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XVIII.

Note d'autrice: torno, come promesso, di lunedì! Premetto che il 18 e il 19 sono un po' da considerarsi un unico capitolo, ma non so se riuscirò a pubblicare il 19 settimana prossima perché... è la settimana in cui mi laureo (ebbene sì). Spero mi perdonerete, ma cercherò comunque di fare il possibile per essere puntuale.
Intanto, buona lettura ❤




XVIII.



La notte era scesa su di loro. L'ultima notte di quel mondo finto, la più lunga.

Il fuoco era acceso, sulla spiaggia. Una piramide di lingue arancioni che consumava la struttura di rami e altro legno. Non era stato così semplice, dargli vita. C'erano voluti diversi tentativi, fino a che le scintille non erano diventate altro da sé, espandendosi in un'onda di calore, suppur delimitate da un cerchio di pietre. Adesso era la loro unica fonte di luce. Tutto, intorno, aveva assunto i toni e le ombre del fuoco. Il mare era tenebra e si confondeva con il cielo senza luna e senza stelle: era una sera nuvolosa, un po' ventilata. Ma il vento alimentava le fiamme, come se le assecondasse.

Matilde non osava guardare dentro l'oscurità del mare, soprattutto dopo quello che era successo a Dubrovnik, e allora guardava il fuoco, che in qualche modo la rassicurava.

«Abbiamo portato tutto?» le chiese Aurora.

Lei distolse lo sguardo dalle fiamme per rivolgerlo a lei. «Credo di sì.»

Matilde, Aurora e Katia avevano allestito lo spazio intorno al falò. Avevano steso i teli sulla sabbia, portato diversi cuscini dalla villa e alcune coperte. Aurora, l'artista del gruppo, aveva costruito dei fortini con altri rami che i ragazzi avevano raccolto. Sembrava abbastanza contenta della propria opera. Era la scenografia perfetta per l'ultima notte.

Si aspettavano di mangiare, bere fino a sentirsi male, cantare, danzare ubriachi e poi sonnecchiare lì prima di farsi un bagno tutti insieme all'alba. Sarebbe stata una bella serata. Nella loro immaginazione non poteva che essere così.

Alle spalle della spiaggetta, la villa bianca con tegole arancioni che era stata per una settimana la loro casa li osservava. Le finestre erano occhi, le porte erano bocche. Alcune luci erano accese: qualcuno era in bagno, qualcuno aiutava con i preparativi per il falò, in particolare in cucina e in cortile.

Si domandò dove fosse Yousef.

Infilò le mani nelle tasche della sua felpa, che gli aveva di nuovo rubato, e sentì in quella destra, al tatto, il suo contenuto di plastica.

Katia si sedette a gambe incrociate su un telo. La sua corta coda di cavallo le oscillò dietro la nuca. «Bene, il nostro compito è fatto. Ora aspettiamo gli altri... e aspettiamo il cibo, sperando non sia avvelenato.»

Aurora si sedette accanto a lei e appoggiò la testa sulla sua spalla, rabbrividendo. «Però... è molto umido stasera.» I suoi lunghi capelli biondi con le punte rosa, invece, rilucevano dei riflessi del fuoco. Aveva un viso tondo, sempre decorato da un'espressione gentile.

«Ti vado a prendere una felpa? Devo salire un attimo anche per mettere il telefono in carica» suggerì Matilde, mostrandole il cellulare che si era ormai spento da solo. In realtà doveva trovare un motivo casuale per avvicinarsi a Yousef, che era ancora nella villa.

«Magari, Mati... grazie.»

Matilde le sorrise, ma nel voltarsi quella curva sulle sue labbra scomparve subito.

Risalì le scale che dalla spiaggia portavano al loro cortile. Incrociò Sara, Valeria e Raffaele che scendevano con le torce dei cellulari accese, una chitarra e una cassa portatile. «Dove vai?» le domandò Sara. «Stiamo scendendo tutti.»

