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XXI. (parte due)




Il monumento ai martiri napoletani, con il suo angelo della libertà sulla sommità, svettava verso il cielo umido, di nuovo grigio, imponendo ai passanti almeno uno sguardo. Ad attirarlo non era tanto l'alta colonna di marmo, ma i quattro leoni alla base, circondati da aiuole e fiori ancora bagnati dalla pioggia di quel pomeriggio. Matilde, nell'attraversare la piazza, si soffermò sul leone morente, steso con la coda tra le zampe posteriori e le fauci aperte in un muto verso di sofferenza.

Il quartiere di Chiaia era uno dei quartieri perbene di Napoli, come il Vomero, e Matilde si sentì ancora più a casa, tra i palazzi color crema e le grandi finestre bianche. Salendo a est, per una strada alberata, si arrivava al cinema Metropolitan e al teatro Sannazzaro.

Fino ai suoi quattordici anni, ovvero fino a che i suoi genitori non si erano separati, era stata spesso a teatro con la sua famiglia. Ricordava quei momenti con una nostalgia quasi inappropriata: il prepararsi insieme a sua madre e a Ilenia con gli abiti più eleganti, lo stare in silenzio a guardare uno spettacolo di persone vere che facevano cose reali, concedendosi solo qualche risata durante le commedie o delle lacrime silenziose negli atti più drammatici. Amava applaudire gli attori più bravi e amava ammirare l'ingegno e la professionalità di costumi, luci, scenografie. Il suo spettacolo preferito era sempre stato Notre-Dame de Paris. Conosceva ancora alcune canzoni a memoria.

Il teatro era una passione che non aveva sviluppato. Con la sua famiglia disgregata, non aveva più avuto né voglia di tornarci né la compagnia per tornarci. Ai suoi amici non sarebbe piaciuto. Francesco, poi, riteneva – anche se non l'aveva mai detto esplicitamente – che solo gli spettacoli socialmente o politicamente impegnati fossero degni dell'acquisto di un biglietto.

Almeno Yousef non è così pesante. Chissà se verrebbe con me.

Non badò molto a quel pensiero. Le faceva ricordare che entro breve avrebbero smesso di vedersi. Così, avanzò insieme a Simba verso il bar che aveva suggerito Katia per messaggio, proprio di fronte al monumento. Lei era già lì. La vide sotto il gazebo esterno, seduta a uno dei tavolini di ferro. Ma non era sola.

Accanto a lei era seduto Carmine.

Percepì un masso affondarle nel petto. Un'amica andava bene, con due già si sentiva in difficoltà. Era come se Katia le avesse teso una trappola. Cosa ci faceva lui lì?

Matilde avrebbe voluto fermarsi lì in mezzo alla piazza e fare dietrofront, ma si accorse che Katia e Carmine li avevano notati in mezzo alla gente e stavano facendo loro un cenno con la mano per farsi vedere. Guardò Yousef di sottecchi, ma lui stava sorridendo. Di sicuro preferiva la presenza di Carmine a quella della ragazza.

Li raggiunsero al tavolino e i due li salutarono calorosamente, anche se con parole più neutre di quelle che avrebbero usato di solito. «Finalmente possiamo avere un incontro con il re e la regina d'Inghilterra!» esclamò Carmine dando a Yousef un abbraccio e un paio di pacche sulle spalle. Si tolse poi gli occhiali da sole, infilandoli nello scollo della sua maglietta.

Katia non la abbracciò, ma le diede un bacio sulla guancia.

«Come mai anche tu qui?» chiese Matilde a Carmine, cercando di non sembrare nervosa. Legò il guinzaglio di Simba alla propria sedia e si mise ad accarezzargli il pelo distrattamente per tranquillizzarlo.

«Ho incontrato Katia a Toledo» rispose lui con una scrollata di spalle. A differenza di Yousef, si stava facendo crescere la barba, e ora era abbastanza curata e lunga, sporgeva persino oltre la linea della mandibola. Era dimagrito, dall'ultima volta che l'aveva visto. «Mi ha detto che stava andando a prendersi un caffè con voi e mi sono unito.» Per qualche motivo, non aggiunse altri dettagli, e questo a Matilde sembrò strano. Carmine parlava sempre molto.

Avvertì un presentimento. Come quando aveva incontrato per la prima volta Yousef da Elios al Vomero. Aveva saputo, allora, che lui l'aveva invitata per un motivo ben preciso. E adesso sentiva che anche i due amici stavano nascondendo qualcosa, che volevano parlare con loro con la scusa del bar.

