XII.
Note d'autrice: sono abbastanza soddisfatta di questo e del prossimo capitolo, per cui... non ho niente di particolare da dire, se non che spero che vi piaccia ❤
Buona lettura!
XII.
Si ritrovarono al sicuro tra quattro mura, da soli, di nuovo, solo a tarda sera.
Matilde chiuse la porta della loro stanza e poi vi si appoggiò con la schiena. Abbassò le palpebre, permettendosi di respirare più profondamente. Era stanca. Era stata una lunga giornata. La partenza, il bagno, la spesa, il noleggio auto, la cena fuori.
Poco prima c'era stata una piccola discussione sulla divisione delle camere. Alla fine era stato deciso che le coppie avrebbero alloggiato al primo piano, dove c'erano tre stanze doppie, e gli altri al piano terra.
Yousef si stravaccò subito sul letto con il cellulare tra le mani.
«Io dormo sempre dal lato della finestra» disse senza guardarla. Si mise a scorrere le notifiche arretrate e a postare qualche foto sui social. In questo era molto più attivo di lei.
«Va bene.»
Matilde si avvicinò alla propria valigia che aveva lasciato accanto all'armadio e si mise ad appendere i vestiti che altrimenti si sarebbero sgualciti.
Yousef la sbirciò. «Ma quante cose ti sei portata?»
«Tutto quello che mi serviva» rispose lei, un po' risentita, mentre piegava una delle sue camicette. «Tu non sistemi le tue cose?»
«Nah, lascio tutto in valigia.»
Matilde si portò i capelli dietro le orecchie e continuò ad appendere e piegare, piegare e appendere. C'era solo la luce di un lume ad illuminarla. L'arredamento era piacevole, ma semplicissimo. Alle pareti intonacate di bianco era appeso qualche quadro che ritraeva paesaggi della Croazia. Le lenzuola erano azzurrine, la struttura del letto in legno chiaro. Un balconcino privato dava sul pendio di piante e rocce che si gettava in mare.
Da quanto avevano potuto vedere il primo giorno, gran parte delle zone circostanti era così: pendii, scalinate e mare, e case vacanza costruite appositamente per i turisti. Nei pressi della loro villa ce n'erano almeno altre cinque o sei, ma non condividevano la spiaggetta con loro.
Era un paradiso incastonato nella natura, privato, in cui Matilde si sentiva come sospesa. Non era casa, ma lo sarebbe stata per una settimana. Non era il mondo esterno, ma un cerchio chiuso in cui dimenticarsi di qualsiasi cosa non fosse contenuta nel cerchio stesso. Non era l'Italia e, a dire il vero, non sembrava neanche appartenere alla Croazia o a qualsiasi altro stato.
Era un non-luogo. E loro erano lì. Estranei e stranieri, ma anche conquistatori, demiurghi.
L'ultima cosa che rimase tra le mani di Matilde fu il pigiama.
«Vado... vado a cambiarmi.»
Tornò in corridoio, ma il bagno del piano era occupato da Raffaele. Accanto al bagno c'era la stanza di Clarissa e Francesco. E subito dopo quella di Yousef e Matilde. Erano praticamente confinanti. E il muro tra loro era un campo minato.
Matilde si accostò brevemente alla loro porta. Le parve di sentire qualcosa. La risata di lei, un rumore cigolante, Francesco che diceva qualcosa di simile a: «Sicura di avere sonno?». Un'altra risata.
Matilde provò una sensazione di repulsione, un'onda dentro il suo petto che la spinse via da quella porta.
Indietreggiò verso la parete opposta, inconsapevole di essere impallidita.
Si passò una mano sul volto.
Non potete farmi questo...
E poi subito dopo una seconda vocina di se stessa, nella sua testa, che diceva: possono eccome. Non sapevi che saresti stata a stretto contatto con loro ventiquattro ore su ventiquattro per una settimana?
Quel principio di panico – non sapeva che altro nome dargli – ci mise qualche istante a scomparire. Si diede della stupida. Non poteva essere... spaventata dalla felicità altrui. Non aveva senso, nemmeno se in quel momento fosse stata la persona più infelice della terra. Arrabbiata, invidiosa, indifferente, certo. Ma spaventata?
Tornò in stanza e Yousef la vide rientrare ancora vestita, un po' più nervosa.
«Non sai spogliarti da sola?» chiese lui con un sorriso sarcastico, per poi scuotere la testa ridendo. «Oh no, suona un po' male, cazzo.»
Matilde gettò stizzita il pigiama nella valigia e lo guardò. «Hai sentito?»
«Cosa?»
«Quei due nella stanza a fianco.»
Yousef si incupì leggermente. «No. Ma comunque... pensavi che non scopassero?»
«Non so se stanno... Niente, lascia stare.»
«Probabilmente sì. È la loro prima vacanza da soli. Tutte le coppie passano questa fase.»
Si zittirono per qualche attimo. Si misero meccanicamente in ascolto. Ma ciò che arrivò alle loro orecchie fu solo il verso di qualche uccello notturno e il rumore di un'auto che passava in strada in quel momento.