«Torno subito» disse soltanto.

Si affrettò, con le infradito che schioccavano sulla pavimentazione di pietra. In cortile, Bruno, Carmine e Clarissa stavano armeggiando con la carne alla brace. Come stabilito, Francesco e Lorenzo si stavano occupando delle patatine in cucina. Clarissa teneva in mano una pila di piatti di plastica e rideva a una qualche battuta fatta dai ragazzi. Si voltarono tutti e tre, quando la sentirono passare.

«Stai andando a chiamare quello sfaticato di Yousef?» le chiese Carmine, con un'aura di fumo che gli aleggiava intorno. «Digli di muoversi con i drink.»

Yousef uscì proprio in quel momento dalla porta che dava sul cortile. «Carminu', non stare troppo in apprensione per me, ché sono più veloce di te a fare le cose.» Reggeva con un solo braccio un vassoio tondo con dodici bicchieri di Margarita, il cui bordo era cosparso di sale. Riusciva a tenere bene tutto in equilibrio perché, a quanto Matilde ricordava, aveva lavorato anche come barista. Le piacque, quella versione di lui.

«Oh, dài, ti sono venuti bene» commentò l'amico. «Inizia a portarli in spiaggia.»

«Agli ordini.»

I tre tornarono a concentrarsi sulla brace, Matilde ne approfittò per avvicinarsi a Yousef prima che lui scendesse le scale.

«Eccola, la ladra di felpe» fece lui con un ghigno, afferrandole la vita con l'altro braccio. I bicchieri tremarono per un momento.

«Attento...» protestò lei con una breve risata. Si alzò in punta di piedi per dargli un bacio sulla guancia. E, contemporaneamente, estrasse il piccolo cilindro di plastica dalla propria tasca per poi infilarlo nella tasca dei suoi bermuda con un movimento rapido.

Yousef le lanciò un'occhiata, accorgendosi del passaggio. Matilde lo guardò negli occhi.

Lui annuì. E fu l'unico gesto ad avere importanza.

Poi, si diresse in spiaggia; lei a mettere il telefono in carica e a recuperare una felpa per Aurora.

Nessun altro aveva visto.




Il cilindro di plastica pesava quanto un macigno, nella sua tasca. Yousef aveva portato i suoi Margarita giallo limone in spiaggia, ma Clarissa e Francesco erano scesi solo in un secondo momento. Così, la prima occasione venne sprecata. I cocktail vennero bevuti subito.

Decise che dopo sarebbe andato a prepararne altri. E li avrebbe distribuiti personalmente.

Cenarono intorno al falò, seduti o semidistesi sui teli, con cuscini e coperte intorno. Carmine, Bruno e Clarissa distribuirono i piatti con le salsicce di maiale incastrate in panini da hotdog, un fiotto di salsa barbecue a ricoprirle, una porzione di patatine fritte a testa. Ad accompagnare il pasto, due casse di birra. Anche quelle finirono presto.

L'atmosfera era rilassata. Avevano iniziato a ridere per qualsiasi cazzata venisse loro in mente.

«Vi ricordate di quando Carmine e Raffaele fecero amicizia con quel parcheggiatore abusivo fuori al San Paolo?» fece Bruno, ridacchiando.

Carmine si alzò in piedi, con la propria bottiglia di birra in una mano. «Gennaro 'o scucciat! Ua, mi manca.»

«Quello ci voleva pure offrire un caffè... E noi volevamo pure accettare, ma Aurora aveva troppa paura che fosse un serial killer.»

Aurora rise. Non rideva così spesso lei, non così apertamente. Era la più timida del gruppo e gli altri erano abbastanza protettivi nei suoi confronti. «Non aveva una faccia tanto amichevole...»

«Ma non si deve giudicare dall'apparenza, Aury, alla fine era solo un simpatico scagnozzo di qualche camorrista, che vuoi che sia...» ribatté Clarissa.

