XI.
Note d'autrice: più leggo i capitoli di questa parte, più mi viene voglia di tornare in vacanza. Che dite, i ragazzi della comitiva si divertiranno?
Buona lettura ❤
XI.
Era un agosto asfissiante.
Anche sull'aereo per Spalato Matilde si sentiva mancare il respiro.
Tuttavia in alta quota il problema non era il caldo, evidentemente.
Doveva essere un volo di soli cinquanta minuti, ma si stava rivelando interminabile. Matilde controllò l'orologio per la quinta o sesta volta di seguito. Mancava ancora mezz'ora. Un'altra mezz'ora di sussulti a ogni turbolenza, di hostess fintamente cordiali e di... e di lei.
Tra tutte le persone della comitiva, tra tutti gli sconosciuti italiani e croati sull'aereo, a Matilde era toccato proprio il posto accanto a Clarissa.
«Ho il 21E» le aveva annunciato lei con un sorriso mostrandole il proprio biglietto, dopo essersi fatta aiutare da Carmine a posare il trolley nella cappelliera. Sembrava fare fatica persino a trascinarlo, quel trolley. Sembrava più delicata e magra che mai. E forse partecipare al viaggio non era stata una buona idea, per lei. Soffriva silenziosamente per ogni movimento da quando la sua necrosi all'anca era peggiorata. Anche nel sedersi, una ruga di dolore le si era scolpita sulla fronte. Ma aveva stretto i denti e non aveva detto nulla.
Matilde un po' la ammirava.
Era molto più coraggiosa di lei.
Lei, che aveva ancora paura di volare. Che non sopportava né il dolore né la nausea né i capogiri né qualsiasi altra cosa che annullasse, anche momentaneamente, il suo benessere.
Clarissa invece era tranquilla. Stava leggendo una rivista. Ogni tanto sbirciava in direzione del finestrino. E di lei. Aveva notato che era nervosa.
«Ti piace questo colore?» le chiese a un certo punto, indicandole un abito estivo rosa pesca ritratto su una pagina.
«Mmh... non è il mio stile, ma non è male.»
Matilde si domandò cosa la spingesse ad essere cordiale con lei. Fino a un paio di mesi prima si ignoravano a vicenda. Anche prima di Francesco e Yousef non erano mai state grandi amiche. Anzi, Matilde aveva sempre percepito una certa rivalità nei suoi confronti.
Se ora anche questa rivalità si andava sciupando... doveva significare che a Clarissa non importava più nulla di Yousef. Che si era abituata a loro due insieme.
A differenza mia.
Mai si sarebbe abituata anche solo al modo in cui Francesco la guardava. Avrebbe tentato fino all'ultimo, con Yousef, di spingerli a lasciarsi. I loro tre mesi stavano per scadere. Una volta arrivato settembre cosa avrebbero fatto?
Matilde cercò di individuarlo qualche fila più avanti. Doveva essere seduto accanto a Lorenzo e Sara, ma non li vide.
Una leggera turbolenza le mozzò di nuovo il respiro. Strinse le mani sui braccioli del sedile.
«Tranquilla» cercò di rassicurarla Clarissa. «Appena superate le nuvole dovrebbe calmarsi.»
Matilde apprezzò il tentativo. «Lo spero.»
«Non avevi mai preso l'aereo?»
«In realtà sì... per andare da mio padre a Milano, una volta» rispose, e mentre l'aereo tremava e vibrava provò a concentrarsi sulla sua presenza, che in qualche modo era rasserenante. «E solo perché c'era lo sciopero dei treni. E poi per andare a Parigi. Ma... l'ho sempre presa un po' male.»
«Beh, è una paura comune. La signora davanti a noi si è già fatta il segno della croce una decina di volte da quando è salita.»
Matilde sorrise. «Altri dormono, però. Vorrei essere in grado di rilassarmi a tal punto anch'io.»
«Probabilmente sono persone che viaggiano molto. Comunque ti do un consiglio: tu osserva sempre le hostess. Se non sono allarmate loro, non c'è nulla di cui preoccuparsi.»
Matilde lanciò un'occhiata all'hostess che passò accanto a loro in quel momento per raggiungere un passeggero che l'aveva chiamata. Era ancora sorridente, in effetti.
Le turbolenze finirono presto. L'aereo iniziò a volare in un cielo limpido, sopra il mar Adriatico.
«Ecco, visto? Niente più montagne russe.»
Matilde rilassò la schiena contro il sedile e sospirò. «Non mi mancheranno.»
«Comunque secondo me ti starebbe un sacco bene, il vestito» disse Clarissa tornando a indicare la rivista. «C'è anche rosso, guarda.»
«Il rosso è il mio colore preferito.» Non sapeva perché gliel'avesse detto. Non sapeva perché la stesse assecondando.
«È un negozio che sta anche all'aeroporto di Spalato. Che dici, dopo andiamo a dare un'occhiata al volo? Se non sbaglio anche Sara voleva passarci.»