«Oggi non ci siete sfuggiti facilmente» rincarò Katia. E il presentimento s'innalzò come un'onda.

Ordinarono i loro caffè e cominciarono a chiacchierare. Matilde capì presto che erano discorsi di circostanza: il matrimonio di Ilenia, gli esami, la palestra. Carmine accennò a Yousef l'uscita di un videogioco di guerra che avrebbero dovuto provare assieme.

A un certo punto Katia esitò, prima di proseguire. Fu una fortuna per lei che in quel momento il cameriere arrivò a portare le loro ordinazioni. Ma Matilde l'aveva notato.

Pagarono, e il cameriere li lasciò ai loro discorsi.

«Comunque tra un paio di settimane c'è la laurea di Clarissa» disse Katia infine, dopo aver bevuto un sorso di caffè bollente.

Matilde arricciò le labbra involontariamente e si trattenne dal chiedere: e quindi? Non sei mai stata una sua grande amica, proprio come me.

Yousef tossicchiò. Si sarebbe dovuto laureare nella stessa sessione, ma ormai aveva rimandato, ancora una volta. «Ah» disse soltanto.

«Volevamo chiedervi se voleste partecipare al regalo. Sul gruppo non avete risposto» continuò Carmine al posto suo.

Era questo di cui volevate parlarci davvero, il regalo di Clarissa?, si chiese Matilde, perplessa.

Né lei né Yousef risposero subito. «Vabbè...» fece lui, «non vedo perché no.»

Anche se sei al verde?, pensò lei, ma non lo disse. Sapeva quanto fosse permaloso su questo argomento.

Carmine sembrò cogliere la palla al balzo. «Non lo so, You, sinceramente la situazione è un po' strana.»

«Strana? Perché?» domandò Yousef inarcando le sopracciglia. Di sicuro riusciva a fare il finto tonto meglio di lei. «Dopo quest'estate si sarà capito che non ce l'abbiamo più l'uno con l'altra.»

Katia e Carmine si guardarono. Esitarono un'altra volta.

Matilde mandò giù il caffè in un solo sorso, quasi ustionandosi la lingua e la gola. Soffrì in silenzio, con la pancia che si annodava.

Aveva capito che sapevano qualcosa. E ora stavano giocando con lei e Yousef. Si erano alleati, proprio come avevano fatto loro contro Francesco e Clarissa. Due contro due. Forse quell'uscita era stata sin dall'inizio una messa in scena.

«A proposito dell'estate...» proseguì Katia. «Volevamo chiedervi anche un'altra cosa.»

«Cosa?» fece Yousef, con un tono che non avrebbe dovuto tremare.

«Allora. L'ultima sera, quando siete tornati nella villa durante il falò, vi abbiamo aspettati per un po' mettendoci a cazzeggiare e a cantare altre canzoni, no? Dopo un'ora non eravate ancora tornati, come avevate promesso, e allora io e Carmine siamo saliti per venire a chiamarvi.»

Matilde avrebbe voluto diventare sorda in quel momento per non ascoltare il resto del discorso.

«Vi abbiamo trovati a dormire con Francesco e Clarissa» concluse Carmine. «È stata una cosa talmente inaspettata che non siamo più riusciti a chiamarvi. Agli altri abbiamo detto che vi eravate addormentati e basta.»

«Comunque non sembravate ubriachi, quindi tutt'oggi non capiamo cosa sia successo. Un ménage à quatre

Doveva essere una battuta, ma intorno al tavolino calò il gelo.

Matilde ammutolì. Esattamente come quando aveva trovato Clarissa a spiare il suo cellulare. Esattamente come quando Francesco, più di un anno prima, aveva scoperto per colpa di Ilenia cosa aveva fatto. Era impossibile, per lei, pronunciare qualsiasi cosa dinanzi all'evidenza.

Yousef, invece, disse la cosa più sbagliata che potesse venirgli in mente. «Ne avete già parlato prima con loro?»

Vide Katia corrugare la fronte, sebbene fosse in parte nascosta dalla frangetta. «No. Ci interessava solo la vostra versione, visto che voi... beh, dite di essere i nostri migliori amici.» Matilde percepì dell'acidità nella sua voce. E anche qualcosa di peggio. Il sospetto. Il sospetto che lei e Yousef avessero fatto qualcosa di grave. La domanda di Yousef li aveva esposti più di quel discorso. Quella domanda sottintendeva: loro lo sanno?

«Bene» ribatté lui. «Non prendetevela, ma... non vi riguarda.»

Le facce deluse e un po' incazzate di Katia e Carmine fecero venire a Matilde voglia di sprofondare nella sedia.