Matilde si rilassò. Poteva sopportare di vederli ogni giorno, nelle loro effusioni. Poteva gestire un dialogo con loro. Ma sentirli fare sesso sarebbe stato orribile.
Eppure Yousef aveva ragione, era impensabile che non lo facessero. Tuttavia, il solo immaginarlo era dilaniante. Sapere che Clarissa si appropriava di lui. Che gli toglieva giorno dopo giorno, sera dopo sera il ricordo di lei, di Matilde, con il proprio corpo.
Le veniva voglia di farle del male.
Bastava consegnarle un po' di infelicità, forse, per smettere di avere paura. Un briciolo di ciò che provava lei da un anno e mezzo. Sarebbe stato equo, necessario.
Clarissa che cancella Matilde, Matilde che cancella Clarissa.
Si voltò verso Yousef.
«È anche la nostra prima vacanza da soli» gli disse. E ripensò a tutte le volte che erano già stati da soli, da maggio, a tutte le volte in cui avrebbe già potuto lasciarsi andare. «Si aspettano lo stesso da noi, secondo te?»
Lo sguardo di Yousef divenne nel giro di un istante più languido. E serio. Alla luce del lume, le piaceva come la guardava. «Immagino di sì.»
Era proprio quel tipo di sguardo ad averle fatto provare già negli scorsi mesi la voglia di avvicinarsi a lui, di stare tra le sue braccia e... attendere cosa sarebbe successo. Perché in pubblico potevano fare di tutto, ma in privato si chiudevano. O meglio, lei si chiudeva. Non sapeva cosa la spingesse a essere due persone completamente diverse. Davanti agli altri, la Matilde sensuale, impenetrabile, sicura. Da sola con se stessa, un involucro di una persona che nessuno conosceva bene. O meglio, che nessuno conosceva.
E Yousef la desiderava. Desiderava entrambe le versioni di lei, ormai l'aveva capito.
La desiderava, oltre ogni previsione, oltre ogni limite imposto. E lei aveva un disperato bisogno di tornare a provare qualcosa di vero.
«Bene.»
Si spogliò lentamente, davanti a lui. Aveva dei pantaloncini di jeans, e li gettò in valigia. Una canotta nera, che ebbe lo stesso destino. Si sciolse i capelli. Rimase in biancheria.
Yousef non si era perso nessun gesto. Se ne stava seduto sul bordo inferiore del materasso. E la osservava.
Matilde si avvicinò a lui. «I nostri tre mesi stanno per finire. A cosa è valso tutto questo?»
«Abbiamo ancora tutta la vacanza davanti. C'è tempo per divertirci un po' con loro. Pensavo fosse l'occasione perfetta.»
Quello sguardo serio e un po' perverso – parlavano di ferire altre persone, non poteva non essere perversione – la fece rabbrividire. Ma fu un brivido caldo, di natura voluttuosa.
Doveva smetterla di avere paura. Di ritrarsi. Yousef non avrebbe fatto nulla che lei non volesse.
Eppure voglio che mi faccia tutto, adesso. Non è così? Sii onesta, sii onesta.
Era tutto più amplificato dal fatto che Clarissa e Francesco stavolta fossero davvero presenti. Voyeur inconsapevoli, e non con gli occhi. Doveva riversare l'infelicità su di loro. Per sentirsi meglio.
Si avvicinò ancora di più a Yousef. Lui le prese una mano, la tirò piano verso di sé, e lei si mise a cavalcioni su di lui.
Yousef rimase seduto e si perse qualche istante ad accarezzare la pelle delle sue gambe, della sua schiena, ma senza smettere di guardarla in faccia.
Per la prima volta, non erano carezze urgenti. La plasmava come un vaso di porcellana. Perché non c'era urgenza. La notte era lunga, spalancata davanti a loro, una porta aperta su possibilità irresistibili.
Matilde gli prese il volto tra le mani. «Sì, forse è davvero l'occasione perfetta.»
Si baciarono. Cominciarono a baciarsi, più lentamente di ogni volta in cui si erano baciati, per davvero o per finta. Yousef la strinse di più a sé. Le sembrava di percepire ogni centimetro del suo corpo e non vedeva l'ora di tastare, scoprire, ammirare, aggrapparsi, affondare.
Lui si separò per un istante con un sorriso storto. «Non avevi detto che quando nessuno ci sta guardando non c'è bisogno di fingere?»
Matilde pendeva dalle sue labbra – voleva tornare subito a baciarlo. «L'importante è che sentano.»
Il sorriso di lui si allargò, ma era comunque ombrato da qualcosa che non riusciva a comprendere. Le accarezzò una guancia con le nocche di una mano. «Solo... non torturarmi così se poi cambi di nuovo idea.»
«Stavolta non cambio idea.»
E di nuovo, subito, un ondeggiare di baci lenti, per saggiare ogni centimetro di labbra, e il sapore della lingua, e lo sfregare dei corpi.