«Va bene.»
Ci fu qualche istante di silenzio, interrotto soltanto dal suono delle pagine che Clarissa sfogliava e dal motore in sottofondo.
Matilde decise di continuare a parlarle. «Tu come ti senti?»
Clarissa rialzò lo sguardo su di lei. S'incupì appena, ma sulle sue labbra c'era ancora l'ombra dei suoi sorrisi gentili. «Mentalmente, bene. Fisicamente un po' meno. Ma sono contenta di essere venuta.»
«Sarebbe stato un peccato negarsi questo viaggio.»
«Già» disse. Chiuse la rivista e la ripose nella rete davanti a sé. «Volevo tanto... volevo tanto fare qualcosa di bello prima di operarmi. La convalescenza sarà un po' lunga e...» poi scosse la testa. «Scusa, non voglio annoiarti o impietosirti con questi discorsi.»
«Figurati...»
«Insomma, probabilmente mi laureerò con le stampelle.»
«Quando?»
«A ottobre.»
«Nella stessa sessione di Yousef, allora.»
Stavolta anche il sorriso scomparve dalle sue labbra. Lo sguardo si allontanò da lei. «Sono contenta per lui.» Ma il suo tono diceva l'esatto contrario.
Allora ci aveva visto male. Non era lei, Matilde, il problema. Era Yousef, e solo lui, a turbarla. Ancora adesso.
Per la prima volta si chiese davvero per quale diavolo di motivo l'avesse lasciato. Dopo tre anni insieme doveva essere qualcosa di grave, se ancora ripensava a lui con tanto astio. Un tradimento, forse? Doveva essere qualcosa che l'aveva ferita profondamente.
Matilde si rese conto davvero solo in quel momento che i cattivi, in quella storia, non erano altro che lei e Yousef.
In principio, e nel presente.
Non avrebbero smesso di esserlo. Riconoscere di aver ferito le persone che amavano non era abbastanza per farli smettere.
Avevano affittato una villetta per dodici persone sulla costa dalmata, a metà strada tra Spalato e Dubrovnik. Era una costruzione bianca e squadrata costruita su un pendio, con il tetto di tegole arancioni e un cortile corredato di tavolo, sedie, brace e amache che permetteva di accedere a una piccola spiaggia privata, tramite un cancelletto e una breve scalinata tra le rocce.
Fu proprio la spiaggia il loro primo obiettivo. Avrebbero dovuto pensare alla divisione delle camere, alla spesa, al noleggio auto, al cambio valuta, ma corsero tutti subito a mare, inevitabilmente.
Erano le sei del pomeriggio. Il sole si stava indebolendo.
Yousef, Carmine e Raffaele arrivarono per primi. Si tolsero magliette e bermuda e si gettarono in acqua, senza riflettere oltre, in mutande.
«Cazzo, è gelata!» gridò Carmine ridendo, ma si rituffò ugualmente subito dopo.
«Io penso di essermi tagliato il piede con una pietra» fece Raffaele. Tuttavia anche lui rideva. C'era qualcosa che li faceva stare così bene. «Aveva ragione Aurora a dirmi di portare le scarpette di gomma.»
Yousef gli mise un braccio intorno al collo facendo finta di volerlo affogare. «Ma zitto e nuota!»
«Seh, mo' Dory di Alla ricerca di Nemo sono!»
Dopo pochi metri già non c'era più piede. L'acqua era meravigliosa. Yousef guardò sotto di sé e vide dei pesciolini quasi trasparenti giocare intorno alle proprie caviglie.
Aveva viaggiato molto nella sua vita, ma nessun posto l'aveva fatto sentire così sereno sin dal primo momento. Nel mare la frustrazione si alleggeriva. Anche lui era diventato più leggero.
«Dobbiamo comprare un pallone, oh» gli disse Carmine nuotando vicino a lui. «Un Supersantos croato. Che dici, lo vendono?»
«Ma che ne so.»
Da lontano videro gli altri arrivare sulla spiaggia, uno dietro l'altro, dalla scalinata. Seguirono tutti lo stesso modus operandi. Si spogliarono, rimasero in biancheria – era la voce di Katia che diceva «A saperlo mi mettevo già il costume»? –, si buttarono in acqua. Tranne Matilde.
«Matilde!» la chiamò lui sventolando una mano. «Vieni!»
Gli altri si unirono a quel richiamo, ma lei scuoteva la testa con un sorriso.
«C'ha il ciclo?» gli chiese Carmine.
Yousef sospirò e nuotò verso riva, verso di lei. Sorpassò Clarissa che era appena riemersa con la testa e resistette all'impulso di prenderla per la vita e di ributtarsi sott'acqua con lei. Era una cosa che aveva fatto spesso, quando erano stati insieme in Puglia. Ricordava che la faceva ridere tantissimo.