«Se siamo i vostri migliori amici, cazzo, avremmo il diritto di saperlo» disse Carmine con una mezza risata roca, ma tutti e quattro sapevano benissimo che non stava affatto scherzando. Ed ecco che tornava il padre di famiglia che voleva fare chiarezza e mettere tutti i figli o nipoti d'accordo. Stavolta però sembrava una figura autoritaria, per nulla mansueta. Voleva bene a Yousef, ma si era accorto che lo stava raggirando. Non gliel'avrebbe perdonato facilmente.

«Soprattutto se quei due ne sono... inconsapevoli» aggiunse Katia. «Dite che dovremmo rivolgerci a loro piuttosto?»

«È un ricatto?» chiese Yousef, alzando la voce.

«Ma che ricatto e ricatto!» rispose Carmine. «Noi non siamo stupidi e voi ci avete riempito di scuse. Si tratta di rispetto nei nostri confronti. Vorremmo solo capire perché siete spariti, tutto qua. E la cosa sembra collegata a Francesco e Clarissa e a quest'episodio in particolare, visto quanto siete restii a parlarne.»

Calò di nuovo il silenzio. Tacere era acconsentire.

Matilde avrebbe voluto gridare: noi non vi dobbiamo niente! Lasciateci in pace. Fatevi i cazzi vostri. Ma non ne aveva il coraggio e sentiva che qualunque cosa avesse detto avrebbe solo peggiorato la situazione.

Dovevano fare in modo che Katia e Carmine non andassero a parlare con Clarissa e Francesco. Dovevano tenerli buoni, non farli insospettire ancora di più.

Yousef si mosse nervoso sulla sedia. «Sentite, è più banale di quanto pensate. Ma non possiamo parlarvene. Riguarda me e Matilde e nessun altro.»

Katia guardò Matilde. «Complimenti, lasci parlare il tuo ragazzo al tuo posto. Non hai proprio spina dorsale.»

Lei incrociò le braccia e si sforzò di rispondere: «Non ho niente da aggiungere.»

L'amica fece un sospiro d'esasperazione. «Io mi vergognerei, al tuo posto, con tutti questi segreti. Sei proprio una falsa. Fai finta di essere mia amica, fai finta di odiare Francesco e poi ci dormi insieme. Non mi stupirei se stessi facendo finta anche di amare Yousef.»

Matilde adesso sentiva il sangue ribollire. Non si arrabbiava facilmente, di solito – «Da brava Bilancia» diceva sempre Ilenia – ma in quel momento Katia stava toccando tutti gli argomenti sbagliati che potessero venirle in mente.

Lo stava facendo apposta. Per farla confessare.

Matilde capì che li stavano mettendo alla prova. Era palese che sapessero già la verità. Clarissa e Francesco avevano parlato. E ora lei e Yousef non potevano difendersi, perché il fatto che Carmine e Katia li avessero scoperti a dormire con loro due era già una prova inconfutabile. Come giustificare, altrimenti, quella scena?

Ecco perché stavano insistendo tanto. 

Perché già sapevano, ma volevano sentirselo dire da loro.

«Vuoi sapere la verità?» chiese allora Matilde, liberando finalmente quella rabbia, riversandola nelle parole. «È proprio così. Io e Yousef non stiamo veramente insieme.»

Yousef girò di scatto la testa verso di lei.

«Tanto già lo sapete, no?»

Katia e Carmine si bloccarono. Lei spalancò gli occhi. «Che?»

Fu Yousef stavolta a rimanere in silenzio. Si passò una mano sul volto, come spossato. Poi prese il pacchetto di sigarette dalla tasca dei pantaloni e se ne accese un'altra.

Matilde sbatté le palpebre. «Era un test o cosa?»

«Mati', ma che stai dicendo?» fece Carmine. «Che significa?»

Lei strinse di più le braccia a se stessa. No, non lo sapevano. Ci aveva visto male.

Ma in fin dei conti non aveva importanza. Non adesso che stava per finire tutto. Non dire nulla come aveva intenzione di fare Yousef li avrebbe solo insospettiti, fino a metterli contro di loro. Non parlare equivaleva ad avere un segreto troppo grave. Katia e Carmine avrebbero potuto collegare questo segreto al malore che Clarissa aveva avuto la mattina successiva.

Matilde doveva distogliere l'attenzione dai sonniferi a tutti i costi. Era quello il vero segreto, ma rivelarne un altro l'avrebbe fatto passare totalmente in secondo piano. Due grandi bugie, ma rivelare la verità sulla prima delle due, sulla loro relazione, non avrebbe portato a nessuna conseguenza preoccupante.