Matilde moriva dalla voglia di vedersi nuda con lui, con una persona così sconosciuta e così intima al contempo. L'ambivalenza accresceva la sua eccitazione, insieme al fatto che Yousef avesse il corpo più bello e più diverso di ogni ragazzo che era entrato nella sua vita.
Mentre lo baciava, gli afferrò i bordi della maglietta per sfilargliela. Una volta a petto nudo, lui spinse Matilde sul materasso senza che lei potesse fare qualcosa per opporsi. E fece la cosa che più bramava in quel momento: le sfilò gli slip e affondò il volto tra le sue gambe.
Matilde sussultò per l'improvvisa fiamma di piacere che le incendiò il ventre. Si accomodò meglio tra i cuscini, osservando la testa di Yousef muoversi piano nella penombra, e nel frattempo lui si prendeva tutto il tempo per esplorarla, ogni tanto riportando gli occhi su di lei.
Doveva avere un'espressione eloquente, perché Yousef sembrò capire subito che quel ritmo estenuante la faceva impazzire.
Presto non riuscì a trattenere dei gemiti, oltre i sospiri. Lui non si fermò. Non ne aveva il diritto.
Il calore nel ventre si propagò a ogni suo nervo, e quando Yousef sfiorava i punti giusti quasi si sentiva andare a fuoco. Inarcò la schiena e lui con le braccia le afferrò le cosce per tenerle ferme, come se lei avesse anche solo la minima intenzione di scappare via.
Non scappo, voleva dirgli. Giuro che non scappo.
Continua, ti prego.
Ma non glielo disse.
Iniziò a contrarre il proprio corpo, per combattere quel piacere, o si sarebbe estinto subito. Yousef le strinse di più le gambe. La bloccò in una morsa deliziosa che non l'avrebbe fatta resistere a lungo.
Era pronta a sciogliersi, su quel letto.
E si augurava che nella stanza accanto stessero ascoltando.
Faceva anche quello parte del piacere. Soprattutto quello. Una testimonianza silenziosa. Il suo sostituirsi a Clarissa negli occhi di Yousef. La libertà concessa dai non-luoghi. La notte che li costringeva a essere chi erano veramente.
Yousef si interruppe quando comprese di averla portata a un punto di non ritorno. Era esattamente dove voleva portarla, per legarla a lui.
Riemerse sulla sua pancia con un sorriso obliquo e già soddisfatto, ma i suoi occhi dicevano famelicamente che neanche lui ce la faceva più, che la voleva ora e l'aveva voluta per tanto tempo.
Alla fine avevano ceduto.
Avevano allentato le corde.
Yousef si mise in ginocchio sul materasso. «Vieni qui» le disse, incitandola a mettersi a sua volta in ginocchio davanti a lui.
Matilde si rialzò piano e si posizionò proprio dove lui le aveva indicato, con la faccia rivolta verso la parete, con i capelli a cascata sulle spalle che lei non scostò. Lui si allontanò un attimo per prendere un preservativo. Sentì che lo indossava, dopo essersi sfilato bermuda e boxer insieme. Sentì il suo peso di nuovo sul materasso.
«Yousef» sussurrò. «Posso chiederti solo... fuori... lo stesso?»
Lui le spostò una ciocca di capelli per baciarle la spalla. «Va bene, non ti preoccupare.»
Quando entrò in lei, Matilde si tese come una corda di violino. Non lo credeva così. Pensava lo dicesse solo per vantarsi. Poi si rilassò completamente contro di lui, contro la sua schiena.
Provò un senso di beatitudine.
Si sentì piena, nuova, sollevata.
Finalmente. Dopo così tanto tempo. Dopo così tanto bisogno.
Dammi ciò che mi manca. Dammi tutto.
Yousef iniziò a muoversi, piano e a dir poco dolcemente. Fu inaspettato, adorante. Le stringeva la vita, da dietro, e Matilde sentiva che osservava ogni centimetro della sua pelle anche se non poteva vederlo. Vederlo non era importante. Lo sentiva, in tutto il suo corpo.
Il piacere si quadruplicò, probabilmente, quando Yousef scese con una mano a toccarla davanti, mentre spingeva. Non aveva dimenticato che erano complici. Non aveva dimenticato che doveva farsi sentire.
Non era affatto difficile. Suoni e ansiti le venivano come strappati dalla bocca. Non c'era finzione. Su nessun livello. Solo realizzazione, di se stessi e di loro stessi insieme, come entità unica al mondo e ormai già indefinibile.
Né amici né amanti, o forse entrambi.
Forse non era abbastanza, comunque, perché si accorgessero dei rispettivi sentimenti autodistruttivi. Segnali che non vennero colti da nessuno dei due. Non si trattava di Francesco e Clarissa, ma di tutto il sommerso. Venne un po' alla luce, ma restò ugualmente celato.
Matilde si domandò per un brevissimo momento se Yousef l'avrebbe notato, prima o poi. O se lei si sarebbe fatta sfuggire qualcosa.
Ma affogò i suoi stessi pensieri in un orgasmo.
Se lo meritava.
Le mancava così tanto.
Fu bello. Bello e meravigliosamente ingiusto.
Sembrò durare tutta la notte.
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