistica?»
«No» disse, secco. «Non ho proprio la testa per studiare in questo periodo.»
Matilde non poteva biasimarlo. Nemmeno lei riusciva a studiare. Lei, che aveva sempre dato tutti gli esami in tempo. I libri la fissavano dalla scrivania. Quando li apriva, le pagine le apparivano come liquide e scivolose, e non ricordava niente di ciò che leggeva.
Inoltre, era stata completamente sommersa da Ilenia e dai suoi preparativi per il matrimonio. Studiare con lei che parlava tutto il giorno di ristoranti, invitati e bomboniere era diventato impossibile.
Stava vedendo anche sua madre più spesso, di recente. Annarita amava dare una mano per gli eventi e le cerimonie, per cui Matilde se l'era ritrovata a svolazzare in giro per casa come quando era ancora bambina e le organizzava le migliori feste di compleanno.
Per Matilde era stata in parte un altro elemento di disturbo, in parte un sollievo. Sua madre la distraeva dal senso di colpa. Assorbiva tutto da lei e, quando c'era, assorbiva anche quello. E, soprattutto, la coccolava. La riempiva di attenzioni prima di sparire di nuovo. Matilde ne usciva sempre intorpidita. E ogni volta delusa.
Quando si erano incontrate dopo la Croazia, nell'appartamento al Vomero, Annarita l'aveva abbracciata con un calore che Matilde non ricordava possibile.
«Mamma mia, come sei abbronzata!» le aveva detto – anche se era di gran lunga più abbronzata della figlia. «Ti sei divertita? So che il mare lì è stupendo.»
«Sì, è stato bello» aveva replicato, senza aggiungere dettagli particolari.
Avevano parlato molto senza parlare di nulla. Infatti, né lei né Ilenia si erano accorte di quanto Matilde stesse male. Ma era stato bello lo stesso. Quella casa così improvvisamente piena di vita. Loro tre insieme, dopo tanto tempo.
Eppure Matilde sapeva benissimo che sarebbe durato ben poco, che dopo il matrimonio Annarita si sarebbe di nuovo rintanata nella sua villa, lasciando le due sorelle a se stesse. Ilenia, però, stava per cominciare una nuova fase della sua vita. Matilde, invece, galleggiava in un limbo freddo e solitario. Yousef era il solo che potesse capirla. Ora che si stavano allontanando anche dai loro amici, più che mai.
Sua madre aveva voluto sapere di lui. Ovviamente Ilenia non era riuscita a stare zitta e si era lasciata sfuggire che Matilde stava frequentando qualcuno. Lei però aveva detto molto poco, nonostante le domande insistenti. Sapeva per certo che a sua madre Yousef non sarebbe piaciuto. Tra l'altro, forse non si sarebbero mai nemmeno incontrati. C'era la possibilità che entro qualche settimana la facessero finita, con quella finta relazione.
Ilenia, però, ci aveva tenuto a ribadire che le avrebbe fatto tanto piacere se lei avesse portato Yousef al matrimonio. Ed era tutta una questione di facciata, naturalmente, ma l'idea si era insediata in Matilde così in profondità che non era riuscita a liberarsene.
Yousef avrebbe potuto farle compagnia in un giorno che si prospettava devastante, per lei. Che importava, se la sua famiglia lo avesse giudicato? Lui li avrebbe tutti dimenticati in poco tempo.
Decise di chiederglielo, durante quella passeggiata, dopo qualche altro minuto di silenzio.
«Yousef... stavo pensando a una cosa» esordì. «Ti andrebbe di accompagnarmi al matrimonio di mia sorella?»
Lo vide irrigidirsi. Buttò il mozzicone di sigaretta in un cestino e poi affondò le mani nelle tasche del giubbino di jeans. Aveva i capelli coperti dal suo amato berretto nero, che probabilmente avrebbe indossato per tutto l'autunno e l'inverno. Si era fatto la barba e Matilde notò per la prima volta una piccola cicatrice sotto il mento, una di quelle che ci si fa da bambini. «Cioè, vorresti farmi conoscere tutta la tua famiglia in una botta sola? Non mi entusiasma granché, la cosa.»
«Me ne rendo conto. Ma te lo chiedo come favore. Ho bisogno che tu ci sia... Lo sai com'è il mio rapporto con loro, vorrei qualcuno di fidato accanto che non mi faccia venire voglia di spararmi.»
«E io sono fidato abbastanza?»
«Sì.»
Yousef inarcò le sopracciglia, sarcastico. «Wow. Potrei prenderla come una dichiarazione d'amore.»
«Prendila come vuoi. Dico sul serio.»
«Sinceramente mi metti un po' in difficoltà. Come cazzo faccio con il regalo?»
«Uhm. Posso prendere io qualcosa per te e diremo che l'hai fatto tu. Se è un favore...»
«No, Mati', non è giusto.»
«Per me non è un problema.»
Quella questione lo mise più in imbarazzo dell'idea stessa di essere stato invitato. «Non lo so...»
«Oppure diremo che hai partecipato al mio regalo. Tanto non lo verranno mai a sapere.»
«Ci penso, dài. Quando sarebbe?»
«Il trenta, settimana prossima.»
Lui annuì, alzando solo per un istante la testa e poi tornando a guardarsi la punta delle scarpe. Matilde non sapeva se avesse fatto bene a invitarlo. Se fosse la cosa giusta. Di certo era la più egoista, ma non aveva importanza. Se non ci fosse stato qualcuno accanto a lei in quel periodo sarebbe impazzita.