Anche lei diventava di minuto in minuto più loquace. Era l'effetto che le faceva l'alcool, Yousef lo sapeva. Francesco sorrideva, di fianco a lei. Sembrava sereno e divertito quanto gli altri. Ovviamente, era l'unico a non aver mangiato carne.

Matilde era seduta dall'altra parte del falò rispetto a lui. Si era messa accanto a Katia, perché le sembrava di averla un po' trascurata in quei giorni. Yousef la intravedeva attraverso le fiamme, un profilo sfocato dalle onde di calore. La sentiva ridere. Stava fingendo bene, lei. Al contrario, lui si sentiva incredibilmente in tensione.

Forse entro breve avrebbe mandato al diavolo la cosa dei sonniferi e si sarebbe semplicemente goduto la serata. Stava cercando da ore delle scuse, nella sua testa, che lo spingessero a desistere.

Ma una parte di lui voleva farlo eccome. Voleva vedere quale effetto avrebbero generato le sue azioni. Voleva sentire il brivido del pericolo, il pericolo di essere scoperto da uno dei suoi amici. Sì, era decisamente quello che cercava: il rischio. Mettere in gioco se stesso, ogni parte di sé, della sua identità, del suo corpo, della sua reputazione.

Lo faceva già in passato. E una volta era finita male. Clarissa era stata la sua complice, e l'aveva lasciato, infine, proprio perché l'aveva coinvolta in una situazione detestabile. O almeno lei gli aveva detto così. Poi non avevano più parlato.

Doveva farlo. Doveva farle inghiottire quei sonniferi. Sarebbe crollata, davanti a tutti.

Inoltre, non poteva deludere Matilde. Lei era sempre stata dalla sua parte. E aveva bisogno di una rivincita tanto quanto lui, per quanto amara potesse essere. Percepiva anche a metri di distanza da lei la sua attesa. Era paziente, ma aspettava. Aspettava la sua mossa.

Glielo doveva.

Lei aveva già agito: aveva svuotato le pillole della loro polverina bianca, quel pomeriggio, e l'aveva versata tutta nel cilindro. I rivestimenti delle capsule, che a quanto pareva potevano essere aperte, erano stati gettati in mare.

Non restava che versare quella polvere in un drink. Il sentore bruciante dell'alcool l'avrebbe resa completamente insapore.

Si alzò, e provò a dire con il tono più convincente possibile: «Che ne dite se vado a preparare altri Margarita?»

Gli amici gli applaudirono in risposta. Carmine gli avvolse le spalle con un braccio. «Solo se ci metti più tequila, però.»




Yousef sciacquò tutti e dodici i bicchieri nel lavello della cucina. Nella villa non avevano delle coppe, ma quelli che aveva usato erano bombati e larghi e andavano bene lo stesso. Fortunatamente avevano uno shaker.

Ghiaccio tritato, tequila, cointreau e succo di limone. Yousef shakerò bene il tutto. Poi versò il cocktail nei bicchieri e ne cosparse il bordo di sale. Puntò due bicchieri in particolare. Estrasse il cilindro dei sonniferi dalla tasca e ne svuotò metà in uno e metà nell'altro. La polverina scivolò nella bevanda. Yousef, con un cucchiaino, mescolò.  

Si prese il suo tempo. Il silenzio della villa, in confronto alle risate della comitiva, era pesante. Il solo rumore era quello del cucchiaino contro le pareti di vetro dei bicchieri.

La polverina diventò invisibile.

Yousef segnò i due bicchieri togliendo il sale da un lato con i polpastrelli.

Li rimise tutti sul vassoio.

Spense la luce della cucina e uscì di nuovo.




Matilde vide Yousef tornare con il vassoio pieno di nuovi Margarita. I ragazzi lo accolsero con un altro applauso.

«Non faccio un inchino solo perché altrimenti qua cade tutto» disse lui.