«Prima o poi mi fai affogare, scemo!»
«Gli squali non ci pensano due volte quando devono afferrare la propria... preda!»
E cominciava a rincorrerla, e lei cominciava a scappare, tra risate cristalline.
La sorpassò.
Giunse a riva, dove Matilde si era seduta, sopra a un telo. Rabbrividì per il vento pomeridiano. Si sedette accanto a lei, appoggiando i gomiti sulle ginocchia.
«Mica hai un asciugamano anche per me?»
«No, ma ti do questo se vuoi.»
«No, fa niente.»
Yousef si sporse verso di lei e le diede un bacio sull'angolo della bocca.
Matilde lo fissò. «Non ci sta guardando nessuno adesso...»
«E allora?»
Lei si scostò una ciocca di capelli che le era volata sulla fronte. «Non c'è bisogno di fingere.»
«Mado', che pesante che sei a volte» sbuffò Yousef, stendendosi di schiena con un braccio dietro la testa. «Perché non ti fai il bagno?»
«Non mi va.» E tornò a guardare dritto davanti a sé, verso gli altri. Lo faceva spesso nel bel mezzo di una conversazione. Distoglieva lo sguardo, guardando dritto, e non te lo rivolgeva più.
Restarono in silenzio per un po', con il suono delle risate degli altri a fare loro compagnia.
Carmine prese Lorenzo sulle spalle e gli fece fare un tuffo all'indietro. Yousef non poté fare a meno di ridere a sua volta. «Ho lasciato il telefono dentro, che palle, ci voleva una foto.»
Matilde non ribatté.
Lui non capiva perché facesse così. Cercò di cambiare argomento. «A proposito» ma a proposito di che, poi?, «ho visto che prima in aeroporto sei entrata con Clarissa in un negozio. Cosa mi sono perso?»
«Ho comprato un vestito che mi ha fatto vedere lei.»
Rimase basito per qualche istante. «Da quando fate le amichette, scusami?»
«In realtà non lo so. Si è un po' aperta verso di me ultimamente.»
Un ronzio tra i pensieri gli diceva che c'era qualcosa di strano, ma non gli diede molto peso. Potevano sfruttare la cordialità di Clarissa a loro vantaggio, in qualche modo. «Bene, quindi è solo con me che si rifiuta di parlare.»
Matilde non fece commenti.
Yousef se l'aspettava più curiosa. Non gli faceva mai domande su di lei o su di loro. Lui invece aveva tante cose da chiederle, ma c'era qualcosa che lo bloccava. Forse il dialogo che avevano avuto in macchina dopo il compleanno di Raffaele. Il fatto che lei sembrasse così devastata dall'argomento.
Aveva fantasticato molto su quello che doveva essere successo tra Francesco e Matilde. Non ne era venuto a capo.
Un tradimento da parte di lei era l'unica opzione concreta che gli veniva in mente, ma per qualche ragione non ci credeva abbastanza. Francesco gli aveva detto di non fidarsi, certo, ma Matilde sembrava completamente devota a lui. Adesso tanto quanto allora.
Yousef si diceva che non gli riguardava, che doveva lasciar perdere la questione. Tuttavia, la curiosità era dilaniante, per lui. Difficilmente se ne sarebbe liberato.
«Yousef, puoi promettermi una cosa?»
Quella richiesta fu un fulmine a ciel sereno. Non sapeva cosa Matilde avesse in mente, non sapeva cosa dirle. E poi lui non era affatto portato per le promesse e per i giuramenti. Anzi, nella maggior parte dei casi lo spaventavano, a un livello che non riusciva a spiegarsi. Promettere era un impegno. Ma da sempre tutti i suoi impegni fallivano.
«Cosa?» cominciò col chiedere, scrutandola.
«Che starai sempre dalla mia parte, finché tutto questo durerà.»
Non lo stava guardando. Stava guardando dritto davanti a sé, con un'aria assorta ma cupa, verso il mare, come se fosse l'unica ad essersi accorta di una tempesta in arrivo all'orizzonte. Nel suo sguardo si specchiavano anche i loro amici, che sguazzavano in mezzo a quell'invisibile principio di tempesta, e ovviamente Francesco e Clarissa.
Yousef si alzò di nuovo a sedere. «Mati', guardami.» Lei, sorprendentemente, ascoltò subito quell'ordine, quella supplica. Si voltò verso di lui, ma nascondendosi sempre un po' la faccia. Il vento riportava insistentemente i capelli sulle sue guance. Lui si convinse a dire: «Te lo prometto.»
Aveva senso, come promessa. Lo vincolava ancora di più a lei, certo, ma al contempo consolidava la loro alleanza. Sto dalla tua parte e tu stai dalla mia.
Matilde sorrise, di un sorriso finalmente genuino.
Almeno c'era riuscito, a trasmetterle un po' di serenità. Voleva che stesse bene. Voleva che stessero bene, nonostante tutto.
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