Lui doveva saperlo. Si meritava di capire quanto fosse diventato importante per lei. «Non voglio obbligarti, naturalmente. Però, ecco, non so cosa farei se non ci fossi tu.» Forse starei meglio, lo sai? Forse se tu non mi avessi proposto di iniziare questa finta relazione io sarei riuscita a superare il mio dolore da sola. Invece mi hai istigata. Invece siamo finiti qui, all'aver avvelenato una persona. Per colpa tua. E per colpa mia.
La verità era che Yousef era il suo turbamento, sì, ma anche il suo conforto. Proprio per questo era importante, di un'importanza inclassificabile.
Ora dobbiamo stare dalla stessa parte, come mi avevi promesso.
Yousef stirò le labbra in un sorriso un po' forzato. «Al matrimonio o in generale?»
«In generale» ammise. «È per questo che stiamo continuando a fingere, immagino. Perché abbiamo bisogno di sostenerci.»
«Onestamente non lo so perché stiamo continuando a fingere.»
Matilde incassò il colpo stringendo le mani, una intorno al guinzaglio di Simba, l'altra a pugno nella tasca della giacca di pelle. Era la prima volta che affrontavano il discorso da quando erano tornati, e non si aspettava sarebbe stato così difficile. «Ci eravamo promessi di stare dalla stessa parte fino alla fine...»
«Fino alla fine di cosa?»
Lei non rispose.
«Vedi? Non lo sai neanche tu» disse lui. «Il punto è che... Matilde, possiamo sostenerci anche senza fingere di stare insieme. Possiamo finirla qua e continuare a essere amici. Cosa cambia?»
Matilde lo sapeva, che prima o poi anche Yousef l'avrebbe abbandonata. «Cambia tutto.»
Lui le rivolse un'occhiata interrogativa. «Tutto?»
«Non saremo più legati, e torneremo a ignorarci. Come succede a tutte le coppie che si lasciano, dopotutto.»
Yousef la fermò bloccandole un braccio. Ormai erano arrivati nei pressi della villa comunale. La strada per tornare indietro era lunga. «No. Non smetterò di parlarti solo per questo. Non sono come Francesco, ormai dovresti averlo capito.»
Matilde provò a convincersi che quella fosse la verità. Rilasciò un sospiro. «Va bene, allora. Però almeno dopo il matrimonio...»
«Ok. Verso ottobre chiudiamo.» Il suo tono era diventato più fermo. «Ci lasceremo serenamente da persone mature.»
«A quel punto Clarissa e Francesco non potranno più mettere bocca su di noi» realizzò Matilde. «Che senso avrebbe smascherarci quando ci siamo lasciati?»
«Esatto. Anche se non ho mai capito perché non l'abbiano mai fatto prima.»
Ripresero a camminare, incalzati da Simba. «Penso stessero aspettando un'uscita con noi presenti. Ma noi non li abbiamo più visti da agosto.»
«Carmine è incazzatissimo con me» fece Yousef scuotendo la testa con una risata che nascondeva un forte rimorso.
Perché era vero, si erano nascosti da allora. Si dicevano: per evitare Francesco e Clarissa. Ma non era tutta la verità. Per evitare Francesco e Clarissa e così sotterrare la vergogna per ciò che avevano fatto loro.
Una vergogna così grande da fargli evitare accuratamente il discorso sonniferi per più di un mese.
Ma quella questione si presentava nella vita di Matilde, ormai, in decine di forme diverse. La più grave riguardava proprio il suo sonno. Da quando era tornata, riusciva a dormire solo tre o quattro ore a notte. A volte non dormiva affatto. Si assopiva, verso le cinque del mattino, e poi improvvisamente spalancava gli occhi nel buio, con l'affanno e il cuore che batteva all'impazzata. A quel punto cercava a tentoni l'acqua sul comodino e trangugiava dalla bottiglia per ricordarsi di essere ancora viva. E poi non dormiva più. Restava immobile nel letto, sveglia, aspettando un orario ragionevole per alzarsi.
«Presto torneremo anche da loro» disse a Yousef. Ma sapeva che per lei non era del tutto possibile. Non finché ci fossero stati Clarissa e Francesco nel gruppo. Avrebbe preferito nascondersi per altri dieci anni piuttosto che rivederli.
In quel momento le squillò il cellulare. Era Katia. Di norma, l'avrebbe lasciato squillare per poi richiamarla in un secondo momento. Ma la conversazione con Yousef l'aveva, in parte, tranquillizzata.
«Ehi» rispose, spostando il guinzaglio nell'altra mano.
«Finalmente sento la tua voce!» Era un'esclamazione di gioia, ma anche un rimprovero.
Matilde non sapeva bene cosa dire. «E io la tua.»
«Ma dài! Dove sei stata rintanata finora?»
«A casa a studiare. Ma ora sono fuori con Yousef. Ti va se ci sentiamo dopo?»
«Ah, disturbo?»
«No, no...»
«Volevo solo chiederti se ti faceva piacere venire a prendere un caffè con me tra una mezz'oretta» le disse l'amica.
Avrebbe voluto dirle di no. Ma poi si ricordò che, da sola, Katia non poteva fare troppi danni. «Sì, d'accordo. Viene anche Yousef, però.»
«Ottimo! Dove siete? Cerco di raggiungervi.»
«Sul lungomare.»
«Perfetto, io sono a Toledo, dovevo comprare una cosa. Ci incontriamo a Piazza dei Martiri?»
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