Porse il primo bicchiere a Valeria. Il secondo a Sara. Il terzo a Clarissa e il quarto a Francesco. Francesco lo osservò, mentre continuava il giro, con il suo bicchiere ghiacciato in mano e un cipiglio diverso rispetto a quando guardava chiunque altro, incattivito. Dopo loro due, Yousef proseguì con tutti gli altri.

Matilde pensò: Bravo, non hai cominciato con Francesco e Clarissa per non destare alcun sospetto. Bravo.

Lei e Katia furono le ultime.

Matilde sperò vivamente che non avesse confuso i bicchieri.

Yousef trangugiò tutto il Margarita in un unico sorso. Nascose il bruciore alla gola con una smorfia che gli arricciò la fronte e il naso.

«Whoa, vacci piano» gli disse Katia.

«Ti dispiace se te la rubo per un po'?» le chiese lui, riferendosi a Matilde.

Katia alzò le mani in segno di resa. «Come vuoi. Senti, va, facciamo a cambio posto.» Così si trasferì dall'altra parte del falò, facendo oscillare ancora la sua coda di cavallo. Quando si risedette, alzò gli occhi al cielo sarcasticamente in direzione di Matilde.

Lei sorrise, mimando con il labiale: «Perdonami.»

Yousef si sedette a gambe aperte dietro di lei, sul telo, e le fece premere la schiena contro il proprio petto. La abbracciò, stringendola a sé, e appoggiò il mento sulla sua spalla. La sua barba le pizzicò la guancia. Lo sentì inspirare il suo profumo, che era un po' anche il suo, per via della felpa. Lui le sussurrò all'orecchio, impercettibilmente: «Li ho messi.»

Matilde rabbrividì, nonostante il calore del suo corpo. Allungò le gambe lasciate nude dagli shorts nella sabbia e nella stessa sabbia affondò le dita dei piedi. Teneva ancora il bicchiere di Margarita tra le mani, non ne aveva bevuto nemmeno un sorso.

Entrambi i loro volti, guancia contro guancia, puntarono Francesco e Clarissa, sulla sinistra. Neanche loro avevano ancora bevuto.

Una mano invisibile le strinse lo stomaco.

Bevete.

Non avevano il diritto di divertirsi. Non avevano il diritto di essere spensierati, in nessun momento, non così, non prendendoli in giro davanti a tutti i loro amici, non dopo averli abbandonati, non dopo essersi dimenticati di loro e di tutto ciò che erano stati. Non era giusto che l'amore si dimenticasse così.

Li guardarono a lungo, incitandoli con gli occhi, estraniandosi dalle chiacchiere gioviali degli altri. Clarissa giocherellava con il sale sul bordo del bicchiere. Francesco stava parlando con Bruno.

Bevete.

Tutti gli altri avevano bevuto.

Lorenzo e Sara erano già brilli e Carmine li stava prendendo bonariamente in giro.

Matilde, per un istante, si girò a guardare il nero del mare. L'acqua ancora la attirava come un magnete, come la sera precedente. Il contrasto con il fuoco era incredibile. Se non fosse stato per il suono costante delle onde che si arrampicavano sul bagnasciuga, non sarebbe sembrato nemmeno mare. Le stelle e la luna si erano rifiutate di apparire. Il fuoco era l'unica cosa a impedire che piombassero nell'oscurità.

Tornò a guardare Francesco. Stavolta lui soltanto. Nella sua testa, lo supplicò di bere.

E infine bevve. Clarissa, subito dopo di lui, le sue labbra piene sul bordo appiccicoso del bicchiere.

Le membra di Matilde si rilassarono completamente nell'abbraccio di Yousef.

Percepì una soddisfazione ristoratrice. Presto avrebbero dormito contro la propria volontà, per la volontà di Yousef e Matilde. Avevano forzato il loro corpo a fare qualcosa che non volevano. Come delle bambole con cui avevano appena iniziato a giocare.

Non suonò affatto sbagliato.

Yousef, che aveva assorbito i suoi stessi pensieri, le strinse le mani.

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