«Che abbiamo sempre finto di stare insieme» si convinse a dire, con o senza il consenso di Yousef. Ma forse lui aveva già fatto il suo stesso ragionamento e non l'avrebbe odiata per questo. «L'abbiamo deciso qualche mese fa, ben prima della vacanza.»

Katia era completamente sbigottita. «Ma perché? I vip lo fanno per farsi pubblicità, ma voi...?»

«Per fare un dispetto a Francesco e Clarissa» disse Yousef laconico.

Carmine scosse la testa, senza parole.

«Quella sera, in vacanza, abbiamo avuto un momento di debolezza e ci siamo addormentati vicino a loro. Non eravamo ubriachi, ma un po' brilli sì. Ci dicemmo che non sarebbe capitata mai più un'occasione simile, e l'abbiamo fatto. Tutto qui. Niente di più. Loro non se ne accorsero» spiegò Matilde. «Quest'azione non poteva essere spiegata in nessun altro modo se non dicendovi questo. Spero che ora siate contenti.»

«Contenti? Ci avete preso in giro tutto il tempo, tutti...» replicò Katia.

«Non potevamo dire a nessuno la verità, o prima o poi sarebbe venuto alla luce» disse Yousef. «Doveva essere una cosa credibile. Sono coinvolti anche i nostri familiari.»

«Cristo, ma è assurdo» commentò Carmine. «Avete fatto proprio tutto quello che fanno le coppie normali... cioè, alla fine cosa cambia tra la vostra e una relazione vera, scusate?»

«Il nostro era un accordo» rispose Matilde. «C'erano dei limiti, ma dall'esterno non erano visibili. Per questo non vi abbiamo preso davvero in giro. Non voi. Perché ci siamo comportati come una coppia normale.»

«E tra poco ci lasceremo, e torneremo alle nostre vite» concluse Yousef.

Ci furono altri momenti di silenzio. Katia e Carmine erano stati presi totalmente in contropiede. Chissà cosa si aspettavano, pensò Matilde. Li avevano messi alle strette e ora si meritavano di bere quest'amara verità.

«Ma quindi...» riprese Carmine. «Dopo che vi sarete lasciati tornerete a uscire con noi? Cioè, questo è il periodo in cui fingete di stare in crisi e per questo siete spariti?»

«Esatto» fece Yousef. «Tornerà tutto alla normalità.» Un po' sembrava sollevato. Sollevato dal fatto che il suo amico lo stesse assecondando, invece di giudicarlo o attaccarlo ancora. Infatti ne approfittò per giocarsi la carta dell'amicizia, proprio come avevano fatto loro prima: «Ora però vi dobbiamo chiedere, per favore, di non dirlo agli altri. Carmine, tu sei sempre stato comprensivo con me. So che non andrai a buttare merda su di me in giro, ma ho bisogno di chiedertelo lo stesso. Io mi fido di te.»

Katia apparve un po' contrariata, ma non disse nulla. Carmine annuì. «Devo solo... metabolizzare, credo.»

Matilde, nonostante tutto, contava su di loro. Si era basata su Katia per tanto tempo, dal liceo fino ai primi anni di università. Lei non l'aveva mai tradita. C'erano state delle litigate, ma poi erano tornate sempre al punto di partenza. Ma Matilde aveva cominciato ad allontanarsi da lei quando era stata lasciata da Francesco. Nemmeno Katia sapeva cos'era successo veramente tra loro. Le aveva rifilato un'altra bugia. Ma lei le aveva sempre creduto, fidandosi piuttosto ostinatamente di ogni sua parola.

Adesso il mito di Matilde era crollato davanti a Katia e Katia non l'avrebbe mai più vista con gli stessi occhi.

Né lei né Carmine li avrebbero pugnalati alle spalle. Ma avevano perso stima di loro. Fu evidente dai loro sguardi. Dalle loro voci.

Anche se non erano loro i bersagli del loro piano, sembravano lo stesso feriti. Delusi. Forse non erano più sicuri di volere persone come Yousef e Matilde nelle loro vite. Avevano scoperto che erano solo degli attori.

Non si dissero molto altro.

Si alzarono in piedi, si salutarono freddamente con due baci veloci sulle guance. Matilde slegò Simba, che si mise ad abbaiare a un labrador di passaggio, e aprì il proprio ombrello. Era ricominciato a piovere.

Si allontanò da quel bar più velocemente di Yousef e lo precedette tutto il tempo sulla strada del ritorno, fino alla metro.

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